13 giugno 1984. L’uomo e la sua autorevolezza

13 giugno 1984. L’uomo e la sua autorevolezza

di Vincenzo Andraous

 

Stavo chiudendo l’ufficio per fare ritorno a casa, quando l’occhio s’è imbattuto sul calendario appeso alla parete, la data odierna un impatto inaspettato, improvviso, mi ha catapultato nell’era del ferro e del fuoco, epoche cretacee, jurassiche, risvegliandomi ricordi che credevo sepolti ormai perduti nel tempo. Il 13 giugno di tanti anni fa, del 1984, secoli esplosi e implosi letteralmente, scomparsi, una sorta di caduta all’indietro, dove la memoria storica è letteralmente andata in frantumi. Eppure il tempo non dovrebbe consentire sbandate e rinculi, il tempo dovrebbe essere sempre quel grande e indiscusso riferimento perché autorevole, quel dottore efficiente ed efficace, quel pedagogo mai stanco di intuire e creare nuove opportunità, quell’educatore infaticabile di ognuno e di ciascuno.

13 giugno del 1984, disperso nei meandri della mente, dissolto sotto il primo strato di pelle, chi ricorda più l’Uomo che fece un passo in mezzo alla tempesta, non ho detto un passo in avanti, ma in mezzo, là, dove infuriava l’assenza di un perdono.

Chi rammenta più l’Uomo che nel silenzio del fare, creò le condizioni per una mediazione che era già in procinto di divenire riconciliazione.

Quell’uomo altero e severo, con il dono profondo della misericordia e della compassione per quanti furono vittime innocenti, spesso rimasti senza giustizia, per quanti furono utopisti illusi nella teoria e violenti nella pratica, infine per quanti risultarono uomini sconfitti e vinti.

Quell’Uomo eretto e fiero, in mezzo, là, tra quegli uomini allo sbando, quella data, 13 giugno, ha una sua grande importanza, nel conservare il valore della dignità dentro la tragedia di una vera e propria guerra combattuta nelle strade, nelle piazze, nelle città, nei paesi, nelle celle e nei passeggi delle carceri italiane ridotte a terra di nessuno.

Non ho dubbio alcuno del valore di quella sua intercessione in quel remoto 13 giugno 1984, il suo tentativo di indurre combattenti e simpatizzanti alla fine della lotta armata, a ritrovare un equilibrio sufficiente per arginare la disumanità dilagante dell’ideologia, soprattutto per raggiungere una riconciliazione umana, sociale e politica.

Ho avuto forse immeritatamente il grande dono di conoscere il Cardinale Carlo Maria Martini, di ascoltarlo e di abbracciarlo, di comprendere come a volte muoversi verso l’altro non si esaurisce con una preghiera di intenti, ma con una azione di posizione forte e libera.