Maturità, dal divario Nord-Sud nei voti con lode un’opportunità per interrogarsi sul sistema scolastico

da Il Sole 24 Ore

Maturità, dal divario Nord-Sud nei voti con lode un’opportunità per interrogarsi sul sistema scolastico

di Anna Maria Ajello*

Quest’anno, un dato noto da tempo, vale a dire la rilevante differenza del numero del le lodi tra le scuole del settentrione e quelle del meridione ha fatto grande scalpore. In realtà, in taluni casi, come quello della Puglia rispetto alla Lombardia, il numero delle lodi si è triplicato (900 rispetto a 300 circa) e il disappunto è del tutto giustificato; la differenza infatti, nel rendimento degli studenti contraddice i risultati di tutte le altre rilevazioni, nazionali e internazionali, dove le scuole del Nord registrano esiti nettamente migliori rispetto a quelle del Meridione.
La reazione di quest’anno tuttavia, è interessante perché indica che non si vuole accettare oltre un dato che sinora è sembrato quasi ineluttabile. Nell’indicare le ragioni di quella differenza tuttavia, sono state proposte spiegazioni sbrigative ( per esempio «gli insegnanti di manica larga») che non aiutano a capire il fenomeno, non per giustificarlo, ma per comprendere invece, i modi per fronteggiarlo. Quanto alle soluzioni, introdurre una prova Invalsi anche per la maturità, è stata pressocche unanimemente considerato un modo per avere una misura comparativa che consenta un maggiore equilibrio nel riconoscimento dell’effettivo valore degli esiti degli studenti.
Come presidente dell’Invalsi non posso che gradire simili apprezzamenti che riconoscono la serietà di un lavoro sedimentato nel tempo, ma anche per questo è opportuno riflettere sulle caratteristiche della situazione attuale per quanto riguarda i risultati dell’esame di maturità. Il quale, detto per inciso, ha da tempo perso di credibilità, visto che le università hanno introdotto prove selettive che ne limitano di molto il valore come chiave di accesso discriminante per gli studi ulteriori.
Le lodi al Meridione sono in vero indicative di alcuni aspetti: l’ampio divario tra studenti bravi e studenti in difficoltà, in contesti spesso segnati da disagi socio-economici e talvolta famigliari che porta a far risaltare di più il valore dei primi; la conseguente aspettativa delle famiglie nel voler vedere riconosciuto il merito dei propri figli bravi; il maggior credito che nel Meridione le famiglie attribuiscono al riconoscimento formale della scolarità raggiunta; limito qui le considerazioni che potrebbero essere ulteriormente sviluppate.
Non si tratta semplicemente, quindi, di insegnanti di manica larga, che in tale prospettiva riduce il problema ad un tratto individuale e in fin dei conti moralistico, ma di un insieme di elementi che connotano la cultura diffusa delle regioni meridionali.
Si deve aggiungere tuttavia che l’abbondanza delle lodi, in ogni caso, danneggia anche la credibilità di quelle meritate dagli studenti bravi che frequentano scuole meridionali; vale la pena di ricordare che due anni fa il miglior docente italiano insegnava in una scuola di Lecce.
Quanto alla soluzione largamente sostenuta di inserire una prova Invalsi alla maturità, il ministro Stefania Giannini ha richiesto all’Istituto di procedere nell’approntamento di una simile prova e di inserire oltre agli ambiti disciplinari di italiano matematica anche l’inglese. L’Invalsi, mentre per le due discipline tradizionalmente oggetto delle prove, italiano e matematica, sta preparando la banca di item necessaria per la realizzazione della prova di maturità, per l’inglese ha esaminato le diverse realizzazioni in atto nei Paesi europei e ha presentato le alternative al Miur.
Dal punto di vista operativo, le prove saranno svolte da ciascuno studente al computer e la correzione sarà automatica, in modo da sgravare i docenti dall’imputazione dei dati e, nello stesso tempo, di ridurre i fenomeni di cheating – comportamenti opportunistici di studenti e docenti che “truccano” gli esiti – la cui diffusione, ancora una volta, è maggiore nelle classi meridionali.
La modalità di realizzazione potrà essere diversa, soprattutto rispetto alla collocazione temporale. Si potranno svolgere le prove nel corso del quinto anno e non alla fine come parte dell’esame, pur rientrando gli esiti nella certificazione finale; si potrebbero svolgere alla fine del quarto anno, per evitare l’effetto catalizzatore di attenzione sulle prove stesse che un loro inserimento nel corso del quinto anno potrebbe avere rispetto alla realizzazione del curricolo. Si tratta, come si vede, di scelte non solo tecniche, ma politiche, che non rientrano quindi nella disponibilità dell’Invalsi.
Quale sia la soluzione che verrà scelta, c’è un aspetto che è opportuno segnalare che riguarda l’accettazione della prova del quinto anno da parte di docenti e studenti come strumento comparativo.
Così come molte famiglie attualmente pagano corsi ed esami di inglese per consentire ai propri figli di avere una certificazione internazionalmente riconosciuta e nessuno contesta le prove che si devono superare per acquisirla, è necessario che anche le prove, realizzate al quinto anno, siano riconosciute come strumento che attesta il conseguimento di alcune competenze fondamentali per il livello di età e di scolarizzazione a cui sono rivolte. Si tratta quindi, di costruire il consenso dei diversi stakeholder, evitando l’idolatria delle prove, ma avendo cura invece, di farne conoscere la validità e la sensatezza.
Per far questo, sarebbe indispensabile che i docenti avessero nella loro prima formazione la possibilità di acquisire competenze relative alla costruzione di prove standardizzate e alle loro caratteristiche, sia nazionali che internazionali, ed è sorprendente che ancora non sia prevista nei curricoli formativi una simile prescrizione.
Come Invalsi infatti, ci troviamo sempre nella necessità di spiegare, ab ovo, come funzionano le prove, come si costruiscono, l’ambito della loro validità a platee di docenti del tutto digiuni di simili conoscenze, per cui la possibilità poi di usare i risultati delle prove dei loro alunni risiede solo sull’impegno volontaristico di alcuni di loro, laddove una simile competenza dovrebbe essere invece un patrimonio obbligato di ogni docente. Mi rendo conto che l’inserimento di crediti formativi obbligatori rientra nell’autonomia dell’università e che, quindi, sia più complicato realizzare una simile innovazione, ma ritengo che sia assolutamente indispensabile avviarla, se vogliamo effettivamente sostenere e diffondere la cultura della valutazione nelle istituzioni scolastiche del nostro Paese.
Diverso è il caso degli studenti e delle loro famiglie. E’ necessario che vengano organizzate occasioni diverse di dibattito pubblico, in cui sia possibile evidenziare come il superamento delle prove costituisca il riconoscimento dell’acquisizione di un diritto di cittadinanza che per primi gli studenti devono avere interesse a conseguire. Si tratta quindi, di un’operazione culturale imponente che si realizza con un impegno articolato negli anni, il cui obiettivo non si consegue rapidamente, ma questo è proprio dei fenomeni educativi e non ci si deve scoraggiare se non se ne vedranno immediatamente i frutti: per tale ragione almeno, è necessario un largo consenso su tali temi.

* Presidente Invalsi