Nota per Osservatorio nazionale sulla valutazione della dirigenza scolastica

DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf.: Nota per la convocazione dell’Osservatorio nazionale sulla valutazione della dirigenza scolastica, del 19 gennaio 2018

 

  1. Premesso che la valutazione ha molteplici configurazioni e correlate funzioni, per DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf., sindacato rappresentativo nell’area dirigenziale Istruzione, Università e Ricerca, è prioritariamente non più dilazionabile l’obbligo di corrispondere al dettato della legge, risolvendo l’assurdità che, ad un ventennio dalla sua nascita nell’ordinamento giuridico, fa di quella scolastica l’unica dirigenza pubblica a non essere valutata, ai sensi e per gli effetti della norma generale contenuta nell’art. 21 del D. Lgs 165/01 e s.m.i., integrata – integrata, non già sostituita! – dalla norma speciale del successivo articolo 25: con la conseguenza di cristallizzarne lo status di figlia di un dio minore.

Ma il dispositivo messo a punto dall’Amministrazione – con la direttiva 36/16 – e sul quale si vuol centrare la discussione, per meglio testarlo e poi eventualmente correggerlo, DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf. lo ritiene un inemendabile ponderoso, confusivo e proliferante ircocervo, fortunatamente arrestatosi – nel momento in cui se n’è decretato il sostanziale de profundis – alla previsione e produzione di – soli! – 22 corposi documenti, dal PTOF al Portfolio, unitamente alle sue generose propaggini, quali Anagrafe professionale, Autovalutazione e bilancio delle competenze, Azioni professionali; replicante ottusamente – con una cocciutaggine degna di miglior causa – quei modelli sperimentali susseguitisi negli ultimi dieci anni e tutti puntualmente naufragati.

Ma, soprattutto, l’intero concettuoso marchingegno, come lo erano i suoi antecedenti, è palesemente contra legem, se si ha cura di porre un minimo di attenzione alle disposizioni del D. Lgs. 165/01, integrate dal D. Lgs. 150/09 prima e dal D.P.R. 80/13 poi, per essere infine richiamate e sintetizzate nel comma 93 sgg. della legge 107/15.

Perché, nelle predette fonti di diritto positivo, si legge de plano che la valutazione dirigenziale – se valutazione dirigenziale è! – vuole accertare esclusivamente le competenze (o i comportamenti) organizzativo-gestionali e il grado di raggiungimento degli obiettivi formalizzati non già in progress, bensì nei provvedimenti d’incarico; semplicemente preordinata alla retribuzione di risultato, significativamente differenziata ex lege ovvero, in caso di esito negativo, collegata alle conseguenze sanzionatorie graduate nel menzionato art. 21 del D. Lgs. 165/01: come per ogni soggetto di qualifica dirigenziale.

Precisamente, la valutazione dirigenziale apprezza la performance individuale e il contributo recato alla performance della struttura organizzativa (che nel caso di specie è ogni istituzione scolastica): come per tutta la dirigenza pubblica, inclusi i dirigenti scolastici, atteso che le deroghe (recte: gli adattamenti) riguardano la Presidenza del consiglio, la dirigenza medica, la dirigenza in alcune amministrazioni di piccole dimensioni e, testuale, il personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché i tecnologi e i ricercatori degli enti di ricerca (art. 74, comma 4, D. Lgs. 150/09).

All’opposto, sempre il Legislatore, neanche nella norma speciale (art. 1, comma 93, legge 107/15), ha inteso conferire alla valutazione dei dirigenti scolastici il compito di promuovere e affinare, in via diretta e immediata, lo sviluppo professionale; peraltro avendo essi vinto un concorso pubblico, essendosi sottoposti al canonico corso di formazione, avendo infine superato il prescritto periodo di prova.

La valutazione dirigenziale e la valutazione definibile, in senso lato, formativa (di affiancamento e supporto lungo l’intero percorso professionale, per il c.d. miglioramento continuo), qui imposta a chi sembra essere destinato a fungere perennemente – e gratuitamente! – da cavia per legittimarsi ruoli e funzioni altrui, sono fattispecie diverse e ben distinte – sebbene correlabili – sotto il profilo concettuale e, più ancora, per gli esiti cui mettono capo: strutturalmente dura e classificatoria la prima, prosaicamente proiettata su benefici economici e sviluppi di carriera; amicale e priva ex se di incidenza sulla sfera giuridica soggettiva la seconda.

