Spesa al lumicino e record di neet: la scuola italiana secondo l’Ocse

da la Repubblica

Spesa al lumicino e record di neet: la scuola italiana secondo l’Ocse

Lo studio annuale sull’istruzione è negativo, anche se su dati 2014. Stipendi bassi e docenti eccessivamente anziani

Salvo Intravaia

RECORD di “neet” e spesa per l’istruzione (2014) al lumicino: l’Ocse bacchetta l’Italia. L’annuale “sguardo sull’educazione” (Education at a glance 2016) rilasciato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico pone l’accento sulle tantissime fragilità del sistema d’istruzione – scolastico e universitario – italiano mettendo puntando il dito sulle politiche che hanno portato la scuola del Belpaese agli ultimi posti europei in parecchi, troppi, ambiti. “Un’istruzione di qualità ha bisogno di un finanziamento sostenibile”, chiosano gli esperti dell’istituto che ha messo a confronto i sistemi educativi di 35 tra i paesi più industrializzati della terra. Perché è proprio sulle risorse che l’Italia, negli ultimi anni, ha fatto enormi passi indietro. I numeri sono impietosi e mettono a nudo le politiche dei governi che si sono avvicendati dal 2008 al 2013, pronti a sforbiciare il bilancio della scuola pubblica con la cesoia in mano.

Spesa pubblica. “La spesa pubblica per l’istruzione in Italia è diminuita del 14% tra il 2008 e il 2013”. Una diminuzione che “riflette non solo una riduzione della spesa pubblica complessiva in termini reali, ma anche un cambiamento nella distribuzione della spesa pubblica tra le diverse priorità”, spiegano da Parigi. Perché in Italia, “per altri servizi pubblici la contrazione della spesa è stata inferiore al 2%”. Anche il confronto internazionale sulle risorse destinate a scuola e università ci vede indietro, con una spesa totale pari al 4% del Pil nel 2013, contro la media Ocse del 5,2, che colloca il nostro paese al quartultimo posto. Particolarmente bassa risulta anche la spesa pubblica universitaria per studente, pari al 71% della media Ocse. Anche i 9.238 dollari Usa per alunno/studente dalla primaria all’università risultano pochi: addirittura 1.200 euro in meno rispetto alla media Ocse. “In Italia, il livello relativamente basso della spesa pubblica per l’istruzione non è riconducibile al basso livello della spesa pubblica in generale, bensì al fatto che all’istruzione sia attribuita una quota del bilancio pubblico relativamente esigua”. In altre parole, la spesa pubblica è stata indirizzata verso altri comparti, mortificando l’istruzione, a prescindere dalle emergenze di bilancio. Una scelta. Con l’istruzione universitaria che si basa sempre più sulle tasse versate dalle famiglie. “Le tasse d’iscrizione pagate dalle famiglie – spiega il dossier – sono una delle forme più importanti di spesa privata nell’istruzione terziaria”. Con una media di 1.602 dollari statunitensi a studente nel settore pubblico e oltre 6mila dollari nelle istituzioni private, le tasse italiane “si mantengano a livelli relativamente bassi rispetto a paesi quali Stati Uniti, Giappone, Corea e Canada”. Ma risultano “comunque più elevate in Italia rispetto a più della metà dei Paesi per i quali sono disponibili dati, inclusi diversi paesi nei quali il primo ciclo universitario è gratuito”.

Stipendi bassi e docenti eccessivamente anziani. Paghe e basse e “poco dinamiche” nel tempo caratterizzano la scuola italiana. Che mostra un corpo docente un po’ troppo in avanti con l’età. In quattro anni – dal 2010 al 2014 – gli stipendi degli insegnanti sono diminuiti in termini reali del 7 per cento, spiegano i tecnici dell’Osce. E pesano dal 76 al 93 per cento della media Ocse. L’incremento degli alunni per classe ha poi prodotto un calo del salario per studente del 13 per cento. Inoltre, la variazione della paga del docente italiano tra l’assunzione e la pensione varia meno che negli altri paesi, dove in alcuni casi raddoppia. La nota dolente riguarda l’età degli insegnanti nostrani, con una quota di ultracinquantenni da primato e troppe donne – 8 su dieci – in cattedra. Ma le assunzioni del 2015/2016 dell’attuale governo sono considerate come “misure significative” potrebbero “potenzialmente cambiare la distribuzione generale dell’età in Italia sia nell’istruzione primaria che in quella secondaria”.

Ancora troppe sperequazioni anche tra gli adulti. Il 59 per cento degli adulti figli di immigrati non hanno ancora conseguito un diploma di scuola superiore. Un dato quasi doppio rispetto al 35 per cento dei cittadini italiani nelle stesse condizioni. Un trend che si conferma anche tra gli adulti figli di italiani con scarso livello di istruzione. Ma anche su questo versante l’Ocse intravede margini di miglioramento tra il 2010 e il 2015. Situazione che nel nostro paese si ripete anche a livello di titolo universitario: i figli dei laureati quasi sempre si laureano. E che potrebbe vedere un cambio di rotta offrendo “una gamma differenziata di percorsi educativi di qualità, tali da agevolare la transizione verso il mercato del lavoro per persone con esigenze e origini sociali e culturali diverse e contribuire a una società più coesa”. La raccomandazione è quella di puntare sulla solida organizzazione degli studi tecnico-professionali italiana che però è seguita da pochissimi studenti adulti, forse per la scarsa presenza di percorsi a tempo parziale.

Giovani e aziende snobbano il titolo universitario? La quota di giovani di età compresa fra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo universitario che riescono a trovare un impiego è in Italia di oltre venti punti inferiore alla media dei paesi Ocse: il 62% contro l’83%. Viceversa, risulta eccessivamente alto il numeri di giovani (20/24enni) Neet (giovani che non studiano e non lavorano): un terzo del totale. Un valore che veste l’talia con una poco invidiabile maglia nera e che nel decennio 2005/2015 è cresciuto più che in qualsiasi paese Ocse: più 10 per cento. Un’accoppiata – basso numero di giovani laureati che lavorano e alta percentuale di Neet – che dimostrerebbe lo scarso appeal della laurea tra i giovani. Disaffezione che solo in parte è da attribuire alla crisi economica che ha interessato il Vecchio continente: in Grecia e Spagna la situazione non è così catastrofica. Tasse universitarie alte e pochi interventi per il diritto allo studio – solo uno studente su cinque percepisce una borsa di studio – contribuiscono a fare fuggire i giovani dall’università. “Il fatto che in Italia circa l’80% degli studenti iscritti ai corsi di laurea di primo e secondo livello – spiegano dall’Ocse – non riceva alcun aiuto finanziario o sostegno per le tasse d’iscrizione sotto forma di borse di studio o prestiti indica che i meccanismi finanziari per ottenere tale sostegno costituiscono un ulteriore ostacolo all’accesso all’istruzione terziaria”. Per correre ai ripari bisognerebbe “attrarre gli studenti verso l’istruzione terziaria” aumentando “le opzioni di studio a tempo parziale, offrendo maggiori possibilità per gli studenti che desiderano conciliare gli studi con l’attività lavorativa e le esigenze di famiglia”. Una speranza per attrarre più studenti verso gli atenei italiani è rappresentata dalla recente esperienza degli Istituti tecnici superiore – percorsi post diploma di due anni – ma è ancora troppo presto per valutarne l’impatto.