A proposito del RAV e del PdM

A proposito del RAV e del PdM nelle riflessioni di Pietro Boccia

di Maurizio Tiriticco

 

L’intervento di Pietro Boccia sul Rav, il Pdm et alias mi stimola ad ulteriori riflessioni. In primo luogo va detto che l’intervento di Boccia è interessante sia per le precisazioni che per gli approfondimenti nonché per le suggestioni operative di cui le scuole – penso – abbiano sempre bisogno, stante la complessità e il rigore che tali innovazioni sottendono e propongono.

Le mie considerazioni critiche, quindi, non riguardano lo scritto di Boccia, ma attendono al modello organizzativo – o ai modelli, se si vogliono considerare ordini e gradi – che sostanzia e “fa funzionare” le nostre scuole, o meglio le nostre “istituzioni scolastiche autonome”. In effetti si tratta di concetti, di denominazioni e di realtà operative ben diverse: le “unità scolastiche” sono le scuole attive prima dell’avvio del processo autonomistico, di cui alle legge delega 59/97 e al successivo regolamento operativo, di cui al dpr 275/99, strumenti che hanno comportato, appunto, la nascita delle ISA, cioè delle “istituzioni scolastiche autonome”. E si trattò allora di una vera e propria rivoluzione la quale, però, non so quanto e in quale misura sia stata percepita e poi concretamente sviluppata nel tempo.

In effetti, il ministero dell’istruzione (a prescindere dalla diverse denominazioni che ha avuto nel tempo) sarebbe dovuto “scomparire” o, per lo meno, avrebbe dovuto conservare poteri molto inferiori rispetto al passato nonché – è opportuno constatarlo – anche rispetto al presente! In effetti, il dlgs 300/99, concernente la “riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, all’art. 75 detta “disposizioni particolari per l’area dell’istruzione non universitaria”. E si tratta di un articolo abbastanza corposo che invito il lettore a rileggere… o a leggere. In effetti, si ipotizza un progressivo dimagrimento dell’apparato centrale accompagnato da un’altrettanto progressiva attribuzione di poteri ai livelli periferici. Si tratta di un dimagrimento che, sotto il profilo formale, è stato con il tempo realizzato, anche se parzialmente, ma che – almeno a mio parere – non ha dato luogo a modifiche veramente sostanziali! Per farla breve il ministero, oggi Miur, è sempre il ministero di sempre, e non solo nella percezione dei più. E ciò anche indipendentemente dal fatto che i programmi scolastici di un tempo non ci sono più e che sono stati sostituiti – com’è noto – da Indicazioni nazionali (primo ciclo e ciclo dei licei) e da Linee guida (istituti tecnici e istituti professionali), anche se – e questo intende sottolineare l’unità del “Sistema educativo nazionale di Istruzione” – finalità, obiettivi e competenze terminali degli studenti (quando descritte) sono sufficientemente definiti, anche se con maggiore puntualità per ciò che riguarda le Linee guida: in effetti l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale sono molto più mirate al cosiddetto saper fare che non le Linee guida del primo ciclo o quelle dei licei.

In tale scenario riformatore (occorrerebbe parlare anche delle innovazioni della legge 107, ma andremmo troppo oltre nell’argomentazione) sono spuntati come funghi – se mi è consentito – Rav e Pdm, ovvero Rapporti di autovalutazione e Piani di miglioramento. In effetti si tratta di parole molto grosse, concettose, direi. Ma vediamone le ragioni. In un qualsiasi complesso produttivo, a prescindere dalla distinzione dei beni prodotti, che possono essere fisici o culturali (un’azienda, una fabbrica o un museo, una scuola), un rapporto su ciò che si è prodotto è necessario ma utile al fine di considerare se apportare correttivi, miglioramenti o meno, per il futuro. Ma, in materia di istruzione e considerando com’è organizzato il nostro sistema scolastico, ciò che “si fa” in una scuola media o in un liceo di Torino non è molto dissimile di quanto avviene a Roma o a Napoli. E ciò si replica puntualmente anno dopo anno senza particolari variazioni di sorta. So che ci sono le dovute eccezioni, in atto ad esempio al “Majorana” di Brindisi o al “Pacioli” di Crema o al “Marco Polo“ di Bari, et al., ma i quadri orari delle nostre scuole sono sempre gli stessi, quelli di cui alle Indicazioni nazionali o alle Linee guida. Va, comunque considerato che negli istituti professionali e negli istituti tecnici, oltre agli indirizzi, sono stati individuate ulteriori articolazioni in opzioni e quindi le opportune variazioni orarie.

Ma si tratta pur sempre di articolazioni limitate a certi indirizzi di studio secondari e che non mettono in discussione i quadri nazionali di riferimento… dalle Alpi a Lilibeo! Pertanto, non credo che un Rav o un Pdm dell’istituto x siano molto diversi da quelli dell’istituto y, stante il fatto che l’assetto orario organizzativo delle “lezioni” (si chiamano ancora così! Poi ci si lamenta se sono lezioni cattedratiche! In effetti esistono anche le cattedre, fisiche e giuridiche!!!) è a tutti comune. E sono certo che, se andiamo a leggere una decina di Rav e Pdm di istituto omologhi scelti a caso, non troveremo differenze abissali! E non solo sull’asse spaziale, da scuola a scola, ma anche su quello temporale, di anno in anno.

Per concludere, cattedre e quadri orari – fatte salve alcune iniziative sperimentali – sono quelli di sempre e di tutti! E non credo che Rav e Pdm possano costituire strumenti atti a portare serie e profonde modifiche nei Piani dell’Offerta formativa, ora triennali, di un istituto dato. La rigidità delle cattedre orario è quella che è e non credo che gli spazi di manovra possano essere ampi ed infiniti, anche e soprattutto perché, alla fine di un percorso arriva l’esame di Stato, con tutte le incertezze delle prove che lo Stato amministra centralmente e che non tiene affatto conto delle differenze che possono correre tra i Rav e i Pdm che le scuole hanno prodotto con tanta fatica e la quasi certezza della loro vacuità! Non dico “inutilità”, perché sarebbe troppo forte!

Per concludere, non sono pochi gli insegnanti che lamentano il fatto che oltre alle loro 18 ore di cattedra, debbono trovarne altre e non poche per Rav, Pdm ed altre amenità! E forse sarebbe il caso che la nostra ministra sindacalista affrontasse questi adempimenti non solo per quanto riguarda i prodotti, ma anche e soprattutto le ore di produzione! Con gli stipendi degli insegnanti che sono tra i più bassi in Europa!