Formazione obbligatoria dei docenti, ma su quali tematiche?

Formazione obbligatoria dei docenti, ma su quali tematiche?

 di Maurizio Tiriticco

 

Copio dal documento ministeriale – Com’è noto, il 7 gennaio 2016 il MIUR ha emanato la nota n. 35 avente per oggetto “Indicazioni e orientamenti per la definizione del piano triennale per la formazione del personale”, in attuazione di quanto previsto dalla legge 107/2015, il cui comma 124 stabilisce che detta formazione è obbligatoria, permanente e strutturale. La nota ribadisce che le attività di formazione progettate dalle istituzioni scolastiche devono confluire nel PTOF di durata triennale, per cui il loro orizzonte progettuale dovrà essere di “ampio respiro, ma scandito anno per anno in azioni perseguibili e rendicontabili”. La formazione del personale docente si articola in due livelli principali: uno a livello nazionale e l’altro a livello di istituzione scolastica o reti di scuole. I due livelli devono essere strettamente collegati e consequenziali. L’obiettivo che si vuole raggiungere tramite i detti livelli è unico: migliorare l’offerta formativa e favorire, o meglio, “garantire il successo formativo” degli alunni (dpr 275/99, art. 1, c.2).

Nella nota del 7/01/2016, leggiamo inoltre, che il Piano Nazionale di Formazione creerà un nuovo modello di formazione, che non si fonderà più sulle classiche “conferenze” in cui i docenti partecipanti sono soltanto soggetti passivi, costretti a seguire un certo numero di ore in presenza, ma si cercherà piuttosto di renderli soggetti attivi delle attività poste in essere. A tal fine, le metodologie adottate saranno quelle dei laboratori, workshop, ricerca-azione, peer review, comunità di pratiche, social networking, mappatura delle competenze…, secondo un’articolazione che prevede attività in presenza, studio personale, riflessione e documentazione, lavoro in rete, rielaborazione e rendicontazione degli apprendimenti realizzati.

La documentazione degli esiti formativi che ne seguirà costituirà parte del portfolio delle competenze dei docenti, che si arricchirà nel corso del triennio del piano formativo di istituto e di quello nazionale.

La formazione a livello nazionale si concretizzerà con la realizzazione e l’adozione, con decreto del MIUR, del Piano Nazionale di Formazione (comma 124 della legge n. 107/15). Le azioni formative a livello nazionale, finalizzate ad arricchire i piani di formazione di istituto, coinvolgeranno figure strategiche (come ad esempio gli animatori digitali) e, in generale, docenti capaci di trasferire le conoscenze e le competenze apprese ai colleghi delle proprie istituzioni scolastiche, guidandoli nei processi di ricerca didattica, formazione sul campo e innovazione in aula (si dovrà chiarire come verranno scelti tali docenti).

Le dette azioni saranno focalizzate sulle seguenti tematiche:

  • competenze digitali e per l’innovazione didattica e metodologica;
  • competenze linguistiche;
  • alternanza scuola-lavoro e imprenditorialità;
  • inclusione, disabilità, integrazione, competenze di cittadinanza globale;
  • potenziamento delle competenze di lettura e comprensione, logico-argomentative e matematiche degli studenti;

E, dopo il copio copias, il mio commento! In primo luogo, come mai non appaiono le voci progettazione, programmazione? Per non dire poi che la valutazione è sempre preceduta dalla misurazione e comporta alla fine di un ciclo la certificazione delle competenze acquisite dall’alunno: e le competenze comportano essenzialmente il concorso di più discipline. Inoltre i temi indicati dal Miur sono tutti di carattere cognitivo. In effetti, è più che corretto che i nostri insegnanti ne siano padroni. Mah! Un mah grosso così!!!

Ciò che occorre, invece, anche e soprattutto, è aggredire in prima battuta il concreto “comportamento insegnante”, quello che il docente gestisce in aula con i suoi alunni! Di tale tematica sono ormai anni che non se ne parla più!!! Eppure se ne sono occupati ricercatori stranieri e italiani: tra gli altri, il belga Gilbert Leopold De Landsheere, autore di Les comportements non-verbaux de l’enseignant (in collaborazione con A. Delchambre, del 1979); l’americano Thomas Gordon, (T.E.T. Teacher Effectiveness Training, del 1974), la nostra Graziella Ballanti (Il comportamento insegnante, del 1996). L’innovazione didattica non passa “solo” attraverso le competenze digitali! Non è un’offerta che di per sé potrebbe creare miracoli! In primo luogo c’è la competenza professionale, fondata su un metodo che sia assolutamente attivo.

A me piace la metafora dell’insegnante “muto”, il quale è capace di rovesciare il binomio “insegnamento pro apprendimento” con l’espressione “apprendere insieme”. E’ un insegnante che rinuncia al “fare lezione”, ma che suscita negli alunni ricerche, individuali e di gruppo sul tema programmato per “quel” giorno. E lo stesso libro di testo dovrebbe scomparire. Ma quanto sono brutti quelli che vedo in giro: grossi così, pesanti, pieni di immagini, letture, rinvii, esercitazioni mal proposte, che orecchiano le prove Invalsi. Per l’alunno che deve “studiare a casa” diventa difficile comprendere cosa è indispensabile, cosa è, invece, ridondante, se non inutile. Il libro di testo, invece, dovrebbe essere costruito dagli alunni stessi, costituiti in gruppi di ricerca, che poi scambiano le esperienze fatte e i risultati conseguiti.

E lo studio casalingo potrebbe/dovrebbe scomparire: in effetti è funzionale a una scuola in cui si fa lezione e a una casa in cui si studia il pomeriggio. E’ possile e necessario fare/apprendere tutti insieme al mattino. Con un’apposita manifestazione i prodotti degli alunni verranno presentati ai genitori alla fine dell’anno, conservati dalla scuola in quanto potranno servire per ulteriori ricerche da parte di altri alunni. Ovviamente, occorre preventivamente una progettazione/programmazione delle attività, che sia però condivisa con gli alunni. E si tratta di un’attività fondamentale che gli esperti del Miur non hanno affatto considerato. Obiettivi e tempi devono essere noti e condivisi da ciascun alunno, sia quelli terminali che quelli di periodi più brevi. Del resto è la stessa Carta dei servizi scolastici – e non so quanti ne conoscano l’esistenza – che detta quanto ho scritto. Quanti studenti vanno a scuola e non sanno se il prof interroga o fa lezione? Né sanno quale sia il programma da svolgere, gli obiettivi cognitivi, formativi e culturali che sono loro proposti. La casualità è assolutamente negativa.

Concludendo, le tematiche proposte dal Miur sono interessanti e necessarie, ma, se si vuole evitare che diventino solo nozioni da apprendere, che non incideranno mai sul lavoro quotidiano di un insegnante che si trova oggi in una scuola impegnativa e con alunni spesso molto difficili, occorre affrontarle con gli insegnanti con criteri assolutamente diversi dalla lezione frontale dell’esperto. In effetti, è lo stesso esperto che dovrebbe “comportarsi” come un insegnante in aula… “muto” anche lui e sollecitatore di interessi!