Sulla chiamata diretta, alias “incarico”

Sulla chiamata diretta, alias “incarico”
Commento su possibili effetti della l.107/15 e della nota min. 2609/16

di Gabriele Boselli

 

Da una ventina d’anni il nome di Minerva, dea della conoscenza, non riceve più onori nelle sale del Palazzo a lei intitolato di viale Trastevere; né in quei lunghi corridoi s’intravede più uno straccio d’idea da moltissimi anni. Vi sono tutti i sintomi della carenza di pensiero politico alto. Nella miglior tradizione del pensiero d’Occidente la politica (la politica, non il mestiere dei politicanti) non era un luogo, era il luogo di stabilimento dei fini, l’ambito di tutti gli ambiti, il punto da cui venivano stabiliti i valori comunemente riconosciuti nello Stato a ogni valore, il luogo della decisione su criteri del potere. Oggi il “dove” e “l’a che scopo” della società degli uomini, il “così deve essere”, in altre parole il “mondo dei fini” di cui scrisse l’ultimo Kant, l’intenzionalità politica riformatrice in genere non sono considerati se non retoricamente; vengono sostituiti con obiettivi cortissimi e coincidenti strettamente con quelli dei gruppi al potere. Vedi alternanza scuola/lavoro ai licei, che sottrae tempo ed energie alle discipline senza gran guadagno in termini di preparazione al lavoro.

Non che l’ideologia manchi ma si propone non come tale ma come “dato di fatto”; non sorprenda allora la sempre più diffusa demotivazione dei docenti e l’inversamente proporzionale esaltazione della dirigenza. A mancare sono certamente le idee. E senza queste, Plato docet, non vi è vero governo ma allestimento di strutture d’arbitrio e soggezione.

 

Uno strumento di possibile arbitrio

Una di queste è la chiamata diretta, alias “incarico” conferito dal Dirigente scolastico. Dopo essere stata sperimentata per secoli ed esserlo ancora nel sud d’Italia nell’assunzione dei braccianti agricoli, la chiamata diretta viene ora estesa dal Governo di Matteo Jobsact anche agli insegnanti. In verità manca ancora l’istituzione del caporalato ma diamo tempo al tempo e del resto qualche preside (raro ma perniciosissimo) si appresta già a tale ruolo.

Mentre esiste qualche requisito oggettivo di scelta nel caso dei braccianti (aspetto robusto, muscolatura possente, sguardo basso) e delle braccianti (bell’aspetto, etc.) nel caso dei docenti e delle docenti questi requisiti vengono a perdere di significato e l’interpretazione del curriculum e della congruità con il PTOF viene lasciata di fatto alla discrezionalità (ma anche al possibile arbitrio) del capo d’istituto. Gli stessi criteri prospettati dal MIUR sono non vincolanti ma “indicativi e non esaustivi” (nota min. 22 07 16). Nulla potrebbero contare anni di studio disciplinare ed esperienze, pubblicazioni cartacee o elettroniche presso riviste e collane di fascia A, contributi creativi apportati alle varie diramazioni del sapere. Potrebbero invece essere privilegiati soggiorni reali o virtuali presso enti accreditati (con quali criteri?), certificazioni linguistiche rilasciate da enti privati, frequenza di corsi per attività espressive e danza (trullallero trullallà!), l’insegnamento in aree a rischio (favoriti ancora una volta gli insegnanti delle scuole private campane); conoscere bene l’italiano o la matematica sarà del tutto indifferente. In ogni caso il sig. superDirigente getterà una rapida occhiata e deciderà tra sé e sé, senza specifici controlli interni o esterni alla scuola scientificamente attendibili, chi deve professionalmente vivere o morire. Discrezionalità di fatto illimitata, senza un credibile sistema di deterrenza dalle (poco probabili ma possibili) deviazioni eticamente condannabili o tecnicamente insostenibili.

