Alla ricerca dell’anima
di Antonio Stanca
La giovane americana Sara Houghteling, laureata a Harvard, dopo il Master in Storia dell’Arte all’Università del Michigan ha ottenuto una borsa di studio che le ha permesso di svolgere ricerche per un anno a Parigi. Da queste ha tratto l’idea per un romanzo che è diventato Il mercante dei quadri perduti. Nel 2009 è comparso nella versione originale ed ora, in Italia, è stato edito dalla BEAT, Grafica Veneta, con la traduzione di Massimo Ortelio (pp. 279, € 9,00).
È stato l’esordio letterario della Houghteling e riuscito lo si può considerare perché ha avuto successo a livello internazionale e perché ha ricavato dall’esame di un particolare momento storico, la Francia degli anni della seconda guerra mondiale, la Francia invasa dai tedeschi e poi liberata dagli alleati, gli elementi necessari per costruire una narrazione, ha trasferito in letteratura la storia, ha superato i limiti, i confini di tempo, di luogo e raggiunto significati più ampi, più estesi.
Quando, durante la seconda guerra mondiale, i soldati tedeschi arrivarono a Parigi c’erano già stati degli allarmi negli ambienti dei mercanti d’arte, dei galleristi, dei collezionisti. Questi erano soprattutto ebrei, cioè particolarmente invisi ai tedeschi, e trattavano delle opere dei maggiori autori, pittori, scultori del momento e di altre dell’arte antica e del Terzo Mondo. I tedeschi s’impadronivano di tali patrimoni nei modi più immediati compresi quelli della rapina e della confisca. Delle opere sottratte riempivano intere carrozze ferroviarie che avevano come sola destinazione la Germania. Riuscivano a scoprire anche le opere nascoste e se ne appropriavano mentre i loro proprietari erano lontani perché fuggiti. Quando nel 1944, in seguito alla sconfitta della Germania, si ritornerà a Parigi per molti di quei proprietari sarà difficile, impossibile riordinare, ricostruire quanto avevano lasciato poiché tra rovine e distruzioni si ritroveranno. Rinunceranno ad un’operazione di recupero ma ci sarà qualcuno, Max Berenzon, figlio del noto gallerista e mercante d’arte Daniel, che continuerà a credere, a sperare nella possibilità di ritrovare le cose perdute. Per lui l’arte non ha soltanto un valore concreto, economico ma anche e soprattutto uno morale, sentimentale, è voce, espressione dell’anima. Non come suo padre pensava riguardo all’arte ma in maniera diversa, con essa comunicava nello spirito. Perciò, nonostante i molti ostacoli, si metterà alla ricerca dei “quadri perduti” dal momento che da essi si sentiva richiamato. Altri sentimenti gli faranno compiere un’altra ricerca, quella di una giovane donna, Rose, che nella galleria paterna aveva lavorato e della quale si era innamorato. Non avranno esiti positivi le sue ricerche, molti rischi e pericoli gli comporteranno e alla fine del romanzo lo si vedrà emigrato in America, qui impiegato quale medico, sposato e con figli.
Il tempo dell’opera è quello dell’infanzia e della giovinezza di Max. Ad esso fa da sfondo continuamente mosso ed animato la Parigi degli anni ’40, quella della seconda guerra mondiale, la Parigi invasa dai tedeschi ed esposta ad ogni tipo di clandestinità, d’illecito, di violenza, la città che perde il primato culturale, artistico detenuto per tanto tempo tra le capitali europee. A tale situazione, però, c’è ancora chi si oppone e la combatte, Max Berenzon. Degli anni della sua formazione scrive la Houghteling e mostra come questa sia avvenuta all’insegna di principi e valori ideali, trascendenti pur in ambienti degradati dalle circostanze. Max ha continuato a credere anche quando niente lo aiutava, ha affrontato gravi disagi, è entrato in contrasto con il padre, è fuggito da casa, è vissuto da povero per seguire l’idea e il valore della sua impresa rimane anche se non è stata coronata da successo. Essa è valsa a formarlo, un romanzo di formazione è Il mercante dei quadri perduti. E che un genere letterario così antico sia stato perseguito in un contesto sociale così moderno e così diverso, che abbia voluto essere vero in molte parti, come la stessa autrice dichiara alla fine dell’opera, non riduce il suo significato, non sminuisce la sua dimensione ideale. Se poi si osservano la sicurezza e la chiarezza del linguaggio, si spiega come la Houghteling abbia avuto successo anche in ambito straniero, come il contenuto e la forma rimangano essenziali per un’opera d’arte.
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