Sentenza TAR Piemonte 10 luglio 2014, n. 1365

N. 01365/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01316/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1316 del 2013, proposto da:
XXXX con altri 582 litisconsorti, tutti compiutamente identificati nell’epigrafe del ricorso (da intendersi qui richiamata), rappresentati e difesi dagli avv.ti Giorgio Vecchione, Riccardo Vecchione, Maria Teresa Prone e Laura Sofia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Vecchione in Torino, corso V. Emanuele II, 82;

contro

COMUNE di TORINO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Donatella Spinelli e Maria Lacognata, con domicilio eletto presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale in Torino, via Corte D’Appello, 16;

per l’annullamento

– della deliberazione del consiglio comunale di Torino n. 2013 03524/07, avente ad oggetto “indirizzi per l’esercizio 2013 del sistema tariffario dei servizi educativi ed approvazione quote e tariffe per l’anno scolastico 2013/2014”, approvata nella seduta del 30.9.2013 e pubblicata dal 4 al 18 ottobre 2013;

– della deliberazione del consiglio comunale di Torino, n. 2013 03941/024, avente ad oggetto “bilancio di previsione 2013. relazione previsionale e programmatica. bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015. approvazione”, approvata in data 29.10.2013;

– nonché di ogni altro atto preordinato, preparatorio, consequenziale e connesso.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Torino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 luglio 2014 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi gli avv.ti Giorgio e Riccardo Vecchione per la parte ricorrente, e gli avv.ti Spinelli e Lacognata per il Comune di Torino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. I ricorrenti espongono di essere genitori (o esercenti la potestà genitoriale) di bambini e ragazzi iscritti alle scuole materne, elementari e medie del Comune di Torino, ove fruiscono del servizio di refezione scolastica.

1.1. Impugnano la deliberazione del 30 settembre 2013 n. 2013/03524/007 con cui il consiglio comunale di Torino ha approvato gli indirizzi per l’esercizio 2013 del sistema tariffario dei servizi educativi, nonché le quote e le tariffe per l’anno scolastico 2013/2014.

Nel predetto provvedimento il consiglio comunale ha stabilito, in particolare, di rimodulare in aumento le tariffe del servizio di ristorazione scolastica al fine di “contribuire ad una maggiore copertura dei costi sostenuti dall’Amministrazione nell’erogazione dei servizi alla cittadinanza”, e ciò a causa dell’”attuale e perdurante scenario di contrazione dei trasferimenti statali e regionali destinati al finanziamento di tali servizi”.

L’aumento è stato stabilito “prevedendo una variazione media delle tariffe superiore al tasso di inflazione programmata”, in modo tale da assicurare un “grado di copertura del servizio di ristorazione scolastica…nella misura di circa il 79%”.

Gli aumenti sono stati modulati in modo differenziato tra varie fasce reddituali, già individuate con precedenti provvedimenti della stessa amministrazione comunale. L’inclusione dei singoli utenti all’interno della fascia reddituale di appartenenza è effettuata mediante l’applicazione dei criteri ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente).

In particolare, nella delibera impugnata si precisa che:

– per la Scuola d’Infanzia, l’incremento tariffario varia da un minimo di 2,00 Euro ad un massimo di 10,00 Euro mensili;

– per la Scuola Primaria e Secondaria di primo grado, l’incremento varia fra un minimo di 2,00 Euro ad un massimo di 10,00 Euro mensili, con la precisazione che la tariffa prevista per la fascia tariffaria più alta, quella con reddito ISEE superiore ad € 32.000, “è di poco superiore alla copertura dei costi complessivi sostenuti per l’erogazione del servizio”, così come avviene per la Scuola dell’Infanzia.

Per la Scuola Primaria la tariffa “piena”, cioè quella applicabile alla fascia reddituale più alta (da 32.000 Euro in su), è stata determinata a forfait mensile di € 147,00, mentre per la Scuola Secondaria di primo Grado la tariffa piena è stata determinata, in via sperimentale per l’A.S. 2013-2014, “a consumo”, nell’importo di € 7,10 a pasto.

1.2. I ricorrenti impugnano altresì la successiva deliberazione dello stesso consiglio comunale di Torino del 17 ottobre 2013 n. 2013/03940/024, con cui è stato approvato il bilancio di previsione 2013, con specifico riferimento ai servizi pubblici a domanda individuale, tra cui quello relativo a “mense comprese quelle ad uso scolastico”.

Con specifico riferimento a queste ultime, nell’allegato 7 alla predetta deliberazione si precisa che in relazione alla gestione dell’esercizio 2013, il Comune di Torino prevede:

– entrate pari ad € 45.020.732 (di cui 35.970.000 provenienti dalle tariffe pagate dall’utenza e € 9.050.732 a carico del bilancio comunale);

– uscite per un pari importo di € 45.020.732 (di cui € 32.120.732 a titolo di costi diretti del servizio di ristorazione e € 5.900.00 a titolo di costi per il personale).

I ricorrenti impugnano quest’ultima deliberazione deducendo vizi di illegittimità derivata.

