Così smartphone e tablet entrano a scuola, dalla porta principale

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da Agenzia Giornalistica Italia

Così smartphone e tablet entrano a scuola, dalla porta principale

La novità per l’anno scolastico che comincia a settembre annunciata dal ministro Fedeli

Lo smartphone e il tablet arrivano ufficialmente sui banchi di scuola. Lo annuncia il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli presentando le linee guida del piano scuola digitale, come scrive il Corriere della Sera. “Uso consapevole e in linea con le esigenze didattiche” è la frase chiave usata dal ministro. Fedeli ha anticipato la creazione di un gruppo di lavoro, che inizierà a lavorare il 15 settembre, e che avrà 45 giorni di tempo per “chiarire l’uso dei dispositivi personali delle studentesse e degli studenti in classe, intervenendo sulle attuali circolari, risalenti ad un periodo troppo lontano da oggi”.

La circolare Fioroni

Nel 2007, il ministro Beppe Fioroni bollò il telefonino come un “elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente”. E quindi veniva suggerito a docenti e dirigenti di adottare regolamenti severi, in modo da bandirlo il più possibile dalla vita scolastica. Ma i tempi sono cambiati, scrive il Corriere, e come rileva la ministra “gli smartphone sono parte della vita quotidiana dei ragazzi: lo usano per la metà del tempo che stanno in classe, sotto il banco, di nascosto, è un’illusione pensare che lo tengano spento”, avvisa Dianora Bardi, presidente del centro studi Impara digitale ed ex professoressa di latino e italiano al liceo scientifico Lussana di Bergamo.

Le nuove indicazioni

Le linee guida del ministero dell’Istruzione dovranno chiarire come usare il cellulare o il tablet per fare ricerche, lavori di gruppo, condividere discussioni e documenti. Ma questo significherà anche cambiare la didattica: “Lo smartphone è solo uno strumento di lavoro, deve essere il professore a direzionarne l’uso, stabilendo i tempi e dando i compiti, strutturando la lezione su quello strumento: se i ragazzi sono impegnati, non si distraggono. È ovvio che il rischio che vadano su Facebook o su WhatsApp è pesantissimo, ma siano noi insegnanti a doverli coinvolgere in maniera tale da evitare che lo facciano, almeno mentre lavoriamo”.

A volte funziona

Un’utopia? Niente affatto, a sentire i racconti di chi già da tempo sperimenta l’uso dei device in classe, con successo: “Ben vengano i dispositivi che permettono di promuovere l’apprendimento – dice Salvatore Giuliano, preside dell’istituto ipertecnologico Majorana di Brindisi e consulente del Miur, che ha appena finito di spacchettare i tablet che verranno consegnati ai suoi studenti, comprati con i soldi risparmiati sui libri di testo – Il problema vero è non farsi trovare impreparati: non possiamo puntare tutto sul fatto che gli studenti ormai siano smanettoni, nativi digitali, e sappiano tutto. Noi dobbiamo fornire loro un’educazione digitale. Significa anche insegnare a selezionare audio, foto, video, a rispettare i copyright e la privacy, educare i genitori perché capiscano quello che i figli possono fare col cellulare e, dal punto di vista tecnico pratico, imparare a far parlare tra loro piattaforme differenti”.

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