No al consumismo delle “buone idee”

No al consumismo delle “buone idee”

 di Claudia Fanti

Il nostro tempo di maestre nel tempo accelerato in cui viviamo è  speciale. I nostri incontri con bambini e bambine sono ancor più speciali dentro un tempo cornice che vorrebbe co-stringerci. Noi e loro siamo speciali e dobbiamo liberarci dalla morsa e dai tentacoli di chi vorrebbe

un’ adultizzazione tramite voti, misure, competenze subito spendibili e oggettivamente rilevabili.

La fretta del mondo in cui viviamo con i suoi oggetti frenetici tende ad accelerare il nostro procedere e a gonfiarlo di contenuti in una misura che conserva in sé l’ansia del sentirsi inadeguati, insufficienti, impreparati alla vita e ignoranti in relazione alle conoscenze in ogni campo del sapere.

 

Il tempo pedagogico vs il consumismo delle “buone idee”

C’è un altro fattore che mi preoccupa alquanto ed è l’iperspecialismo, lo chiamo così per brevità, ma credo di venir compresa se si pensa alla tendenza, ormai da anni in voga, di perdere di vista l’insieme persona così come l’insieme società, l’insieme mondo del lavoro, del mondo natura, delle discipline e dei saperi che concorrono a una vita degna di essere vissuta…si perde di vista il tutt’uno universale, la cui rete, questa sì, è globalità da non dimenticare mai e, soprattutto, quando il lavoro che si svolge è legato agli esseri umani. E’ un fattore da tenere ben presente quando si applicano alla scuola mode legate al contingente, per cui fioriscono le “settimane del…”, il “progetto per…”, il “laboratorio di…”, lo “screening per…”, il software su…”, ecc. Gli insegnanti più zelanti tentano di accontentare l’istituzione, il ministero di turno, il territorio…rischiando di vedersi sfuggire il TEMPO PEDAGOGICO della conversazione, del dialogo sia collettivo sia individualizzato; rischiando di sottovalutare anche inconsapevolmente i messaggi che arrivano dai singoli e dalla classe. Pensiamo alle diffuse sensazioni di volatilità del proprio operato espresse durante le riunioni di varia tipologia e scopo che succhiano il tempo delle  “ore dovute”oltre quello delle lezioni. Poi, quando il TEMPO UTILE è irrimediabilmente perduto e le classi scoppiano, emerge il ricorso agli eserciziari sottoforma di fotocopie; emerge la fretta nelle pretese di un ordine comportamentale, relazionale e di apprendimento, dirette agli alunni.

Il consumismo delle idee, se pur buone, in tema di ambiente, energia, conoscenze del mondo attuale in generale, uccide il TEMPO del pensiero, della meditazione sui valori universali per mezzo di un lento procedere nel far circolare idee e soluzioni pensate in proprio dagli alunni nella rete di relazioni all’interno del gruppo numeroso della classe, gruppo che è un micro mondo desideroso di conoscersi anche attraverso il conflitto fra tipologie umane differenti prima di approcciarsi col mondo esterno. Quindi urge un pensamento sul rapporto fra pedagogia e  didattica, affinché la prima si arricchisca dell’altra e viceversa, nel convincimento che nella scuola elementare è basilare lasciar tempo al tempo. Penso a quante volte sento dire: “sbrigati, gli altri hanno già finito, sono più avanti di te…”: in questa semplice esortazione sta una delle più banali cause delle ribellioni dinanzi al tempo scolastico. In particolare all’inizio sarebbe vitale per il “non uno di meno” una paziente analisi condivisa con i bambini di ogni situazione-azione che precede gli apprendimenti della letto scrittura: dal saper allacciarsi le scarpe, all’abbottonarsi un giubbotto, al disegnare, al temperare le matite colorate, al mettere ordine nel proprio materiale, al rispettare i turni, al saper tenere le posate in mano, al  parlare senza urlare, all’ascoltare le ragioni dell’altro, alla conoscenza degli ambienti di gioco e di lavoro e alle loro funzioni, al rispetto delle cose, dei materiali e delle persone che operano nella scuola, all’attenzione al benessere generale, all’avvio a una “progettazione” del parlato per comunicare, ma anche per ottenere soddisfazione dei propri bisogni e necessità…Il parlato va curato e pazientemente riflettuto creando un clima di tranquillità nel momento dell’attesa che esso avvenga in modo adeguato alle intenzioni di chi cerca di comunicare: certo è più veloce la pratica diffusa dell’interpretazione dell’adulto anziché l’attendere che il pensiero del bambino prenda forma, tuttavia tale pratica di accelerazione è inutile al fine di una comunicazione autonoma che va lentamente ordinandosi e chiarendosi al sé e all’altro che ascolta.

