Le fiabe come ambiente di apprendimento
di Immacolata Lagreca
L’ambiente educativo di apprendimento
Il passaggio dal paradigma dell’insegnamento a quello dell’apprendimento ha contribuito a creare nuovi concetti per le Scienze dell’Educazione, passando da una prospettiva incentrata sull’insegnamento (inteso come azione organizzata e pianificata in vista di obiettivi verificabili, in pratica “che cosa insegnare”) a una visione inquadrata sul soggetto che deve apprendere (apprendimento inteso come processo di costruzione attiva della conoscenza e, dunque, quali contesti organizzare per facilitarlo e sostenerlo). Tra questi concetti, l’ambiente educativo di apprendimento è una nuova prospettiva pedagogica oggi molto usata nel lessico delle Scienze dell’Educazione.
Questa “possibilità educativa” parte dal presupposto che ogni individuo, non solo il bambino ma anche l’adulto, ha il proprio ambiente di apprendimento a misura dei propri bisogni, che permette di essere collegati con altri, dentro e fuori della scuola:
Per ambiente di apprendimento si intende l’insieme costituito da una struttura comprendente vari elementi. Varani sistematizza gli elementi che compongono un ambiente di apprendimento in: ambiente fisico; insieme di attori che agiscono al suo interno; set di comportamenti concordati; serie di regole o vincoli comportamentali; compiti ed attività; tempi; set di strumenti o artefatti, oggetto di osservazione, lettura, argomentazione, manipolazione; insieme di relazioni fra i vari attori; clima relazionale e operativo; aspettative; assunzione del ruolo di studente; lo sforzo mentale profuso[1].
Nella “Premessa” dei Programmi della Scuola Elementare del 1985, l’ambiente educativo di apprendimento si configura come l’ambito nel quale «maturare progressivamente la propria capacità di azione diretta, di progettazione e verifica, di esplorazione, di riflessione e di studio individuale», allo scopo di «acquisire tutti i fondamentali tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità di indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale e artificiale»[2]. Una definizione ancora oggi valida, alla quale però vanno sommati successivi concetti acquisiti grazie ad altri studi e ricerche sull’apprendimento.
In linea generale si può affermare che l’ambiente di apprendimento è un “ambiente” legato con il modello d’insegnamento e inteso come «spazio didattico, cognitivo e relazionare in cui avviene l’azione didattica»[3]. Insomma, un ambiente che segna il passaggio dall’elaborazione dell’informazione alla ricerca del significato, in una situazione di azione e di partecipazione che favorisce e rinforza la realizzazione di conoscenze, capacità, motivazioni, comportamenti.
In questo ambito di azione hanno luogo interazioni e scambi con le insegnanti, tra allievi, con oggetti del sapere, sulla base di scopi e interessi comuni. In questa maniera gli allievi hanno modo di fare esperienze significative sul piano cognitivo, affettivo/emotivo, interpersonale/sociale.
Un ambiente così inteso contribuisce all’apprendimento nella misura in cui contiene stimoli di vario genere e possiede tutte quelle condizioni che avvantaggiano, attraverso l’esperienza, lo sviluppo di tutte le capacità dell’alunno[4].
In tal senso, le fiabe, concepite come strutture narrative che danno forma, senso e significato a una ‘realtà’ condivisa, possono essere considerate come ambienti di apprendimento.
La fiaba come metafora della vita
La fiaba è una metafora dell’esperienza umana. Le fiabe sono la raffigurazione di concetti astratti presenti nella vita, come il bene, il male, il bisogno, la sfortuna, la morte. Le fiabe svelano tutto ciò che non può essere detto altrimenti. Come nella vita, le fiabe raccontano un percorso di crescita, un processo di individuazione pieno di difficoltà, durante il quale non si ottiene “tutto e subito”.
La fiaba dà la traccia delle rappresentazioni di sé nel mondo, ma anche dei rischi che ognuno dovrà affrontare: il principe deve partire per un lungo viaggio nel quale è costretto ad affrontare pericoli e superare prove prima di incontrare la sua principessa, insomma la foresta è grande e ci si può perdere o si possono incontrare mostri … ma il bambino capisce che è necessario vincere la paura e attraversarla.