Lo stesso D.P.R. 80/13, contenente il Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, nell’ambito della generale valutazione collaborativa delle istituzioni scolastiche per contro prevede un distinto capitolo – dunque, da non confondere – per l’individuazione di indicatori per la valutazione del dirigente (art. 3, comma 1, lett. d), che l’INVALSI avrebbe dovuto produrre entro il 31 dicembre 2014, e tuttora latitanti, tesi ad evidenziare … le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente (a lui) riconducibili ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale (art. 6, comma 4): passaggi richiamati – giova ripeterlo – dal comma 93 della legge 107, che ne conferma l’obbligata coerenza con le disposizioni contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, di cui in prosieguo.

Se ciò è vero – e, sino a prova di smentita, lo è – il Portfolio e suoi ammennicoli può dirsi, come minimo, inconferente, mentre potrebbe giustificarsi, magari alleggerito da inutili orpelli, per i soggetti in anno di formazione e prova, ovvero per implementare innovazioni normative attraverso un percorso di riflessione partecipata e conseguenti azioni sul campo: che, beninteso, è più che legittimo, ma profondamente altro.

E difatti, quale correlazione significativa potrà mai stimarsi tra la necessità di misurare, e valutare, comportamenti organizzativi e grado di conseguimento degli obiettivi dell’azione dirigenziale e l’imposizione di uno strumento che, testualmente, assolve alle funzioni di orientamento, analisi e riflessione sui compiti e sulle competenze richiesti al dirigente scolastico…nonché di supporto per lo sviluppo professionale?

E qual è qui il senso di un’Anagrafe professionale, con facoltà dell’interessato di integrarla con documenti qualificanti e particolarmente significativi, che intende raccogliere tutte le informazioni professionali più rilevanti, andando a ficcare il naso nell’intera storia di vita del dirigente scolastico, sino ai più minuziosi ed ininfluenti dettagli?

Analogamente, quale utilità può ravvisarsi nel Bilancio delle competenze, che ha l’obiettivo di consentire al dirigente scolastico una riflessione sul suo ruolo e sui suoi punti di forza/debolezza, nell’ottica dello sviluppo e del miglioramento della professionalità?

Infine – stiamo parlando di un dirigente che deve realizzare con ampia autonomia operativa, rispondendone, direttive, piani o programmi – come può pensarsi di elencare oltre centocinquanta esemplificazioni possibili di azioni dirigenziali, da cui – dopo averle lette e rilette – è invitato a sceglierne non più di due?

  1. Esperti di antico lignaggio e di recente conio si peritano però di evidenziare che la valutazione della dirigenza – di tutta la dirigenza pubblica, non solo di quella delle istituzioni scolastiche! – non è esclusivamente preordinata alla retribuzione di risultato, ma, in seguito all’emanazione del D. Lgs. 150/09 (Riforma Brunetta), anche al miglioramento della qualità del servizio offerto dalle amministrazioni pubbliche (cui appartengono le istituzioni scolastiche, ex art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/01), nonché alla crescita delle competenze professionali. E che pertanto il Portfolio, con rispettive appendici, è uno strumento idoneo a compendiare, armonizzandole, queste tre dimensioni.

La prima affermazione è vera ex litteris. La seconda è falsa, nel senso che logicamente – e non solo logicamente – è un non sequitur: e lo si può dimostrare agevolmente con un’argomentazione essenziale, sostenuta da evidenze normative e, non meno, fattuali.

2.1. Dispone l’articolo 3, comma 1 del D. Lgs. 150/09 che la misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di diritti e di doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento.

Nel conseguente Piano di gestione della performance sono definiti gli obiettivi generali connessi alle priorità strategiche delle pubbliche amministrazioni, tramite apposite linee guida triennali della Presidenza del consiglio dei ministri, cui seguono gli obiettivi specifici delle diverse amministrazioni pubbliche, secondo le direttive ministeriali.

La performance, sia organizzativa che individuale, riguarda non solo i dirigenti, essendo estesa all’intero personale, che in questa sede può essere tralasciato.

La prima è riscontrata mediante modelli predisposti dalla Funzione Pubblica (art. 8, comma 1 bis, introdotto dal D. Lgs. 74/17), mentre la seconda – ai sensi dell’art. 9, comma 1 del primigenio e qui immodificato testo normativo – è collegata:

a)agli indicatori di performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità, ai quali è attribuito un peso prevalente nella valutazione complessiva;

b)al raggiungimento di specifici obiettivi individuali;

c)alla qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate, nonché ai comportamenti organizzativi richiesti per il più efficace svolgimento delle funzioni assegnate;

d)alle capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una significativa differenziazione dei giudizi.