2. Il ricorso si fonda su quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono dell’aumento della tariffa. La doglianza è articolata in quattro distinte censure:

– con una prima censura, i ricorrenti lamentano che l’aumento tariffario sia stato stabilito dal Comune facendo “applicazione automatica” degli scaglioni ISEE disciplinati dal D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, il che sarebbe illegittimo dal momento che i criteri di valutazione della situazione economica ISEE si applicano per legge soltanto ai richiedenti “prestazioni o servizi sociali assistenziali” che non siano destinati alla generalità dei soggetti, laddove il servizio di refezione scolastica non sarebbe, secondo i ricorrenti, un servizio di tale natura; l’applicazione automatica degli scaglioni ISEE non sarebbe stata in alcun modo motivata nelle delibere impugnate, con conseguente vizio di difetto di istruttoria e di motivazione;

– con una seconda censura, i ricorrenti lamentano che l’applicazione “automatica” degli scaglioni ISEE avrebbe determinato un effetto del tutto contrastante e contraddittorio rispetto alle finalità perseguite dall’ISEE; infatti, mentre l’applicazione dell’ISEE persegue la finalità di accordare riduzioni, agevolazioni, e persino esenzioni totali a favore delle fasce reddituali più svantaggiate, l’applicazione “automatica” degli scaglioni ISEE alle tariffe della ristorazione scolastica avrebbe determinato, irragionevolmente, un aumento delle stesse tariffe già a partire dal quarto scaglione ISEE, per arrivare sino alla tariffa piena di € 7,10 a pasto per la fascia più alta (quella superiore ad € 32.000) che rappresenta addirittura il doppio, o poco meno, del costo effettivo che il Comune paga alle due ditte appaltatrici del servizio di ristorazione, pari ad € 4,29, corrispondente al costo medio del pasto nei vari lotti in cui è articolato il servizio;

– con un terza censura i ricorrenti contestano la misura della copertura tariffaria del servizio, quantificata dal Comune in circa il 79% del costo totale del servizio; sostengono che il Comune avrebbe dovuto finanziare il servizio di ristorazione (che è un servizio pubblico) reperendo nella finanza locale le risorse necessarie, non addossandone l’onere quasi per intero alle famiglie;

– infine, con una quarta censura, i ricorrenti lamentano l’incomprensibilità della tariffa “a consumo” di € 7,10 a pasto introdotta dal Comune in via sperimentale per le scuole medie; sostengono che non sarebbe possibile comprendere di quali voci di spesa si componga tale costo, considerato che il costo effettivo medio di ogni singolo pasto pagato dal Comune all’appaltatore è di € 4,29; secondo i ricorrenti, la tariffa base della ristorazione scolastica non potrebbe che coincidere con una somma pari a quella realmente pagata dal Comune; lamentano, anche sotto tale profilo, carenza di istruttoria e di motivazione.

2.2. Il secondo motivo di ricorso si articola al suo interno in due distinte censure:

– una prima censura attiene alla distribuzione degli aumenti tariffari tra i vari scaglioni ISEE; rilevano i ricorrenti che rispetto all’anno scolastico precedente 2012-2013, si registrerebbe nelle scuole primarie una progressività negli aumenti tariffari, dai 2 ai 10 euro, il che sarebbe tipico della progressività contributiva, e non dei regimi tariffari; ma soprattutto, analizzando l’evoluzione degli aumenti tariffari nel lungo periodo (dal 2010 al 2013) si rileverebbe che gli aumenti non sono stati progressivi ma del tutto casuali, con l’unico dato costante che la maggiorazione più elevata (pari al 55% per le scuole elementari e al 65% per le medie) si registrerebbe, contraddittoriamente, proprio per la prima fascia ISEE, quella che va da 0,00 a 5.000,00 Euro;

– con una seconda censura si lamenta, invece, la lesione del principio di affidamento; sostengono i ricorrenti di aver sottoscritto il modulo di iscrizione al servizio mensa nel settembre 2013, confidando nel regime tariffario allora vigente, e, al limite, nel suo adeguamento al tasso di inflazione programmata; l’aumento tariffario deliberato dal Comune sarebbe invece superiore a quanto, secondo i ricorrenti, sarebbe stato lecito attendersi; lamentano, in ogni caso, che l’aumento sia stato determinato dal Comune dopo che i ricorrenti avevano aderito al servizio, con lesione del loro legittimo affidamento al mantenimento delle tariffe precedenti.

2.3. Il terzo motivo attiene alla misura delle copertura tariffaria del servizio, stabilita dal Comune nella misura tendenziale del 79%; osservano i ricorrenti che un obbligo di contribuzione minima a carico degli utenti dei servizi pubblici a domanda individuale è stabilito, nella misura del 36%, soltanto per gli enti locali deficitari (e il Comune di Torino non è uno di questi); negli enti locali non deficitari la tariffa dei predetti servizi, ed in particolare quella della refezione scolastica, deve coincidere solo con il costo unitario del singolo pasto pagato all’appaltatore, mentre la parte residua deve essere a carico della fiscalità generale, dal momento che si tratta di un servizio pubblico finalizzato a garantire l’effettività del diritto allo studio, costituzionalmente tutelato.