Le fiabe sono anche storie di crudeli distacchi: il bambino comprende che qualcuno che lo ha accompagnato nella vita potrebbe lasciarlo per sempre e morire, per questo sono strumenti utili all’iniziazione alla vita[5]. Attraverso esse, il piccolo impara “indirettamente” ad andare al di là da sé, impara a superare il dato immediato, esistenziale, e comincia a mettere “a problema” il suo essere nel mondo, seguendo affascinato le vicende dei personaggi.
Per questo le fiabe, al di là della magia di cui sono cariche, indicano lo sviluppo della capacità di elaborare ipotesi e risolvere i problemi, avendo una grande qualità di favorire il processo etico-valoriale. Esse sono, ancora, manifestazione di un avanzare di pari passo con il processo conoscitivo e comportamentale che si realizza nel bambino. Esse consentono ai bambini di imparare importanti lezioni di vita vivendole attraverso il filtro di personaggi e situazioni irreali.
Ad esempio la fiaba di Pollicino, scritta da Charles Perrault (1628-1703), insegna a stare uniti nella difficoltà e, soprattutto, che con l’intelligenza si possono ottenere molte cose, anche se si è molto piccoli.
Penso anche a Pinocchio di Carlo Collodi (1826-1890), una storia alla conquista della umanità, dove si possono incontrare tanti gatti e tante volpi, dove si può rimanere intrappolati senza speranza (la pancia della balena), dove c’è un paese dei balocchi che inganna, dove c’è sempre un aiuto materno (la Fata turchina) disposta ad aiutarci ma mai a farsi prendere in giro, dove sono importanti i consigli che insegnano l’amor filiale (del Grillo) e il dovere allo studio (del Granchio), dove acquisire il senso del dovere.
Penso altresì alla fiaba dei tre porcellini, racconto tradizionale europeo di origine incerta, pubblicato per la prima volta nella metà dell’Ottocento, che affronta il tema della crescita e illustra chiaramente che non si può vivere governati dal principio del piacere e del divertimento. I tre porcellini sono la rappresentazione del bambino che cresce e la favola insegna in maniera semplice quanto sia importante agire sotto la guida del principio di realtà: la vita è piena di pericoli (il lupo famelico) e bisogna impegnarsi senza pigrizia in ciò che si fa (cosa che fa solo il terzo porcellino che costruisce una casetta di mattoni) per poterli sfuggire.
Infine penso al Brutto Anatroccolo di Hans Christian Andersen (1805- 1875), la fiaba della fiducia in sé, l’invito coraggioso a non tradire mai ciò che si è, anche quando non si ricevono conferme dagli altri. Ma anche la fiaba che insegna che nella vita ci sono delle persone “diverse” da noi, ma non per questo hanno meno valore o talenti di noi.
Indubbiamente, dunque, le fiabe insegnano la vita e l’arte del vivere, preparano a comprendere la coesistenza conflittuale del bene e del male in ogni azione umana, aiutano a entrare in contatto con i problemi della vita e insegnano ad affrontarli.
Il significato psicologico e il messaggio simbolico delle fiabe
Nel discorso pronunciato nel 1970, in occasione del conferimento del prestigioso Premio Andersen, Gianni Rodari (1920-1980) riprese un concetto scritto nel suo La freccia azzurra[6]: «Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo». Questa premessa serve per introdurre il significato psicologico che hanno le fiabe e il loro forte messaggio simbolico.
Secondo gli studi psicologici, le fiabe toccano tutti gli aspetti della personalità in formazione e, in particolare, offrono nuove dimensioni all’immaginazione. Le fiabe consegnano messaggi vitali a tutti i livelli della mente (conscia, preconscia e inconscia). Esse ammettono a livello conscio le pressioni dell’Es e indicano modi per soddisfarlo in accordo con le esigenze dell’Io e del Super-io[7].
Le fiabe, infatti, contengono messaggi nascosti che “parlano” all’inconscio del bambino indirizzandolo verso la scoperta della sua identità e suggerendogli le esperienze necessarie per sviluppare il suo carattere, contribuendo a fargli superare i problemi di crescita legati al bisogno di essere amati, al timore di non essere considerati, alla paura inconscia della morte e così via.
