La questione insegnante

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La questione insegnante

di Maurizio Tiriticco

Copio da edscuola.it. – “La “buona scuola” non è affatto sana, anzi sta male e richiede interventi urgenti. L’esecutivo ha dimostrato in questi anni l’assoluta incapacità di attuare politiche per un’istruzione pubblica efficiente”. E’ quanto denuncia il senatore Vacciano (Gruppo Misto) in una mozione depositata presso gli uffici di Palazzo Madama, sottoscritta anche da parlamentari di altri gruppi. “L’usura psicofisica – spiega Vacciano – è insita nella professione del docente, che necessariamente deve curare – oltre all’aspetto formativo – relazioni di sostegno e di aiuto nei confronti di alunni che “ringiovaniscono” a ogni ciclo scolastico. Dai riferimenti preziosamente forniti dal dottor Lodolo D’Oria, emerge che nel 70-80% dei casi le inidoneità per motivi di salute dei nostri insegnanti (con l’età media più alta dei paesi Ue) presentano diagnosi psichiatriche. Preoccupante – continua Vacciano – anche il dato che riguarda l’incidenza delle patologie oncologiche in relazione alla quale, in via precauzionale, non dovrebbe essere esclusa a priori la correlazione depressione-immunodepressione-neoplasia”.Il senatore del Gruppo Misto invita nella mozione il Governo ad allocare fondi ad hoc, già previsti dalla normativa in vigore, per attuare la prevenzione dello Stress lavoro correlato dei docenti. “Tale attenzione – conclude Vacciano – è indispensabile per garantire a studenti e alunni tutti i benefici – a livello educativo, relazionale e formativo – di un sano e robusto corpo insegnante nonché per prevenire episodi di maltrattamento scolastico riconducibili a casi di disagio psichiatrico del docente”.

Mio commento – La denuncia del senatore Vacciano non viene dal nulla e non cade nel vuoto. La questione insegnante, oggi. in una scuola governata, o meglio, di fatto profondamente modificata dalla legge 107, acquista una importanza che non va assolutamente sottovalutata. Il Governo ha assunto un impegno nei confronti degli insegnanti per quanto riguarda il loro aggiornamento – sotto il profilo formale si tratta di un’attività di “formazione continua in servizio” – che riguarda le seguenti tematiche: Lingue straniere; Competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento; Scuola e lavoro; Autonomia didattica e organizzativa; Valutazione e miglioramento; Didattica per competenze e innovazione metodologica; Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale; Inclusione e disabilità; Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile. La formazione in sevizio è obbligatoria e richiede un impegno di 125 ore nel triennio suddiviso in attività frontali (40 ore) e in attività di ricerca e riflessione sulla professionalità (85 ore) articolate in 5 unità formative di 25 ore per un totale appunto di 125 ore da maturare in tre anni.

Le voci indicate dal Miur coprono una vasta area delle competenze che caratterizzano un insegnante, ma la voce “innovazione metodologica” è generica se non si entra nel merito. Si tratta di una innovazione che mette in gioco il concreto comportamento insegnante in un’aula in cui vive gran parte della loro giornata in “situazione di apprendimento” un certo numero di alunni che in genere oscilla dai venti ai trenta. Spesso gli alunni sono esposti indifferentemente ad una lezione, sulla quale poi debbono riflettere e studiare a casa ed eseguire i compiti debitamente assegnati. Di fatto, la lezione “tocca” gli alunni in modo estremamente differenziato: alcuni “stanno attenti”, ascoltano e comprendono il linguaggio specialistico (una disciplina di ricerca, che a scuola diventa riduttivamente materia di studio ed è supportata da un libro di testo), altri “si distraggono”, non sono coinvolti, a volte non capiscono il linguaggio che una materia/disciplina richiede. Di qui il problema: è corretto “fare lezione” e “pretendere ascolto”? A questo punto entra in gioco una serie di suggerimenti che ci vengono dalle ricerche relative alle cosiddette dinamiche di gruppo.