L’articolo 19 del D. Lgs. 150/09, rivisitato dal D. Lgs. 74/17, oltre a collegare la significativa differenziazione dei giudizi all’effettiva diversificazione dei trattamenti economici, nell’ambito delle risorse destinate alle remunerazioni accessorie, specifica che per i dirigenti il criterio di attribuzione dei premi è applicato con riferimento alla retribuzione di risultato.

E’ appena il caso di annotare che i premi, che riconoscono il merito e la professionalità, hanno un’estensione semantica più ampia della valutazione dirigenziale in senso stretto, ancorché gli stessi – come i demeriti, sanzionati nel massimo grado con il licenziamento – siano alla medesima connessi.

Di tale più ampia estensione semantica se ne ha un riscontro nei correlati istituti e/o misure elencati nel successivo articolo 20, che possono essere applicati cumulativamente o disgiuntamente:

– bonus annuale delle eccellenze;

– premio annuale per l’innovazione;

– progressioni economiche (per le qualifiche non dirigenziali);

– progressioni di carriera;

– attribuzione di incarichi e responsabilità;

– accesso ai percorsi di alta formazione e di crescita professionale in ambito nazionale e internazionale;

– premio di efficienza.

Occorre peraltro avvertire che qui necessitano almeno due precisazioni: la prima per significare che il complesso e articolato costrutto della performance, reso con sbrigativa sintesi, troverà compiuta applicazione a partire dai prossimi rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018; la seconda per ricordare che per la scuola – in cui non sono stati previsti gli organismi interni di valutazione (OIV) – valgono le disposizioni codificate nel D.P.R. 80/13, Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (ante), integrate dalla legge 107/15, in particolare comma 93 dell’unico articolo di cui essa si compone, ancorché della performance l’uno e l’altra ne mutuino la medesima logica e ne partecipino il medesimo fine.

Si ricorderà che il predetto comma 93 indica i criteri generali che devono fondare la valutazione della dirigenza scolastica:

a)competenze gestionali e organizzative finalizzate al raggiungimento dei risultati, correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione dirigenziale, in relazione agli obiettivi assegnati nell’incarico triennale;

b)valorizzazione dell’impegno e dei meriti professionali del personale d’istituto, sotto il profilo individuale e negli ambiti collegiali;

c)apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale;

d)contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e dei processi organizzativi e didattici, nell’ambito dei sistemi di autovalutazione, valutazione e rendicontazione sociale;

e)direzione unitaria della scuola, promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica, dei rapporti con il contesto sociale e nella rete di scuole.

Le voci sub a)-e) sono dedotte dall’art. 25 del D. Lgs. 165/01, quella sub d) dal D.P.R. 80/13, quelle sub b)-c) dal D. Lgs. 150/09. Il che conferma che identica è la logica e identico è il fine (supra): per la generica dirigenza pubblica e per la specifica dirigenza scolastica.

In ogni caso, i passaggi sopra rimarcati e le annotazioni che li seguono, con gli afferenti richiami al diritto positivo, dovrebbero rendere di immediata evidenza la siderale distanza che li separa dalla filosofia, e dalle incombenze applicative, del Portfolio, come innanzi illustrate.

2.2. Oltre alle evidenze normative testé sunteggiate soccorrono probanti, e non meno perspicui, riscontri fattuali.

Il riferimento è il decreto del MIUR n. 971 del 23.11.13 – che poi dovrà riprendersi – recante ricognizione di indicazioni e criteri per l’attribuzione del trattamento accessorio al personale dirigenziale e delle Aree per gli anni 2012 e 2013.