Le fiabe sono importanti perché offrono una risposta, non esplicita ma simbolica al senso della vita, e questo linguaggio simbolico della fiaba permette il collegamento tra aspetto emozionale e razionalità, fornendo gli strumenti per la crescita del bambino e contribuendo ad aumentare la sua autostima. Mentre ascolta la fiaba il bambino, cioè l’individuo in sviluppo, acquisisce delle idee sul modo in cui dare un ordine al “caos” originario che ha il suo mondo interiore, arrivando a comprendere certi universali che fanno parte dell’ambiente esterno e ad accettarne i principi di fondo, stabilendone priorità e categorie.
La fiaba, dunque, aiuta il processo di crescita, di integrazione dell’io, di emancipazione, proprio perché mette ordine ai diversi aspetti del mondo interiore, sia a quelli consci sia a quelli inconsci. Attraverso la fiaba i bambini hanno una prima consapevolezza del loro mondo emotivo, perché esse danno voce a sentimenti non facilmente esprimibili. I personaggi della fiaba vivono tutta la gamma delle emozioni (dalla paura, alla gioia, al coraggio, alla tristezza, all’amore, alla rabbia e così via) e i bambini si immergono in questo bagno emotivo indossando gli abiti di eroi ed eroine. Attraverso le esperienze delle fiabe, i bambini, vivendo in prima persona le avventure dei protagonisti, hanno la possibilità di esorcizzare le loro esperienze negative e di far tesoro di quelle positive, acquisendo maggior fiducia nelle proprie possibilità. Soprattutto perché la conclusione delle avventure di questi personaggi è sempre positiva. I personaggi e gli eventi delle fiabe, dunque, personificano conflitti interiori e suggeriscono in maniera sottile come possono essere risolti. Ad esempio, identificandosi con l’eroe o l’eroina della fiaba il bambino/bambina può compensare le inadeguatezze del proprio corpo soddisfacendo il desiderio di grandezza.
La fiaba, quindi, educa, aiuta a crescere e a diventare grandi, poiché permette al bambino di comprendere aspetti concernenti il suo mondo interiore. Lo aiuta anche nella sua integrazione sociale, perché solamente quando gli impulsi primordiali e asociali saranno equilibrati (simboleggiati da personaggi perfidi e malvagi, quali streghe, orchi, mostri e così via) potrà avere una vita di relazione gratificante.
Insomma, le fiabe offrono un vigoroso aiuto psicologico e una forte connotazione educativa. Esse parlano al Io del bambino e ne incoraggiano lo sviluppo aiutandolo a comprendersi e a comprendere e, calmando le pressioni preconsce e inconsce, sono in grado di prepararlo a quel continuo viaggio che si chiama vita: dall’infanzia all’adolescenza, dall’adolescenza alla maturità, dalla maturità alla vecchiaia sino alla morte[8].
L’analisi di Bruno Bettelheim
Lo studioso che ha dato i maggiori contributi a un’interpretazione psicoanalitica della fiaba, e persino a un suo rilancio dopo un periodo di relativo rifiuto, è stato lo psicoanalista di origini austriache Bruno Bettelheim (1903 – 1990).
Bettelheim partendo dall’idea del bisogno di magia del bambino, dell’importanza della fantasia e di come questa lo aiuti a crescere, ribadisce l’importanza delle fiabe nel suo sviluppo, poiché potenziano la creatività, dando spazio al gioco semantico e segnico.
Le fiabe, secondo Bettelheim, catturano l’attenzione dei bambini, li divertono, suscitano il loro interesse e stimolano la loro attenzione: è questo dunque il migliore mezzo che hanno gli educatori per comunicare con i bambini, per trasmettere loro dei messaggi positivi.
Nel suo saggio Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe[9], lo studioso offre il suo contributo sul significato psicologico delle fiabe e sull’aiuto pedagogico che offrono nel delicato periodo della crescita. Le fiabe, infatti, poiché parlano il linguaggio della fantasia, che è lo stesso del bambino, e sono al di fuori del tempo e dello spazio, evocano situazioni che consentono al bambino, identificandosi con i personaggi e partecipando emotivamente alla storia, di affrontare ed elaborare le reali difficoltà della propria esistenza.
Esse, inoltre, sono utili perchè elaborano l’inconscio e aiutano a tradurre in immagini visive gli stati interiori: «La fiaba, mentre intrattiene il bambino, gli permette di conoscersi, e favorisce lo sviluppo della sua personalità. Essa offre significato a livelli così diversi, e arricchisce l’esistenza del bambino in tanti modi diversi, che non basta un solo libro a rendere giustizia della quantità e della varietà dei contributi apportati da queste storie alla vita del bambino»[10].
