Prevenzione comportamenti problematici

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Sono un operatore specializzato che segue un ragazzo con disabilità con ritardo mentale gravissimo presso una scuola secondaria di primo grado. Il ragazzo presenta atteggiamenti di autolesionismo (si ferisce con morsi e pugni) e atteggiamenti violenti verso il personale. Ciò accade prevalentemente quando il bambino è stanco o è frustrato. Per evitare che possa farsi male dobbiamo contenerlo fisicamente, tenendogli le mani. Mi chiedo se queste nostre azioni siano consone ai nostri doveri ( mio e del docente di sostegno) o si tratta di una modalità”violenta” e quindi da evitare. Vi chiedo inoltre se posso lavorare in assenza dell’insegnante di sostegno, lui è presente per 18 ore e io 20, chiaramente il dirigente mi fa affiancare da altri docenti disponibili al momento per la sicurezza di tutti. Ci sarebbe la possibilità di rendere ufficiale la disponibilità di altre persone? Durante i precedenti glis è stato stabilito che il bambino non può rimanere  in presenza di un solo adulto per motivi di sicurezza. Vorremmo proporre, di concerto con la neuropsichiatra, una riduzione dell’orario di frequenza vista la sua incapacità di sostenere questi tempi scolastici (5-6 ore giornaliere). Tuttavia vorremmo garantire l’accoglienza scolastica al minore.

«Gentile operatore, la ringrazio per aver posto il problema, non tutti hanno la sua sensibilità.  In effetti la contenzione è una procedura che viola il diritto umano all’integrità fisica e mentale, e nel rispetto dell’alunno come persona con pari valore umano e pari dignità di ogni persona non sarebbe eticamente accettabile esercitarla. Tuttavia è anche necessario trovare alternative concrete. Sappiamo che la realtà è molto più complicata e che non è realistico pensare di poter includere un alunno che presenta gravi problemi di comportamento. D’altra parte i problemi di comportamento non scompaiono da soli, e quanto più il ragazzo crescerà, tanto meno i suoi comportamenti saranno accettati e costituiranno un ostacolo sempre più grave alla sua inclusione, sia a causa del normale sviluppo fisico che per l’aumento delle aspettative sociali con l’avvicinarsi all’età adulta. È dunque necessario intervenire, pur nel modo più rispettoso possibile dell’integrità fisica e mentale del ragazzo.
Immagino che non avrà bisogno che le dica che l’approccio più corretto è quello di prevenire la comparsa de i comportamenti problematici, in modo da non dover applicare contenzioni. Ma intanto, se i comportamenti già si manifestano, qualcosa bisogna pur fare, per evitare danni peggiori. Inoltre i diritti, compreso il diritto all’integrità fisica e morale, comportano anche responsabilità, e a nessuno deve essere consentito fare del male agli altri, anche se certamente il ragazzo aggredisce per incapacità di autocontrollo e di esprimere altrimenti il suo disagio, non certo perché abbia cattive intenzioni verso gli altri. Quanto all’autolesionismo, esso è il comportamento che più provoca stress in chi vi assiste, quindi nemmeno questo comportamento è accettabile in una classe con altri bambini o adolescenti, che ne sarebbero seriamente turbati.
Se non è già un esperto di strategie educative comportamentali, un bravo psicologo comportamentale potrebbe aiutarla molto meglio di me. Tuttavia, nel caso in cui non ne fosse invece esperto, mi permetto di rievocare alcuni elementi pratici essenziali, perché credo che sia il ragazzo che lei e la classe abbiate bisogno di vivere serenamente questa esperienza scolastica e che non intervenire in alcun modo priverebbe l’alunno dell’intervento educativo più necessario per lui, ovvero l’insegnamento di capacità di comportamento sociale, senza le quali la sua inclusione attuale e futura sarebbe ostacolata.
Riassumerò quindi qualche informazione essenziale, su che cosa si può fare nell’immediatezza e a lungo termine per prevenire o diminuire i comportamenti problematici. Mi perdonerà se non le servono perché già la conosce,

