SAPER LEGGERE E SCRIVERE : UNA PROPOSTA CONTRO IL DECLINO DELL’ITALIANO A SCUOLA

LETTERA DI 600 DOCENTI UNIVERSITARI SULLE CARENZE IN ITALIANO DEI LORO STUDENTI

Presentiamo la lettera di oltre 600 docenti universitari che chiedono al governo e al parlamento interventi urgenti per rimediare alle carenze in italiano dei loro studenti.


Al Presidente del Consiglio
Alla Ministra dell’Istruzione
Al Parlamento

SAPER LEGGERE E SCRIVERE : UNA PROPOSTA CONTRO IL DECLINO DELL’ITALIANO A SCUOLA

È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.
A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato, anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema.
Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti.

A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:
– una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni;
– l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano.
– Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola.

Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base. Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro.

Iniziativa promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità Email: gruppodifirenze@libero.it


ALCUNI COMMENTI DEI FIRMATARI

 

Aderisco incondizionatamente. Circa i tre quarti degli studenti delle triennali sono di fatto semianalfabeti. È una tragedia nazionale non percepita dall’ opinione pubblica, dalla stampa e naturalmente dalla classe politica. Apprezzo che finalmente si ponga il problema.

 

Ahimè, ho potuto constatare anch’io i guasti che segnalate, dal momento che il mio esame è scritto e ne vengono fuori delle belle…

 

È francamente avvilente trovarsi di fronte ragazzi che vogliono intraprendere la professione di giornalista e presentano povertà di vocabolario, scrivono come se stessero redigendo un sms, con conseguenti contrazioni di vocaboli, o inciampano sui congiuntivi. Fortunatamente si incontrano anche ragazzi in gamba e preparati.

 

Dedico ormai una buona parte della mia attività di docente a correggere l’italiano delle tesi di laurea. Purtroppo l’insegnamento di base, invece di concentrarsi su poche ed essenziali competenze, tende ad ampliarsi e a complessificarsi a dismisura, coi risultati che constatiamo. Le maestre elementari – spesso bravissime e motivatissime – devono obbedire a un sacco di circolari che le inducono a fare le assistenti sociali. La situazione, poi, è resa oggettivamente problematica dalla latitanza di troppe famiglie, che mandano a scuola bimbi incapaci di una normale convivenza.

 

Anche la mia università ha organizzato corsi di recupero, ma non possono sanare le lacune remote dei nostri studenti.

 

Spero che le esigenze alla base della lettera/appello che mi ha inviato siano condivise da molti, dentro e fuori la scuola! Certamente lo sono da me.

 

Proprio in questi giorni mi sono opposto, nel mio Dipartimento, alll’istituzione di corsi di recupero di italiano, e proprio adducendo come mia motivazione che questo è il compito della scuola e non dell’università. Insomma, sono d’accordo.

 

È evidente che rimediare alle gravi deficienze degli studenti universitari è quasi impossibile. Occorre intervenire  sugli anni della scuola secondaria di primo e di secondo grado e da questo punto di vista conoscerete l’iniziativa dei Lincei per una nuova didattica.

 

La questione che voi sollevate mi prende sempre molto. Anzi, è il vero problema della scuola! Quindi aderisco con entusiasmo alla vostra iniziativa, che spero trovi il seguito che merita!

 

Mi confronto purtroppo quotidianamente con questo ‘regresso’ della conoscenza dell’italiano scritto (e spesso anche parlato…). Per cui aderisco toto corde.

 

Mi è capitato di incontrare in treno una studentessa che non riusciva a capire cosa significasse “penultima” lettera del PNR del suo biglietto.

Da parte mia avevo proposto di introdurre un “esame” di valutazione per l’immatricolazione all’università consistente nell’accertamento della conoscenza della lingua italiana (e anche di conoscenze di base).

 

Constato quotidianamente il problema delle competenze linguistiche.

 

Vi segnalo che, anni fa, avevo aperto un dibattito sul giornale dell’università, con un articolo sul tema dell’eccessiva indulgenza verso gli studenti privi di nozioni di base.

 

Sottoscrivo con convinzione! Problema drammatico…

 

Aderisco all’iniziativa, sottoscrivendo la denuncia delle carenze linguistiche di base nella popolazione più giovane, precisando che tali carenze riscontro quotidianamente, in ragione del mio ambito professionale, tanto negli studenti universitari (purtroppo anche negli iscritti alle Facoltà giuridiche) quanto nei funzionari della pubblica amministrazione; e sia nella comunicazione verbale, sia nella redazione dei testi scritti (compiti, tesi, provvedimenti amministrativi).