 

Prevenire anziché combattere

Il tempo dell’inizio è il tempo dell’imprinting nei rapporti interpersonali e non va sprecato con le accelerazioni  in quanto esse portano sicuramente a un rallentamento successivo nel momento degli apprendimenti formali. E’ il tempo nel quale si instaurano i rapporti fra i pari proprio nelle “piccole situazioni” a rischio  ansia da prestazione e competizione nel voler essere bravi; è il tempo che vede il ritorno dell’enuresi notturna, dei pianti disperati nel distacco dalla mamma (tutti segnali che la persona è fragile, teme di essere giudicata per le proprie inadempienze dal mondo “nemico”), ecc. E’ un tempo da utilizzare appieno per prevenire anziché combattere senza successo poi. E’ il tempo della vera educazione alla cittadinanza che spesso si fa soltanto chiacchiera non lasciando il tempo al concretizzarsi della sostanza tramite una pedagogia che accoglie, ascolta, riflette, medita su come condurre la classe e le persone ivi contenute dando loro fiducia. Inoltre è fondamentale, come insegnante, ricordarsi vivendo la quotidianità scolastica di esprimere a parole, con gesti e azioni, che ho stima e consapevolezza che i bambini possono riflettere, conversare, esprimersi su qualsiasi argomento. Lo si può fare anche in maniera concreta palesando la nostra considerazione per quanto ci comunicano appuntando le loro considerazioni su qualsiasi supporto consenta l’archiviazione delle parole espressione di pensiero: lavagne dai fogli girevoli, computer, fogli appesi alle pareti…insomma materiali che consentano la rievocazione, la rilettura in qualsiasi momento sia utile recuperare le idee di qualcuno per la crescita culturale e umana di tutti.

Proprio per questi motivi  il nostro lavoro a contatto strettissimo con l’infanzia dovrebbe farsi lento, misurato, profondissimo. L’estensione orizzontale diviene il pericolo, lo scavare nel sotterraneo delle conoscenze pregresse e delle coscienze dovrebbe invece diventare sistema.

Allora l’ascolto verso ognuno è essenziale: le esperienze di ogni essere vanno accolte e poi rielaborate. Il linguaggio va ricostruito: esso è già presente, ma va incentivato con ogni strategia conosciuta a venire alla luce e aiutato con serenità e tempo lungo a strutturarsi in un fluido parlare di comunicazione interpersonale fra compagni e compagni, fra insegnanti e alunni. Ciò prima e durante il lavoro sui contenuti disciplinari che pure devono divenire veicolo di pensiero e riflessione lenta e profonda, mai superficiale e data per conclusa.

La tensione a terminare in tempi contingentati le attività e a vederle “stampate” in cartelloni, quaderni, file, ecc. va abbandonata per lasciare il posto a un altro tipo di tensione e cioè quella che si protende per aiutare il pensiero a concretizzarsi in parole e frasi concatenate, coese e coerenti. Tale attività “non fissabile” su carta è la più importante base da cui partire affinché bambine e bambini possano crescere dal punto di vista cognitivo affrontando qualsivoglia sapere. Tale attività è la regina di qualsiasi competenza trasversale e disciplinare.

Non è semplice. Capisco quanto oggi siano attraenti per gli adulti colti e preparati le infinite informazioni che essi attingono dalla rete e non solo, eppure tale bulimia di “sapere” è la prima nemica di un buon insegnamento. L’adulto infatti tende a riproporre le sollecitazioni ricevute riducendole, semplificandole (a volte anche in modo egregio), per poterle trasferire agli alunni e alle alunne con i quali viene in contatto. Tende a far entrare di tutto nei contenuti da inserire nelle programmazioni. Tuttavia è impressionante quanto poi gli stessi adulti notino l’inutilità dei loro sforzi senza riconoscerne la causa.

 

Fermiamo il mondo!

Noi ci troviamo a insegnare in classi multiculturali, nelle quali i bambini stranieri entrano a far parte di un gruppo di compagni che portano su di sé già i segni dell’accelerazione contemporanea: linguaggio e azioni sempre più sincopate. A volte, a un buon osservatore non sfugge che l’incontro fra culture risente di ciò a scapito di tutti.

