Che ne è della nostra bella lingua?

Che ne è della nostra bella lingua?
Dalle 500 parole del vocabolario di base alla 1000 parolacce

 di Maurizio Tiriticco

 

Caro Tullio,

so che tu leggi tanto e scrivi tanto, leggi cose interessanti e scrivi cose ancora più interessanti! Non so se hai mai il tempo per “girare” sui cosiddetti social… comunque è meglio evitarli, perché c’è solo da inorridire! A parte le “parolacce”, che a volte arricchiscono – Shakespeare non le evitava affatto, perché… quanno ce vo’, ce vo’ – ma che più spesso sostituiscono la povertà di pensiero, ciò che stupisce è la banalità delle cose che si scrivono. Per non dire della povertà – se non, addirittura, assenza – della grammatica: fonologia, morfologia e sintassi! Che sono mai? Parolacce, quelle che ti impongono a scuola e che… nun servono a gnente! Rimpiango gli anni Cinquanta, il maestro Manzi, e i tanti anziani che volevano assolutamente recuperare quella grammatica di cui avvertivano il valore, ma che a scuola – eppure le elementari di 5 anni erano obbligatorie da tempo – non avevano studiato o avevano dimenticato, non avendo avuto più occasione di scrivere o…di parlar forbito!

Gli anziani degli anni Cinquanta si sentivano in difetto e un po’ si vergognavano. Compitare vocali e consonanti e cominciare con a come ape, o come oca, i come imbuto, con i disegni in bella vista, per loro era, comunque, un segno di riscatto e di orgoglio. Era anche l’Italia della Ricostruzione e del Piano Marshall, a cui seguì quel boom economico di cui la Seicento Fiat fu il segnale più concreto e tangibile. Tutti noi sapevamo che il giorno dopo senz’altro sarebbe stato migliore del giorno prima. E, se De Gasperi e Togliatti litigavano e Di Vittorio organizzava scioperi generali, tutto mirava sempre a rendere migliore lo status dei cittadini lavoratori (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: art. Cos. 1) e la ricchezza del Paese! E quanto orgoglio, quando sapemmo che eravamo diventati la quinta potenza industriale! A pochi anni da un Paese devastato dalla guerra!!! Concorrevamo ormai con i Paesi più avanzati del mondo.

Era la Prima Repubblica, a cui è seguita la Seconda… ed oggi siamo… “precipitati” (si può dir così!?) nella Terza, con tutti i problemi che sono sul tappeto e con una conflittualità che sembra fine a se stessa e non portare a nulla. Ma ciò che più mi preoccupa è l’arroganza dei più che, solo per avere imparato a leggere e scrivere per obbligo di istruzione più che per scelta responsabile – o meglio, a compitare qualche vocabolo – si sentono in diritto di postare – che brutta parola – i loro pensierini tanto inutili quanto sgrammaticati, che a loro volta provocano altri pensierini altrettanto inutili e sgrammaticati. In effetti, la cosa bella per loro è vedere il proprio nome e cognome scritto in stampatello e che tutti possono/debbono leggere. Indubbiamente la cosa è emozionante. Anch’io mi emozionai quando vidi il mio nome e cognome (questo scritto correttamente: non più un Trittico o un Tirittico o un Tiripicco… quanti documenti ufficiali errati!!!) stampato in calce al mio primo “pezzo” stampato su Pattuglia, il settimanale dei giovani comunisti e socialisti: erano i primi anni Cinquanta!

Per la nostra generazione imparare a parlare e a scrivere correttamente era una conquista; e non è un caso che tu hai voluto studiare il fenomeno e te ne siamo tutti grati. Perché l’italiano è una bella lingua, forse apprezzata più all’estero che da noi! Dante nell’incipit del De Vulgari eloquentia così si esprime: “Verbo aspirante de celis, locutioni vulgarium gentium prodesse temptabimus, non solum aquam nostri ingenii ad tantum poculum aurientes, sed, accipiendo vel compilando ab aliis, potiora miscentes, ut exinde potionare possimus dulcissimum ydromellum. Il dolce idromele di una lingua! Non credo che sia una cosa che interessi queste nuove generazioni arroganti e parolacciare che imperversano sui social. E non sanno neanche chi sei tu e che cosa ci hai regalato e continui a regalarci! E la cosa più grave è che sono convinti che avere una tastiera tra le mani autorizzi a scrivere cose comunque e sempre interessanti e in primo luogo grammaticalmente corrette. E ciò che più mi preoccupa è che sono anche convinti che è il contenuto che conta, non la forma! Anche se – come sai meglio di me – tal contenuto tal forma! Come ci ha insegnato il De Sanctis!

Sappiamo anche che i nostri colleghi universitari temono sempre quando uno studente gli chiede di laurearsi, perché già sa che la correttezza grammaticale del testo che gli verrà proposto lascerà molto a desiderare. Mah! In genere sappiamo che una lingua si evolve e che nessuna regola grammaticale lo può impedire; ma è anche vero che una lingua si può dissolvere! Forse anche l’italiano tra qualche decennio sarà una lingua morta? Non so, ma è certo che i flussi di popolazioni intere con lingue e culture diverse peserà su questa nostra lingua nazionale di cui si discuteva accanitamente ai tempi dell’Unità, quando finimmo per adottare la lingua del Manzoni, che aveva ben pensato di risciacquare i suoi panni pieni di lombardismi in Arno, fiume di quella Toscana di Dante e dei nostri grandi del Trecento.

La questione della lingua ha interessato tutta la storia letteraria del nostro Paese, o meglio dei nostri mille staterelli. Ma oggi? Nonostante gli sforzi di quell’Accademia della Crusca che da Firenze da sempre e tanto più oggi si adopera per nobilitare la nostra lingua, le picconate sferrate dalle migliaia dei nostri concittadini sui social temo proprio che possano aprire brecce profonde. Contro questo assedio costante la scuola deve assolutamente costituire un valido baluardo difensivo! Mah! Non so se l’attuale amministrazione ha contezza e consapevolezza della sfida che dobbiamo affrontare.