Educazione alla Flessibilità

Educazione alla FLESSIBILITA’

di Claudia Fanti

Da dove cominciare?

Siccome siamo immersi nella neve, ma anche nel rigido rigore dei signori del governo, bisognerà difendersi con un po’ di calore. O no? Allora via a preparare un bel programma di motoria come educazione alla flessibilità con un pacchetto di esercizi alla moda ultima: allenamento per rendere disarticolati! Pacchetto multidisciplinare. Arte e spettacolo: l’uomo e l’alienazione da lavoro fisso; storia e filosofia: il lavoro fisso come involuzione del progresso; italiano: la flessibilità, antidoto alla monotonia del lavoro; musica: educazione alla disarmonia del lavoro precario; tecnologia: uso del web per cercare lavori instabili antinoia nel più breve tempo possibile; matematica e statistica: costruzione di tabelle per archiviare dati di possibilità relativi alle molteplici occupazioni probabili; geografia: introduzione all’uso di mappe tematiche sulla distribuzione dei lavori flessibili sul territorio; religione: il lavoro fisso come male da esorcizzare; educazione alla cittadinanza: attività volte a sostenere le persone con sindrome depressiva da lavoro fisso…

Forse dimentico qualche materia, a causa di tutta la tensione che mi crea il dover dimenticare che:

  1. il posto fisso è un antidoto contro la fragilità, contro la monotonia della ricerca del nido senza trovare mai posa.
  2. E’ un’ancora di salvezza contro il senso di morte gelida che la politica ci propina ogni giorno.
  3. E’ un luogo, un tempo che ti fa dire “sono viva”, esisto per qualcosa e per qualcuno, siano quel qualcosa e quel qualcuno la società, la famiglia, il datore di lavoro, la cosa che costruisco con le mie mani.
  4. E’ quel tempo in cui stringo relazioni, in cui nascono e si appianano i conflitti, in cui parlo con i colleghi e le colleghe.
  5. E’ il luogo delle mie competenze, di quelle che posso condividere e orgogliosamente riconoscere dopo anni di applicazione e devozione a un’idea, a un progetto.

Tu, signore del mio governo, tu che ti trovi su quel posto che non vedi l’ora, dici tu, di abbandonare, tornerai alle tue sudate carte, ne annuserai l’odore conosciuto, rassicurante. Ti guarderai indietro e ti piacerai o non ti piacerai, ma sarai consolato dalla visione di una continuità, di uno studio che ti ha permesso di salire in alto in alto fino a diventare signore di te stesso e morirai con la serenità che dà l’aver trovato luogo e tempo per te.

Non credere signore che noi non ti capiamo quando ci parli con quel tono pacato, sereno, distaccato, a volte rotto da qualche cedimento che fa tanto umano.

Tu e l’altro potere che è quello dei media che ti danno voce concedendo a volte un contraddittorio dove tu non sei più e non potrai sentire, siete le due facce della medaglia di una sirena moderna che usa le parole come un refrain inestinguibile, martellante per ottundere le coscienze, per annichilire la capacità di discernere dei tanti che stanno lì appesi a una speranza di cambiamento.

E dite e dite e dite sempre le stesse cose fino a farle entrare non soltanto nel lessico quotidiano, ma addirittura nel sogno di un cambiamento agognato: quello di un’ Italia più giusta. Ed è proprio questo che non è perdonabile: la distruzione del sogno. Anzi dei sogni di tutti i piccoli senza volto che non ce la fanno a diventare grandi a causa della loro remissività ai vostri dictat. Una remissività che confonde l’argomentare libero, depista le idee più rivoluzionarie assoggettandole alla continua vostra somministrazione di ricette per la vita.

Girando per la strada, nei luoghi di lavoro, la gente parla ormai come voi: ha acquisito il vostro lessico e non ne trova un altro. Replica e si fa replicante sacrificando se stessa alla vostra idea di un sistema economico che sarà più bello grazie alla flessibilità, alla rinuncia del tempo lento dell’apprendimento e del consolidarsi di tale apprendimento. Una visione di un mondo di senza storia personale. Sì, perché non tutti hanno la grazia di accedere a lavori di soddisfazione, emozionanti, gratificanti come voi, come lei egregio Presidente del Consiglio.

Lei vede il suo mondo e il nostro come mondi identici a cui lei, i suoi collaboratori, i politici in parlamento e noi saremmo chiamati agli stessi sacrifici. Usa il noi, mai il voi…le chiedo per favore di usare il voi…sarebbe più equo, non le pare?

La noia è una condizione che si può conoscere soltanto quando non si ha nulla a cui pensare, oppure quando si ha la pancia piena, o ancora, quando non si ha tempo di riflettere intorno alle proprie conquiste.

Non quando si è circondati da colleghi e colleghe che ti stimano per ciò che hai fatto nel tuo lavoro fisso, quando a casa (in quella agognata da tutti) trovi i tuoi bambini che hai potuto far crescere bene grazie al tuo lavoro, quando i tuoi progetti di vita sono sostenuti dalla sicurezza che dà la consapevolezza che sei importante per le persone che ritrovi il giorno dopo al lavoro che ti sei scelto o che hai trovato per caso e a cui poi hai dedicato il tuo tempo prezioso.

La noia sta diventando una dimensione sociale, sta sommergendo i tanto da lei amati giovani che ormai giovani stanno per non essere più (si invecchia in fretta sa, quando si sbatte contro i muri giorno dopo giorno), sta affliggendo la marea di laureati a cui pensate perfino (assurdo il pensarlo in un momento come questo!) di togliere valore al loro “pezzo di carta”, sta portandoli alla deriva psicologica e culturale fino a toglier loro anche la voglia di leggere un giornale…

La noia! Nessuno che abbia un lavoro fisso oggi si annoia, ma voi a dire che si annoia! Alla fine qualcuno ci crederà pure visto che glielo si dirà per mesi e magari perderà il posto contento di non annoiarsi più! E vi ringrazierà! Sì, me li vedo a ringraziarvi in ginocchio per aver loro tolto un peso…in fondo sui sessant’anni magari viene a noia il lavoro e si desidera essere meno garantiti come i “giovani” e può darsi anche che si desideri il sussidio che sarà meglio della pensione. Chissà, forse…

Forse la noia, mai conosciuta, sarà la molla che farà dire “che bello, ho perso il lavoro per cui ho lavorato tutta la vita!” Ha presente quei vecchi film sul condizionamento, sulla propaganda che rendeva tutti un po’ decerebrati, ammansiti, innocui…Se li è rivisti? dica la verità!

O forse no, lei proprio crede a ciò che sostiene, perché talmente grande è la convinzione che ha una mission da portare a termine per il bene degli altri che perde di vista l’uomo, la donna e il loro desiderio estremo di fare nido, di avere figli all’età giusta, magari in modo naturale, senza l’uso di fecondazioni di varia tipologia in età avanzata, perché prima, da giovane, non ci si era voluti annoiare.