2.4. Il quarto motivo attiene al sistema dei rimborsi dei pasti non fruiti, disciplinato dal punto n. 9 dell’allegato 2 alla prima deliberazione impugnata; lamentano i ricorrenti che, in relazione alla tariffe stabilite a forfait (quelle per le scuole materne ed elementari) non sia stato previsto il diritto al rimborso dei pasti non fruiti, se non nei casi di mancata fruizione per cause imputabili all’Amministrazione, in tal modo penalizzando chi frequenta materne ed elementari rispetto a chi frequenta le medie, ove è stata prevista la tariffa a consumo; rilevano, inoltre, che il diritto al rimborso del pasto non fruito, mediante scorporo dall’importo da pagare nel mese successivo, sia stato previsto soltanto per i “nidi d’infanzia”, ma con una limitazione (all’ipotesi di assenze uguali o superiori a 4 settimane consecutive) illogica e irragionevole; infine, i ricorrenti lamentano che ai fini del rimborso (nei limitati casi in cui è ammesso) la tariffa giornaliera sia stata convenzionalmente stabilita nella misura di 1/22 mensilità, laddove i pasti che vengono mediamente forniti nelle scuole sarebbero appena una ventina, in media 20,30.

2.5. Infine, con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la delibera impugnata nella parte in cui non ha previsto la mera “facoltatività” del servizio di refezione scolastica; chiedono al TAR di accertare e dichiarare “il diritto di scelta” spettante a ciascun genitore tra l’iscrizione alla mensa scolastica e il consumo, a scuola, durante l’orario deputato alla mensa, del pasto preparato a casa.

3. Si è costituito il Comune di Torino depositando documentazione e resistendo al gravame con diffuse argomentazioni.

4. Con ordinanza n. 63/14 del 24 gennaio 2014, la Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dai ricorrenti, ritenendo insussistenti i profili di danno paventati in ricorso, fissando però a breve l’udienza di merito e richiedendo medio tempore all’amministrazione comunale documentati chiarimenti in ordine ai parametri normativi ed economici adottati per la determinazione della nuova tariffa base del servizio di refezione scolastica.

5. L’Amministrazione comunale ha ottemperato puntualmente, nel termine assegnato.

6. In prossimità dell’udienza di merito, entrambe le parti hanno depositato articolate memorie difensive, conclusive e di replica.

7. All’udienza pubblica del 10 luglio 2014, dopo la discussione orale dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il collegio ritiene opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale, anche in ordine al quadro normativo applicabile alla fattispecie oggetto di controversia.

1. Il servizio di refezione scolastica è un servizio pubblico locale “a domanda individuale”, secondo quanto stabilisce, al punto n. 10, il Decreto del Ministero dell’Interno 31 dicembre 1983 (“Individuazione delle categorie di servizi pubblici locali a domanda individuale”).

La qualificazione del servizio di refezione scolastica quale servizio pubblico a domanda individuale sta a significare che l’ente locale non ha l’obbligo di istituirlo ed organizzarlo. Se però decide di farlo, è tenuto per legge, nel rispetto del principio di pareggio di bilancio:

a) in primo luogo, ad individuare il costo complessivo del servizio, includendo in tale computo sia i costi “diretti” effettivamente pagati per l’erogazione del servizio (nel caso di specie, il corrispettivo pagato dal Comune di Torino agli attuali appaltatori del servizio di refezione scolastica), sia quelli “indiretti” rappresentati dalle spese per il personale comunque adibito al servizio, anche ad orario parziale, compresi gli oneri riflessi, nonché dalle spese sostenute per l’acquisto di beni e servizi e per le manutenzioni ordinarie (art. 6, comma 4 D.L. 28 febbraio 1983 n. 55, convertito dalla L. 26 aprile 1983, n. 131);

b) in secondo luogo, a stabilire la misura percentuale di tale costo finanziabile con risorse comunali, e quindi, correlativamente, a stabilire la residua misura percentuale finanziabile mediante tariffe e contribuzioni a carico diretto dell’utenza (art. 6 comma 1 D.L. citato; art. 172 comma 1 lett. e) D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267);

c) infine, a determinare le tariffe o i corrispettivi a carico degli utenti, anche in modo non generalizzato (art. 6 comma 2 D.L. n. 55/1983; art. 149, comma 8 D. Lgs. n. 267/2000).

Nella Regione Piemonte, la facoltà degli enti locali di stabilire le tariffe del servizio di refezione scolastica “in modo non generalizzato”, e cioè attraverso la previsione di “contributi differenziati in base alle rispettive condizioni economiche degli utenti”, è ribadita dall’art. 25 comma 1 della L.R. 28 dicembre 2007 n. 28. Il comma 3 precisa altresì che “I Comuni individuano le fasce economiche di contribuzione e di esenzione a cui rapportare i contributi”.

1.1. Il Comune di Torino ha istituito già da diversi anni il servizio di refezione scolastica, prima gestendolo in proprio, attualmente affidandolo in appalto a ditte esterne.

Annualmente, il Comune determina il costo complessivo del servizio e la percentuale di esso da porre direttamente a carico dell’utenza sotto forma di tariffe.

Già dall’anno 2002 il Comune ha differenziato le tariffe in base a diverse fasce di reddito, dalla più bassa beneficiante della maggiore riduzione, a quella più alta tenuta a pagare la tariffa “piena” determinata annualmente dal consiglio comunale, passando per una serie di fasce intermedie variamente determinate.

