Esami di stato inutili? 200 milioni di motivi. Parlano gli esperti

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da La Tecnica della Scuola

Esami di stato inutili? 200 milioni di motivi. Parlano gli esperti

Duecento milioni di euro è la cifra che ogni anno lo Stato sborsa per gli esami di stato. Ma sono in effetti utili? Il parere degli esperti del mondo della scuola: Mario Rusconi, vicepresidente ANP (Associazione Nazionale Presidi); Roger Abravanel, esperto di valutazione, saggista ed editorialista del Corriere della Sera; Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli.

#8 I costi

150 milioni di euro andrebbero ai commissari esterni, ai presidenti di commissione un’altra trentina di milioni di euro, per cui si arriva ai 200 milioni di euro, se si considerano le normali spese organizzative. A questo bisogna aggiungere il costo delle famiglie che, tra ripetizioni e materiale aggiuntivo, spendono centinaia di euro.

#7 Tutti promossi

Da anni, circa il 99% degli ammessi all’esame viene promosso: tutto merito degli studenti italiani, troppo bravi per la maturità attuale? Non proprio. “Un numero così alto di promossi non dipende certo dalla facilità dell’esame – precisa Mario Rusconi– ma da una scrematura preliminare che i docenti fanno, soprattutto negli istituti tecnici e professionali. Nei primi 2 anni di scuola, infatti, c’è un numero ben più alto di bocciati; con un’ulteriore selezione prima dell’esame”.

#6 Criteri di giudizio sbilanciati

Il voto finale, poi, può essere influenzato da diverse variabili: indirizzo di studio, severità della commissione, collocazione geografica della scuola. “I voti al Sud sono sistematicamente più alti rispetto al Nord” – sostiene Andrea Gavosto. “Secondo i dati a nostra disposizione in Calabria, ad esempio, i 100 sono il 9% del totale; in Lombardia sin fermano al 3%. Ma i Test Invalsi e le rilevazioni Pisa ci raccontano un’altra storia: la qualità dell’apprendimento è migliore al Nord. Un paradosso inaccettabile”.

#5 Commissioni litigiose

La questione commissioni è un nodo centrale. Farle tutte interne abbatterebbe i costi, ma l’esame perderebbe in credibilità. Al contrario, un commissione interamente esterna aumenterebbe le garanzie di imparzialità ma consegnerebbe gli studenti nelle mani di prof che non conoscono lo storico dei candidati. E le commissioni miste? “Non è così raro che si creino delle conflittualità forti all’interno della commissione – ci dice Mario Rusconi – in nessun posto si lavora bene senza sperimentarsi a vicenda. Così, quasi sempre, a farne le spese sono gli studenti che magari vedono abbassarsi il voto per un capriccio tra professori”.

#4 Impostazione ottocentesca

Anche le singole prove non sono esenti da responsabilità: il tema d’italiano, ad esempio, risente di un’impostazione ormai sorpassata. Sempre secondo Rusconi: “Sarebbe forse più importante saper fare un buon riassunto di un saggio o di un testo tecnico; nelle università e nel mondo del lavoro la capacità di sintesi è una delle prime abilità richieste”. Quanto all’orale, per testare davvero la “maturità” di uno studente“ andrebbe visto in una condizione di “laboratorio permanente”, osservando come si muove anche dal punto di vista pratico, nella sua capacità di usare il computer, di documentarsi, di risolvere problemi concreti”.

#3 Sistema scolastico da rivedere nel suo complesso

Come in tutte le cose, però, il problema è alla radice: alla scuola nel suo complesso che, innanzitutto, non prende in considerazione delle caratteristiche di studenti che stanno per entrare nel mondo degli adulti. “Nell’attuale maturità non c’è traccia di prove che testino le capacità di ricerca in Internet, il saper utilizzare i software più diffusi che – volenti o nolenti – tutti i giovani di oggi devono sapere maneggiare con disinvoltura sia all’università che in molti luoghi di lavoro. E poi c’è il grande tema della formazione dei docenti, rimasta ferma per un ventennio e ripartita dopo l’ultima riforma (che ha reso obbligatori i corsi d’aggiornamento); ma la strada è ancora lunga”.

#2 Non prepara all’università…

Una delle note maggiormente dolenti è che la scuola superiore non pensa al futuro dei propri studenti. Così, il primo approccio con l’università è spesso traumatico. “Gli atenei da un pezzo non credono più ai voti della maturità – dice Roger Abravanel– così organizzano i loro test d’ingresso. Ma il problema persiste anche dopo, basti pensare al fatto che il voto medio di laurea è 107 e molti 110 e lode sono fuori corso”. La soluzione? “Propongo – continua Abravanel – di aggiungere i test Invalsi anche alla maturità. Potrebbe servire a creare una misura standard di valutazione e, perché no, consentire di eliminare i test universitari. Sarebbe il primo passo per inserire la meritocrazia nella nostra scuola”. Anche se non tutti sono d’accordo che questo possa bastare: “Non credo che introdurre i test Invalsi come prova d’esame servirebbe a granché – dissente Gavosto – bisogna cambiare la maturità radicalmente, magari seguendo le migliori pratiche internazionali come le prove standardizzate o gli esami centralizzati”.

#1 …E neanche al mondo del lavoro

Ma i problemi emergono anche dopo l’università, quando si entra nel mondo del lavoro. Perché la scuola non offre gli strumenti richiesti dalle aziende. “Quello che manca ai nostri ragazzi – conclude Rusconi – è la capacità di parlare in pubblico, di saper ascoltare, di lavorare produttivamente in team. Questo è il frutto dell’isolamento che la persona nell’attuale sistema scolastico. Quando, invece, sono questi gli aspetti su cui bisognerebbe insistere di più durante gli anni delle superiori”. (ANSA)