Innovare con il PNSD: architettura dell’educazione 2.0

Innovare con il PNSD: architettura dell’educazione 2.0

di Mariacristina Grazioli

 

Da Gutenberg alla Rete: l’impatto sui sistemi formativi

Il1455 e il 2016 sono due epoche assai  lontane in senso crono-storico, ma vicinissime per  gli elementi contigui e continui di similitudine innovativa. A ben vedere il modello culturale dopo l’avvento dei caratteri mobili si rinnova; allo stesso modo, Internet ha aperto gli orizzonti al punto che oggi è impossibile prescindere dal concetto di iper-connessione, funzionale al vivere quotidiano di ciascuno di noi.
Due rivoluzioni a confronto dunque, quella dell’avvento della stampa e quella del dominio della Rete: l’una apre alla riproduzione in serie della cultura millenaria custodita in spazi e tempi ristretti, mentre l’altra rivoluziona l’assetto tempo-spaziale dell’informazione. Entrambe richiamano ad una trasformazione epocale e rivoluzionaria, tanto necessaria quanto imprescindibile. Non è un caso se siano nati intelligenti studi sulle due rivoluzioni a confronto (1), che invitano ad una serena analisti storico-antropologica, assai necessaria per capire il senso e il significato delle portate innovative dei nuovi strumenti.

Sembra dunque che “innovare” sia connaturato al procedere storico e connesso alla disponibilità tecnologiche dell’epoca di riferimento.
In questa chiave di lettura, l’innovazione quale essenza del procedere storico-tecnologico, riveste i caratteri fondanti propri della ricerca metodologica e didattica e insiti tipicamente nell’area delle scienze della formazione.
Altresì innovare le organizzazioni che si occupano appunto di formazione, è carattere essenziale per procedere alla ridefinizione dell’impegno educativo dei sistemi scolastici.
Sarebbe infatti impensabile – cosa peraltro verificatasi anche con l’avvento dell’apprendimento diffuso grazie alla rivoluzione gutenberghiana – che la mission della scuola rimanga avulsa dal suo contesto socio-temporale di riferimento.
Ecco dunque nuovi scenari sfidanti nel contesto tecnocratico digitale di oggi. Tra questi spiccano gli assi portanti dell’innovazione strategica in ambito formativo: analizzare e promuovere le “global skills”, consentire un lavoro significativo sull’alfabetizzazione digitale (information literacy e digital literacy), anticipare il Futuro per condurre azioni significative finalizzate al successo formativo, anche per garantire una performance di sistema sempre disponibile al miglioramento continuo.
In questo scenario culturale, il Piano Nazionale Scuola Digitale ha avuto il merito di chiedere ai sistemi educativi di esercitare il cosiddetto pensiero “laterale”; una sorta di esercizio al cambiamento di rotta, dove la direzione per la soluzione del problema focalizzato deve lavorare su differenti percezioni e diversi punti di ingresso (2).
Nell’esercizio pertanto di una simbolica ricerca che conduca ad una “porta d’ingresso” praticabile verso l’innovazione, vediamo sinteticamente quali sono i punti di cardine da considerare.

Timori e dubbi: troppo Internet a scuola?

Il cambiamento fa paura perché prescinde dal conoscibile e ci espone all’ignoto.
L’allarme sui rischi della Rete riflette infatti questa sensazione collettiva. Si parla di “intossicazioni” da Internet e di collasso relazionale. “Chi diffonde e difende l’idea secondo cui il collegamento ad internet – come del resto tanti altri comportamenti dallo shopping alla sessualità, fino all’amore stesso – può generare dipendenza, fa uso in generale di una terminologia di tipo medico, e non a caso” (3). La medicalizzazione dei problemi senza serie azioni che conducano ad una incontrovertibile certezza scientifica, contribuisce a creare credenze e contrasta al sano scetticismo scientifico, peraltro buon bagaglio dell’intellettuale che si interroga con il senso del Dubbio (4) e dell’incertezza.
Occorre misurarsi con il reale che esiste, nei termini di consapevole volontà all’indagine, alla ricerca, all’analisi, alla confutazione reciproca nell’ambito di una comunità pensante che accede ai problemi con la giusta alfabetizzazione scientifica. No dunque ad ideologismi dimezzati da statistiche inutili e fuorvianti, e no a forme di oscurantismo che contraddicono la cultura dell’evidenza.
La scienza della formazione invita alla ricerca delle strade “laterali”, quelle che sviluppano il pensiero produttivo capace di dare letture di contesti complessi e non solo semplici risposte.
E’ così che l’analisi – cruda ed inevitabile – di un “internet” paragonato al nuovo Dio (5) è fonte di ispirazione e non di allontanamento per chi deve garantire l’accesso al potenziale formativo dei nuovi sistemi tecnologici.
Internet rappresenta il potere digitale e l’innovazione antropologica che ne consegue è già in atto.
Ciò può creare allarmi culturali e disorientamenti cognitivi ma è un passaggio necessario. Come educatori dobbiamo correre il rischio di perderci un po’ prima di orientare noi stessi e i nostri studenti, tanto che sperimentare una sorta di uscita laterale dalla solite comode vie e tracciare un sentiero innovativo può essere una strada vincente. Solo in questo caso, noi “adulti di riferimento”, avremo affinato quegli strumenti del mestiere che ci consentiranno di essere validi interlocutori – non per obbligo istituzionale, ma per autorevolezza culturale – con le nuove generazioni. Non vi è dubbio: rimarremo inevitabilmente immigrati digitali, ma saremo non contrapposti ai nostri utenti, sempre più nativi; invero, serenamente e consapevolmente, eserciteremo la nuova competenza di interfacciarci a tutti i livelli.