Mentre in un primo momento l’inclusione nelle varie fasce di reddito è stata operata dal Comune sulla base di criteri riferiti sostanzialmente al solo reddito IRPEF del nucleo familiare (delibera consiliare 28 febbraio 2002 n. 2002/00675/007), successivamente il Comune, con l’entrata a regime della normativa ISEE, ha optato per l’applicazione dei criteri ISEE; ciò è stato deciso con delibera consiliare del 28 maggio 2002 n. 2002/03623/007, con la quale sono state anche ridefinite le fasce di reddito.

1.2. Con i provvedimenti impugnati nel presente giudizio, il Comune di Torino ha stabilito di confermare anche per l’A.S. 2013/2014 il servizio di refezione scolastica. Per farlo, in ossequio alla normativa sopra richiamata:

a) ha individuato il costo complessivo del servizio in un importo pari ad € 45.020.732, di cui € 39.120.732 per “prestazione servizi” (costi diretti) e € 5.900.000 per costi del “personale” (costi indiretti), così come precisato nell’allegato n. 7 della D.C.C. del 17.10.2013;

b) ha stabilito la percentuale di copertura tariffaria del servizio a carico dell’utenza nella misura di “circa il 79%”;

c) ha quindi determinato le tariffe a carico dell’utenza:

– nella misura forfettaria di € 147 mensili per la scuola primaria;

– nella misura forfettaria di € 153,00 mensili per la scuola dell’infanzia;

– nella misura sperimentale a consumo di € 7,10 a pasto per le scuole secondarie di primo grado;

d) ha confermato l’applicazione “differenziata” delle predette tariffe in relazione alle fasce di reddito già determinate, come pure ha confermato l’applicazione dei criteri ISEE per la distribuzione degli utenti nelle varie fasce di reddito.

1.3. In sostanza, gli unici elementi di novità introdotti dagli atti impugnati rispetto al regime previgente sono rappresentati:

– dall’aumento percentuale del costo del servizio posto a carico dell’utenza;

– conseguentemente, dall’aumento della tariffa “base” (o “piena”) del servizio, e, correlativamente, anche di quelle a carico delle fasce reddituali più basse.

1.4. Sono invece rimaste invariate rispetto al passato sia le fasce di reddito che l’applicazione dei criteri ISEE.

2. Tanto premesso in linea generale, si può passare ad esaminare i motivi di ricorso.

Per esigenze logiche e discorsive, verranno esaminate inizialmente le censure dedotte con il primo e con il terzo motivo, le quali pongono questioni in parte connesse.

Le censure verranno esaminate nella loro totalità, anche se in ordine non necessariamente coincidente con quello in cui le stesse sono state formulate nell’atto introduttivo.

3. E’ opportuno prendere le mosse dalla censura con cui si contesta la legittimità dell’aumento della misura percentuale di contribuzione a carico dell’utenza, censura formulata con la terza parte del primo motivo e ulteriormente sviluppata con il terzo motivo di ricorso.

3.1. I ricorrenti si dolgono dell’aumento della percentuale di copertura tariffaria del servizio, cioè della percentuale del costo complessivo del servizio posta dall’Amministrazione a carico dell’utenza, pari a circa il 79%, a fronte del solo 21% finanziato dal bilancio comunale.

Sostengono i ricorrenti che il servizio di refezione scolastica, in quanto servizio pubblico, dovrebbe essere finanziato attraverso la fiscalità generale, con il solo obbligo di una percentuale minima di copertura dei costi non inferiore al 36% prevista dalla legge per gli enti locali in stato di dissesto, e come tale non applicabile al Comune di Torino, che non è in stato di dissesto.

3.2. Il collegio osserva che la censura non può essere condivisa.

Il servizio di refezione scolastica è sì un servizio pubblico, ma “a domanda individuale”.

Ciò comporta che se il Comune decide di istituirlo, è obbligato per legge a stabilire la quota di copertura tariffaria a carico dell’utenza: così prevedono sia l’art. 6 comma 1 del già citato D.L. n. 55/1983, sia l’art. 172 comma 1 lett. e) D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Nell’esercizio di tale potere-dovere, ed in particolare nella quantificazione del tasso di copertura tariffaria del costo di gestione del servizio, il Comune gode di amplissima discrezionalità, che non trova nella legge alcuna limitazione in ordine alla misura massima imputabile agli utenti.

La stessa percentuale “non inferiore al 36 per cento” prevista dall’art. 243 comma 2 lett. a) del D. Lgs. 267/2000 per gli enti locali in stato di dissesto, a prescindere dalla sua inapplicabilità al Comune di Torino, esprime in ogni caso solo la misura minima che l’ente locale (in stato di dissesto) deve obbligatoriamente porre a carico dell’utenza, non quella massima.

In linea astrattamente teorica, ove lo consentisse un’ipotetica capienza di bilancio, il Comune potrebbe certamente decidere di finanziare per intero il servizio di refezione scolastica con risorse proprie, garantendone la fruizione gratuita da parte della popolazione scolastica cittadina. Allo stesso modo, però, sarebbe altrettanto concepibile (e legittimo) se l’ente locale stabilisse di far gravare per intero il costo del servizio sull’utenza, soprattutto allorchè ciò si rendesse necessario, in un’ottica solidaristica e secondo valutazioni di politica economico-sociale di esclusiva pertinenza dell’ente locale, per garantire l’accesso gratuito o agevolato di fasce deboli della popolazione ad altri servizi erogati dalla stessa Amministrazione.

