Nidi e mense scolastiche, lievitano i costi e diminuiscono i posti

da la Repubblica

Nidi e mense scolastiche, lievitano i costi e diminuiscono i posti

Secondo il rapporto di Cittadinanzattiva tariffe in aumento a Chieti, Roma e Venezia. In Calabria la capacità di ospitalità di bambini sotto i due anni è solo del 4,1% rispetto alla domanda. Il 20% delle donne che hanno lasciato il lavoro lo ha fatto per l’impossibilità di lasciare i figli

Corrado Zunino

ROMA. A una famiglia italiana la retta per l’asilo nido – la fase di accoglienza, 0-2 anni, che precede la scuola materna – costa 301 euro il mese, in media. Cifra che scende lievemente rispetto alle ultime stagioni e di otto euro rispetto alla registrazione del 2013. Cento euro è la retta pagata ad Agrigento e Catanzaro, 515 euro a Lecco (da tre anni la più costosa d’Italia, ma nel 2005 la tariffa lì raggiungeva i 572 euro mensili). La stessa famiglia, se ha un figlio maggiore alla scuola dell’infanzia o alle elementari, versa 80 euro ogni mese per pagare la mensa.

L’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva, “Servizi in… Comune. Tariffe e qualità di nidi e mense”, descrive un Paese in cui aumentano le lista di attese per far entrare il bambino al nido e dove le differenze regionali si fanno pesanti, visto che la Calabria ha una capacità di ospitalità per i bambini sotto i due anni pari al 4,1 per cento della domanda. La media al Nord resta bassa: il 23 per cento. Al Centro sale al 26. Al Sud precipita: 7,6 per cento.

· Crescono le tariffe a Chieti, Roma e Venezia
Con una famiglia di tre persone, un minore al di sotto dei 3 anni e un Isee di 19.900 euro (questi i parametri scelti), il Molise è la regione con la retta più economica: 167 euro, -28,2 per cento sul 2014-15. Il Trentino Alto Adige è la più costosa: 472 euro, +9,4 per cento. Si registra un aumento del 10 per cento in Basilicata. Le crescite più rilevanti nelle ultime tre stagioni sono state a Chieti (50,2 per cento), Roma (33,4 per cento) e Venezia (24,9 per cento). Nell’arco di dodici anni il Sud ha pagato dazio: Cosenza ha visto le tariffe crescere del 148 per cento, Napoli del 97 per cento. A Foggia l’aumento è stato solo dello 0,5 per cento (un euro in più).

I costi bassi nel Meridione d’Italia sono compensati dal fatto che solo nel tre per cento delle strutture la tariffa comprende anche pannolini e spese necessarie per l’infante. Il “tutto compreso” cresce al 25 per cento negli asili del Centro e al 40 per cento in quelli del Nord.

· Le madri lasciano il lavoro
Dicevamo, persiste una copertura bassa del servizio (perlopiù offerto dai Comuni). Il limite negativo della Calabria con 4,1 per cento è seguito dal Molise che possiede strutture per accogliere soltanto un bambino ogni cinque.

Aumentano – e questo è il dato più negativo del dossier – le liste di attesa: dal 20 per cento del 2013 al 26 per cento del 2015. Questo accade nonostante il numero di
domande presentate si sia ridotto complessivamente del 13,1 per cento nella maggioranza degli 89 capoluoghi di provincia testati. Nel Centro Italia, a fronte di una riduzione delle domande del 20,9 per cento, è corrisposto un aumento delle liste di attesa dal 24 al 45 per cento.

Il 65 per cento delle strutture (e il 65 per cento dei posti disponibili) è concentrato in sole quattro regioni: Lazio, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana. Il tempo pieno è garantito in tutte le strutture di Centro-Nord, all’ottanta per cento al Sud.

Nel corso del 2016, su trentamila donne che hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro, una su cinque l’ha fatto per il mancato accoglimento dei figli al nido pubblico, quasi una su quattro per incompatibilità tra lavoro e assistenza al bimbo, il cinque per cento per i costi elevati dell’assistenza al neonato (dati dell’Ispettorato nazionale del Lavoro).

