Ancora possibile l’uomo
di Antonio Stanca
Abile nella costruzione, sicuro nell’espressione, profondo nei significati è stato lo scrittore argentino Ricardo Romero nel romanzo La sindrome di Rasputin, un’opera di duecentodiciotto pagine che recentemente è stata pubblicata in Italia dalla casa editrice Sellerio di Palermo nella serie “La memoria”. Romero la scrisse in lingua spagnola nel 2008 quando aveva trentadue anni ed era l’autore di altre opere narrative quali il romanzo Nessuna parte del 2003 e l’antologia di racconti Tante notti, se necessario dello stesso anno. Nel 2010 scrisse un altro romanzo, Ballerini da fine del mondo, e attualmente dirige a Buenos Aires , dove vive, la rivista letteraria Oliver e collane di pubblicazioni.
La sindrome di Rasputin è la sua opera più nota ed è stata variamente valutata dalla critica fino ad essere ritenuta di difficile interpretazione. Molte e diverse sono in essa le situazioni che si verificano, molti i personaggi che si susseguono, molte le verità che ognuno di essi fa emergere. Leggendo si assiste ad una continua rivelazione, si compie una continua scoperta e sospesi si rimane e in attesa di conoscere i motivi di quanto accade. Solo alla fine questi si mostreranno e faranno sembrare l’opera un romanzo giallo se durante il lungo percorso compiuto dai suoi tre principali protagonisti, nella Buenos Aires che celebra il bicentenario dell’Indipendenza, non si risalisse dalla loro vicenda privata agli infiniti casi di un’intera umanità condannata a vivere nella periferia di una città così vasta e varia come la capitale argentina, se tramite la loro esperienza particolare non si cercassero verità superiori, se mediante loro non si tendesse a tutti.
Per molto c’è posto nel romanzo, per molta storia, per molta vita ed anche per l’umorismo, per riferimenti culturali, artistici di diversa provenienza e questo non lo fa rientrare in un genere specifico poiché di molti è espressione. Sarà stata questa ampiezza a rendere La sindrome di Rasputin un’opera difficile per la critica, sarà stata la capacità di Romero di accogliere tanto e costruirlo a far sfuggire l’opera alle catalogazioni di sempre, a trasformarla in una novità nell’ambito della letteratura sudamericana in lingua spagnola.
Muove lo scrittore da un evento occorso in uno dei bassifondi di Buenos Aires dove vivono, lavorano, si sono ritrovati, sono diventati amici Abelev, Maglier e il giovane Myshkin. A farli incontrare è stata la loro condizione di emarginazione, di solitudine, alla quale li aveva portati anche la sindrome di Tourette, cioè i tic motori e verbali dai quali sono affetti. Tutti svolgono lavori notturni, non hanno particolari aspirazioni, si accontentano di poco ma quando, improvvisamente, Abelev finisce in ospedale poiché gravemente contuso a causa di una caduta dal dodicesimo piano del palazzo dove lavora come guardiano notturno, la vita degli altri due comprenderà oltre alle ore di lavoro anche il tempo necessario per indagare, per cercare di scoprire i motivi della caduta dal momento che non credono ad un’azione suicida come si vuol far intendere. Sapranno che Abelev era stato gettato giù da mani sconosciute, dalle mani che in quel palazzo avevano commesso un omicidio ed ora volevano trasferire la colpa ad Abelev mostrandolo come pentito e disposto ad espiare tramite il suicidio. Altre volte, in ospedale, quelle mani tenteranno di ucciderlo e spaventati da ciò i due amici inizieranno una lunga indagine che supererà quella condotta dalla polizia e li porterà a scoprire tutto un mondo segreto, malfamato, violento, tutta una vita clandestina che avviene nei sobborghi di Buenos Aires e che rappresenta un aspetto necessario della città. I due indagatori s’imbatteranno in situazioni strane, assurde, grottesche, pericolose, assisteranno a molti colpi di scena, si troveranno in ambienti depravati dove regole di vita sono la povertà, la miseria, il sesso, la droga, l’odio, la violenza, la morte. Ma tra tanto disastro la loro posizione sarà quella degli eroi positivi, di chi ancora ha conservato intatti i valori della morale, della coscienza e per essi vive e agisce, per essi vuole la verità. Con il male è stato chiamato a confrontarsi il loro bene e ne è uscito vittorioso. Finirà il romanzo come era iniziato, con i tre amici alle prese con i problemi quotidiani, con l’umorismo che mai li aveva abbandonati. Erano sopravvissuti alla tragedia, erano riusciti a salvarsi, è questa l’aspirazione maggiore in simili posti. «Sopravvivere. Alla lunga era questo il più irrefrenabile tic». Oltre al corpo avevano salvato lo spirito, avevano mostrato che pur in un posto divenuto falso è possibile recuperare, ricostruire la verità, che pur tra tanti bruti si può vivere da uomini.
Un messaggio diventa quello di Romero tanto più importante se si considerano i tempi nei quali è stato espresso.
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