Tra le due opzioni estreme, entrambe legittime, si pone quella – più frequente e altrettanto legittima – in cui il costo del servizio è ripartito tra l’amministrazione comunale e l’utenza scolastica secondo modalità variamente determinate e mutevoli nel tempo, influenzate dalle disponibilità di bilancio e dalle scelte di politica economico-sociale dell’ente locale.

In tale eventualità, i cittadini che ritengano eccessivamente gravoso il costo del servizio stabilito unilateralmente dal Comune hanno pur sempre la facoltà di non giovarsene, prelevando i propri figli da scuola durante l’orario destinato alla mensa e provvedendo direttamente al pranzo dei medesimi.

L’eventuale impossibilità per i genitori di provvedere direttamente al pranzo dei propri figli per concomitanti impegni lavorativi o per altre cause, per quanto umanamente comprensibile, non costituisce però ragione sufficiente per pretendere che l’Amministrazione, non solo istituisca obbligatoriamente un servizio pubblico che per legge non è obbligata ad istituire, ma se ne addossi pure l’intero onere o la maggior parte di esso, tenuto conto – si ripete – che il servizio di cui discute non è un servizio pubblico essenziale che l’ente locale sia obbligato a garantire alla collettività amministrata, ma un servizio facoltativo che l’ente locale può decidere discrezionalmente di attivare nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, e per la fruizione del quale è normativamente previsto che l’utenza debba farsi carico del costo residuo non coperto da risorse comunali, eventualmente nella misura differenziata stabilita dallo stesso ente locale con provvedimenti di carattere generale.

3.3. La misura della contribuzione è quindi il frutto di una scelta di ampia discrezionalità riservata per legge all’amministrazione comunale, la quale deve esercitarla nel rispetto dei principi di equilibrio economico-finanziario di gestione del servizio e di pareggio di bilancio; una scelta che sfugge al sindacato giurisdizionale di questo giudice laddove non sia affetta da vizi macroscopici di illogicità o di irragionevolezza.

A rigore, l’esternazione delle ragioni di tale scelta non sarebbe neppure dovuta, ai sensi dell’art. 3 comma 2 L. n. 241/90, trattandosi di un atto a contenuto generale (così TAR Bologna, sez. I, 15 dicembre 2011, n. 835).

Nella specie, comunque, le ragioni dell’aumento del tasso di copertura tariffaria del servizio sono state evidenziate dall’Amministrazione nel primo dei provvedimenti impugnati, ed esse, nei limiti del sindacato di legittimità spettante a questo giudice, appaiono ispirate da considerazioni non manifestamente illogiche o irragionevoli, correlate al quadro (notorio) di complessiva riduzione delle risorse disponibili per l’Ente civico per la gestione dei servizi pubblici di propria competenza.

4. Una seconda censura dei ricorrenti, formulata con l’ultima parte del primo motivo di ricorso, attiene all’aumento della tariffa piena di € 7,10 prevista per la refezione “a consumo” istituita in via sperimentale dal Comune di Torino a far data dall’A.S. 2013/2014 per la Scuola Secondaria di primo grado; lamentano i ricorrenti di non riuscire a comprendere di quali voci di spesa si componga questo “costo”, considerato che il costo effettivo sostenuto dal Comune nei confronti dell’appaltatore del servizio non supera, in media, € 4,29 a pasto; secondo i ricorrenti, la tariffa base della ristorazione scolastica non potrebbe che coincidere con una somma pari a quella realmente pagata dal Comune all’appaltatore; deducono vizi di carenza di motivazione e di istruttoria.

4.1. Il collegio ritiene di non poter condividere tali doglianze, le quali muovono da premesse concettuali e giuridiche non corrette.

Come giustamente osservato dalla difesa comunale, la tariffa pagata dall’utente all’Amministrazione a fronte della fruizione di un servizio pubblico a domanda individuale non costituisce il prezzo della singola prestazione, e, in particolare, non è composta dalle sole voci di spesa sostenute dall’Amministrazione per erogare il singolo pasto, ma rappresenta la misura della contribuzione dell’utente al costo complessivo sostenuto dall’Amministrazione per l’erogazione del servizio.

Come si è detto, il costo complessivo del servizio è determinato annualmente dall’Amministrazione, per obbligo di legge, tenendo conto non solo dei costi diretti, ma anche di quelli indiretti. Una volta determinato il costo complessivo del servizio (su base necessariamente previsionale) l’Amministrazione valuta, in relazione alle disponibilità di bilancio, la quota parte di esso finanziabile con risorse comunali e quella residua da porre direttamente a carico dell’utenza. Stabilita la quota di copertura tariffaria del servizio, l’ente determina la tariffa base del servizio in una misura tale da consentire, in relazione al presumibile numero di pasti erogabile nell’anno scolastico, di recuperare la porzione di servizio posta a carico dell’utenza. In quest’ultima determinazione concorrono valutazioni di politica economico-sociale di stampo prettamente solidaristico, le quali possono indurre legittimamente l’ente locale, nel doveroso rispetto del principio di pareggio di bilancio, a fissare la tariffa piena del servizio, associabile agli utenti collocati nella fascia reddituale più alta, in misura superiore al costo diretto e indiretto del singolo pasto, allorchè ciò si renda necessario per garantire l’accesso al medesimo servizio alle fasce reddituali più svantaggiate ad un costo persino inferiore a quello effettivo corrisposto dall’ente locale all’appaltatore, secondo un principio solidaristico in forza del quale i cittadini più abbienti pagano, in parte, anche per i meno abbienti: principio presidiato dalla Costituzione (art. 2) e disciplinato dalla normativa di settore, la quale, come si è detto, ammette la previsione di “contributi differenziati in base alle condizioni economiche degli utenti” (art. 6 comma 2 D.L. n. 55/1983; art. 149, comma 8, D. Lgs. n. 267/2000; art. 25 comma 1 L.R. n. 28/2007).