Secondo Bettelheim il bambino nella prima infanzia è attraversato da forme comportamentali animistiche per cui l’elemento magico del fiabesco appare essenziale. La fiaba intrattiene il bambino e gli permette di conoscersi, perché offre significato a molti livelli.
Bettelheim utilizza le categorie Super-Io, Io ed Es per analizzare il contenuto delle fiabe. È interessante vedere come lo scontro tra Es ed Io e Io e Super Io, si racconti nelle fiabe come la necessità di integrazione a un percorso di maturazione interiore. Per Bettelheim le fiabe, nel loro svolgimento, ammettono a livello conscio e manifestano le pressioni dell’Es, e indicano dei modi per soddisfare quelle che sono in accordo con le esigenze dell’Io e del Super-io”[11].
Le fiabe pongono il bambino di fronte ai principali problemi umani (il bisogno di essere amati e considerati, la sensazione di essere inadeguati, le paure, l’angoscia della separazione, la paura di perdere qualcuno e così via), esemplificando tutte le situazioni e incarnando il bene e il male in determinati personaggi. Esse, dunque, esprimono in modo simbolico un conflitto interiore e poi suggeriscono come può essere risolto.
Per Bettelheim le fiabe offrono aiuto per superare il primo conflitto di un bambino, quello che riguarda il problema dell’integrazione della personalità, e il cosiddetto complesso edipico, ossia quello che comprende una serie di infelici e disorientanti esperienze attraverso le quali il bambino diviene realmente se stesso se riesce a separarsi dalla dipendenza dei suoi genitori.
Attraverso esempi tratti da alcune fiabe più conosciute in tutto il mondo (ad esempio Hansel e Gretel, Cappuccetto Rosso, Le Mille e una notte), Bettelheim dimostra come i messaggi contenuti in esse aiutino a superare l’angoscia di essere bambini in un mondo di grandi: così come l’eroe riesce a incontrare la sua principessa o la felicità dopo aver vinto le battaglie che si presentano, anche il bambino capisce che se affronta e supera le sfide della vita potrà giungere alla propria indipendenza e realizzazione.
La capacità educativa della fiaba secondo Jerome Bruner
Secondo lo psicologo e pedagogista statunitense Jerome Seymour Bruner (1915-) ascoltare le fiabe permette lo sviluppo di quello che egli definisce pensiero narrativo, ossia la capacità cognitiva attraverso cui le persone strutturano la propria esistenza, organizzano la propria esperienza e costruiscono significati condivisi.
La narrazione di una fiaba non è per Bruner solo un divertente svago legato al periodo dell’infanzia, ma è uno dei processi mentali basilari per l’individuo in quanto mezzo di trasmissione di valori e di ideali, in virtù delle sue valenze conoscitive ed emotive. Per Bruner, infatti, il genere narrativo si caratterizza per il fatto di coinvolgere fortemente la dimensione affettiva e motivazionale dell’ascoltatore (ma anche del lettore). La narrazione non è un semplice resoconto o una lista di eventi. Lo psicologo e pedagogista americano sostiene che nelle storie è presente un «paesaggio duplice»: lo «scenario dell’azione», cioè gli eventi e gli accadimenti, e lo «scenario della coscienza», costituito dai vissuti emotivi e gli eventi mentali dei protagonisti.
Le narrazioni introducono i bambini al mondo, poiché l’essere umano ha una naturale predisposizione a strutturare le esperienze di vita secondo i criteri della narrazione e le sue caratteristiche spazio-temporali. Attraverso il pensiero narrativo, infatti, l’essere umano realizza una complessa tessitura di eventi e accadimenti utilizzando intrecci paralleli e complementari, mettendo in relazione esperienze, situazioni presenti, passate e future, in forma di racconto. La narrazione stimola così processi di elaborazione, interpretazione, comprensione, rievocazione, per descrivere, raccontare, spiegare e dare senso e significato all’interno dei contesti socio-culturali.