A: Intervento diretto a breve termine sul comportamento
Se proprio non si può fare a meno di bloccare il comportamento con un intervento fisico, allora è necessario spogliare questo intervento da qualunque emotività. Questo significa che la/le persone che assiste o assistono al comportamento non deve/devono reagire accorrendo, con esclamazioni, commenti, grida o altro. Anche i colleghi e i compagni di classe devono essere istruiti in questo senso. Inoltre deve essere coinvolta, o almeno informata, anche la famiglia, sia perché deve dare il suo consenso all’intervento che si mette in atto, sia perché la coerenza dell’intervento a casa e a scuola è importante per la sua riuscita, e sia per capire l’influenza dell’ambiente sul comportamento. Spesso è proprio l’ambiente scolastico a scatenare comportamenti problematici, per le difficoltà di comprensione di un contesto socialmente troppo complesso, per l’imprevedibilità di quanto succede, o perché il bambino o adolescente ha una ipersensibilità percettiva ai suoni o ad altri stimoli sensoriali.
L’eventuale intervento fisico sull’alunno deve essere fatto da una sola persona alla volta, che avvicina con calma il ragazzo, e gli blocca il braccio o la mano senza guardarlo negli occhi e senza fare commenti. Questo perché i comportamenti problematici possono essere mantenuti e rinforzati dalle risposte che si danno a quel comportamento. Vediamo anche nei bambini che se ottengono qualcosa con un capriccio, tendono a ripetere quel capriccio per ottenere qualsiasi cosa. Chi non ha argomenti e magari nemmeno voce per chiedere, se con un certo comportamento ottiene quello che vuole o anche solo l’attenzione degli altri, che è un rinforzo molto potente, sia che sia un’attenzione in senso positivo o negativo, ripeterà quel comportamento che è l’unico modo che ha per ottenere quanto desidera in ogni circostanza in cui si sente in difficoltà. Meno il ragazzo può interpretare la reazione al suo comportamento come un modo per attirare l’attenzione, meno tenderà a ripetere il comportamento. Tanto meno è appropriato “premiare” in qualche modo il comportamento per cercare di calmarlo. Ad esempio, se l’alunno presenta il comportamento durante una sessione di lavoro, è necessario terminare comunque la sessione, magari aiutandolo o abbreviandola, e possibilmente terminandola con un successo (ovvero proponendo, per terminarla, un compito semplice che sa fare), ma non interromperla, altrimenti quel comportamento verrà poi usato regolarmente per evitare ogni difficoltà.

B. Intervento a lungo termine per prevenire o diminuire il comportamento
Diminuire i comportamenti, problematici, specialmente se sono radicati nel tempo, richiede tempo e impegno. Un intervento adeguato per mitigare i comportamenti problematici richiede di fare un’analisi funzionale del comportamento, che serve a capire che cosa scatena il comportamento e quali reazioni al comportamento contribuiscono a mantenerlo, ovvero la cosiddetta “Analisi ABC” (dall’inglese Antecedent, Behaviour, Consequence, ovvero antecedente, comportamento, conseguenza). Bisogna cioè osservare, per più giorni, che cosa è successo prima del comportamento, come si manifesta il comportamento e che cosa succede dopo il comportamento. Allego una scheda che si può usare per l’analisi ABC. Una volta identificata la causa del comportamento e le reazioni al comportamento che tendono a rinforzarlo e mantenerlo, si può agire sulla causa (per esempio, modificando il programma, il compito o l’ambiente) e/o sulle conseguenze che tendono a mantenerlo, cambiandole. Inoltre non bisogna dimenticare che anche dei disturbi fisici possono scatenare comportamenti problematici e, prima di intervenire sul comportamento, bisognerebbe sempre assicurarsi che non dipendano da una causa organica. Per esempio schiaffeggiassi può indicare mal di denti o mal d’orecchio o perfino dolori addominali, picchiarsi la testa o picchiare la testa contro il muro un mal di testa. In questa ricerca la famiglia può essere di aiuto, o anche la registrazione dell’evenienza temporale del comportamento. Per esempio, se i comportamento si manifesta sempre alla stessa ora, ad esempio dopo il pranzo, potrebbe indicare disturbi addominali oppure, come nel suo caso, se si manifestano alla fine della giornata, indicare stanchezza.
Purtroppo, visto che l’alunno è già alla scuola media, è immaginabile che i suoi comportamenti auto ed etero-aggressivi non siano appena insorti. Questo complica l’intervento, perché i comportamenti auto ed etero-aggressivi possono essere diventati una reazione abituale a qualunque stimolo disturbante e, come sa chi fuma, perdere le cattive abitudini è difficilissimo. In tal caso è necessario insegnare comportamenti alternativi, più funzionali del comportamento problematico, a cominciare dalla comunicazione. L’insegnamento di comportamenti socialmente adeguati e funzionali, compresa la comunicazione, è un capitolo vasto e complesso, che non si può affrontare in poche parole. Il libro di Michael Powers “Autismo: Guida per genitori ed educatori”, edito in italiano da Feltrinelli, è un buon manuale, ma temo che sia esaurito. Tuttavia potrebbe essere disponibile in qualche biblioteca scolastica o centro di risorse.