Nuovi scenari educativi: il PNSD

Il Piano Nazionale per la Scuola Digitale fa un po’ paura, per le ragioni sopra esposte e perché in un sistema strutturale che ancora lotta con aule pollaio e soffitti che cadono, sapere di essere considerati pure “digitali” destabilizza chi – a quanto pare molti – si dichiara ancora “gutenberghiano”.
Ciò che dobbiamo mettere al centro è perciò il termine “innovazione” e spostare un poco il termine “digitale”, relativizzarlo per certi versi, e così non cadere nelle credenze alimentate da una tendenza distorsiva all’iper-informazione, che attinge impropriamente delle statistiche pseudoscientifiche.
Di buone piste di lavoro il PNSD è pieno. E’ anche sano il fatto che si traduca in un documento che non ha la velleità di scandire per forza tutte le azioni – e sono molte – in altrettante ingorde libagioni didattiche. Possiamo pensare di assaggiarne un poco e avere il tempo necessario per digerire la logica innovativa. Non saremo infatti tacciati di “anti-digitalizzazione”; la resistenza al cambiamento d’altra parte è del tutto normale ed anzi rappresenta un passaggio necessario negli stadi che portano all’evoluzione. E’ poi indubbio che la motivazione normativa che attinge dall’obbligo di legge poco si lega all’idea politico-istituzionale del PNSD, perciò sarà altra la motivazione all’implementazione innovativa. Ma quale?

Le parole dell’innovazione strategica nel PNSD: i nuovi “designer didattici”

