Dai Comprensivi buone idee per il Riordino dei Cicli

DAI COMPRENSIVI BUONE IDEE PER UN RIORDINO COMPLESSIVO DEI CICLI

Intervista a Luigi Berlinguer, a cura di Giancarlo Cerini (*)

Cerini: Anche se sotto la spinta di impellenti emergenze finanziarie, l’organizzazione delle scuole nel territorio si va modificando, mediante più elevati standard di dimensionamento, che modificano l’impianto originario costruito con i decreti applicativi dell’autonomia, oltre 10 anni fa.  Le novità (scuole più grandi, istituti comprensivi, ecc.) saranno in grado di far ripartire l’autonomia scolastica che oggi sembra “ingessata”.

Berlinguer: Il cambiamento della geografia scolastica è innegabile, ma sembra dettato essenzialmente da ragioni di risparmio, anche se questo potrebbe essere insignificante, perché in fondo si eliminerebbero pochi posti di dirigente o di personale amministrativo. Non c’è da aspettarsi molto per la qualità dell’autonomia se la si affida soltanto a questo fattore, anche se una razionalizzazione della presenza delle scuole nel territorio può essere utile.

Cerini: Cambia però il profilo del dirigente scolastico!

Berlinguer: Il dirigente scolastico dovrà sempre più svolgere efficaci compiti di leadership, ma questo non dipende dalla modifica della dimensione degli istituti scolastici. E’ però il momento giusto per ritornare alle ragioni vere dell’autonomia e per ripensare alla figura del dirigente.

Cerini: La scelta di generalizzare gli istituti comprensivi nel primo ciclo (ora sono circa il 60%) appare di grande rilevanza. Essa si presenta come una vera e propria riforma di ordinamento, perché “costringe” le scuole dell’infanzia, elementari e medie di un territorio ad allearsi, per realizzare un progetto educativo coerente e condiviso a favore degli allievi dai 3 ai 14 anni. Spesso però il “comprensivo” diventa un semplice “contenitore vuoto”, dove non scattano pratiche e comportamenti virtuosi per costruire una vera scuola di base. Qualcuno rimpiange la riforma Berlinguer: “… quella sì che fondava la scuola di base italiana..”. Il comprensivo però è andato avanti, anche senza grandi aiuti dal centro e sembra una soluzione più praticabile per arrivare al medesimo obiettivo.. E’ così?

Berlinguer: La diffusione degli istituti comprensivi è un fatto di grande importanza. Cominciò ai tempi di quella che voi chiamate “riforma Berlinguer”, ed è poi proseguita, ma non è stata aiutata dalla amministrazione. Il risultato è che i maestri e professori dell’elementare e della media vivono come i “separati in casa”. L’amalgama del collegio dei docenti non si realizza a sufficienza perché non basta solo un contenitore organizzativo. L’istituto unico è una premessa strutturale necessaria, un fattore di fertilizzazione dei rapporti, ma non basta. Servirebbe una vera “riforma dei cicli scolastici”, per realizzare un passaggio fluido per i nostri alunni dalla fase dell’infanzia a quella della prima adolescenza, e quindi da un apprendimento per grande aree (scuola elementare) ad uno studio per discipline distinte e specifiche (scuola media). Questo passaggio veniva regolato dalla riforma dei cicli del 2000 in modo “morbido”,  per meglio accompagnare lo sviluppo psicofisico degli alunni che non sempre è sincronico e non avviene per tutti alla stessa età, nello stesso modo. Tenere i due cicli distinti si è rivelato nocivo;  la soluzione sta nel creare un’effettiva continuità.

Cerini: Un punto di forza dei comprensivi sta anche nel loro legame con il territorio. Sono scuole di “prossimità”, interpretano bisogni ed esigenze della comunità. Esprimono l’idea di un patto di fiducia tra genitori, comunità, enti locali, scuola. Ma come evitare che l’aderenza ai diversi contesti trasformi le scuole in entità autarchiche? Con il lavoro in rete? Con progetti educativi forti?

Berlinguer: La forza dei comprensivi sta soprattutto nella creazione di un ciclo unico. Sta anche, se si vuole, nel creare un legame con il territorio. Benissimo. E’ vero, son scuole di prossimità e quindi hanno più delle altre la capacità di interpretare i bisogni della gente, della comunità. E’ un principio che condivido, anche perché la scuola è una comunità aperta: diventa apprendimento anche il contatto con la realtà circostante. Fra i soggetti che favoriscono l’apprendimento sono da annoverare non solo i docenti, ma anche i genitori, elemento assolutamente essenziale. Non si devono poi trascurare i soggetti che rappresentano la comunità territoriale, perché è la comunità che deve dotare la scuola di strutture educative di qualità. Va comunque evitata la caratterizzazione autarchica dell’autonomia. Autonomia non è autarchia. E’ infatti essenziale il lavoro in rete, particolarmente in questo campo del primo ciclo. Anche l’amministrazione deve incoraggiare, incentivare, sostenere il lavoro in rete.

Cerini: Ma sarà sufficiente un intervento sull’organizzazione e gli ordinamenti scolastici?

Berlinguer: Certo che no. Bisogna cambiare soprattutto l’idea di scuola, modificare radicalmente l’impianto didattico educativo che ci proviene dalla tradizione e che oggi è totalmente superato in molti paesi, ma anche in centinaia, forse migliaia di esperienze che si sono sviluppate in tutta Italia e all’estero. Esse ci presentano l’immagine di una scuola costruita sull’apprendimento, fondata sul lavoro e lo studio e sul protagonismo  intellettuale dei ragazzi. Così anche l’istituto comprensivo può produrre al massimo delle sue potenzialità.