· I costi della mensa scendono al Nord, salgono al Sud
Per quanto riguarda le mense, restano al Nord – ed è immaginabile – le tariffe più elevate. I costi, però, sono in diminuzione.  Al Sud le tariffe più basse, in crescita negli anni. Stabili al Centro. Per la scuola dell’infanzia, la regione più costosa è l’Emilia Romagna: 104 euro (-6,9 per cento rispetto al 2016-’17), la più economica la Sardegna (60,60 euro, -7,7 per cento). Spicca l’aumento registrato in Umbria (+24,1 per cento) e in Calabria (+20,7). Nella primaria, la mensa costa di più sempre in Emilia Romagna (107,10 euro, -0,8 per cento), costa meno in Umbria (65,70 euro, invariata). Anche in questa fascia scolastica gli incrementi più rilevanti si registrano in Calabria e in Sicilia.

Barletta è il capoluogo più economico per la ristorazione scolastica (32 euro mensili per famiglia tipo), Livorno il più costoso (128 euro).

· Cucine scrostate ma pulite
In 78 scuole (presenti in 12 regioni), 627 intervistati tra bambini, docenti, genitori e rappresentanti della Commissione mensa hanno segnalato distacchi di intonaco nel 14 per cento dei casi e umidità e infiltrazioni nel 6 per cento. Le pavimentazioni sono irregolari nel 17 per cento delle interviste, non ci sono porte con apertura anti-panico nel 35 per cento.

L’80 per cento dei bambini ritiene che i locali siano abbastanza o molto puliti e luminosi, abbastanza o molto spaziosi (si sale all’85 per cento) e sicuri (75 per cento). Però sono anche rumorosi (lo dice più della metà), poco allegri (meno della metà) e poco accoglienti (più di in terzo).

Una scuola su dieci del campione di quest’anno manca del tutto del locale mensa e i pasti vengano serviti in corridoi o aule più grandi.

· Poco bio, pratica del bis. E si spreca
Il cibo, a detta di tutti gli intervistati, è di buona qualità anche se c’è poca offerta biologica. I bambini, in base alle loro scelte alimentari, si presentano sempre più carnivori, amanti di dolci e carboidrati e la pratica del bis, diffusa ovunque, non li aiuta a modificare le cattive abitudini alimentari. Solo il 13 per cento dice di mangiare tutto a mensa, il 36 accetta solo alcuni cibi, in particolare dolci e gelato (80 per cento), pizza (78 per cento), pane (61), carne e frutta fresca (58), pasta al sugo (47). Fra i cibi meno graditi, verdure cotte (70 per cento), minestre di verdure (60), pesce e verdure crude (54).

L’87 per cento degli intervistati spiega che vengono usate tovaglie di carta per apparecchiare. Le stoviglie sono usa e getta per la metà. L’acqua servita a tavola è quella di rubinetto nel 49 per cento delle mense. Da una stima effettuata nel corso della rilevazione, gli avanzi, solo in parte “riciclati” (18 per cento), si
aggirano tra il 10 e il 20 per cento. Frutta e pane confezionati vengono in qualche caso riproposti a merenda.

· Tutti insieme, felici, a mangiare le stesse cose
Il 63 per cento dei bambini dichiara di mangiare a mensa con piacere, soprattutto perché può stare insieme ai compagni (93 per cento). Fra quelli che non amano pranzare a scuola, per due bimbi su tre il motivo è la monotonia del cibo, per la metà la scarsità delle porzioni, per uno su tre la fretta con cui bisogna mangiare e i modi bruschi e scostanti del personale.

Il pasto portato da casa e consumato in un tavolo separato nella stessa mensa è un fenomeno in aumento solo a Torino. Nel resto d’Italia risulta contenuto: è il 2,4 per cento dei bambini, secondo una recente indagine dell’Anci (l’associazione che raduna i comuni).

Laboratori gastro e fattorie didattiche 

Il 57 per cento del campione sostiene che nelle scuole sono promossi progetti di educazione alimentare che coinvolgono gli studenti; il 30 per cento parla di laboratori sull’alimentazione, l’88 per cento di visite a fattorie didattiche. L’orto a scuola avrebbe un buon seguito secondo il 44 per cento, ma ancor di più le iniziative contro lo spreco alimentare e per la raccolta differenziata dei rifiuti.

Chiude Cittadinanzattiva, onlus e movimento: “Questi servizi devono essere estesi a tutte le Regioni e i Comuni del Paese, particolarmente a quelli del Centro-Sud. Devono diventare progressivamente servizi pubblici essenziali e garantire l’accesso gratuito ai minori in condizioni di povertà”.