La bicicletta verde, un film scritto e diretto da Haifaa Al Mansour
di Mario Coviello
Nel giorno in cui “ l’Austria verde – come titola il quotidiano la Repubblica-sceglie l’Europa “ e l’ultradestra è battuta, IRIS, il canale Mediaset che trasmette solo film, ha presentato in prima serata “ La bicicletta verde”, che vi consiglio assolutamente di vedere.
Sono convinto che possiamo sconfiggere “la stagione della collera” che attraversa il mondo, una stagione che vede Donald Trump candidato alla presidenza degli Stati Uniti e in Italia Salvini con la sua autobiografia ai primi posti nella classifica dei libri più venduti.
Nella giornata in cui in Italia si ricorda la strage di Capaci e il sacrificio di GiovanniFalcone, della moglie, il magistrato Morvillo, e degli uomini della scorta ai giovani che a Palermo e in tante piazza d’Italia celebrano la “Giornata della legalità” bisogna far vedere “ La bicicletta verde” di Haifaa Al-Mansour, primo film girato da una donna in Arabia Saudita.
“La bicicletta verde” racconta la determinazione caparbia di Wadjda, una ragazzina di dodici anni che vuole a tutti i costi una bicicletta per gareggiare con il suo amico Abdullah, che l’aiuta e la sostiene . Ma non può farlo perché siamo in Arabia Saudita e alle donne è proibito andare in bicicletta e guidare l’automobile.
È femmina e il padre va solo ogni tanto a trovarla. Wadjda lo aspetta con la madre amica. Per raccogliere i tanti soldi che ci vogliono per comprare la bicicletta la ragazzina decide di partecipare alla gara annuale di Corano della scuola e si sforza di nascondere sotto la lunga veste nera sdrucite scarpette di jeans, si copre la testa, nasconde il volto, come la religione impone .
E’ spoglia, triste la scuola di Wadjda e quelle figurine nere che sfilano in silenzio sono costrette a nascondere la voglia di vivere, ribellarsi, crescere in libertà, anche perché una direttrice arcigna le sorveglia e volentieri le punisce.
Il mondo de “ La bicicletta verde” è un mondo di donne nel quale ciascuna ha ruolo significativo: l’autorità istituzionale cui è demandata la prima formazione religiosa (la direttrice scolastica inflessibile, che cammina su due visibili tacchi di ipocrisia), l’autorità familiare (la madre che si dibatte tra imposizione teologica ed amore materno), l’umanità che trasgredisce in nome di diritti elementari negati (la giovinetta della bicicletta), la platea delle donne toccate dalla tentazione (le compagne della scuola coranica), ma che non trovano il coraggio di lottare apertamente.
Sul terrazzo la mamma che fuma di nascosto rivela alla figlia che il padre sta per prendere una seconda moglie perché lei non riesce a dargli un maschio e mentre si abbracciano le mostra la bicicletta verde che le ha comprato.
E Wadjda sfreccia libera per le strade città, vola verso il mare, mostrando le esili gambe e il suo jeans.
Haifaa Al-Mansour è la prima vera regista di un paese che non ha sale cinematografiche e in cui il cinema si fruisce solo in casa. E’ dunque in sè una figura rivoluzionaria che si oppone ai ruoli cui le donne sono relegate e tale posizione è evidente nella maniera in cui scrive i suoi personaggi. Non solo la protagonista Wadjda ma anche le compagne più adolescenti e più irrequiete, sono accarezzate con tono lieve dalla macchina da presa, scrutate nell’innocenza di gesti minuscoli che portano a condanne spropositate.
Il pregio maggiore di La bicicletta verde è il saper guardare la realtà e metterla in scena trovando in ogni dettaglio un elemento di oppressione o di ipocrita incongruenza, come i tacchi della maestra.
Per Wadjda e le giovani generazioni del mondo non permettiamo che la paura prevalga e continuiamo la nostra pacifica battaglia per la libertà e il progresso di tutti e di ciascuno.
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