La vecchiaia del Leviatano

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La vecchiaia del Leviatano
e suggestioni di democrazie future

di Annalisa Boselli

 

All’interno del lungo e corposo dibattito sulla globalizzazione e, soprattutto, intorno alla necessità di un “nuovo ordine internazionale” si possono trovare analisi lucidissime ma sempre più sporadicamente vengono indicate prospettive di senso o possibili direzioni di marcia. Il tema certo è altamente complesso, ma qualche indicazione, raccogliendo alcuni contributi finora emersi, forse ancora può essere colta.

 

Contraddizioni tardomoderne

Provando a costruire una “mappa” della complessa struttura glocal degli attori politici ed economici che operano nel nuovo mondo globale da un lato ci troviamo di fronte alla formazione di istituzioni e processi chiaramente globali quali l’Organizzazione mondiale del commercio, i mercati finanziari globali, il nuovo cosmopolitismo o i nuovi flussi migratori, il tutto favorito dai nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto. Dall’altro abbiamo processi localizzati in ambiti nazionali, ma che riguardano mutazioni di reti oltre i tradizionali confini, organizzazioni ambientaliste o di tutela dei diritti umani, politiche monetarie e fiscali attuate sotto le direttive del Fondo monetario internazionale. Non mancano nuovi o rinnovati localismi, anch’essi di generi diversissimi: a tratti ci troviamo di fronte a fenomeni di neoprotezionismo (Brexit, elezione di Trump, rinvigorirsi di partiti identitari-xenofobi in diversi paesi europei, sempre più frequenti manifestazioni di dissenso nei confronti dell’accoglienza); in altri casi tuttavia osserviamo l’accrescersi di esperienze fruttuose (imprese che producono a chilometro zero, centri di buon vicinato). Realtà internazionali, nazionali e subnazionali profondamente asimmetriche si incrociano in un abbraccio che risulta difficile descrivere; certo non lo si può non prendere in considerazione.

 

Il Leviatano invecchia

Se prima della globalizzazione la relazione uomo-cittadino-Stato-economia era pensata in equilibrio, ora il vettore economico – che è certamente il più problematico, ma anche quello cultural-religioso non è esente da mutazioni – sfugge al controllo dello Stato denazionalizzato postwestfaliano. O, per dirla con una terminologia cara a Saskia Sassen, il legame territorio-autorità-diritti viene radicalmente messo in discussione. Gli organismi sovra-nazionali che dovrebbero frenare il disordine non sono dotati della necessaria autorità per farlo, anche se in fondo, è così che sono stati voluti, fin dalla loro fondazione (Ue in testa). Eppure, i cittadini continuano ad avere bisogno della protezione del Leviatano, la creatura di Hobbes che incuteva timore verso l’autorità, ma che proprio per questo riusciva a garantire ordine. Gli Stati nazionali e le organizzazioni politiche internazionali possono fare ben poco di fronte alla delocalizzazione di imprese multinazionali al di fuori dei rispettivi territori d’origine e alla sistematica elusione fiscale tramite stati-canaglia compiacenti; eppure si continua a chieder loro di far fronte alla disoccupazione e all’impoverimento che questo crea all’interno dei territori.

 

E’ possibile una democrazia senza un vero Stato?

Ed è qui che si origina il decorso più pericoloso: la crisi dello Stato crea disagio verso la democrazia che anche nel Primo mondo viene sempre più percepita come inadeguata nel far fronte alle sfide che impone oggi la globalizzazione. Sempre più spesso è al modello democratico liberale uscito dagli ideali rivoluzionari poi confluito nel sistema welfaristico postbellico (con l’estensione dello Stato a compiti diversi da quelli tradizionali di difesa, giustizia, alta amministrazione) che i cittadini ascrivono le “colpe” di una crisi prima di tutto economica, ma che è anche politica e sociale. Ma ci può essere una democrazia senza un Leviatano che la difenda?

Lo Stato democratico ora è caratterizzato da una sovranità debole, spezzata, piegata da una tempesta di affamate micro e macro-sovranità economiche e politiche in perenne divenire.

Forse andiamo verso una ri-medievalizzazione della vita pubblica come l’ha chiamata Maurizio Ferrera (La Lettura del Corriere della Sera 23/06/2017); per quanto, però, nel Medioevo il sistema di sovranità multipla (feudalesimo) restasse legato al territorio, ben saldo allo spazio, e fosse ben circoscritto dai limiti tecnologici dell’epoca. Non che ciò non creasse conflitto – è la storia della lotta per le varie supremazie a dimostrarlo – ma ora ci troviamo di fronte a uno scenario di abbattimento di tutti i confini: spaziali (mezzi di trasporto efficienti), virtuali (internet) e soprattutto economici (mercato finanziario globale).