Ascoltando una fiaba, afferma Bruner, i bambini attivano due modalità caratterizzanti l’attività mentale degli esseri umani: la realtà e la fantasia. All’interno di una fiaba, infatti, attraverso l’ascolto di elementi sia reali (caratterizzati da elementi logici, esatte sequenze temporali, rapporti di causa-effetto, ecc.) sia irreali (in cui sono presentati elementi che trasgrediscono la logica e la realtà), il bambino attiva contemporaneamente entrambe le funzioni (pensiero razionale e pensiero fantastico). Attraverso la fiaba, il momento del racconto si riempie di espressioni, di emozioni e, grazie alla comprensione del contesto narrativo, i bambini sono stimolati dal punto di vista cognitivo e riescono a porre e risolvere correttamente situazioni-problemi compatibili con il proprio livello si sviluppo.
La fiaba, infine, realizza una compartecipazione comunicativa reale, che coinvolge gli apprendimenti, le motivazioni, le espressioni creative sia di chi ascolta sia di chi racconta. Infatti durante la narrazione di una fiaba si instaura un legame importante tra la persona che racconta e il bambino che ascolta, entrambi racchiusi in un unico spazio-tempo relazionale[12].
Le fiabe come primo ambiente di apprendimento in età prescolare
Oltre che per gli aspetti esaminati, l’utilizzo delle fiabe si caratterizza per il suo essere un vero e proprio ambiente di apprendimento capace di agire sull’alfabetizzazione. Questo non solo a scuola, ma anche prima dell’inizio del percorso scolastico, quindi in età prescolare, quando mamma, papà o i nonni leggono fiabe ai loro piccoli.
Oltre al gran valore affettivo che ricopre il momento in cui il genitore dedica il suo tempo al proprio figlio/a, il racconto di una fiaba, dopo aver messo in moto reazioni ed emozioni (curiosità, interesse, suspense, divertimento e così via), favorisce anche una precoce familiarizzazione del bambino con il materiale narrativo, sia scritto sia presentato oralmente[13]. La narrazione di una fiaba, quindi, costituisce la prima strada affinché il bambino possa entrare precocemente in contatto con la lingua scritta ricavandone piacere e insegnamento[14].
Infatti il bambino, ancor prima dell’inizio della “alfabetizzazione formalizzata”, incomincia a imparare indirettamente nuovi termini, ma anche le regole e le caratteristiche organizzative della lingua scritta, tra cui l’organizzazione strutturale, la coerenza (cioè la comprensibilità e non contraddittorietà dei significati espressi), i nessi coesivi (e, che, poiché, quindi, poi, allora …), entra in contatto con alcune regole convenzionali di organizzazione del materiale scritto o disegnato (andamento destra-sinistra, alto-basso, la linea di terra nei disegni eccetera), sviluppa il “pensiero narrativo” (che è la capacità di organizzare le esperienze in forma narrativa), scopre la dimensione spazio-temporale e così via.
Ad esempio la formula tipica con cui inizia una fiaba, “c’era una volta”, fa comprendere al bambino l’esistenza di una dimensione cronologica: c’era una volta in un tempo passato e probabilmente ora non c’è più. Ancora, rende consapevole il bambino dell’esistenza di una dimensione spaziale, offrendo l’informazione dell’esistenza di altri spazi che vanno al di là della propria casa: “in un paese lontano esisteva un regno …”, “il principe viaggiò per mari e monti …” e così via.
Attraverso la narrazione di una fiaba, il bambino attiva anche la capacità di memorizzazione, sviluppa la capacità di interazione, di osservazione (“perché…?) e di quella immaginativa, dilata i tempi di attenzione. L’esposizione precoce dei bambini alle storie, sembra connettersi positivamente anche con le successive acquisizioni di lettura e scrittura.
Durante l’ascolto di una fiaba il bambino scopre anche che l’immagine e le parole scritte si riferiscono e rappresentano qualcos’altro che non è presente. Questo è l’inizio di un nuovo funzionamento cognitivo basato sulla differenziazione significante – significato, importante per le future abilità legate al linguaggio scritto[15].
Nella fase prescolare, dunque, le abilità acquisite grazie alle fiabe diventano «l’anello di congiunzione tra le competenze orali e quelle scritte»[16]. Le fiabe, quindi, non solo sono un primo ambiente di apprendimento capace di connettere e dare senso a una serie di iniziali attività che producono sapere, ma hanno anche una funzione di preparazione ai futuri apprendimenti più complessi.
Le fiabe protagoniste dell’alfabetizzazione
Nella Scuola dell’Infanzia e nelle prime classi della Scuola Primaria, l’utilizzo delle fiabe si caratterizza per il suo essere un vero e proprio ambiente di apprendimento, capace di favorire molte abilità.