Si compone di una premessa che, tra le altre disposizioni normative, richiama quelle che hanno introdotto importanti modifiche in materia (legge 135/12, di conversione del decreto legge 95/12, delineante il processo di valutazione del personale nelle more dei rinnovi contrattuali, di cui all’art. 6 della legge 141/11), cui seguono cinque articoli – di cui uno riguarda il personale non dirigente – che, ai fini dell’attribuzione del trattamento economico accessorio, rispettivamente statuiscono:

– che la valutazione dei dirigenti di seconda fascia viene effettuata dal Capo di gabinetto per quelli in servizio negli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dal Capodipartimento per quelli operanti nei suoi uffici di supporto;

– che la valutazione del personale dirigenziale avverrà tramite un’apposita allegata scheda SOR (scheda degli obiettivi e dei risultati), che consente di valutare sia il conseguimento degli obiettivi assegnati e il contributo dato alla performance complessiva dell’amministrazione, che il comportamento organizzativo, ivi compresa la capacità di valutazione dei propri collaboratori. Gli obiettivi sono desunti dal Piano della performance e possono dar luogo all’attribuzione di un punteggio massimo di 100;

– che il comportamento organizzativo, cui potranno essere attribuiti non più di 10 punti, sarà valutato con riguardo a analisi e programmazione; gestione e realizzazione; relazione, coordinamento e capacità di valutazione dei propri collaboratori;

– che il valutatore potrà tener conto degli eventuali elementi di difficoltà riscontrati nell’attività gestionale e indicati dal valutato nell’apposita scheda EDE (elementi di difficoltà evidenziati, così predefiniti: mutamento obiettivi programmati, insufficiente consistenza del personale, non adeguata preparazione professionale del personale coinvolto, non adeguate risorse strumentali, non sufficienti risorse finanziarie, difficoltà di coordinamento con altre strutture dell’amministrazione; il tutto semplicemente crociando le voci nelle apposite caselle del SI, ovvero aggiungendo Altro, da specificare nei successivi righi, unitamente a ulteriori osservazioni del valutato;

– che il valutatore, relativamente ai dirigenti di seconda fascia, dovrà assicurare che il punteggio massimo venga attribuito a non più del 30% del personale in servizio.

E, particolare di non poco momento, le due schede SOR e EDE sono sempre quelle preistoriche allegate alla Direttiva n. 4072 del 12.05.05, concernente il Sistema di valutazione della dirigenza del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Ben si vede che non ci sono visite di Nuclei, né interlocuzioni via skype o assistenze tutoriali. E sono del tutto estranei portofolii o consimili amenità da compilare, perché è lasciata alla libertà dei singoli interessati allegare la documentazione ritenuta significativa a comprova di quella che è una procedura gentile, non invasiva: sostanzialmente un’autovalutazione, con il punteggio che ognuno si attribuisce e che il valutatore potrà poi confermare o correggere.

Con questo dispositivo essenziale, chiaro, maneggevole, che ha dato prova di funzionare (pochi obiettivi concordati e tre sole voci a compendiare il comportamento organizzativo) e con un solo valutatore, senza che altri soggetti entrino in scena se non in via eventuale e decisamente remota, i valutati – dirigenti amministrativi di pari seconda fascia, preposti ad uffici interni con non più di una decina di persone da dirigere (art. 17, D. Lgs. 165/01), e dirigenti tecnici privi di una dipendente struttura organizzativa e meri attributari di posizioni dirigenziali (art. 9, D.P.C.M. 98/14) – si son potuti annualmente mettere in tasca una retribuzione di risultato tutt’altro che simbolica.

  1. Ciò nonostante, pur ammettendosi che il Portfolio rivela delle criticità, e pure qualche aporia, si è largamente convinti – e si insiste – che esso, con alcuni correttivi, può ben essere mantenuto: con il risultato – inconsapevole oppure scientemente perseguito? – di mandare fuori bersaglio l’eterna questione della valutazione della dirigenza scolastica, sollecitando l’inclinazione a disquisire sui massimi sistemi e a spaccare le virgole, senza mai arrivare al dunque perché manca sempre qualcosa per fare cento, secondo uno sterile copione che si recita da più di tre lustri: frutto della incomprimibile e perniciosa inclinazione a filosofeggiare, mentre gli altri – i dirigenti normali, non aggettivati – incassano!

Incidentalmente, ci sarebbe poi da chiedersi – ma ben pochi, per usare un eufemismo, se lo chiedono – quale sarebbe la ricaduta pratica di uno sforzo finalmente coronato dalla scelta dell’albero cui essere impiccati: una retribuzione di risultato che, con le attuali risorse finanziarie del FUN (Fondo unico nazionale a disposizione della dirigenza scolastica per remunerare altresì posizione variabile e, pro parte, le reggenze) non supererebbe la cifra media pro capite di 2.000 euro annui lordi, meno di quella percepita – sino a quando è stata percepita – in via automatica, parametrata sulla fascia di complessità dell’istituzione scolastica diretta, senza la necessità di sottoporsi a vessazioni burocratiche.

