M. Bettini, A che servono i Greci e i Romani?

Come in un’esplorazione…

 di Antonio Stanca

Maurizio Bettini è nato a Bressanone, in provincia di Bolzano, nel 1947, ha settant’anni, si è laureato in Lettere Classiche nel 1970 presso l’Università di Pisa e da qui è cominciata quella carriera universitaria che nel 1985 sarebbe culminata nell’incarico di Professore Ordinario di Filologia Greca e Latina all’Università di Siena. In questa città nel 1986 ha fondato il “Centro Antropologia e Mondo Antico” che molti collegamenti ha instaurato, negli anni, con altri Centri di altre parti del mondo. Dal 1992 Bettini tiene seminari presso il Dipartimento di Studi Classici dell’Università di Berkeley, in California. Per la casa editrice Einaudi cura la rubrica “Mythologica”. Collabora con la pagina culturale del quotidiano “la Repubblica”.

Oltre a molte opere di saggistica, cominciate a comparire agli inizi degli anni ’80, Bettini ha scritto libri per la scuola e romanzi.

Il suo saggio più recente, A che servono i Greci e i Romani?, è stato pubblicato quest’anno da Einaudi (pp.147, €12,00).

Come negli altri saggi anche in questo l’autore si mostra ampio nelle argomentazioni, ricco nei riferimenti storici, culturali, letterari, artistici, preciso nei richiami, nei confronti tra eventi, autori, opere del passato più lontano e più vicino, sicuro nelle citazioni, nelle datazioni. Molto s’impara leggendo Bettini, molto si aggiunge a quanto si sapeva dell’antichità, molto si scopre. E che riesca a porgere tanto nella maniera chiara, facile, a volte ironica, che è propria della sua scrittura, non può che tornargli come un ulteriore motivo di merito.

A legare il lettore alle opere del Bettini saggista interviene anche un’esposizione che, oltre ad essere facile, è sempre nuova, sempre pronta ad incuriosire specie quando si tratta di proporre, indicare i modi opportuni perché i giovani, gli studenti di oggi provino interesse per la cultura classica, greca o latina. E’ stato questo un argomento centrale nell’intera attività del Bettini docente e saggista. Non poteva mancare in quest’ultima opera. Fin dall’inizio l’autore mette in evidenza che l’Italia è risultata il paese più ricco di storia e cultura antiche tra i dodici paesi del mondo che sono stati esaminati. E’ importante, quindi, che quanto ha fatto parte del passato italiano, quanto della sua classicità greca e romana sia giunto fino a noi, venga conosciuto ancora oggi, è importante che s’instauri quella “memoria culturale” capace di farci sentire gli eredi di tanta storia, di tanta cultura, di non farcele considerare finite ma ancora valide, utili per la nostra vita, la nostra formazione umana, morale, civile, sociale e per quella dei nostri figli. Uno sviluppo, una continuazione dobbiamo considerarci di quanto è avvenuto nella nostra antichità, delle tante generazioni che nei secoli si sono succedute e formate su di essa. Dobbiamo pensare che pochi altri paesi come l’Italia sono in possesso di tanti posti, biblioteche, musei, dove sono state conservate le testimonianze del passato, di tanti monumenti, di tante figurazioni, di tanti segni che di esso attestano.

In verità nell’Italia dei tempi recenti il compito di mantenere in vita tali ricordi, di trasmettere il loro significato, la loro lezione, è rimasto affidato alla scuola. E qui il Bettini trova molto da ridire perché, in effetti, la scuola italiana ha operato in modo da ridurre la conoscenza, l’importanza della classicità greca e romana che è costitutiva della nostra storia. L’ha trasformata nel solo apprendimento del greco e del latino, della traduzione di queste lingue e nella conoscenza della storia letteraria della quale sono espressione. Non si è curata e non si cura di estendere tali conoscenze, di avviare presso gli studenti dei percorsi che li facciano giungere a sapere di tutto quanto faceva parte della vita dei loro antenati greci e romani, di come fossero le loro case, le loro famiglie, di quali fossero le loro società, le loro religioni, le loro credenze, gli usi, i costumi. Di carattere antropologico dovrebbe essere, secondo Bettini, lo studio condotto a scuola per il greco e il latino. Attraverso le due lingue gli studenti dovrebbero imparare a recuperare, a ricostruire i luoghi, gli ambienti, le persone, le cose di quelle lingue, i modi di vivere, le regole, i principi di allora. Più interessante sarebbe, così, il loro studio mentre ora non lo è ed anche per questo i licei classici sembrano destinati a non essere più frequentati. Se, invece, l’insegnamento del greco e del latino venisse ammodernato, se gli interessi perseguiti dalla scuola non fossero solo di carattere linguistico e letterario ma comprendessero altri più ampi, più estesi, se fossero rivolti ad instaurare con quelle antichità un rapporto di confronto, di paragone, a far scoprire le analogie e le differenze, a far sentire i giovani vicini e lontani, uguali e diversi da esse, se il loro studio diventasse una loro esplorazione alla maniera propria degli antropologi, sicuramente l’attenzione nei loro riguardi aumenterebbe e di molto. Molto piacere suscita scoprire che a distanza di millenni certi modi di fare, d’intendere sono rimasti uguali mentre altri sono completamente cambiati. E molti sono i consigli che il Bettini porge per procedere in tal senso durante gli anni di scuola.

Da antropologo oltre che da filologo si muove l’autore di questo libro, tutti i mezzi possibili suggerisce affinché nello studio del greco e del latino si operi come in un’esplorazione e soprattutto affinché non succeda che un’eredità così importante vada smarrita. Sarebbe molto grave dato il valore che ha rappresentato, la funzione che ha svolto.

Non si può pensare di porre fine a tanta storia, a tanta cultura, a tanta vita solo perché non ci si vuole impegnare a mantenerle, solo perché la scuola non svolge quanto serve per farle amare dai giovani.

Questo, secondo Bettini, dovrebbe essere compito di chi, politici o altri, è incaricato del sistema scolastico, del suo svolgimento. Né si può pensare che sia ancora possibile attendere dal momento che i problemi relativi al fenomeno sono ormai gravi e rischiano di diventarlo al punto da non poter essere risolti.