4.2. Così, nel caso di specie, se è vero che la tariffa piena di € 6,90 + IVA pagata dalla fascia reddituale più alta (quella oltre i 32.000 Euro) è superiore al costo medio effettivo pagato dal Comune all’appaltatore per il singolo pasto (€ 4,29 + IVA), e così anche per le tre fasce immediatamente inferiori, è anche vero, però, che di gran lunga inferiori a tale costo sono invece le tariffe previste per le fasce reddituali più basse: € 1,65 + IVA per la prima fascia (da € 0,00 ad € 5.000,00); € 2,68 + IVA per la seconda fascia (da € 5.000,01 ad € 6.800,00); € 3,95 + IVA per la terza fascia (da € 6.800,01 ad € 9.400,00).

4.3. Non ha dunque consistenza la pretesa di parte ricorrente di istituire una diretta correlazione tra il costo effettivo del singolo pasto (€ 4,29) e la tariffa base del servizio stabilita dall’Amministrazione (€ 7,10), giacchè, appunto, la tariffa è una forma di contribuzione del cittadino all’erogazione del servizio determinata dall’Amministrazione sulla scorta di parametri diversi dal mero costo diretto del singolo pasto.

4.4. Su richiesta del collegio, gli uffici comunali hanno chiarito i parametri normativi ed economici di determinazione della tariffa, diffondendosi persino in una minuziosa ricostruzione dei costi indiretti e del costo complessivo del servizio, corredati da riferimenti ai singoli capitoli di bilancio riferibili alle diverse voci di costo.

4.5. Negli scritti difensivi successivi ai chiarimenti resi dall’Amministrazione, la difesa di parte ricorrente ha contestato la fondatezza di tali voci di costo, mettendo sostanzialmente in discussione la veromiglianza e la veridicità del costo complessivo del servizio determinato dall’Amministrazione, articolando al riguardo una serie di censure tanto minuziose quanto, però, totalmente estranee alla materia del contendere, così come definita dal petitum e dalla causa petendi articolate nell’atto introduttivo, nel quale i ricorrenti non hanno contestato il costo complessivo del servizio, ma unicamente la misura della tariffa base, sulla base di una pretesa correlazione diretta tra tariffa e costo diretto del servizio che, come detto, è totalmente infondata perché avulsa dai parametri normativi ed economici che, per legge, presiedono alla determinazione della tariffa.

5. Le ulteriori due censure dedotte con il primo motivo di ricorso attengono entrambe alla questione della presunta “applicazione automatica” degli scaglioni ISEE. In primo luogo, i ricorrenti lamentano che l’aumento tariffario sarebbe dipeso dal fatto che il Comune avrebbe fatto, appunto, “applicazione automatica” degli scaglioni ISEE disciplinati dal D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, il che sarebbe illegittimo dal momento che i criteri di valutazione della situazione economica ISEE si applicano per legge soltanto ai richiedenti “prestazioni o servizi sociali assistenziali” che non siano destinati alla generalità dei soggetti, laddove il servizio di refezione scolastica non sarebbe, secondo i ricorrenti, un servizio di tale natura; l’applicazione automatica degli scaglioni ISEE non sarebbe stata in alcun modo motivata nelle delibere impugnate, con conseguente vizio di difetto di istruttoria e di motivazione. In secondo luogo, i ricorrenti lamentano che l’applicazione automatica degli scaglioni ISEE avrebbe determinato un effetto incongruo rispetto alle finalità perseguite dall’ISEE; infatti, mentre l’applicazione dell’ISEE persegue la finalità di accordare riduzioni, agevolazioni, e persino esenzioni totali a favore delle fasce reddituali più svantaggiate, l’applicazione automatica degli scaglioni ISEE alle tariffe della ristorazione scolastica avrebbe determinato, irragionevolmente, un aumento delle stesse tariffe già a partire dal quarto scaglione ISEE.

Osserva il collegio che entrambe le censure sono infondate.

5.1. Le tariffe del servizio di refezione scolastica della Città di Torino non sono aumentate perché il Comune abbia fatto “applicazione automatica” degli scaglioni ISEE. Sono aumentate perché il Comune ha deciso, motivatamente, di aumentare la percentuale di contribuzione dell’utenza sul costo complessivo del servizio stabilito per l’A.S. 2013-2014, così come la legge gli consentiva di fare. Una volta stabilita la tariffa base del servizio sulla scorta di tali considerazioni, l’applicazione degli scaglioni ISEE, già introdotti dal 2002, ha consentito al Comune di modulare in diminuzione la predetta tariffa tra le diverse fasce reddituali, anch’esse già istituite dal 2002.

