Dario Fo! Non solo Attore, ma anche e soprattutto Maestro

Dario Fo! Non solo Attore, ma anche e soprattutto Maestro

di Maurizio Tiriticco

dario_fo2Un grande maestro ci ha lasciati! Dario Fo! E lo chiamo maestro non a caso! Le sue drammatizzazioni del Mistero buffo mi convinsero sempre più di un “qualcosa” che da sempre mi frullava nella testa, ma che non avevo il coraggio di socializzare: il fatto che un Attore non può non essere un Maestro e che un Maestro non può non essere un Attore. Di fatto da sempre insegnavo, drammatizzando – ma senza rendermene troppo conto – lettere, italiano, latino, greco, storia e geografia. Queste ultime due, comunque, per me da tempo costituivano quella disciplina che oggi chiamiamo Geostoria: il fatto cioè che non si concretizza un Fatto se non nelle coordinate spazio/tempo. Si danno due rette perpendicolari, quella orizzontale, lo spazio, l’estensione, e quella verticale, il tempo, la proiezione, nel passato e/o nel futuro; e al punto di incrocio il Fatto. Esempi: 8 settembre 1943, il tempo, la fuga del re da Roma, lo spazio, il fatto; 12 ottobre 1492, il tempo, Colombo sbarca a San Salvador, lo spazio, il fatto.

Tornado a Dario Fo, chi avrebbe mai capito nulla del Mistero buffo, leggendo testi impolverati da secoli? Ma la drammatizzazione di Dario Fo ce li ha resi vivi e presenti. Drammatizzare significa rendere vivo un testo che, stampato, è solo una sequenza di caratteri. Come leggere e far leggere testi come i Promessi Sposi o la Divina Commedia, se non drammatizzando? Penso sempre al secondo canto del Paradiso: se l’insegnante non è in grado di “ricostruire” un’aula medioevale dove si discetta di filosofia Scolastica, è meglio che passi a un altro canto. E non credo che questo canto secondo sia molto gettonato nelle scuole. Comunque, l’insegnate che legge e spiega ha già fallito in partenza!

Drammatizzare significa leggere/spiegare coinvolgere, avvincere contestualmente! Dario Fo, Attore e Maestro ci ha lasciato! Ma la sua eredità per me è cosa di ogni giorno. E vorrei che lo fosse per tutti gli amici insegnanti. Anche la formula E = mc2 è drammatizzabile! Basterebbe ripercorrere il faticoso cammino intellettuale che ha percorso il grande Einstein. E Dario Fo ci avrebbe reso questa formula come la cosa più semplice e banale del mondo… se è vero che la semplicità e la banalità (purché banale non sia sinonimo di insignificante) possono essere strumenti per rendere leggibili e comprensibili concetti che, sotto il profilo scientifico, sarebbero estranei ai più. Grazie, Dario, per quanto ho appreso da te, anche se tu non lo hai mai saputo!

Sono già intervenuto sul fatto che, tra le tematiche proposte dal Miur per la formazione continua in servizio degli insegnanti, obbligatoria, non figuri – o resti abbastanza in ombra – proprio quella competenza comunicativa coinvolgente e convincente che dovrebbe costituire il punto forte del “comportamento insegnante” in aula (non in classe, come spesso erroneamente si dice, che è un concetto, non un oggetto, che riguarda l’età degli alunni). Si tratta di una competenza che in taluni Paesi stranieri è affrontata e sollecitata, ma che da noi non ha avuto molti cultori, fatta qualche rara eccezione. Cito alcuni autori. Graziella Ballanti, Analisi e modificazioni del comportamento insegnante, Teramo, Giunti e Lisciani, 1979; L. Genovese e S. Kanisza, Manuale della gestione della classe, Milano, F. Angeli, 1989; Francesco De Bartolomeis, La ricerca come antipedagogia, del 1969; Psicopedagogia e didattica nella programmazione educativa, del 1978. Tra gli stranieri, mi piace ricordare T. Gordon, Insegnanti efficaci, traduzione italiana, Firenze, Giunti, 2000. Per non dire di Jacob Levi Moreno che, con i suoi sociogrammi, ci permette di conoscere quali reazioni legano gli alunni fra di loro: l’alunno più scelto dai suoi compagni è un leader, l’alunno scelto da nessuno è, invece, l’isolato, l’escluso, se non il reietto. Moreno ci ha insegnato a non considerare solo gli alunni in quanto tali, bensì e soprattutto le relazioni che li legano e che condizionano i comportamenti di ciascuno. Di fatto, ciascuno di noi non è mai “se stesso” in assoluto. Antonio, rifiutato da un gruppo classe, è invece ben accetto e scelto da un altro gruppo classe. L’analisi di queste dinamiche interpersonali ci aiuta anche a capire perché Mirella è amata da Antonio, ma non suscita alcun interesse in Filippo.

Per tutte queste ragioni, sarebbe proprio il caso di guardare all’opera ricca e complessa che Dario Fo ci ha lasciato non come ad un qualcosa da conservare in biblioteca, ma da utilizzare concretamente nelle quotidiane pratiche didattiche. E non è un caso che Dario Fo sia stato apprezzato più in ambito internazionale che nazionale. In Italia “dava un po’ fastidio” con le sue rappresentazioni in cui preti e papi erano sempre messi alla berlina – ed eravamo in pieno regime democristiano. E non è un caso che, per questo suo impegno di studioso e di attore, che, “seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”, nel 1997 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura.

Oggi ci ha lasciato per raggiungere la sia Franca, con la quale ha sempre diviso il suo impegno di grande autore ed attore. Sono più che mai convinto – io che ho imparato molto da lui e che ho sempre cercato di imitarlo – che la lezione che ci ha lasciato non riguarda soltanto il palcoscenico, ma anche la scuola e i suoi insegnanti. Dario ci suggerisce un metodo che va dritto al cuore e alla fantasia degli alunni! Nonché – almeno così dovrebbe essere – soprattutto al cuore e alla fantasia degli insegnanti! Sappiamo che un alunno apprende e studia solo se fortemente sollecitato e motivato. Perché l’attore e il maestro costituiscono una vera e propria endiadi. O così dovrebbe essere!