Allora spetta all’insegnante “fermare il mondo” attendendo le volontà e contemporaneamente spronando al dialogo-tartaruga e all’azione di scavo dentro le cose, le materie, la riflessione, la poesia, la narrativa…

Spetta all’insegnante “frenare”, fare assaporare, centellinare, gustare e approfondire una storia, una lettura, gli argomenti grammaticali, quelli matematici, l’approccio alla musica, all’arte, all’espressione corporea, alla tecnica, alla tecnologia…

Andare piano non significa “non fare niente”, perdere il tempo, bensì accertarsi che ciò che viene detto, studiato, espresso su qualsiasi segmento del sapere sia divenuto patrimonio di tutti e sia sedimentato, riutilizzabile in altri contesti. Ma per fare ciò non occorre disperdersi in un numero forsennato di proposte, bensì usarne alcune e su quelle approfondire per scoprire, scoprire e ancora scoprire gli impliciti significati esplorando meticolosamente i significanti.

Le strategie sono tante per “fermare il tempo” sull’atto dell’approfondimento, ma secondo la mia esperienza ciò che vale maggiormente è che alle fondamenta ci sia prima la certezza per ogni bambino di non essere giudicato malevolmente per ciò che  pensa, fa, realizza nel tempo…ecco perché ritengo di primaria importanza il tempo dell’inizio con una scolarizzazione attenta alla costruzione dei rapporti.

 

Inclusione e conduzione della classe

Aggiungo che ciò non si persegue con le prediche basate sul “Non”, bensì su regole che, se trasgredite, inducano il singolo a un ripensamento il cui premio-contropartita alquanto allettante  per bambini e bambine è la consuetudine a un apprendimento condiviso con i pari in assoluta autonomia in modo che essi insieme possano dispiegare le loro modalità di approccio ai saperi formali e non, senza prevaricazioni, stop o accelerazioni, ciò soprattutto, come ho già scritto, nei primi anni e all’ingresso della scuola elementare in continuità con le metodologie della scuola dell’infanzia.

Condurre la classe verso l’inclusione di tutti non è facile, eppure si deve tentare di farlo se non si vogliono invalidare perfino percorsi di alto livello didattico, quindi se è vero come io ritengo fermamente che all’insegnante spetta una robusta competenza disciplinare, altresì è vero che non deve mancare una solida abilità nella conduzione della classe e dei singoli che la compongono.

Vanno tenute oltremodo in considerazione dall’insegnante le individualità dei bambini, le loro peculiarità, le problematiche che emergono dall’osservazione attenta dei temperamenti in situazione di relazione con i pari. Va coltivata da ogni insegnante una certa sensibilità nel cogliere le interiorità inespresse di ognuno, le quali però traspaiono soprattutto affrontando argomenti di umanistica rilevanza che attirano fin dalla prima elementare e su questi bisogna far leva, da questi partire con un esame meticoloso di atteggiamenti in situazione di successo e insuccesso. E’ importante aggiustare in itinere e costantemente il tiro delle proprie scelte sia contenutistiche sia prettamente tecniche di ogni disciplina di insegnamento. E’ fondamentale: non si può pensare di prescindere da ciò e non si può far finta che non esistano le persone che apprendono privilegiando gli oggetti delle discipline. Non si può. Altrimenti nel migliore dei casi si avranno risultati soltanto con alcuni, soprattutto con quelli che usano la memoria per ripetere formule, frasi modello dell’insegnante e applicazioni meccaniche.

Fornire strumenti di consultazione di ogni tipo agli alunni, affinché insieme, a coppie e successivamente anche a piccoli gruppi, procedano alle scoperte e alle soluzioni; è imprescindibile per consentire loro di giungere a una vera autonomia dopo l’attenzione e l’ascolto della lezione frontale. Ciò non significa, come qualcuno pensa, un tirarsi indietro dell’insegnante, bensì un suo sopraffino garbo nel fornire spiegazioni, informazioni essenziali, eliminando la classica logorrea da ansia da prestazione con continue ripetizioni di concetti predigeriti dall’adulto, ma di nessun interesse per i bambini e le bambine del terzo millennio, italiani o stranieri che siano.

