Quando muore un cantastorie
di Antonio Stanca
Generale è stata la commozione suscitata dalla notizia dell’improvvisa morte del cantautore Lucio Dalla che Domenica 4 Marzo, quando ci saranno i funerali a Bologna sua città natale, avrebbe compiuto sessantanove anni.
Non si farà mai abbastanza per dimostrare come Dalla sia riuscito a coinvolgere intere folle, non solo di giovani, nei suoi spettacoli né si riuscirà mai a chiarire che il suo fenomeno non appartiene solo alla canzone ma anche alla letteratura, alla poesia, all’arte. Lo spettacolo è servito a Dalla per far giungere agli altri i significati che nella scrittura dei testi otteneva per conto proprio. Cantando egli faceva sapere cosa scriveva, perché scriveva, cosa pensava. Il suo era un bisogno prima personale, Dalla era prima scrittore e come tale non poteva sottrarsi al richiamo dello spirito, ai bisogni dell’anima. Poi era il cantore di quanto tali necessità lo avevano portato a produrre, poi voleva far partecipare gli altri dei suoi risultati. Egli muoveva dalla realtà quotidiana, da ciò che succede o è successo in tempi passati, da come si vive o si è vissuto, dalla condizione dei giovani, da avvenimenti o personaggi memorabili, da tutto quanto è stato o è vita e ne traeva valori, significati più estesi nei quali tutti potevano riconoscersi. Un cantastorie è stato che come quelli antichi voleva parlare, far capire con facilità, con chiarezza ciò che nella vita è necessario perché essa sia dell’uomo, perché rimanga a sua dimensione. Una rivalutazione, una riabilitazione ha perseguito di quanto è sempre valso e che con i tempi moderni, con i loro gravi problemi rischia di essere smarrito, di quei principi morali, di quel bene, di quell’amore, di quell’unione, di quella pace che primari, determinanti, comuni sono sempre stati. Un richiamo giusto può essere considerato il suo, di genere religioso può essere ritenuto il suo messaggio, preghiere possono essere giudicate le sue canzoni perché impegnate ad evocare l’aspetto inalterabile, eterno, sacro della vita, a far valere, promuovere la spiritualità utile a combattere la crisi, lo scadimento che la modernità ha comportato. Un’opera di evangelizzazione voleva compiere con i suoi versi intimi, profondi, i suoi toni alti, solenni e quando ogni altro modo era divenuto impossibile quello della canzone gli è sembrato il più idoneo.
Semplice, spontaneo, naturale come ogni evangelizzatore rimase nei suoi temi e nei suoi costumi. Neanche il grande successo al quale era pervenuto cambiò il suo comportamento e sempre alla ricerca d’altro si mostrò, sempre pronto a compiere nuove esperienze, sempre disposto a cercare, a fare, a creare. Mai completa, finita considerò la sua opera, tanti aspetti le fece assumere, in tanti posti volle far giungere la sua voce.
Prima che cantante è stato jazzista, compositore di musica leggera. È divenuto poi cantautore di successo con canzoni rimaste famose. Ha scritto musiche per film, racconti e opere liriche. Ha programmato trasmissioni televisive, partecipato a molti concerti, compiuto numerose tournées. Anche in paesi stranieri era diventato noto, anche pubblici stranieri avevano creato le sue musiche, universali si avviavano ad essere i suoi messaggi. Oltre le forze del suo corpo è andato il suo spirito, non ha conosciuto limiti e questo gli è stato fatale. Niente, tuttavia, avrebbe potuto fermarlo né l’avrebbe fatto la paura del pericolo che correva dal momento che nessun vero autore si è mai fermato per un motivo simile.
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