Vaccini, prime stime: 7 milioni di certificati, 800mila minori da vaccinare e 150mln di euro per le dosi in più

da Il Sole 24 Ore

Vaccini, prime stime: 7 milioni di certificati, 800mila minori da vaccinare e 150mln di euro per le dosi in più

di Barbara Gobbi

Oltre 7 milioni di certificati di vaccinazione che saranno richiesti da bambini e giovani «regolarmente vaccinati». Sette-ottocentomila soggetti non vaccinati e quindi da sottoporrea profilassi, pena richiami e sanzioni. Centinaia di operatori sanitari dedicati al recupero degli inadempienti. Circa 150 milioni di euro per acquistare i vaccini necessari. Queste le prime cifre messe in fila dai tecnici delle Regioni e presentate alla riunione con ministero dell’Istruzione e Salute, richiesta dagli assessori per limare le criticità rilevate del decreto legge del governo sull’obbligo vaccinale.

La proposta delle Regioni
L’obiettivo è più che concreto: si tenta in ogni modo di arginare il rischio di pasticci organizzativi e l’ombra dello scaricabarile che incombe sulle famiglie, chiamate ad autocertificare o a dimostrare di essere in regola. L’idea delle Regioni è di definire al più presto – in una circolare organizzativa – una procedura snella che sgravi i genitori: spetterebbe alle scuole – propongono i tecnici regionali alle ministre Valeria Fedeli e Beatrice Lorenzin – inviare alle Asl gli elenchi dei propri iscritti. Su questa base, ogni singola azienda sanitaria procederebbe alla verifica: a spuntare i nomi dei bambini e dei ragazzi “in regola” e a contattare gli “inadempienti”. Si eviterebbe così uno stress inutile a nuclei familiari e servizi vaccinali, focalizzando l’attenzione su quel 10% circa che sia calcola sia in ritardoCifre che partono dalla stima del 10% dei “disobbedienti” sul morbillo: considerando che il decreto riguarda 15 generazioni e che ogni anno nascono in Italia circa 500mila bambini, si arriverebbe

Le stime
Le stime presentate dagli assessori a Miur e Salute partono dal 10% dei “non vaccinati” per il morbillo. Considerando i 500mila bambini che ogni anno nascono in Italia, che in 15 generazioni arrivano a 7,5 milioni di minori chiamati dal decreto Lorenzin a dimostrare di essere in regola, il recupero sul 10% dato per assunto porterebbe alla cifra di circa 7-800mila “under 16 da vaccinare”. Un numero certamente più gestibile dei milioni attesi, che implicherebbe – garantiscono i tecnici – uno sforzo immane e ingiustificato per la collettività. Certo è che la proposta delle Regioni parte da un presupposto: che le Asl siano in grado di ricostruire gli elenchi delle vaccinazioni fatte – o mancanti – ai propri iscritti. Situazione non scontta, se si pensa che anche per le politiche vaccinali l’Italia si presenta “a macchia di leopardo”. Asl e Regioni che già dispongono di anagrafi vaccinali, altre che ricorrono ancora ai faldoni. Ma non se ne esce: con numeri moltiplicati all’intera popolazione “papabile”, l’impegno sarebbe forse insostenibile. Il tutto, nell’anno di avvio del nuovo Piano nazionale vaccini, che sta mettendo alla prova servizi gravati da carenze di personale e difficoltà organizzative. Ciliegina sulla torta, scrivo i tecnici regionali in allerta, «i procedimenti amministrativi che saranno avviati in seguito alla segnalazione di mancato assolvimento degli obblighi e il contenzioso legale che ne deriverà».

I problemi sul tappeto
Attivazione delle procedure per il mancato adempimento. Certificazioni e attestazioni della prenotazione, applicazione delle sanzioni, comunicazione da concordare con le Regioni. Questi i nodi da «minimizzare», avvisano le Regioni, mettendo in fila la loro proposta, nella bozza presentata a Miur e Salute:
1. Contenimento delle certificazioni . Sarebbe auspicabile ridurre al minimo la necessità di acquisire ed emettere dichiarazioni e certificazioni sullo stato vaccinale dei soggetti
2. Avvio graduale delle procedure di invito . Per ovviare all’impatto organizzativo e alle carenze informative si potrebbe pianificare (in modo univoco su tutto il territorio nazionale) la partenza graduale degli inviti alla vaccinazione dei soggetti inadempienti iniziando dalle classi di età e dai vaccini che comportano i rischi sanitari più elevati
3. Armonizzazione della comunicazione . Per minimizzare i disagi alle famiglie e alle organizzazioni coinvolte sarebbe indispensabile il raccordo tra le iniziative di comunicazione organizzate dai Ministeri e i responsabili della sanità regionale
4. Standardizzazione degli interventi . Per facilitare l’organizzazione delle azioni di recupero e per ridurre il possibile contenzioso legale si ritiene opportuno che l’interpretazione dei vari aspetti applicativi del Decreto avvenga in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. A tal fine si suggerisce l’organizzazione di un gruppo di coordinamento permanente in cui siano adeguatamente rappresentate le varie organizzazioni e istituzioni coinvolte.

Le «incongruenze»
I riflettori dei tecnici regionali guardano anche ai contenuti del decreto, in termini di profilassi obbligatorie. Controllo di malattie infettive previste da programmi internazionali di eradicazione; vaccinazioni finalizzate a eliminare malattie infettive circolanti sul territorio nazionale; vaccinazioni mirate a proteggere gli individui da infezioni che costituiscono un rischio epidemiologico attuale; profilassi volte a proteggere gli individui da infezioni che costituiscono un rischio epidemiologico solo potenziale. Troppe, in un solo decreto legge, affermano le Regioni. Che scrivono: «L’introduzione indiscriminata della obbligatorietà per questi diversi scopi non appare immediatamente e coerentemente giustificabile. Soprattutto non appare possibile attribuire a tutte queste diverse patologie uno stato di “emergenza sanitaria” tale da richiedere l’adozione di misure preventive di tipo coercitivo». Ma sotto la lente è anche «l’incompletezza e l’incoerenza delle vaccinazioni indicate». Come l’antipneumococco – che non è stato inserito e Lorenzin ha già auspicato sia recuperato dall’ter di conversione del Dl in legge – o come l’antiHIb, reso obbligatorio pure per soggetti di età superiore a 5 anni e privi di fattori di rischio, «che – si legge ancora nel draft delle Regioni – non trova alcuna indicazione in letteratura»