I neuroni specchio, la didattica trasmissiva e…Vales

I neuroni specchio, la didattica trasmissiva e…Vales

di Cinzia Mion

 

Mi sono spesso chiesta, durante le mie peregrinazioni in giro per l’Italia a fare formazione ad insegnanti e dirigenti scolastici, cosa mai impedisse la ricaduta, a livello della propria pratica professionale, di quegli apprendimenti che loro stessi dimostravano teoricamente di apprezzare e di comprendere.

Quando ho scoperto Jack Mezirow e le sue ricerche sull’”apprendimento trasformativo” degli adulti – apprendimento così difficile da raggiungere perchè condizionato da vecchi schemi di significato, assunti precocemente, funzionali a vecchie e superate prospettive di significato – ho subito pensato e comunicato ai vari corsisti che la ragione di tale resistenza era diventata chiara.

Mezirow infatti spiega come questi “vecchi” schemi di significato agiscono in maniera inconsapevole mediante codici percettivi e concettuali per formare, limitare e distorcere il nostro modo di pensare, di credere e di sentire, nonché il come, il cosa e il quando e il perché del nostro apprendimento. E’ inequivocabilmente dimostrato che noi, dopo certe esperienze precoci che diventano significative, tendiamo successivamente a fare nostre solo le ulteriori esperienze che corrispondono al nostro iniziale schema di riferimento interiorizzato precocemente – tacitamente attivo a nostra insaputa – e tendiamo a scartare quelle che si discostano.

I docenti e i dirigenti – tenuti e presidiare la qualità dell’insegnamento-apprendimento della scuola di cui sono responsabili – soltanto attraverso questa consapevolezza, se accettata ed assunta in tutte le sue inevitabili conseguenze, potranno approdare ad un “apprendimento trasformativo” delle loro prassi professionali o a sollecitarlo nei docenti assegnati.

 

La valutazione

Anche la famosa  prassi valutativa, messa oggi più che mai sotto la lente di ingrandimento, dovrebbe essere guardata attraverso questa consapevolezza , per provare a capire perché viene ancora confusa spesso con l’attività di misurazione e perché comunque quasi sempre viene ricondotta alla valutazione sommativa, nonostante anche le Indicazioni per il curricolo raccomandino che nella scuola dell’obbligo la funzione della valutazione debba essere soprattutto formativa.

Nonostante le critiche sociopolitiche, docimologiche e psicologiche che si sono succedute, la valutazione è rimasta identica nella maggior parte dei casi, condizionata dai vecchi schemi di significato che nemmeno la L.517 del ’77 è riuscita a scalfire.

Sono solo stati trasformati i voti numerici decimali in giudizi. Oggi invece è stato fatto il processo contrario : i giudizi sono stati ri-trasformati in voti. Il resto è rimasto tale e quale. La didattica è rimasta nella maggior parte dei casi, salvo rare eccezioni, in modo imperterrito trasmissiva , soprattutto alla scuola secondaria di primo grado e di secondo grado. La triade : spiegazione, studio individuale, interrogazione scritta od orale – con richiesta di restituzione delle conoscenze spiegate, comprese, memorizzate, quindi apprese, con misurazione-valutazione conseguente –  è rimasta in modo quasi imperturbabile immobile nel tempo.

Le ricerche della comunità scientifica di psicologia dell’apprendimento scolastico sono passate, negli ultimi 90 anni, dal modello neobehaviorista di acquisizione delle conoscenze attraverso l’addestramento ( stimolo-risposta-rinforzo) – mediante la riproposizione frequente e rituale dello stimolo, pena l’estinzione della risposta – alla epistemologia piagetiana che subordinava l’apprendimento alla formazione e maturazione di strutture mentali; “all’andare oltre l’informazione data” attraverso l’inferenza logica su base strutturalista di bruneriana memoria fino al cognitivismo che assimila la mente ad un software del computer (information processing) per approdare alla fine all’approccio socioculturale vigotskiano dove il concetto di “comunità di apprendimento” è basilare.

All’interno della comunità che apprende dovrebbe scaturire  una costante palestra di “pensieri riflessivi” che costruiscono la cosiddetta intelligenza  interattiva ed intersoggettiva in grado di dare “senso” all’attività scolastica,  attivando partecipazione consapevole ed appassionata.

Questo percorso teorico della psicologia dell’apprendimento non  ha però innovato la didattica che è rimasta come dicevo, tranne pochi casi, sostanzialmente trasmissiva.

Continua ad esistere uno iato notevole tra la cultura professionale disciplinare e anche metodologica a livello teorico – acquisita negli ultimi tempi anche all’Università attraverso le SSIS – e le  prassi didattiche dei docenti.

Soltanto le associazioni professionali dei docenti (AIMC, CIDI, MCE, ecc.) hanno costituito nel tempo delle “comunità di pratica” attive ed aggiornate nel formare gli iscritti a prassi didattiche aggiornate.

Perché allora questo ritardo?

La domanda cruciale che negli ultimi tempi rivolgo ai corsisti è “Da chi hai imparato ad insegnare? Da chi hai imparato a valutare?

La risposta , quando affiora la consapevolezza della base iniziale della professionalità, è sempre la stessa : “dai miei insegnanti!” e questo vale anche per i dirigenti, per quanto attiene la competenza valutativa nei confronti dei docenti.