B.1. Prevenire o diminuire i comportamenti problematici a scuola adattando l’ambiente
Una volta identificati, tramite l’analisi funzionale ABC, gli eventuali fattori ambientali che scatenano il comportamento, si può modificarli. Per esempio, se il comportamento si manifesta in momenti di particolare confusione e chiasso, si può cercare di diminuirli o di assuefare gradualmente l’alunno a sopportarli. Adattare l’ambiente però non riguarda solo l’ambiente fisico, ma anche tutte le circostanze esterne. Stanchezza e frustrazione come causa scatenante dei problemi di comportamento dell’alunno li ha già identificati lei, ma più precisamente, che cosa causa frustrazione e stanchezza? Potrebbero essere, ad esempio, richieste troppo impegnative, alle quali il ragazzo non sa rispondere, o troppo elementari, che lo annoiano. In tal caso bisogna considerare se il PEI del ragazzo è davvero adatto a lui e se ha preso nella dovuta considerazione, oltre ai suoi limiti, le sue preferenze e attitudini. La frustrazione, per ognuno di noi, si verifica soprattutto quando si sperimentano troppi insuccessi. Una prevenzione dei problemi di comportamento richiede un programma individuale attentamente calibrato, basato sul profilo di funzionamento, ma anche sui punti di forza e sulle preferenze dell’alunno, anche concedendo, se necessario massima flessibilità al programma. Un PEI ben calibrato deve consentire al ragazzo di sperimentare successi, quindi concentrarsi su compiti nell’ambito delle attività in cui riesce meglio, o che gli piacciono di più. Non bisogna dare per scontato che il ragazzo, avendo una disabilità importante dell’apprendimento, non abbia punti di forza o che non possa apprendere. Anche attività troppo elementari o inadatte alla sua età possono frustrarlo. Quindi è necessario cercare di adattare il programma scolastico alle esigenze del ragazzo, valutando se i compiti che gli vengono richiesti sono effettivamente adatti al suo livello di sviluppo, e nello stesso tempo alla sua età cronologica e alle sue attitudini. Per esempio, se si tratta di un ragazzo iperattivo, bisognerà ridurre il più possibile il lavoro a tavolino, e aumentare le ore di attività fisica.
Un altro modo utile per adattare l’ambiente è strutturarlo in modo prevedibile. Questo comporta la strutturazione degli spazi (utilizzare uno spazio per un’unica funzione) del tempo, attraverso agende temporali di quanto succederà, per mezzo di oggetti  immagini o parole scritte  a seconda del livello di comprensione e delle predisposizioni dell’alunno, in modo che sappia che cosa succederà e dove, Si tratta del nucleo delle cosiddette strategie TEACCH, che vengono applicate anche in parecchie scuole italiane, ben conosciute e utilizzate dagli sportelli autismo di molti CTS. Anche in questo caso, pur esistendo numerosi libri che le descrivono, non è possibile spiegarle in poche parole. Le segnalo, comunque, che, presso il CTS dell’Istituto Comprensivo Gandhi di Prato, ci sono insegnanti esperti sia nelle strategie di strutturazione TEACCH che nell’insegnamento degli strumenti di comunicazione aumentata/alternativa. E questo ci porta al punto successivo.

B.2. Prevenire i comportamenti problematici insegnando a comunicare
Un bambino che non sa spiegarsi può aver usato vari modi a lui accessibili per far capire un suo disagio e ottenere una risposta. Fra i tanti modi possibili alla sua portata, quello che ha funzionato nell’ottenere attenzione, in positivo o in negativo, verrà ripetuto. Con i problemi di comportamento il bambino manda messaggi, che non sono però comunicazione. La comunicazione è un messaggio rivolto ad altri, comprensibile agli altri. L’insegnamento della comunicazione è un metodo molto efficace per prevenire i problemi di comportamento, poiché insegna un comportamento alternativo per ottenere lo stesso risultato più efficacemente e in modo socialmente più accettabile. Anche in questo caso le tecniche per insegnare la comunicazione sono molto complesse, e non si possono riassumere in due parole.

C. Verifica della validità dell’intervento
Qualunque sia l’intervento messo in atto, è improbabile che il comportamento problematico, specie se di lunga durata, scompaia in breve tempo. A volte sembra che non succeda nulla e ci si scoraggia troppo presto. Quando si mettono in atto interventi per diminuire i comportamenti problematici è necessario monitorare se l’intervento educativo messo in atto sta funzionando. Per questo è necessario utilizzare schede del tipo di quella allegata, per verificare che la gravità del problema stia effettivamente diminuendo d’intensità e/o di frequenza».

Donata Vivanti