 

Spessore culturale di poca ma sempre troppa dirigenza

La grande maggioranza dei dirigenti scolastici è composta di persone oneste, di elevata cultura e moralità che amano studiare, hanno molto da dire e da dare, non vedono gli insegnanti come dipendenti e sanno intrattenere (non “gestire”) con essi relazioni armoniche. Non amanti del prepotere, cercheranno di cavarsela con 107 e 2609 arrecando il minor danno possibile alla propria dignità e a quella delle persone –ora è proprio il caso di dirlo- assegnate.

Daremo anche per scontato il rispetto della legalità di tutti i dirigenti e dunque la loro insensibilità nella decisione ad argomenti quali il denaro o il sesso; consideriamo pure universalmente accertata la loro capacità di resistenza alle sollecitazioni delle eventuali sedi di zona di mafia, camorra o n’drangheta. Tale resistenza potrebbe fa l’altro trovare supporto nelle reti di ambito: queste, variando i confini del potere amministrativo, potrebbero consentire al dirigente onesto di eluderne i dettati.

Occorre però, fatto più grave sul piano numerico, considerare i limiti della capacità di pochi ma sempre troppi dirigenti nel riconoscere il talento, dato che solitamente la capacità di riconoscerlo è riservata a chi ne possiede. Una parte della dirigenza è stata assunta senza veri concorsi per titoli ed esami oppure li ha superati in regioni (es. Campania o Sicilia) ove i candidati dichiarati idonei erano il triplo dei posti messi a concorso. Candidati che poi sono stati sistemati anche nelle regioni ove i concorsi erano stati condotti con il giusto rigore.

Va anche considerata la debole resistenza dei culturalmente meno solidi agli effetti perversi dei corsi di formazione; ivi ha dominato un’ideologia padronale ovvero managerialistica, giuridicistica o efficientistica, comunque tutt’altro che pedagogica ma da “uomo solo al comando” della “squadra”. Gli effetti di questi corsi si potrebbero riverberare anche nella scelta dei docenti, privilegiando in essi l’obbedienza su ogni altra virtù.

Piacerebbe alla sorella di Nietsche questa tipologia di superdirigenti resa “al di là del bene e del male” da normative recenti come la 107/2015 ma anche da un clima politico neoautoritario (vedi riforma della Costituzione); è una frazione certamente minima ma in grado comunque di intristire molte, troppe vite di docenti preparati e vocati all’insegnamento. Anzichè dialogare sui propri studi e sui propri alunni molti docenti finiranno per parlare solo di PTOF, tabelle di valutazione e altri orpelli di cattiva burocrazia, quando non per sgomitare e farsi belli agli occhi del Superdirigente. Certo, la conflittualità fra docenti non può che aumentare, accrescendo di riflesso il potere di che dirige.

 

Possibilità di resistenza

Se la diagnosi è fin troppo facile, la cura di stati di malattia prevedibilmente rari ma gravissimi come il mal di I S I S ( Io Sono Il Signore) nei dirigenti e di RATTO (Ruffianeria Anomia Tempismo Tafazzismo Obbedienza) nei docenti è obiettivamente difficile ma non impossibile:

sostenere come Collegio (innominato nella più recente normativa ma non ancora abolito) il criterio dell’esperienza e della preparazione culturale e scientifica su ogni altra considerazione;

stringersi attorno ai sindacati, dato che per limitata che sia la loro capacità di difesa non ne abbiamo molte altre;

fare sistematicamente ricorso ai giudici del lavoro e/o ai TAR: la normativa in proposito è contraddittoria specie rispetto alla norma costituzionale per cui i posti pubblici vanno attribuiti per concorso.

Anche per quando riguarda la libertà d’insegnamento, è chiaro che l’incertezza e la possibilità della non chiamata (o di finire negli elenchi del Provveditorato come quelli-che-nessuno-vuole) costituiscono un vulnus assai grave. Consola che dalle nostre parti non riusciamo a far bene le cose buone, ma nemmeno quelle potenzialmente esiziali, quindi i danni apportati alla funzione docente dovrebbero essere limitati.