Scuola e università, un contratto

da ItaliaOggi

Scuola e università, un contratto

Siglato l’accordo sui comparti del pubblico impiego, ora è possibile il rinnovo delle intese

Carlo Forte

La scuola si fonde con l’università e la ricerca in un unico comparto di contrattazione. È l’effetto del contratto quadro sui nuovi comparti ed aree di contrattazione del pubblico impiego siglato dai rappresentanti dell’Aran e delle confederazioni sindacali il 13 luglio scorso. Che nelle intenzioni del governo dovrebbe servire a dare il via alle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro fermo ormai dal 2009. L’accordo dà attuazione alle nuove disposizioni sulla contrattazione nel pubblico impiego, contenute nell’articolo 40, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Che prevede, la riduzione dei comparti da 11 a 4 e delle aree dirigenziali da 8 a 4. E consentirà di ridurre il numero dei contratti collettivi nella pubblica amministrazione dagli attuali 38 ad 8 in tutto per ogni triennio contrattuale.

I nuovi ambiti di riferimento della contrattazione nella pubblica amministrazione derivano dall’accorpamento delle strutture preesistenti. Nel neocostituito comparto delle funzioni centrali confluiscono comparti ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici ed altri enti e comprende circa 247.000 lavoratori. Il comparto regioni e autonomie locali mantiene la sua attuale conformazione e i suoi 457.000 addetti, ma cambia nome in funzioni locali. Il comparto scuola si fonde con quello dell’Afam (alta formazione artistica e musicale: accademie e conservatori), l’università (che non comprende i docenti universitari il cui rapporto di lavoro è ancora in regime di diritto pubblico) e la ricerca, per complessivi 1.111.000 lavoratori di cui, circa un milione solo nella scuola. Infine la sanità, che rimane più o meno identico con 531mila addetti.

I nuovi assetti rischiano di provocare un terremoto all’interno delle organizzazioni sindacali. L’accorpamento dei comparti, infatti, costringerà i sindacati a rivedere l’impianto delle dirigenze centrali e periferiche. E per i sindacati più piccoli sarà molto più difficile mantenere la rappresentatività, sia per quanto riguarda le federazioni di comparto che le confederazioni. La posta in gioco è la partecipazione alla contrattazione collettiva nazionale e integrativa e l’accesso alle altre prerogative sindacali: distacchi, aspettative, permessi.

La soglia da superare per la sopravvivenza è il 5% calcolato facendo la media tra il dato associativo e il dato elettorale ai fini del conteggio finale (art. 43, comma 1 del decreto legislativo 165/2001). In buona sostanza, dunque, il 50% del risultato finale è dato dal rapporto tra il numero degli iscritti al sindacato e la somma di tutti gli iscritti ai sindacati. E il rimanente 50% viene calcolato facendo il rapporto tra il numero dei voti riportati alle elezioni delle Rsu dal sindacato e la somma di tutti i voti riportati dai sindacati nella stessa consultazione elettorale. Se dalla somma delle due percentuali il sindacato raggiunge almeno il 5% del totale, la rappresentatività è salva. Se invece l’organizzazione sindacale si colloca al di sotto di questa soglia, non può accedere né ai tavoli negoziali, né alle altre prerogative. Quanto alle confederazioni, la legge prevede che una confederazione per essere rappresentativa deve comprendere almeno due federazioni rappresentative in altrettanti comparti.

Dal calcolo della rappresentatività effettuato dall’Aran, tenendo conto dei nuovi megacomparti e delle ultime elezioni delle rsu che si sono tenute dal 3 al 5 marzo 2015, nella scuola rimangono rappresentativi 5 sindacati: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. E risultano rappresentative anche le confederazioni di cui fanno parte, rispettivamente: Cgil, Cisl, Uil, Confsal e Cgs. Il nuovo contratto quadro prevede, però, che i sindacati dei neocostituiti 4 comparti possono scegliere di fondersi e possono anche ridefinire la composizione delle confederazioni. Pertanto, i sindacati che sono rimasti fuori, se decidessero di fondersi e raggiungessero così il fatidico 5% di rappresentatività tra deleghe in busta paga e voti alle Rsu, potrebbero essere ammessi alla fruizione delle prerogative sindacali anche tardivamente. Idem per le confederazioni. L’operazione, però, è tutt’altro che facile, perché comporta l’unificazione della delega in busta paga e, conseguentemente, anche l’unificazione di strutture e patrimoni.

L’Aran ha diffuso anche gli esiti delle elezioni delle Rsu, a distanza di ben 16 mesi dalle elezioni, sebbene aggregati sulla base dei nuovi comparti. A guidare la classifica è la Cgil con 140.694 deleghe pari al 23,39% della rappresentatività e 259.858 voti con il 30,34% di rappresentatività pari al 26,81% di rappresentatività finale. Segue la Cisl, con 153.505 deleghe che danno luogo ad una rappresentatività parziale più elevata rispetto a quella della Cgil, con un tasso del 25,41%. Che però scende 22,64% se si fa riferimento al dato elettorale, pari a 193,926 voti e che danno luogo ad una rappresentatività finale del 24.02%. In terza posizione lo Snals con una rappresentatività del 14,24%, derivante dalla media tra 96.771 deleghe (16,02%) e 106.820 voti (12,47%). Segue di misura la Uil, con il 14,04% di rappresentatività finale, pari alla media tra 79.320 deleghe (13,13 %) e 128.002 voti (14,94 %). Infine, ultimo tra i sindacati rappresentativi, la Gilda-Unams, con l’8,07% di rappresentatività finale, che è il risultato della media tra 54.300 deleghe (8,99%) e 61.185 voti alle elezioni delle Rsu (7,14 %).