5.2. L’applicazione dei criteri ISEE per la modulazione delle tariffe del servizio di refezione scolastica è espressamente prevista dal Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 8 marzo 2013, che include il servizio di “mensa scolastica” tra le “prestazioni sociali agevolate non destinate alla generalità dei soggetti”, per l’accesso alle quali è consentito alle Amministrazioni competenti di utilizzare l’indicatore della situazione economica equivalente al fine di definire condizioni agevolate di accesso al servizio (art. 1 comma 1 D.M. citato, tabella 1 n. 12).

5.3. L’applicazione dei criteri ISEE, lungi dal contraddire la finalità dell’ISEE, è valsa al contrario ad attribuire agli utenti del servizio agevolazioni e riduzioni tariffarie in base alle rispettive condizioni economiche e alla fascia reddituale di appartenenza, come dimostra empiricamente – e chiaramente – la tabella allegata sub 1 alla deliberazione consiliare del 30 settembre 2013.

6. Il secondo motivo si suddivide in due distinte censure.

6.1. Con la prima si lamenta la “casualità” della ripartizione interna degli aumenti tariffari tra le varie fasce di reddito, valutata nel periodo 2010-2013, ad onta della asserita “progressività” applicata dall’Amministrazione; una casualità che avrebbe, però, un’unica costante, quella che la maggiorazione più elevata si registrerebbe, contraddittoriamente, proprio sulla prima fascia ISEE, quella che va da € 0,00 ad € 5.000,00.

Anche tale censura, osserva il collegio, non può essere condivisa.

La questione è quella della modulazione dell’aumento tariffario tra le varie fasce ISEE, e, quindi, della misura dell’incremento tariffario stabilito dall’Amministrazione per ciascuna fascia reddituale.

Tale profilo, osserva il collegio, non è disciplinato dalla legge, la quale, in particolare, non impone all’Amministrazione di differenziare gli aumenti tariffari tra le varie fasce reddituali secondo criteri di proporzionalità o di progressività.

Normalmente è ciò che avviene, ma non vi è un obbligo di legge in tal senso.

La differenziazione delle tariffe, consentita dalla legge, costituisce il frutto di scelte di politica economico-sociale che per legge competono in via esclusiva all’Amministrazione e che questa può esercitare con amplissima discrezionalità e libertà di fini, e alle quali non può estendersi il sindacato giurisdizionale del G.A.

Nel caso di specie, in ogni caso, valutando gli aumenti in relazione alle tariffe dell’anno scolastico precedente (d.c.c. 25 giugno 2012 n. 2012/02637/024) è effettivamente constatabile una progressività degli aumenti, fatta eccezione per l’ultima fascia (quella oltre i 32.000 Euro) che subisce l’aumento più contenuto.

Le prime tre fasce (€ 0-5000; 5000,01-6.800,00; 6.800,00 – 9.400,00) subiscono il minor aumento e nella stessa misura assoluta; le altre tre fasce intermedie subiscono l’aumento più alto; la fascia più alta beneficia dell’aumento più contenuto.

Si è in presenza di una scelta politica dell’ente civico che al giudice amministrativo non è consentito sindacare in sede di scrutinio di legittimità, attenendo alle scelte di merito riservate per legge alla Pubblica Amministrazione, e che comunque non appare affetta da vizi evidenti di illogicità o irragionevolezza, apparendo piuttosto ispirata dal ragionevole intento di limitare l’incidenza dell’aumento tariffario sia sulle fasce reddituali più deboli (per evidenti motivi), sia su quella più alta, già gravata, per finalità solidaristiche, da una tariffa sensibilmente superiore al costo effettivo del servizio.

6.2. Con la seconda censura (del secondo motivo) i ricorrenti lamentano, invece, la lesione del principio di affidamento, evidenziando di aver sottoscritto il modulo di iscrizione al servizio mensa nel settembre 2013, confidando nel regime tariffario allora vigente.

Il collegio osserva che anche tale censura è infondata.

L’art. 6 del già citato D.L. n. 55/1983 dispone che il Comuni sono tenuti a determinare la misura percentuale dei costi complessivi di tutti i servizi pubblici a domanda individuale, nonché le tariffe e le contribuzioni a carico dell’utenza, “non oltre la data di deliberazione del bilancio”.

A sua volta l’art. 172 comma 1 lett. e) del D.lgs. n. 267/2000 impone agli enti locali di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinate le tariffe per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi.

Infine, l’art. 53 comma 16 della L. n. 388/2000 afferma che le aliquote e le tariffe dei servizi pubblici locali devono essere deliberate “entro la data fissata dalle norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione”.

Nel caso di specie il Comune di Torino ha approvato costi e tariffe del servizio di refezione scolastica per l’A.S. 2013-2014 nel pieno rispetto delle norme citate, e cioè in data anteriore al termine legale di approvazione del bilancio di previsione.

Il provvedimento tariffario è stato adottato il 30 settembre 2013, antecedentemente all’approvazione del bilancio preventivo, avvenuta il 17 ottobre successivo, quindi nel rispetto dei tempi normativamente previsti.

Avendo l’amministrazione operato nel pieno rispetto della normativa di settore, approvando gli incrementi tariffari entro il termine normativamente stabilito, non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelato degli odierni ricorrenti a che le tariffe restassero invariate.