Questo è il punto nodale: serve una nuova organizzazione che sappia far interagire i nuovi attori all’interno di nuove geometrie dello spazio politico ed economico.

 

Restare umani

In futuro molte menti ipotizzano un sistema di governo multi-livello su scala mondiale all’interno di un processo di integrazione sovranazionale (M.Ferrera, J. Habermas), ma al di là della realizzazione altamente complessa – per quanto assolutamente plausibile – ciò su cui occorrerebbe lavorare fin da ora è un riallineamento di politica ed economia. Complice il neo-liberismo, nell’attuale sistema globale l’ economico è pensato come un settore autonomo per non dire anarchico, difficilmente permeabile alle regole della società. Occorre riallacciare questo rapporto: politica è tutto ciò che accade nel mondo. E’ qualcosa di profondamente umano; politica è necessariamente la dimensione umana poiché costitutivamente in relazione. Gli attori economici sono attori politici; operare economicamente significa imprescindibilmente attuare cambiamenti anche in ambito politico e non è più giustificabile prescindere dagli effetti.

 

Economia “civile” per una globalizzazione umana

Occorre pensare a una nuova concezione dell’economia che sia intrinsecamente democratica, ovvero un’economia che sappia essere consapevolmente, responsabilmente e intenzionalmente politica e non più quel vettore impazzito che si scontra contro i labili confini di uno Stato non più veramente Leviatano per nessuno. Occorre uscire dall’idea che sia lo Stato – che poi si è rivelato incapace in questo compito – a mettere un po’ d’ordine in economia e, al contrario, orientarsi verso un’economia in grado di democratizzare il sistema.

Nell’attesa di una nuova autorità territoriale che sappia creare prospettive di prosperità all’interno di un rinnovato ordine mondiale, c’è bisogno di incentivare un’economia umana, volta al benessere e alle sostenibilità delle nostre scelte. Prendendo magari spunto dalla storica e nostrana tradizione dell’ “Economia civile” (Genovesi, Filangieri, Dragonetti ora rappresentate dal pensiero di Luigino Bruni e Stefano Zamagni), ovvero un’economia che abbia come scopo non il mero profitto, ma il benessere della società nel suo complesso, in una concezione in cui la felicità individuale sia strettamente connessa a quella sociale.

Si tratta di costruire un sistema economico capace di produrre benessere senza ricadere nelle polarizzazioni e negli eccessi di una società neocapitalistica. Non si sta forse disegnando con ciò un futuro troppo lontano: gli esempi sono già sotto i nostri occhi. Dalle imprese che coltivano i campi sottratti alla mafia rivolgendo attenzione alla qualità del prodotto e dell’occupazione; ai circuiti di microcredito alle banche etiche; alle aziende che lavorano sul riciclo a quelle che si occupano di reinserimento di persone in svantaggio sociale; ma anche la responsabilità sociale d’impresa che accomuna parte del mondo imprenditoriale o alle nuove start up che creando semplicemente un’ app riescono a fa risparmiare tempo, energia e carburante; senza tralasciare tutte forme imprenditoriali capaci di mettere in circolo cultura.

Non si pensi però che si stia facendo beneficenza: dietro ci sarà sicuramente sensibilità umanitaria ma anche grande capacità di fare impresa poiché si creano dei profitti. In parole povere, ci si può mangiare e, anzi, ci si sta già mangiando.

Così facendo si può innescare un sistema virtuoso: anche i consumatori possono fare la loro parte attraverso il “voto con il portafoglio” (Leonardo Becchetti), ovvero acquistando prodotti da imprese con dimensione etica. Se potessimo premiare le aziende che sono all’avanguardia nel creare valore economico in modo sostenibile, saremmo in grado di promuovere un enorme cambiamento. Votando “col portafoglio” e “col mouse” (per esempio attraverso i “like”) per aziende responsabili possiamo spostare quote di mercato rilevanti, promuovendo, nel nostro stesso interesse, il modello di impresa più socialmente e ambientalmente responsabile.

 

Bibliografia:

  1. Sassen, Territorio, autorità, diritti, Milano, Mondadori, 2008
  2. Galli, Il disagio della democrazia, Torino, Einaudi, 2011
  3. Galli, Spazi politici. L’età moderna e l’età globale, Bologna, Il Mulino, 2001
  4. Habermas, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano, Feltrinelli, 1999
  5. Bruni, S. Zamagni, L’economia civile, Bologna, Il Mulino, 2015
  6. Becchetti, Wikieconomia, manifesto dell’economia civile, Bologna, Il Mulino, 2014
  7. Hannah Arendt, Vita Activa: la condizione umana, Milano, Bompiani, 2011