Più un insegnante è libero da se stesso e dalla propria cultura di riferimento, più è in grado di non giudicare a priori, maggiore sarà il risultato: l’efficientismo è nemico della capacità di lasciarsi coinvolgere dalle storie individuali degli altri, dalle modalità di apprendimento di ognuno.

Così, attendere che gli alunni e le alunne interiorizzino norme della convivenza attraverso dialoghi lunghi e pazienti, ricchi di rispecchiamenti, di vocaboli condivisi e compresi, mentre si esprimono emozioni, sentimenti, opinioni, idee, è premessa di successi insperati. Il dialogo è uno strumento fortissimo purché non divenga mai monologo dell’adulto ansioso di tutto spiegare, di tutto tenere sotto controllo. E diventa ineludibile evitare l’intervento di personale esterno alla classe che prelevi i bambini stranieri portandoli fuori dalla situazione apprenditiva in dialogo continuativo della classe per recuperi linguistici di vario tipo. Ciò è premessa per una rapida e profonda inclusione. L’ho sperimentato più volte ormai: la lingua dei bambini esposti a un continuo aggiustamento in dialogo con la lingua dei compagni oltre che con quella dell’insegnante, si rielabora per giorni, si plasma, coglie le sfumature, e, per prove ed errori, diviene in breve piena, comunicativa, ricca di sfumature e di competenze sintattiche.

La metafora, inoltre, è una potente alleata di bambini e insegnanti, così su essa e con essa bisogna far lavorare fin dal primo giorno di scuola proprio per abbattere le incomprensioni e i fraintendimenti comunicativi e per portare i bambini a una maggiore sicurezza di essere compresi. La metafora, come veicolo per la riflessione sul mondo e per favorire l’espressione e l’ascolto di stranieri e italiani, va scoperta subito e usata e stimolata con costanza anche nei disegni e nelle rappresentazioni.

La correzione degli elaborati deve puntare rigorosamente e con perseveranza sull’autocorrezione e solo dopo, nel caso in cui veramente ci sia una non comprensione evidente, l’insegnante può intervenire per riaprire il dialogo di riflessione sui percorsi che hanno portato all’errore, affinché gli alunni siano consapevoli e possano esprimere le loro perplessità. E’ un lavoro lento e paziente di costruzione del sapere e dell’autonomia che porterà nelle classi più alte a un’indipendenza di decisioni, di scelte, di letture, scritture…

Molti sono i contenuti adorati dai bambini, ma quelli che aprono loro la riflessione sul proprio mondo  segreto e sul mondo  dell’altro sono sicuramente i miti, le leggende, la poesia in generale, i classici, insomma tutte quelle storie che all’adulto sembrano troppo complesse. Proprio quelle sono amatissime e i bambini si divertono a misurarsi su ciò che pare a noi difficile e apparentemente impossibile per la loro comprensione. Proprio la profondità dei contenuti apre strade inimmaginabili. Allora si può notare che l’universalità dei contenuti spalanca le porte ai bambini alla vera attenzione per le problematiche attuali della nostra Terra. Altro che le “settimane-progetto per”! Ciò vale anche per la musica, la pittura, il teatro… Non amano canzonette o rappresentazioni  bamboleggianti di vario tipo. I bambini si divertono anche con queste ultime, ne ridono, ma non le amano.

Ecco una cosa a cui l’adulto deve stare molto attento: il divertimento che i bambini esprimono per alcuni contenuti non è sinonimo di amore, di coinvolgimento totale, di adesione divertita e profonda insieme. Anzi, è apparente “divertimento” e lo dimostra il fatto che viene  immediatamente dimenticato in favore di “divertimenti” meno espressi, i quali vengono però interiorizzati e ricordati dopo anni e che lasciano il segno in modo trasversale alle discipline e sono soggetti a essere richiamati alla bisogna.

Una cosa va sempre ricordata: i bambini amano fare fatica in proprio, amano scoprire in proprio, sbattere la propria testa contro il sapere e le difficoltà in modo autonomo purché non vengano “verificati e misurati” in ogni momento.

Sono soddisfatti quando giungono a un successo conquistato e lo dicono apertamente. Per loro è questo ciò che vale. Il resto è divertissement o noia e viene dimenticato così come le lezioni unicamente frontali con l’insegnante che parla parla parla… si congratula con se stesso, oppure si sente incompreso o, peggio, si denigra e perde autostima per non aver ottenuto i risultati sperati.