La narrazione della fiaba fa aumentare il rapporto sinergico tra pensiero e linguaggio, favorendo lo sviluppo della zona prossimale[17] e aumentando i parametri di autonomia e comunicazione verbale. Le fiabe abituato i bambini all’ascolto e alla comprensione orale del racconto incluso, consentendo di sviluppare idonee competenze linguistiche. Infatti, attraverso l’esposizione del contenuto della fiaba si può verificare le loro competenze linguistiche ed espositive.
Le fiabe, inoltre, grazie allo schema narrativo semplice e ripetitivo, utilizzano e sviluppano strategie di memorizzazione specifiche tra cui la ripetizione, che svolge un ruolo determinante nella memorizzazione e, di conseguenza, nell’apprendimento. Inoltre la ripetizione consente al bambino di impadronirsi di strutture linguistiche nuove facendole diventare parte del loro patrimonio e trasformandole in pensiero verbale. La lettura ad alta voce di fiabe offre anche la possibilità di affinare l’orecchio, di cogliere gli aspetti ritmico sonori del testo. Le fiabe, infine, aiutano il bambino a costruirsi le strutture spazio-temporali.
Interessanti per il nostro argomento sono i lavori proposti da Piero Acler e Lauramaria Fabiani, scrittore di fiabe il primo e insegnante della Scuola Primaria la seconda, su l’alfabetizzazione e la conoscenza dei verbi attraverso le fiabe.
Poiché l’alfabeto è una delle prime grandi conquiste per un bambino, entrambi hanno pensato di aiutarlo ad apprendere ogni singola lettera attraverso una favola mirata. Essi hanno pensato di dar vita a un primo Laboratorio alfabeto. Fiabe e attività per iniziare a leggere e scrivere[18], un buon metodo per lo sviluppo delle prime competenze di letto-scrittura. È una raccolta di fiabe, una per ciascuna lettera, cui sono affiancate schede operative di comprensione del testo, giochi con vocali e consonanti, scrittura e lettura delle medesime. Secondo i due autori, legare ciascuna lettera a una storia che ne definisca le caratteristiche e la renda un personaggio interessante, inciderà sul ricordo che il bambino ha di tale lettera.
Un secondo laboratorio pensato da Piero Acler e Lauramaria Fabiani è quello dei verbi: Laboratorio verbi. Fiabe e attività per la scuola primaria[19], un progetto che, attraverso l’uso delle fiabe, diventa stimolante per apprendere la grammatica.
Conclusioni
Riepilogando, le fiabe aiutano lo sviluppo cognitivo, affettivo ed etico-valoriale. L’aspetto cognitivo del bambino è sviluppato attraverso l’arricchimento della conoscenza, l’ampliamento degli orizzonti intellettuali e culturali, l’esercizio di pensiero, stimolando la formazione di idee, sollecitando le facoltà logiche, affinando lo spirito critico e l’autonomia di giudizio e potenziando le capacità linguistiche ed espressive; l’aspetto affettivo è potenziato grazie al fatto che le fiabe sviluppano e risvegliano emozioni e sentimenti, arricchiscono la fantasia e sollecitano l’immaginazione; l’aspetto etico-valoriale è impreziosito dall’attivazione di processi di identificazione essenziali per l’interiorizzazione di modelli, norme e valori nonché per l’acquisizione di adeguate norme comportamentali, grazie alla definizione e comprensione dei concetti di bene e male, di giusto e ingiusto, vero e falso, bello e brutto e così via.
L’uso delle fiabe dunque riporta a un apprendimento attivo, in grado di stimolare il senso critico e di aprire la mente all’accoglienza di tutte le discipline. L’uso della fiaba a scuola, inoltre, oltre a permettere una sinergia fra didattica generale e personalizzata, può favorire l’integrazione dei ragazzi con Bisogni educativi speciali.
Il raccontare fiabe è in definitiva una modalità di interazione con il bambino assai ricca di potenzialità. Gli scambi comunicativi che l’accompagnano e la notevole circolazione di informazioni che caratterizzano questa attività incentrate sul materiale scritto, sono oggi riconosciuti fondamentali non solo ai fini dello sviluppo del linguaggio orale, ma anche della letto-scrittura, della memoria e in generale per la crescita conoscitiva ed emotiva del bambino.
