Obbligo lungo sì, ma di istruzione!

Obbligo lungo sì, ma di istruzione!

di Maurizio Tiriticco

Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera, e Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia, entrambi del Partito Democratico, in un articolo pubblicato domenica 11 gennaio su “il Sole 24 Ore”, propongono di innalzare l’obbligo di istruzione (non chiamiamolo scolastico: in effetti esiste anche l’istruzione parentale, della quale, com’è noto, si fa carico la famiglia) fino ai 18 anni di età. Da quel dì che penso e scrivo che un obbligo di istruzione lungo è più che necessario in una società in cui la conoscenza – e lo diciamo da anni – è ormai un valore fondante di qualsiasi attività lavorativa! Il tempo dei tre settori produttivi, l’agricoltura, l’industria e i servizi, nettamente separati, è ormai sul viale del tramonto, ovviamente nei Paesi ad alto sviluppo. L’incremento e l’utilizzo sempre più diffuso e impetuoso delle Tecnologie dell’Informazione e della Conoscenza, TIC, rende sempre più vacua la differenza che da sempre corre non solo tra i tre settori produttivi, ma tra gli atteggiamenti stessi e i concreti comportamenti degli addetti.

Obbligo lungo, sì, ma, come? Penso di essere intervenuto più volte su tale questione, ma penso anche che repetita iuvant! L’obbligo lungo certamente, ma soprattutto come occasione per ripensare un intero percorso obbligatorio dodecennale! O meglio, non si può pensare a un semplice incollaggio di quattro segmenti di percorso, anni 6/11, 11/14, 14/16 e 16/18, che comunque hanno il loro fondamento nella nostra stessa storia, e non solo di storia della scuola; ma occorre ripensare e ricostruire un curricolo di studi e di vita di un soggetto in età evolutiva, e non astratto, ma operante qui ed ora in una società che non è quella di ieri, e che domani non sarà quella di oggi.

E’ più che ovvio che in un’Italia postunitaria, quella del 1861, il problema di un’istruzione obbligatoria minima si poneva in modi e criteri assolutamente diversi da oggi! La pluralità di culture e di linguaggi (e di dialetti anche) era tutt’altra cosa rispetto all’Italia attuale! Oggi la dominanza, se non la preponderanza, dei linguaggi digitali incide non poco nella lingua letto/scritta e in quella detto/ascoltata. E gli studi che si conducono su tale complesso fenomeno rischiano di giungere sempre in ritardo rispetto alla velocità con cui i nuovi strumenti del comunicare si diffondono e, soprattutto, si rinnovano… e in primo luogo tra i giovani che, com’è noto, sono vere e proprie carte assorbenti di fronte ad ogni cosa che sia nuova, bella o brutta, utile o dannosa!

Per non dire, poi, della incidenza, a volte anche pesante, sui significanti e sui significati nonché sui valori e sui disvalori dei messaggi inviati e ricevuti. Per non dire, infine, delle manipolazioni che TIC sempre più sofisticate e invadenti suggeriscono, propongono e, spesso, rendono vero il falso e viceversa! Sembra che ormai le cosiddette fake news siano molto più numerose delle notizie vere! In effetti si tratta di virus che potremmo definire concettuali, contenutistici, in effetti molto più tendenziosi e pericolosi delle bugie di sempre, delle quali per altro la stampa è sempre stata sovrabbondante! Anche se occorre considerare che la stampa, quella che nacque dalla lontana invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg, fu ai suoi primordi fonte primaria di innovazioni importanti, nel campo soprattutto della ricerca scientifica, anche se la Chiesa temeva che i suoi insegnamenti di sempre potessero essere messi in discussione. In effetti, criteri e mezzi nuovi di diffusione della parola e del sapere sono sempre anche preziose fonti con cui il sapere stesso è messo costantemente in discussione.

Per concludere, in una realtà così complessa della comunicazione (il campo), di cellulari sempre più sofisticati (il mezzo) e delle informazioni (messaggi sempre più frequenti e numerosi), pensare a un’istruzione dei nuovi nati lunga e articolata è estremamente necessario, se non doveroso. Ma un’innovazione di questo tipo non può ridursi ad un dispositivo di legge che sancisca una sommatoria di percorsi di studi che – com’è noto – vengono da lontano, a volte ciascuno con una sua “logica” innovatrice, ma sempre legata a quell’hic et nunc! Pertanto, guai ad un provvedimento legislativo che con un solo rigo unifichi quattro “spezzoni” di studio e di scuola. Sì, invece, ad un ripensamento complessivo di un curricolo continuo, verticale e progressivo, ma anche articolato al suo interno. Insomma, dodici anni di studio, dai sei ai diciotto anni di età, sono tanti e lunghi. E un’amministrazione, se è seria e responsabile, non può non lanciare su tale questione un dibattito che coinvolga tutti gli addetti ai lavori e l’intero Paese!

Penso anche al fatto che ormai l’istruzione, quella vera, è quotidiana e dura tutta la vita! Si tratta di un tema che non va affatto sottovalutato! E mi piace infine ricordare che su tale tematica sono intervento tempo fa, anche se con argomentazioni e accenti diversi. Si veda al proposito “Obbligo di istruzione fino a 18 anni: sì, ma, però… lettera aperta alla Ministra Valeria Fedeli”, dello scorso 23 agosto.