Dal “colpevole” allo “sconfitto”
di Antonio Stanca
Di quattordici famosi scrittori italiani e stranieri Fulvio Gianaria e Alberto Mittone, specialisti in letteratura noir, hanno scovato un loro racconto giallo e ne hanno ricavato un’antologia intitolata Insospettabili racconti gialli e pubblicata a Giugno di quest’anno dalla casa editrice Einaudi di Torino, nella serie “Super ET”, (pp.261, €14,50). Si tratta di scrittori dei tempi moderni, uno è ancora vivo, l’americana Joyce Carol Oates. Sono vissuti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e sono noti per opere di altro genere. Non hanno rinunciato, però, a scrivere anche racconti polizieschi, ad usare il loro genio per dire di delitti misteriosi, di scomparse impreviste, di morti inspiegabili, di indagini complicate. Tra gli altri ci sono Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Henry James, Jack London, Italo Svevo, Palham Grenville Wodehouse, Virginia Woolf. La loro fama è legata ad opere che mentre mostrano di risentire dell’ancora diffusa lezione verista non nascondono l’interesse per quel soggettivismo, quell’esame interiore che in ambito letterario e generalmente artistico si andavano allora sempre più diffondendo e venivano riconosciuti come i maggiori portatori di verità, di significati, di valori. Quelle dell’anima, dello spirito si avviavano a diventare le verità più importanti, le più cercate da chi scriveva.
In una situazione simile questi scrittori mentre la vivevano e la rappresentavano si sono dedicati pure alla letteratura di genere poliziesco, hanno voluto aderire ai modi di quel filone letterario che, dopo gli esempi dell’americano Edgar Allan Poe con I delitti della via Morgue del 1841 e dell’inglese Arthur Conan Doyle con Uno studio in rosso del 1887, aveva avuto larga diffusione sia in America sia in Inghilterra sia in tutta Europa durante il secondo Ottocento. Il genere avrebbe assunto modi, toni, aspetti diversi rispetto ai suoi primi esempi. I raffinati detective di allora sarebbero diventati più “duri”, più decisi, più sicuri, meno compassionevoli. A guidarli era adesso quella ragione, quella logica che l’atmosfera culturale del Positivismo aveva messo sugli altari. Essi erano i rappresentanti di quella giustizia, di quella verità che secondo la cultura dell’epoca dovevano essere riportate, ristabilite ogni volta che fossero state offese in ambito privato o pubblico. Molto successo di pubblico ebbero queste narrazioni poiché i lettori vi vedevano realizzato quel bene, quell’ordine da essi tanto voluto. Si sarebbe continuato così fino ai primi del Novecento quando, però, quella tendenza all’indagine psicologica, all’introspezione, che era già comparsa alla fine del secolo precedente, sarebbe diventata tanto importante anche in ambito letterario da annullare certi confini, certi limiti, da accogliere non solo le ragioni del bene ma anche quelle del male, da spiegare non solo l’azione di chi indagava ma anche quella di chi veniva indagato. Sarebbero vacillate molte delle certezze precedenti, anche ai colpevoli sarebbero state riconosciute delle motivazioni e l’escluso, lo sconfitto dai nuovi tempi, dai nuovi ambienti, l’eroe negativo di tanta grande letteratura decadente avrebbe trovato in essi dei validi precursori. Gli stessi autori di questi racconti o almeno alcuni avevano pure scritto o avrebbero scritto opere volte a rappresentare tale nuova condizione, tale nuova figura umana. Che abbiano, quindi, scritto dei racconti gialli non dovrebbe sorprendere molto poiché possono essere attribuiti a quel bisogno di analisi introspettiva che era stato o sarebbe stato delle altre loro opere. Come nelle une anche nelle altre quegli scrittori avevano voluto penetrare, scandagliare, portare alla luce, chiarire il mistero. Tutte rientravano nei loro intenti anche se erano espressioni diverse. Naturalmente ai lavori maggiori avrebbero affidato le loro aspirazioni ma non va escluso che per la composizione di quelli questo dei racconti noir sia stato un esercizio e tra i migliori.
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