Aprile, mese crudele

Aprile, mese crudele

di Stefano Stefanel

         Non so se aveva ragione T.S. Eliot (“Aprile è il mese più crudele”), ma certamente se aprile non è il “più” crudele è certo un mese in cui i nodi vengono al pettine. L’anno scolastico volge al termine e molte delle cose progettate sono in alto mare o in convulsa conclusione, nelle scuole c’è molta fibrillazione per conciliare il termine dei progetti, delle attività, degli incontri programmati e non con l’accavallarsi di verifiche, compiti in classe, relazioni, esami (all’orizzonte). Diciamo che un buon aprile aiuterebbe un maggio tranquillo, ma l’accelerazione di aprile porta alle convulsioni di maggio. Facciamo un breve punto della situazione, che poi va in stand by in giugno, in letargo a luglio, riapre le energie ad agosto per poi ripartire con una bella accelerazione a settembre. Forse aveva ragione Nietzsche sull’”eterno ritorno dell’identico”.

In questo aprile è partito il treno dei referendari: è vero che sono pochi e piuttosto antiquati, ma è anche vero che rappresentano un sentire antagonista che nelle scuole c’è, eccome. Se non raccoglieranno le firme necessarie accuseranno a destra e a sinistra con insulti mascherati da linguaggio aulico, come ormai fanno da qualche anno. Se le raggiungeranno e il referendum non verrà ammesso attaccheranno tutti ma non la Corte costituzionale (quella gli piace) che ha bocciato il referendum. Se invece il referendum andrà in porto sostituiranno i dirigenti scolastici alle trivelle nel tentativo di creare nell’opinione pubblica un mostro da attaccare. Se arriveranno al 30% di quorum si dichiareranno vincitori comunque contro i poteri forti e sbraiteranno contro Governo, Miur e Dirigenti che sono riusciti a non far andare la gente alle urne. Se vinceranno otterranno una vittoria simile a quella che avrebbe ottenuto il referendum sulle trivelle: forte da un punto di vista mediatico, nulla dal punto di vista pratico. Nel frattempo ci sarà una forte ricerca del caos, molta confusione, molte accuse, ma soprattutto nessun progetto alternativo a quello governativo se non il richiamo ad un passato che credo neppure i promotori di tante agitazioni vorrebbero.

In questo aprile si è inasprita anche la polemica dei dirigenti sulla loro retribuzione. Un interessante documento ha ottenuto molto appoggio dai dirigenti perché ha mescolato la richiesta di aumento salariale a quella di minori responsabilità in campi delicati come la sicurezza e la burocrazia (“Liberare la scuola”). Tutto forse sacrosanto, salvo poi accorgersi che il problema è complesso e complicato: il numero zero simboleggia la solidarietà ottenuta dall’opinione pubblica sul proprio stipendio, mentre le altre questioni sollevate sono troppo complesse per essere affrontate in forma emotiva e non analitica. Inoltre i dirigenti scolastici si trovano a dirigere le scuole con varie forme di accelerazione che portano aggravio di lavoro che il Miur ritiene compreso nella funzione e che invece i dirigenti chiedono (come tutti i lavoratori) di veder retribuito (concorsi, fondi pon, progettazioni con tempi ristretti, tra qualche giorno arriveranno le reti degli ambiti, comitati di valutazione, ecc.). Mi sembra qualche volta parlando con miei colleghi di essere dentro la pubblicità della Wind, con Fiorello e Conti che affrontano l’aliena a tre teste: la testa centrale spiega le funzioni dirigenziali e la loro importanza per la scuola e lo stato, la testa di destra chiede aumenti salariali su singole funzioni o in generale, la testa di sinistra invece è quella del dirigente burocrate appassionato, vessatorio e cavilloso che si lamenta della burocrazia altrui producendone capiosa di propria.