Cerini: Il comprensivo, se si nutre solo dell’idea di continuità educativa, potrebbe paradossalmente impoverire il percorso della scuola di base. Forse è bene parlare di discontinuità “utile” (con una regia forte della scuola), per elevare il profilo di uscita dei ragazzi a 14 anni (è in questa fascia di età che si manifestano le maggiori criticità). Dunque, bisognerebbe spostare il baricentro del curricolo verticale verso l’alto, con ipotesi originali: ad esempio, con bienni in progressione come in provincia di Trento, a Scuola-città Pestalozzi di Firenze, oppure spostando la quinta elementare –con i suoi docenti – alle scuole medie, per darle respiro e favorire l’incontro tra gli elementi positivi dei due segmenti.

Berlinguer: In questa domanda ci sono più questioni. Bisogna sostenere la continuità educativa nel senso di una verticalizzazione dell’apprendimento. Però è chiaro che ci devono essere anche elementi di discontinuità sia dal punto di vista psicofisico che dal punto di vista disciplinare/culturale. Fra i due sotto-cicli, elementari e medie, è giusto parlare anche di discontinuità “utile” per evitare le criticità che si manifestano in questo periodo e che sono nocive per tutta la durata del percorso scolastico. Allora le idee del “biennio in progressione” sono ottime (Trento, Firenze Pestalozzi).

Cerini: Si può pensare anche a revisioni radicali dell’intero ciclo scolastico? Come nella riforma del 2000?

Berlinguer: Con la riforma dei cicli si potrebbe arrivare ad un ciclo di base più compatto, riducendone anche la durata. Essendoci stata la generalizzazione della scuola dell’infanzia (una vera “prima scuola”), se sommiamo i tre anni di questa e i cinque della elementare, il ciclo si presenta proprio troppo lungo. Nel 2000 ipotizzammo di ridurre la durata complessiva del sistema scolastico (dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria superiore), e in particolare la durata del primo ciclo. Non si tratta però di amputare un anno alla scuola elementare o di spostare altrove la classe quinta, ma di creare un momento di snodo e di intreccio in cui quinta elementare e prima media non siano così nettamente distinte come ora. Occorre aprire una fase di vera collaborazione fra i due spezzoni.

Cerini: Il riordino immaginato nel 2000 (legge 30) prevedeva una uscita dei ragazzi dal sistema scolastico e formativo a 18 anni, per offrire opportunità comparabili con quelle dei partner europei e favorire una maggiore indipendenza ed autonomia nelle loro scelte. Quell’idea è ancora attuale?

Berlinguer: È proprio del riordino dei cicli che bisogna ri-parlare. La legge 30 del 2000 non era solo immaginato, era una vera legge, in Gazzetta Ufficiale, con in corso i provvedimenti di attuazione. Tutto cancellato dalla furia distruttiva di allora. Si prevedeva l’uscita a 18 anni perché si sopprimeva un anno del primo ciclo senza però che la misura fosse una bizzarria finanziaria. Era una scelta pedagogica, educativa, e i maestri in esubero venivano ricollocati ovviamente per un ampliamento dell’offerta formativa. Oggi il dibattito non sembra ancora ritornare sul tema, la sensibilità è ancora molto bassa.

Cerini: C’è una ripresa di interesse, ma non si vorrebbe che tutto fosse dettato dalle “solite” ragioni del fare cassa. Inoltre, in Europa, spesso le scuole superiori sono più brevi, flessibili, modulari e si entra prima all’Università, nella formazione tecnica superiore, nel mondo del lavoro. E’ auspicabile una simile soluzione? L’attuale scansione dei cicli interni delle superiori (2+2+1) non potrebbe già far pensare ad un ultimo anno fortemente personalizzato in cui i ragazzi, opportunamente “aiutati” da docenti tutor, potrebbero compiere ed anticipare le loro scelte formative e professionali?

Berlinguer: Forse oggi si può, (si deve) tornare all’ipotesi di un riordino complessivo dei cicli, non più rinviabile, sia per anticipare a 18 anni l’uscita dei ragazzi, sia per accompagnare in forma graduale il passaggio dalle elementari alle medie. In tal caso, non mi sembrerebbe particolarmente positivo ridurre di un anno la scuola secondaria, mentre non ha più senso conservare la durata di 8 anni al primo ciclo, ora che si è quasi generalizzata la scuola per l’infanzia.

Cerini: Ma qual è il nodo decisivo per cambiare una scuola che non piace più ai ragazzi?

Berlinguer: L’equilibrio dell’intero sistema educativo va spostato dall’ordinamento formale alla pratica didattica, per rafforzare il protagonismo studentesco e migliorare le condizioni dell’apprendimento. Si tratta di un cambiamento di ottica e di modello educativo. L’istituto comprensivo è solo un elemento strutturale, architettonico, ma utile per avvicinarsi a questa nuova idea di scuola.

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(*) L’intervista apparirà sul numero 6 – novembre/dicembre 2011 – di “Rivista dell’istruzione”, Maggioli, interamente dedicato alla vicenda degli istituti comprensivi. Si ringrazia la direzione della Rivista per l’autorizzazione alla pubblicazione su edscuola.it.