Bruce Tuckman ritiene che un gruppo nasce e si evolve attraverso cinque fasi: a) Formazione (forming). I membri del gruppo si orientano e comprendono quale debba essere il comportamento nei riguardi del coordinatore e degli altri membri. b) Conflitto (storming). Si sviluppa un clima di ostilità verso gli altri membri del gruppo e/o verso il leader soprattutto per l’incertezza dovuta a mancanza di direttive e di sostegno psicologico, per la mancanza di strutturazione e per la resistenza alla struttura. Si sviluppa una resistenza emotiva di fronte alle esigenze del compito da svolgere come espressione alla propria indisponibilità. c) Strutturazione (norming). I membri si accettano vicendevolmente, e si sviluppano delle norme di gruppo alle quali tutti si sentono impegnati. d) Attività (performing). I membri del gruppo accettano il loro ruolo e lavorano per raggiungere i fini preposti. e) Aggiornamento (adjourning). I membri del gruppo decidono una sospensione delle attività al fine di valutare il modus operandi e i risultati eventualmente ottenuti. Si tratta di variabili che un bravo insegnante non può non considerare, se vuole smettere di richiamare ogni tanto l’attenzione di un gruppo classe a volte annoiato!

Molto più noto è il rumeno Jacob Moreno Levy che ritiene che, quando si ha a che fare con un gruppo, non sono tanto i singoli individui che contano, quanto le loro relazioni. Una coppia dà luogo a due relazioni (l’uno verso l’altro e viceversa), ma tre persone danno luogo a sei relazioni. Una classe di venti alunni dà luogo a 400 relazioni circa. Ed è anche noto che un soggetto in un gruppo assume certi comportamenti, in un altro gruppo altri (un marito picchia la moglie, ma nessuno lo sa perché con gli altri è educatissimo; un alunno che in aula è educatissimo, a casa è uno scavezzacollo, o viceversa). Moreno è l’inventore del sociogramma, uno strumento che permette di vedere quali concrete relazioni si instaurano in un gruppo, in “quel” gruppo e non in un “altro”. Giuseppe è attentissimo alla lezione di italiano, è una peste quando è l’ora di matematica! Ed ancora, in un gruppo di alunni, Antonio è al centro dell’attenzione di tutti, mente Camilla “non se la fila nessuno”, come diciamo a Roma. Ma, se si tratta di copiare il compito di matematica, è Camilla al centro dell’attenzione e non Antonio, che in matematica è una frana. Insomma, le relazioni interpersonali in un gruppo strutturato qual è un gruppo di alunni della stessa classe di età contano, a volte, più della persona in quanto tale.

Si tratta di sollecitazioni che non sono indicate nei suggerimenti del Miur, ma che, per chi insegna – o comunque ha a che fare con un gruppo di adolescenti – sono di un estremo interesse. Perché, quando in un consiglio di classe si deve decidere se promuovere o bocciare, Giuseppe e Antonietta vengono giudicati diversamente da alcuni insegnanti? In molti casi gioca la materia di studio: Giuseppe è un genio in matematica, ma non sa scrivere; Camilla compone bellissimi temi, ma in matematica è una frana. In tali casi, in quale misura “gioca” la materia di studio? In quale misura, invece, la relazione alunno/a-docente?

Concludendo, un pizzico di psicologia e di dinamica dei gruppi (in particolare dei gruppi di apprendimento) rientra senz’altro nelle competenze di un insegnante, che a volte sono più importanti e determinanti delle competenze disciplinari. Ecco perché io sono sempre per l’insegnante “doppio”, specialista nella disciplina di insegnamento nonché specialista, appunto – ma ciò è più difficile – nella psicologia e nella dinamica di gruppo. E non voglio chiamare in causa Aldo Visalberghi che in “Pedagogia e scienze dell’educazione” individua ben 24 (ventiquattro!!!) discipline che un bravo insegnante dovrebbe padroneggiare, ovviamente oltre la materia di insegnamento! Troppa grazia,Sant’Antonio, come diciamo a Roma!