L’accavallarsi di scadenze (e vedrete quando arrivano le reti previste dal comma 70 dell’art.1 della legge 107/2015 !), di progettualità, di tempistiche ha portato alla scoperta – ad esempio – che ben 3.000 scuole su 9.000 non hanno presentato la domanda per il primo bando PON e che alcune centinaia (messe in chiaro con una procedura di gogna non proprio apprezzabile) sono state escluse dal secondo bando PON per errore nella trasmissione del documento. Cioè ha messo in evidenza gravi problemi di governance, un argomento su cui la dirigenza scolastica dovrebbe essere molto attenta e invece pare distratta. La letteratura sulla scuola ci dovrebbe aver insegnato che se cambiano le condizioni di lavoro e di contesto deve anche cambiare la governance. Questa naturale mutazione non può avvenire per decreto, perché altrimenti non si tratta di governance, ma di organo collegiale. Ma cosa succede invece: animatore digitale, team digitale, piano triennale dell’offerta formativa, fondi pon, piano di miglioramento, rapporto di autovalutazione, progetti ministeriali su italiano, matematica, ecc, ambiti territoriali, laboratori per l’occupabilità, organico dell’autonomia, alternanza scuola-lavoro, comitati di valutazione, ecc. (ma chi legge sa che c’è dell’altro) vengono governati con i vecchi arnesi della scuola degli adempimenti, quegli organi collegiali che tanto piacciono ai referendari e che ormai sono strumenti di ratifica e non di progetto. Sarebbe però interessante capire come si pensa di gestire realmente l’innovazione e il cambiamento attraverso arnesi messi in crisi dall’autonomia. Per cui spesso tutto si rallenta, i tempi non ci sono, non si sa chi e come deve decidere e le occasioni si perdono. Tra l’altro gli organi collegiali hanno come grandi alleati i direttori dei servizi generali e amministrativi e tutto il personale ata, felicissimi quando la scuola non partecipa a progetti, non chiede finanziamenti aggiuntivi, non si prende oneri. Da un lato dunque la vecchia governance che non riesce a governare il cambiamento, dall’altro il personale ausiliario che spera finisca tutta questa “buriana” e si “torni a fare scuola seriamente” senza progetti, visite o altro che possa turbare il potente incedere dell’oppressiva burocrazia delle scuole.

Prendiamo la questione ai limiti della fantascienza dei collaboratori vicari, insegnanti con esonero o semiesonero che fanno più o meno i vice dirigenti. La figura non esiste dal 1999 (autonomia) ma è sempre stata nominata. Il Contratto Collettivo del 2007 permetteva la retribuzione di due figure (Vicario e secondo collaboratore, nella vulgata). La legge 107/2015 permette di nominare entro il 10% dell’organico figure di sistema. Non vi sono limiti invece alle strutture di gestione e di governance possibili. Eppure: scuola nuova vicari vecchi. L’idea del sostituto è così forte, che rimane anche quando non c’è nulla da sostituire. Il pensiero che le novità chiedano nuova governance del processo decisionale e che magari siano meglio più figure di presidio che una gerarchia posticcia entra in poche scuole, ma mantiene nella maggioranza la vecchia connotazione piramidale, dove spesso la parte finale della piramide si trasforma in “cerchio magico” (che pare anche portare male). Dico staff e intendo piramide gerarchica, insomma (tipo: “Professoressa, ma prima di venire da me ha parlato col vicepreside?”, “Dirigente, il vicepreside non esiste”, “Come no, sta di là”).

L’altra questione interessante è cercare di gestire la convulsa innovazione che avanza con i consigli di classe o di interclasse, organismi nati dall’idea partecipativa affermatasi nel 1968, diventata decreto delegato negli Anni Settanta e rimasta viva in mezzo a noi anche se non funziona più. E così mentre il mondo si evolve per deleghe e gestioni complessive e complesse, mentre la scuola viene monitorata e valutata su processi di istituto e di area, mentre le risorse arrivano su azioni complesse e di vasta portata ecco che permangono questi piccoli potentati locali che funzionano se gli insegnanti vanno d’accordo e gli studenti sono bravi, ma non riescono a decidere più niente di realistico, non si confrontano, vanificano spesso con ottimi muri di gomma quali sono qualunque progettazione realizzata da gruppi di lavoro, team di progetto o anche dai collegi docenti, producono tanta carta, anche se spesso rimane chiusa nell’on line. Un grosso interesse antropologico dovrebbe esserci per analizzare perché il docente si comporta e decide in modo diverso se è in Collegio docenti e se è in Consiglio di classe, spesso ignorando quello che ha deciso altrove. Gestire processi complessi con organi che creano piramidi (vicari) e che dividono anche l’indivisibile (consigli di classe) è molto difficile, ma non c’è un interesse vero in giro allo studio di una governance che presidi realmente l’innovazione e la ricerca a tutti i livelli della scuola.

In questo aprile tutto ciò e anche altro è venuto allo scoperto. Oltre le grida si attendono le idee, mentre prevale il dirigente a tre teste.