Negli stessi moduli di iscrizione predisposti dagli istituti scolastici e sottoscritti dagli interessati (quanto meno in quelli prodotti in giudizio) non erano contenuti riferimenti alle tariffe all’epoca in vigore, nè garanzie di invariabilità delle stesse nel corso dell’A.S. 2013/2014, tali da poter ingenerare affidamento negli interessati.

Eventuali affidamenti di fatto, privi di addentellato normativo, non sono giuridicamente tutelabili.

Del resto, nei provvedimenti impugnati il Comune, seguendo una linea di ragionamento che non pare censurabile, ha esposto che l’aumento delle tariffe, a causa della contrazione dei trasferimenti statali e regionali, era l’unico modo per poter continuare garantire l’erogazione del servizio, rendendolo compatibile con le risorse finanziarie disponibili.

7. Il terzo motivo di ricorso è già stato esaminato, e confutato, congiuntamente al primo.

8. Il quarto motivo, come esposto nella parte in fatto della presente decisione, attiene al sistema dei rimborsi per i servizi a tariffazione forfettaria, disciplinato dal punto 9 dell’allegato 2 alle deliberazione c.c. 30 settembre 2013.

8.1. Al riguardo, non convince l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa comunale, atteso che nella parte contestata dai ricorrenti la deliberazione impugnata non può essere ritenuta meramente confermativa di precedenti provvedimenti, essendo stata adottata all’esito di un complessivo riesame della materia, come emerge anche dalla relazione di chiarimenti depositata in giudizio.

8.2. Nel merito, peraltro, la censura è infondata.

8.2.1. Il sistema tariffario forfettario adottato dal Comune di Torino per il servizio di refezione scolastica nelle scuole materne ed elementari è per sua natura incompatibile con un regime di rimborso puntuale dei singoli pasti non fruiti, e la circostanza che l’amministrazione, eccezionalmente, a tutela dell’utenza, abbia previsto il diritto di rimborso dei pasti non fruiti nei soli casi di mancata erogazione per causa imputabile all’Amministrazione costituisce un profilo della disciplina che va a vantaggio dei ricorrenti, i quali non hanno evidentemente motivo o interesse per dolersene; né consente di trasformare una previsione di carattere derogatoria, e quindi eccezionale, in un principio di ordine generale, con un effetto complessivo di totale stravolgimento della natura globale e forfettaria della tariffa stabilita.

8.2.2. Non è configurabile alcuna disparità di trattamento rispetto al sistema tariffario a consumo introdotto per le scuole medie, non essendo istituibile alcun confronto tra situazioni ontologicamente diverse e legittimamente istituite dal Comune nell’esercizio dell’ampia discrezionalità che connota le proprie scelte organizzatorie in materia di servizi pubblici locali. Così come non sono operabili confronti con i nidi d’infanzia, ove – come osservato dalla difesa comunale – la retta copre anche la frequenza e tiene conto del più alto tasso di assenze.

8.2.3. Infine, il parametro di 1/22 della tariffa mensile forfettaria a cui è stato commisurato il diritto al rimborso, nei limitati casi in cui è stato previsto, non appare né illogico né irragionevole tenuto conto che i giorni di erogazione mensile del servizio sono, mediamente, 22 (30 giorni – 8 sabati/domeniche = 22).

Si tratta, in definitiva, di un criterio di rimborso che risponde alla stessa logica forfettaria cui è ispirata la tariffa.

9. Il quinto ed ultimo motivo attiene, infine, alla questione che è stata mediaticamente divulgata come rivendicazione del “diritto al panino”: i ricorrenti lamentano che l’Amministrazione non abbia previsto nei provvedimenti impugnati il diritto dei genitori di scegliere tra l’iscrizione del proprio figlio alla mensa scolastica e la possibilità per l’alunno di consumare a scuola, durante l’orario destinato alla mensa, un pasto preparato a casa. Chiedono quindi al TAR di accertare e dichiarare la sussistenza di tale “diritto di scelta”.

Al riguardo, sono fondate le eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa comunale.

9.1. I ricorrenti rivendicano e chiedono l’accertamento di un preteso diritto soggettivo, il quale, tuttavia, esula, in mancanza di presidio normativo, dall’ambito del rapporto di pubblico servizio intercorrente tra l’Amministrazione e gli utenti del servizio, di modo che la sua cognizione sfugge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall’art. 133 comma 1 lett. c) del codice del processo amministrativo, per rientrare in quella del giudice ordinario, dinanzi al quale potrà essere eventualmente riproposta.

9.2. Sotto altro profilo, i ricorrenti non impugnano provvedimenti con cui l’amministrazione comunale abbia negato il preteso diritto di cui, in questa sede, essi chiedono l’accertamento, sicchè la posizione giuridica soggettiva rivendicata dai ricorrenti, ove anche intesa come interesse legittimo, non potrebbe essere accertata da questo TAR alla luce di quanto previsto dall’art. 34 comma 2 c.p.a., il quale dispone che “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.

10. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto.

11. Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite, avuto riguardo alla novità e alla complessità delle questioni di diritto esaminate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Ariberto Sabino Limongelli, Primo Referendario, Estensore

Giovanni Pescatore, Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)