 

Sono d’accordo su tutto. Vorrei anche che si riuscisse, se possibile, a controllare la
pubblicità che si sente in televisione come ad es. quella di qualche mese fa: se portavi il casco questo non ti succedeva… E ho sentito varie pubblicità dove ogni uso del congiuntivo e del condizionale è completamente ignorato.

 

Aderisco. Ritengo anzi che l’italiano debba essere curato anche nel secondo ciclo
scolastico, dove invece si pensa addirittura di insegnare alcune materie
fondamentali in inglese (tra l’altro, senza che i docenti abbiano le necessarie competenze linguistiche per poterlo fare). Un Paese che perde la sua lingua perde la sua identità.

 

Aderisco provando una certa vergogna per la stessa necessità di questo appello.

 

A dire il vero mia figlia ha avuto ottimi insegnanti di italiano alle elementari e soprattutto alle medie. Alcuni miei studenti hanno una buona padronanza dell’italiano, ma il problema esiste. La maggior parte degli studenti ha delle carenze gravissime che non si riescono più a colmare all’università e tanto meno con la redazione della tesi.

 

La situazione appare davvero drammatica e bisognerà pur trovare un rimedio alla deriva.

 

Ritengo che quanto richiesto nell’appello sia un’esigenza imprescindibile per la crescita civile e culturale del nostro Paese.

Un riscontro davvero drammatico si ha, ad esempio, nella correzioni dei temi anche a livello di Dottorato, quando l’allievo non dispone di pc né di libri, ma solo di un dizionario: la massima parte non arriva al livello della scuola media che frequentai negli anni ’60, pur essendo evidente, a volte, che i contenuti sono conosciuti anche bene. È come essere muti.

 

Approvo e lodo l’iniziativa. Le carenze che evidenzia sono gravi e manifeste (e non lo dico solo da insegnante).

 

Proprio in questi giorni, dopo aver corretto decine di test scritti, ho pensato che il livello delle conoscenze di base e di esposizione si è visibilmente abbassato. Memore delle esperienze fatte insegnando al liceo, mi chiedevo se non fosse opportuno adottare un piano di recupero sia per la scrittura che per l’esposizione orale. Unico problema è che noi siamo archeologi e avremmo anche dei programmi corposi da seguire.

 

Sottoscrivo con ferma convinzione questo appello. Per esperienza so delle carenze ortografiche e lessicali degli studenti universitari.

 

Sono docente di (analisi) matematica e la conoscenza della lingua non può che essere un aiuto vitale per la mia disciplina.

Aderisco perché lo scadimento linguistico degli studenti universitari è arrivato a livelli intollerabili e non possiamo formare cittadini che non siano padroni del primo strumento civico: la capacità di espressione delle loro idee in maniera corretta e la comprensione critica di quelle degli altri.

Aderisco assai volentieri a questa lodevolissima iniziativa! Quella che descrivete è una vera emergenza.

Durante gli anni di insegnamento universitario ho sempre proposto ai miei studenti delle esercitazioni scritte e ho riscontrato – specie nell’ultimo ventennio – che una notevole percentuale di essi aveva delle difficoltà, in qualche caso assai gravi, ad esprimersi correttamente. D’altronde ormai analoghe difficoltà capita non di rado di osservarle anche sulla carta stampata, per non parlare del web.

L’università non è il luogo dove recuperare queste lacune. Mi rifiuto di pensarlo e – di certo – mi rifiuto di agire in tale direzione. Quando mi capita uno studente che non sa scrivere, le/gli dico: “Si faccia aiutare e faccia rivedere la sua tesi a qualcuno che sa scrivere in italiano!”. Rifiuto di fare il “Maestro di Vigevano”.

 

Finalmente! Aderisco in pieno e con entusiasmo! Nelle tesi non usano il congiuntivo o lo confondono col condizionale, sbagliano la “consecutio temporum”, ignorano i periodi ipotetici.

 

Sono anni che mi lamento del fatto che nelle tesi di laurea (al sesto anno di Medicina) devo correggere ortografia, grammatica e sintassi.  E qualche studente mi ha pure risposto con sufficienza: “Devo fare il medico, mica lo scrittore…”.

 

Aderisco al vostro appello in difesa dell’indispensabile ruolo centrale nella didattica delle competenze linguistiche di base.

 

La mia attuale esperienza di Coordinatore del Corso di Studi triennale in Lettere conferma pienamente la valutazione espressa nella lettera-appello; aggiungo che finora i “progetti” studiati e attuati per aiutare le matricole in difficoltà a colmare le lacune di italiano NON hanno sortito effetti significativi, né confortanti, segno che il problema esiste ma non può essere risolto a livello universitario.

 

Aderisco con entusiasmo al vostro appello per la difesa della centralità della didattica delle competenze linguistiche di base; i corsi di recupero che vengono organizzati annualmente e con grande difficoltà, considerata anche la penuria delle risorse di ogni tipo, rappresentano una conferma dei problemi che vengono messi in luce nella lettera.