Naturalmente l’hanno imparato, quasi inconsapevolmente, vedendolo fare.

 

I neuroni specchio

E qui mi viene in soccorso la recente scoperta da parte delle neuroscienze dei cosiddetti “neuroni specchio” che dimostrano come noi siamo dotati di determinati neuroni che si attivano nel nostro cervello quando osserviamo compiersi davanti a noi un atto motorio intenzionale, allo stesso modo in cui si attivano in chi compie l’atto stesso.

Questa imitazione che non è intenzionale ma automatica viene definita “simulazione incarnata” dal prof. Vittorio Gallese che, insieme al prof. Rizzolatti, ha fatto questa importante scoperta.

Avere avuto da parte di quasi tutti gli studenti italiani, a partire dagli anni 60 in poi (da quando la scuola è diventata di massa ma potremmo risalire anche a molto prima per quanto attiene la cosiddetta scuola elitaria ) un corpo docente che ha utilizzato una didattica trasmissiva frontale, ha perpetuato generazioni successive di altri docenti con la stessa automatica formazione “incarnata”.

A questo imprinting fissato precocemente attraverso la simulazione incarnata diventa molto difficile imprimere una “trasformazione”, alla luce non solo dei neuroni specchio ma anche di quello che afferma Mezirow sull’apprendimento degli adulti.

Comunque ciò potrà avvenire soltanto attraverso un “fare alternativo”  a quello introiettato.

Andando a spulciare dentro all’intervista che ho fatto a Gallese nel luglio del 2010,  pubblicata da Rivista dell’istruzione n° 6 del 2010,  Gallese afferma esplicitamente, facendo riferimento ai neuroni specchioParadossalmente ci sono due poli estremi che hanno introiettato questo modello (la didattica del fare dell’apprendistato cognitivo) :la scuola dell’infanzia , dove vedo i miei figli lavorare in questo modo, e l’istruzione post-universitaria come il dottorato di ricerca. Tutti gli altri gradi di istruzione intermedi mi sembrano ancora fermi a una concezione ormai superata della didattica.”

Sia ben chiaro, anche la didattica trasmissiva qualche volta produce dei buoni effetti. Non a caso generazioni di studenti sono diventati nel tempo eccellenti professionisti dopo una didattica scolastica trasmissiva, attraverso però un successivo adeguato apprendistato professionale. Esistono infatti processi mentali di rielaborazione ed approfondimento  in grado di creare autonomamente connessioni intelligenti tanto da rendere “significativo” e non solo “meccanico” l’insegnamento ricevuto (Ausubel).

Il problema però rimane e possiamo riformularlo in questi termini : quanti sono gli allievi in grado di attivare da soli i processi mentali cognitivi e metacognitivi tali da raggiungere l’auspicata riflessività?  Quando poi al giorno d’oggi vengono richieste non solo conoscenze ma anche competenze sia disciplinari che trasversali, opportunamente integrate a livello approfondito ed in grado di essere mobilitate in funzione del “problem solving”, ci chiediamo :- Sarà adeguata una didattica solo trasmissiva?

La risposta non può che essere negativa.

D’altronde lo affermano anche le recenti Linee Guida per gli Istituti Tecnici e Professionali per il 2° biennio e 5° anno che,  ad un certo punto, dopo aver auspicato che venga superata una impostazione tradizionale della Scuola italiana, che risente di una impostazione gentiliana difficile  da superare, recitano :”Il miglioramento della qualità dell’offerta di istruzione e formazione si realizza, inoltre,  con l’adozione di metodologie didattiche innovative…

Si fa poi riferimento ad una didattica laboratoriale, diffusa non solo alle discipline tecnologiche ma a tutte le discipline del curricolo, didattica laboratoriale improntata alla pedagogia collaborativa del compito condiviso e del progetto che rendono l’allievo protagonista dei propri apprendimenti, attraverso l’interdipendenza tra dimensione teorica e dimensione operativa delle conoscenze, fino a costruire dei saperi di tipo professionale.

 

Alla luce di queste osservazioni bisogna anche rivedere seriamente la formazione dentro al TFA.

Al  tirocinio formativo attivo va allora assegnato un compito molto impegnativo. Attualmente dubito che le Università, con i loro saperi accademici, siano in grado di ottemperare ad insegnare attraverso la pratica le didattiche innovative.

Nemmeno tutte le scuole che si offrono per l’esperienza del tirocinio diretto riusciranno a farlo, a meno che i loro migliori docenti sul campo non abbiano già provveduto, attraverso un apprendimento trasformativo, a modificare realmente le loro didattiche. Quanti sono però questi docenti?

 

Ruolo dei dirigenti scolastici

I dirigenti scolastici , che naturalmente provengono dal ruolo docente, dovrebbero rendersi consapevoli e rendere consapevoli a loro volta i rispettivi insegnanti della presente problematica e della necessità di avviare una fertile formazione in servizio, naturalmente di tipo laboratoriale, attraverso la quale trasformare veramente la didattica.

 

Il Progetto VALES

 Il processo di miglioramento, previsto dal programma Vales – ben venga finalmente la possibilità di avviare la cultura della valutazione anche per i docenti – quale pregnanza potrà mai avere se non avverrà questa presa forte di consapevolezza e se la “comunità professionale” non se ne farà carico, provando e riprovando, a trasformare la sua prassi attraverso un reale nuovo “apprendistato”?