Disturbi dello spettro autistico, Italia in ritardo

da Italia Oggi del 10-05-2016

Disturbi dello spettro autistico, Italia in ritardo

Non ha spento neppure la prima candelina la disciplina che ha dato «dignità» giuridica all’autismo: la legge 134 del 18 agosto 2015 (Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie) rappresenta l’iniziale traguardo per approfondire il fenomeno (caratterizzato da un insieme di disturbi dello sviluppo su base neurologica, che influenzano pensiero, percezione, attenzione, abilità sociali e comportamento), e una chance per comprendere cosa possa essere fatto per migliorare la qualità di vita delle persone dalla famiglia alla scuola, dai centri specializzati nella presa in carico dei soggetti al mondo del lavoro e del tempo libero. L’Isfol ha messo di recente sotto la lente d’ingrandimento il tema, premettendo che i disturbi dello spettro autistico sono stati considerati «per molto tempo una patologia che determinava un grave isolamento della persona», invece, alla luce degli studi e sperimentazioni s’è visto che «non solo l’inserimento è possibile col supporto adeguato», ma che chi ne soffre avrebbe «molto da offrire», qualora gli venisse assegnato un incarico. Entrata in vigore la norma, quello che va superato è un collo di bottiglia che i numeri riescono a fotografare bene: se è vero, infatti, che il tasso di disoccupazione dei disabili è 4 volte più alto dei normodotati, nel caso dell’autismo il dato fa affiorare una situazione critica, giacché in base a quanto accertato dal Censis nel 2012, soltanto «una persona su dieci con disturbo dello spettro autistico trova oggi un impiego», e quasi tutte le occasioni sono riconducibili ai «settori dell’agricoltura e del giardinaggio». Guardando al di là dell’Atlantico, intanto, si scopre che «da almeno due decenni» negli Stati Uniti sono state attivate tecniche di supporto ed impiego; nel 2004 è stata, poi, approvata una legge, denominata Idea (Individuals with disabilities education improvement act), che ha permesso la valutazione, la pianificazione ed i successivi servizi alla persona, per cui il giovane con autismo viene preso in carico «dall’età di 3 anni fino ai 21», approntando interventi che devono essere «orientati al risultato, basati sui punti di forza e sulle aree di bisogno del ragazzo, concentrati sull’istruzione e sui servizi educativi, sull’occupazione e su altre competenze per la vita post-scolastica». Esperienza di successo, messa in luce nel dossier dell’Isfol, è quella nata in Danimarca: da circa 15 anni è sorta un’impresa, Specialisterne (Gli Specialisti) divenuta «una delle buone prassi di inserimento lavorativo di giovani con autismo nel settore informatico, riconosciuta in tutto il mondo». Il suo «segreto»? Aver scelto di agire sulla base del principio che le specificità di questi soggetti possano essere viste non come una barriera all’inserimento, bensì come «un vantaggio competitivo nel business market»; attualmente, l’organico conta una cinquantina di addetti, e «a 3 su 4 è stato diagnosticato l’autismo», tutti sottoposti prima a una valutazione delle singole abilità (processo lungo 5 mesi), poi ad un accurato iter formativo (mediante una scuola post-obbligo della durata di 3 anni) per intraprendere l’attività di «consulente informatico all’interno dell’azienda» e avere accesso all’area business e corporate. L’impresa nel 2010 ha aperto unità operative che portano avanti la stessa filosofia in Scozia e in Irlanda, fino a mettere la propria «bandierina», oggi, in ben 13 nazioni. Scarsi, invece, gli esempi in Italia, per lo più, come accennato, nelle coop e nel campo dell’agricoltura sociale. Val la pena di menzionare l’attività del Centro terapeutico europeo (Cte) di Firenze, a Rignano sull’Arno: disponendo di circa 20 ettari di terreno e altrettanti di bosco, la struttura dal 2006 offre opportunità di «residenzialità e/o sollievo» a persone con autismo e al loro nucleo, attraverso un percorso che va verso l’auto-organizzazione, che passa dallo svolgimento di lavori domestici all’impegno in cucina e nell’orto, mettendo chi soffre di ritardo mentale a contatto col «tempo naturale del cambiamento», inteso come «metafora delle trasformazioni che possono avvenire dentro di noi». E caldeggiando, così, la speranza che «cambiare è possibile».