Fuori dalla scuola, fuori dal lavoro

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da Il Sole 24 Ore

Fuori dalla scuola, fuori dal lavoro

di Eugenio Bruno

Un italiano su quattro non arriverà mai alla laurea. E difficilmente lavorerà. È l’altra faccia della luna illuminata dalle ultime rilevazioni statistiche di Eurostat su quel 26,1% di nostri connazionali 25-34enni in possesso al massimo della licenza media. Numeri che mostrano – come evidenziato sul Sole 24 Ore di ieri – un’Italia doppiamente in controtendenza. Sia dal resto d’Europa sia da se stessa, visto che negli ultimi 15 anni anche noi eravamo riusciti a ridurre la fetta di giovani a bassa scolarizzazione. Aver invertito la tendenza ci (e soprattutto li) espone a più di un rischio. Il primo è che difficilmente arriveremo in tempi brevi al 40% di adulti in possesso del titolo terziario previsto dalla strategia di Europa 2020. Il secondo è che un’intera generazione rischia di poter competere per un’occupazione solo con i lavoratori migranti.

Un pericolo che Daniele Checchi, docente di Economia politica alla Statale di Milano e profondo conoscitore dei temi legati al mondo dell’education, giudica concreto: «Un giovane in possesso solo della terza media rischia di finire in un segmento dequalificato del mercato del lavoro in cui il costo diventa l’unico fattore di competizione». Nel sottolineare che gli stessi ragazzi «se inseriti in percorsi scolastici adeguati potrebbero essere recuperati a una formazione professionale adeguata anziché essere considerati persi», Checchi condivide la preoccupazione per la nostra quota di laureati ancora troppo bassa ma vede un barlume di luce nel calo degli abbandoni scolastici certificato dalla stessa Eurostat.

In effetti gli early school leavers italiani (intesi come i 18-24enni che si sono fermati alla terza media e non sono impegnati in programmi scolastici né formativi) sono diminuiti anche nell’ultimo anno. Dal 14,7 al 13,8% per la precisione. Un segnale positivo che non può essere considerato però un punto d’arrivo. Da un lato perché la media europea resta di tre punti più bassa. Dall’altro perché il Sud (con il suo 16,6%) e le isole (22,4%) continuano a porsi nello stesso range – come dimostra la cartina qui in alto – dell’Est Europa e di Spagna e Portogallo piuttosto che delle aree avanzate d’Europa. Senza dimenticare che rispetto al 2008 la fetta di early leavers occupati nel Vecchio continente è scesa dal 54 al 42% mentre quella di inattivi è aumentata dal 16 al 21 per cento.

Il problema che a una scolarizzazione troppo bassa segua un’elevata difficoltà a trovare un’occupazione dunque resta. E che questo possa rappresentare un fardello per l’intero paese lo dicono le tendenze in atto. Un rapporto del centro europeo per la formazione professionale (Cedefop) quantifica in 15 milioni i nuovi posti di lavoro ad alto livello di istruzione che saranno creati da qui al 2025 mentre nello stesso arco di tempo se ne perderanno circa 6 milioni nell’alveo degli impieghi poco qualificati. Con effetti che si vedono già oggi. Sempre secondo Eurostat a fine 2016 la disoccupazione nella fascia d’età 25-39 anni ammontava all’11,7% per i laureati, al 13,5% per diplomati e post-diplomati e al 20,9% per tutti gli altri.

Interrogata sulle contromisure che il nostro paese può e deve adottare la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, commenta: «In una società della conoscenza come quella in cui viviamo avere giovani preparati vuol dire avere un paese capace di essere competitivo nel presente e nel futuro. I dati Eurostat li conosciamo, non li sottovalutiamo e anzi ci stimolano ad andare avanti nella nostra azione di rafforzamento del sistema di istruzione, innalzamento della qualità, contrasto della dispersione, come strumento anche di pari opportunità per chi viene da contesti più deboli e difficili». A suo giudizio alcune risposte sono già in atto. Ad esempio con il decreto delegato sull’istruzione professionale «che la qualifica, la rilancia cercando di intercettare le specificità dei territori per garantire una preparazione di alto livello di studentesse e studenti e un più facile ingresso nel mondo del lavoro». Un altro aiuto – aggiunge – arriverà da «un’ulteriore qualificazione dei percorsi di alternanza che rappresenta un importante punto di contatto fra scuola e lavoro, un’innovazione didattica ed è anche uno strumento in più di orientamento. Abbiamo attivato un gruppo di lavoro contro la dispersione – aggiunge – e stiamo caratterizzando tutti i nostri interventi, penso anche ai bandi Pon, avendo in mente l’idea di una scuola innovativa, come i tempi richiedono, ma anche aperta al territorio e inclusiva. Capace cioè di dare una risposta a chi rischia, fra qualche anno, di finire fra coloro che hanno titoli bassi e meno possibilità nel lavoro». Nella consapevolezza – conclude – che «dare ai giovani le conoscenze e le competenze necessarie significa garantire loro un futuro. E questo è un ragionamento che va fatto nella filiera dell’istruzione, ma anche in relazione a chi oggi è già nel mondo del lavoro e va ulteriormente formato per poter migliorare la propria condizione, ma per partecipare, più in generale, al benessere del paese».