Lettera a Gina

Lettera a Gina

di Maurizio Tiriticco

 

CARA GINA! A proposito di John Dewey, mi piace ricordarti e… ricordarmi anche come, quando e perché lo conoscemmo in Italia. Molti anni fa! Nell’immediato dopoguerra, in un Paese distrutto e con una grande ansia di tornare alla normalità e di ricostruire, si ebbero più spinte per quanto riguarda in primo luogo la scuola e l’occupazione. Ti ricordo le circostanze fondamentali.

Dopo il ventennio della dittatura fascista si avvertì il problema di ritornare a una scuola che deve “istruire” più che… “educare” agli ideali, ovviamente quelli fascisti del “ventennio”! Ti ricordo che nel 1940 il ministro Bottai varò la Carta della Scuola, con la quale la fascistizzazione della nostra scuola giungeva al suo punto più alto. Però, nello stesso anno scoppiò la guerra e di quella riforma non si parlò più. Dopo la guerra, nel nuovo scenario democratico, il Ministero dell’Educazione Nazionale, istituto nel 1929, tornò ad essere il Ministero della Pubblica Istruzione, come era stato istituito fin dal 1961, con l’avvio dell’Unità nazionale.

Dopo la Liberazione, da parte delle scuole dei Paesi di democrazia più che matura e consolidata si propongono di fatto i primi suggerimenti relativi a promuovere un’istruzione aperta a tutti e per più anni di età. Sono i prodromi di quella che poi si chiamerà l’Educazione Permanente, “dalla culla alla tomba”. Ha inizio l’esperienza di Scuola-Città Pestalozzi, di Firenze, fondata nel 1945, scuola statale sperimentale, primaria e secondaria di primo grado, di norma “di differenziazione didattica”, di fatto un crogiolo di sperimentazioni di avanguardia. La dirige Ernesto Codignola; il suo motto è “festina lente”. Nel Paese e nel mondo dell’università e della scuola si avverte anche forte l’esigenza di riavviare una ricerca pedagogica, che era stata interrotta con il fascismo e con l’attualismo di Gentile. Pertanto, per certi versi, si ritorna all’attivismo laico, per altri allo spiritualismo cattolico. Nel 1945 si varano i primi programmi della scuola elementare. Si avverte l’influenza di Charleton Washburne e della “scuola di Winnetka”. I programmi sono chiaramente laici e, di fatto, sono in larga misura osteggiati dai cattolici!!!

In quegli anni la situazione culturale nel nostro Paese è estremamente arretrata. Sono ancora ampie le fasce degli analfabeti e la ricerca educativa di fatto non esiste. Con il fascismo e con quella sorta di “razzismo di Stato” non c’era spazio per un’educazione ed un sistema scolastico che non fossero quelli ispirata dalla “mistica fascista”! Questa sorta di atto di fede nasceva dalla “convinzione nell’assoluta verità della dottrina affermata dal Duce e dalla convinzione della necessità stessa di questa dottrina, come mezzo della grandezza e potenza della Nazione” (vedi i particolari in http://bibliotecafascista.org/). Non sto affatto scherzando! Queste erano le basi (ne ho dato solo un accenno) della cultura, dell’educazione e della scuola nell’epoca del ventennio fascista.

Dopo la Liberazione, la fondazione della Repubblica e il varo della Costituzione, una delle prime necessità immateriali fu quindi quella di restituire all’educazione, all’istruzione, alla formazione e al nuovo sistema scolastico quella libertà di scelta e di professione che la dittatura aveva così pesantemente avvilito e conculcato. Come sai, oggi la libertà di insegnamento è un precetto costituzionale. L’articolo 33 della Costituzione recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

Fu un pedagogista statunitense, Carleton Wolsey Washburne, che, ispirandosi alle idee e al pensiero di John Dewey, ebbe l’incarico di affrontare e di avviare a soluzione i problemi che la scuola fascista aveva lasciato in eredità e di riscrivere i nostri programmi scolastici. A Wiinnetka, un sobborgo di Chicago, negli anni Venti Washburne aveva sperimentato un insegnamento di avanguardia. Riteneva che occorre stimolare e seguire ogni alunno secondo i suoi ritmi di comprensione e di apprendimento. Pertanto avvertì che occorreva superare la classe d’età e privilegiare i reali ritmi di apprendimento di ciascuno. Abolì i voti e adottò materiali e iniziative didattiche che permettevano all’alunno ampi spazi di autonomia e di autocorrezione. Considerò la ripetenza un errore pedagogico e la abolì. Insomma, Washburne aveva tutte le carte in regola per rivoluzionare dalle fondamenta l’intero nostro sistema scolastico. Ma gli anni non erano maturi! E forse non lo sono ancora!

Ma non c’erano solo le nuove generazioni da educare alla democrazia. Esistevano anche gli adulti, molti dei quali erano analfabeti. E ciò non deve stupire, perché si calcola che oggi il 70% della popolazione è analfabeta funzionale: cioè ascolta, legge, parla e scrive, ma “non comprende”! Ma nell’immediato dopoguerra era largamente diffuso anche l’analfabetismo strumentale: cioè il non saper né leggere né scrivere!

Nel 1947 un gruppo di studiosi fonda l’UNLA, Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo. Ne è presidente Francesco Saverio Nitti; altri nomi illustri sono: Arangio Ruiz, Salvatore Valitutti, Anna Lorenzetto, Saverio Avveduto. E nel 1949 il largo pubblico conosce FINALMENTE per la prima volta DEWEY, volutamente misconosciuto dal fascismo e dall’etica gentiliana! Enzo Enriquez Agnoletti e Paolo Paduano (con la sovrintendenza di Lamberto Borghi) traducono per La Nuova Italia di Firenze “Democrazia e Educazione”, che aveva visto la luce a New York nel lontano 1916!!! Questo meraviglioso libro – non sto scherzando e lo ritengo sempre attuale – insieme a “La difficile scommessa” di Raffaele Laporta, pubblicato nel 1971 per La Nuova Italia e dedicato alla memoria di Bruno Ciari, scomparso l’anno precedente, furono i testi dei miei anni di insegnamento alla facoltà di pedagogia del Magistero di Roma.

Bei ricordi! Grazie, Gina, se sei giunta fin qui!