Ipotizziamo che lo scopo del PNSD sia l’area centrale dove fare convergere gli elementi di sintesi del sistema strategico che vogliamo implementare nella nostra organizzazione.
Non è automatico coglierne il senso immediato, perciò il percorso di scoperta e conoscenza delle potenzialità del documento ha bisogno di un approccio sistematico che possa sopravvivere all’impatto del digitale in una scuola a matrice ancora gentiliana.
Per prima cosa è necessario agire identificando le credenze (positive e negative), i valori (ossia ciò che è assolutamente importante) e determinare il focus (il raggio di azione ad effetto innovativo), per cui i quattro passaggi definiti dallo stesso Piano – Strumenti (i) – Competenze e contenuti (ii) – Formazione (iii) – Accompagnamento (iv) – si riassestano in una logica di processo strategico innovativo ad impatto sociale, prima ancora che scolastico.
Qualche sintetico esempio? Utilizziamo l’Azione #5 del PNSD: Processi didattici per l’integrazione degli ambienti digitali per la didattica e l’uso dei dispositivi individuali a scuola (6).
Lo scopo sta nella costruzione di nuovo designer didattico: un “de-signare” che consente la scoperta di un rinnovato processo di apprendimento, legato all’avvento del digitale diffuso.
Le credenze – in questo caso più positive che negative – si collocano nella dinamica di arroccamento della didattica tradizionale e trasmissiva che tende a “riempire ciò che è vuoto”. L’idea che la trasmissione tra docente e discente sia superata o comunque non più rispondente ai nuovi bisogni è percepita da tutti gli operatori scolastici, perché è di tutta evidenza che i linguaggi sono cambianti e sono cambiati i soggetti apprendenti.
Il valore che il processo di canvas innovativo scolastico strategico (*) ci descrive è appunto la centralità del contesto di apprendimento: qui l’idea che l’uso della strumentazione digitale individuale sia possibile, ed anzi auspicabile, sancisce definitivamente l’idea di un nuovo centro del processo stesso. Il focus ovviamente è strettamente connesso ai dispositivi individuali, alla loro delocalizzazione (dal personale al collettivo) e al riorientamento geografico del tessuto formativo che si stringe in una nuova rete di alleanze, sicché tutte le strumentazioni digitali si interfacciano in un contesto di scambio e valorizzazione. Quindi i dispositivi a funzione individuale, i dispositivi a funzione collettiva, i nuovi sistemi di gestione degli apprendimenti e i nuovi sistemi di comunicazione ed informazione finalmente dialogano e descrivono un prodotto nuovo di sintesi culturale che guarda agli Ambienti per la didattica digitale integrata e per la collaborazione (Azione #4).
La diversità degli interlocutori che interagiscono nel processo formativo è il fulcro di interesse della didattica digitale integrata, dove la creatività e le azioni connesse sono il nucleo delle azioni. Il contesto è l’ambiente di apprendimento in cui la diversità – prima letta come semplice differenza, poi come ricchezza etnografica – sa esprimere la propria potenzialità auto-creativa e collaborante.
La didattica collaborativa necessita di una forte vocazione sperimentale che deve essere nutrita dell’intera organizzazione. Si arriva alla diffusione delle pratiche attraverso un progresso aperto di confronto; perché, per esempio, non attivare una vera e propria piattaforma – prima fisica e poi virtuale – dove incrociare e tessere i contenuti, le progettazioni realizzate, le pratiche inclusive e quanto altro abbia valore per la comunità educante?
Tra gli step innovativi si potrebbero annoverare varie altre azioni:
a) un team di supporto e accompagnamento per i Consigli di classe per la progettazione di percorsi inclusivi attraverso la tecnologia digitale – una sorta di tutoring per la ricerca-azione;
b) azioni di contaminazione tra gli ambienti della scuola: nuove architetture formative che ridefiniscono classi, spazi comuni, laboratori, spazi individuali, spazi informali;
c) aggiornamento costante degli obiettivi del Piano di lavoro scolastico a “matrice sfidante” (sfida alla velocità dei cambiamenti – sfida alla rigidità mentale – sfida all’acquisizione delle competenze trasversali – sfida alla nuova geografia istituzionale con la ridefinizione del ruolo attivo dei giovani…);
d) rilettura degli scenari educativi con scelta e ridefinizione delle “chiavi per il futuro”, attraverso un orizzonte educativo LLL (life-long-learning) e LW (life-wilde);
e) attivazione di circuiti virtuosi per avvicinare le generazioni in ambito STEM (Science, Tecnology, Engineering, Arts end Mathematics) con sguardo attento alle opportunità di genere…
Il nuovo designer didattico assumerà l’aspetto di un “canvas” dove definire input ed output (*) per ogni Azione sia a livello micro (singolo studente – gruppo amicale formale ed informale – classe) che a livello macro (indirizzi di studio, istituti scolastici, reti di scopo e di ambito, comunità). Ecco la necessità di una mappa personale, collegiale ed istituzionale che sappia disegnare la sintesi di “contenuti complessi e articolati all’interno dell’universo comunicativo digitale, nel quale a volte prevalgono granularità e frammentazione” (7).
In un contesto di questo tipo, l’innovazione che il PNSD chiede alle organizzazioni scolastiche è la trasformazione della didattica.
Le aree di sviluppo saranno il learning by doing e il learning by experience, l’utilizzo del web come il media primario di ricerca e acquisizione dei contenuti del sapere, l’utilizzo della cultura “informale” dei nativi che espande l’uso del social network in fenomeni di apprendimento formale con compiti collaborativi tra pari, la manifestazione dell’identità individuale e progettuale con blog e social(8).
L’innovazione didattica digitale sa però riscoprire le radici: le teorie costruttiviste di Dewey e della Montessori – attraverso la rilettura più recente illuminata dalle scoperte neuroscientifiche – rappresentano bacini da cui attingere ancora a piene mani.
I nativi poi ci insegnano e assegnano alla cultura partecipativa un nuovo ruolo tra i vari gli stili di apprendimento. E’ così che “piuttosto che interpretare, configurano; piuttosto che concentrarsi su oggetti statici, vedono il sapere come un processo dinamico di co-costruzione; piuttosto che essere spettatori, sono autori e attori, personalizzando in questo modo l’apprendimento”(9).

L’innovazione strategica nel campo della formazione in epoca 2.0 è già presente e peraltro ben visibile con il suo designer digitale inconfutabile. Occorre un’opera di architettura scolastica culturale che sia concreta ed urgente, capace di decodificare i contesti e riappropriarsi dei saperi. I migliori strumenti professionali e le migliori risorse, anche attraverso forme soddisfacenti di abilitazione digitale dei tanti insegnanti che desiderano il cambiamento, ci consentiranno di governare il nuovo che è già qui.

Note bilografiche

(1) L. Hellinga , Fare un libro nel Quattrocento, Forum Udine, 2016.
(2) E. De Bono, Il pensiero laterale, Rizzoli, 1969
(3) Cit. P. Ortoleva, Sole 24 ore Nova, 31 luglio 2016
(4) M. Grazioli “E se ritornassimo a Cartesio?” – ED scuola on line, 2015
(5) U. Galimberti, Internet e la mistica virtuale (in le Orme del sacro), Feltrinelli editore , 2000
(6) PNSD – Miur
(7) Competenze degli studenti – PNSD – Miur
(*) campo di ricerca dell’autrice in corso .
(8) Becta.org.uk
(9) Nativi digitali , Paolo Ferri, ed. Bruno Mondadori editore, 2011