In un mondo in cui ci travolge nella affannosa ricerca di risposte precise a domande profonde sulla vita, tutti dovremmo leggere una fiaba al giorno per dotarci di chiavi capaci di aprire le porte all’elaborazione di ipotesi, che servano a stimolare processi di elaborazione, interpretazione e comprensione del nostro Io e, soprattutto, per non svuotare completamente la nostra vita dalle emozioni.
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[1] A. Varani, L’ICT come ambiente facilitante per una didattica costruttivista. Informatica e Scuola, n. 1, 2002, così cit. da V.F. De Giuseppe, Variabili d’ambiente nell’apprendimento, in V.F. De Giuseppe, a cura di, Apprendimento: Teorie, Variabili e Strumenti Cognitivi, Simbiosibook, Lecce 2012, p. 19.
[2] I programmi della Scuola Elementare, Premessa generale, II parte, D.P.R. 12 Febbraio 1985, n. 104. Il documento si può leggere nel sito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, all’url http://www.istruzione.it/risultatiGoogle.html?cx=006723571341182141390%3Ac9kivzybxak&cof=FORID%3A10&ie=UTF-8&q=D.P.R.+12+febbraio+1985%2C+n+104&sa.x=0&sa.y=0 e relativo link.
[3] P.G. Rossi, Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di apprendimento, Armando, Roma 2009, p.151.
[4] Sull’argomento cfr. anche A. Carletti, A. Varani, Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie. Nuove applicazioni della didattica costruttivista nella scuola, Erickson, Trento 2007.
[5] Cfr. E. Benini, G. Malombra, Le fiabe per affrontare i distacchi della vita, Franco Angeli, Milano 2008.
[6] Editori Riuniti, Roma 1964. Cfr. anche dello stesso autore, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1973.
[7] Cfr. F. Borruso, Fiaba e identità, Armando, Roma 2005, pp. 49-70.
[8] Cfr. R. Lorenzetti, S. Stame, Narrazione e identità. Aspetti cognitivi e interpersonali, Laterza, Roma-Bari, 2004; P. Borin, Luoghi di eventi emotivi: aspetti psicologici delle fiabe, in F. Cambi, G. Rossi, a cura di, Paesaggi della fiaba. Luoghi, scenari, percorsi, Armando, Roma 2006, pp. 23-33.
[9] Originale The Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales, Knopf, New York 1976, tradotto in italiano in più edizioni.
[10] Ivi, p. 17 dell’edizione italiana del 2001.
[11] Ivi, p. 12.
[12] Per una illusrrazione più completa della natura e dei prodotti del pensiero narrativo di Jerome Bruner rimando ai suoi saggi: Actual minds, possible worlds, Harvard University Press, Cambridge 1986, trad. it. La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari 1988; Acts of meaning. Harvard University Press, Cambridge 1990, trad. it. La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
[13] G. Pinto, Dal linguaggio orale alla lingua scritta. Continuità e cambiamento, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 48.
[14] E. Catarsi, a cura di, Lettura e narrazione all’asilo nido. Bergamo: Junior, Bergamo 2001, p. 48.
[15] Cfr. M.C. Levorato, Le emozioni della lettura, il Mulino, Bologna 2000.
[16] G. Pinto, L. Bigozzi, a cura di, Laboratorio di lettura e scrittura, Erikson, Trento 2002, p.33.
[17] La Zona di Sviluppo Prossimale delimita quelle funzioni che sono presenti nel processo di maturazione del bambino ma che non sono ancora maturate, funzioni che sono embrionalmente già presenti e che matureranno attraverso l’interazione sociale con un adulto (o coetaneo competente). In definitiva ciò che il bambino può fare al proprio livello di sviluppo attuale e cosa può fare se aiutato al suo livello di sviluppo potenziale determina la Zona di Sviluppo Prossimale. Ovviamente questa zona è difficile da individuare con precisione, perché molto variabile e soggettiva, ma grazie alle abilità degli educatori può essere individuata e plasmata. Sull’argomento cfr. E.R. Hilgard, G.H. Bower, Theories of Learning, Appleton, New York 1966, trad. it. Le teorie dell’apprendimento, Franco Angeli, Milano 1971.
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[18] Erickson, Trento 2010.
[19] Erickson, Trento 2013.