 

Aderisco ben volentieri alla lettera/appello sottoscrivendone totalmente i principi ispiratori. Non può immaginare come noi universitari dobbiamo confrontarci quotidianamente con le carenze di base degli studenti che fanno rabbrividire specialmente in facoltà umanistiche.

 

Aderisco in qualità di pedagogista, dopo aver studiato per anni le condizioni
apprenditive ottimali della lingua italiana nelle sue varie competenze e di altre abilità di base nel corso del Novecento sia nella Scuola Primaria sia nell’ambito dei Corsi secondari.

 

Sono un matematico, e, proprio per questo, ritengo necessario porre al centro dell’insegnamento l’apprendimento linguistico. Leggere, scrivere, esprimersi con precisione, sapendo quel che si dice, sono capacità essenziali, nella vita quotidiana come nella scienza. Subito dopo, come importanza, viene il pensiero matematico.

 

Insegno al primo anno di Scienze della comunicazione e riscontro quotidianamente le carenze evidenziate dalla lettera.

 

Purtroppo ciò che la lettera dice è drammaticamente vero.

 

All’interno dell’anno scolastico troppo tempo viene dedicato ad attività che ben poco hanno a che fare con i programmi, favorendo il diffondersi di una sciatteria didattica, a cui più tardi non c’è più modo (o tempo) per porre rimedio.

 

Credo che la deriva dell’istruzione sia legata anche ad una  svalutazione degli insegnanti e alla difficoltà di far seguire comportamenti utili all’apprendimento agli studenti.

 

Posso affermare che il problema esiste e di anno in anno assume risvolti dire quasi “drammatici”, che emergono nel momento in cui gli studenti devono affrontare per l’esame una prova scritta o durante la stesura della tesi di Laurea. Sono stati proposti anche qui corsi di recupero, ma da più parti è stato fatto notare che le competenze linguistiche gli studenti avrebbero dovuto acquisirle nei cicli scolastici e non al momento del loro ingresso all’Università.

 

Con riferimento alla lettera in oggetto, convintamente ADERISCO,  esprimendo la necessità di una programmazione didattica sulle  competenze linguistiche di base che si fondi sulle migliori evidenze della ricerca scientifica e non rincorra innovazioni didattiche prive di fondamento o giustificazione razionale.

Aderisco a questa iniziativa estremamente opportuna, nella speranza che la scuola italiana sia ancora in tempo per invertire una tendenza sciagurata, consolidatasi nell’arco di diversi decenni.

Aderisco pienamente a tutte quelle iniziative che possano eliminare nei giovani
questa ormai diffusa intollerabile incapacità d’usare e praticare  correttamente la nostra lingua.

 

Ritengo profondamente aberrante che alcuni Atenei siano indotti a organizzare corsi di recupero e penso che le competenze linguistiche di base – insieme a quelle logico-matematiche e alle conoscenze storiche e geografiche – dovrebbero avere, o recuperare, centralità nell’insegnamento a livello primario e secondario inferiore.

 

Si vorrebbe insegnare a ragazzi di undici o dodici anni a collaborare nella scrittura di testi; Spesso si coinvolgono i ragazzi della scuola media in iniziative di ricerca molteplici, frammentarie, che investono la geografia, la storia, ecc., di solito richiedendo di attingere notizie e nozioni dal web, e così via. Non dico che queste iniziative siano tutte criticabili; però la loro mole, frequenza, varietà, la loro calibratura spesso velleitaria, pesa moltissimo, a mio modo di vedere, sulla didattica, sottraendo spazi preziosi ad una solida costruzione delle competenze linguistiche

 

Come docente universitario di una materia umanistica verifico continuamente le gravi lacune della maggioranza degli studenti nell’uso della lingua scritta, lacune che, anche con la più eroica abnegazione personale (e non dovremmo essere tenuti ad essere eroici), è impossibile colmare al momento dell’elaborazione delle tesi. Sostengo dunque appieno la vostra iniziativa e spero che possa avere successo.

 

Ogni giorno riscontro lacune sempre più gravi tra gli studenti, incapaci ormai di scrivere o analizzare le  frasi più semplici. Dobbiamo ritornare all’analisi logica e  grammaticale e, dall’altra parte, al piacere della lettura fine a se stessa.

 

Aderisco con convinzione e piacere a questa “battaglia” sacrosanta contro lo scadimento della pratica della lingua italiana a tutti i livelli e lo scarsissimo conto in cui sempre più essa è tenuta.

 

Numerosissimi i “Sottoscrivo con entusiasmo”. Molti i docenti che hanno anche contribuito a diffondere la lettera-appello.