Poiché DIRIGENTISCUOLA-Di.S.Conf. è fermamente convita che moltissimi pregiati colleghi sono indifferenti allo sterco del diavolo, non sprofonderanno sicuramente in una crisi di nervi se si riportiano gli ultimi dati ufficiali disponibili al 20 novembre 2014; che dicono di una retribuzione annua lorda media – dei valutati con le due schede SOR e EDE – di 30.000 euro, con punte sino a 46.135,17 e senza mai scendere sotto i 28.000 (Le caselle indicanti 0,00 si riferiscono ai dirigenti tecnici, e a qualche dirigente amministrativo, immessi successivamente nei ruoli per vincita di concorso o per nomina politica ex art. 19, commi 5 bis e 6, D. Lgs. 165/01.

Eppure basterebbe porsi una semplice domanda sul perché la dirigenza scolastica resti a tutt’oggi l’unica dirigenza pubblica non valutata: non sarà per caso anche per l’assurdità degli strumenti – in realtà, sempre lo stesso, semplicemente mutato nella sua denominazione – sinora escogitati per disattendere la prescrizione legale e mantenerla quiescente?

Ma pure qualcuno che la domanda se l’è posta ha subito però sollevato due obiezioni, ostative al rovesciamento del tavolo e all’adozione del surriferito modello ministeriale: la specificità della dirigenza scolastica e la problematica fattibilità di un dispositivo non adatto ai grandi numeri. Ma sono obiezioni facilmente smontabili.

3.1. Circa la specificità – per il vero una specificità pezzente, incredibilmente(?) difesa con le unghie per primi dai suoi beneficiati – può tranquillamente dirsi, già prima facie, che essa può ben essere rilevata, valutata e rendicontata da quello che è un dispositivo sostanzialmente neutro, con alcuni adattamenti sia per il comportamento organizzativo che per gli obiettivi da perseguire.

In primo luogo si tratterebbe di riferire la valutazione ai criteri/parametri del pluricitato comma 93 della legge 107/15, incluso l’apprezzamento del proprio operato all’interno della comunità professionale e sociale, naturalmente avendosi cura di ponderarne il peso e di predisporre idonei accorgimenti per tenersi il più possibile sotto controllo gli effetti distorsivi.

Allo stesso modo, previo puntuale e sistematico raccordo tra l’Amministrazione centrale e gli Uffici scolastici regionali, dovrebbero definirsi gli obiettivi: anch’essi pochi e ben selezionati, che possano armonizzarsi reciprocamente e con gli obiettivi (non più di due) figuranti nel Piano di miglioramento dell’istituzione scolastica: tutti formalizzati nel provvedimento d’incarico ed elencati nella scheda SOR. Obiettivi, che siano nella diretta disponibilità del soggetto valutato; non ridondanti declaratorie di profilo, estrapolate in copia conforme dalle eterogenee e sedimentate norme che delineano, semplicemente, il perimetro dell’oggetto dell’incarico e che, per definizione, non sono perseguibili!

Andrebbe solo invertito il peso attribuito al primo e ai secondi per corrispondere alla peculiarità delle istituzioni scolastiche, non assimilabili ad un ufficio amministrativo siccome strutturalmente contrassegnato da procedure in larga prevalenza standardizzate. Ragion per cui qui la prevalenza non può essere quella dei risultati, attingibili con strumenti quantitativi (valutazione di prodotto), bensì dei comportamenti organizzativi, essenzialmente deducibili con un sistema di indicatori e descrittori – conosciuti in anticipo – e la cui frequenza e intensità siano convenzionalmente stimati significativi, in termini di causalità adeguata, salvo verifica e loro consequenziale rimessa a punto (valutazione di processo).

3.2. La seconda obiezione – quella dei grandi numeri – sembra più solida, ma è parimenti inconsistente.

Sì è vero, un capodipartimento valuta un numero di direttori generali che non sempre superano le dita di una mano, dei quali ha conoscenza diretta in forza di un quotidiano rapporto di prossimità (e sarebbe interessante svilupparne le implicazioni, in termini di supposta maggiore garanzia di oggettività per i valutati) . E, a cascata, un direttore generale valuta i dirigenti del proprio ufficio, che non di rado alle dita di una mano neanche ci arrivano.

Ben diversa è la situazione allorquando un direttore generale di un ufficio scolastico regionale deve formalizzare una valutazione, in media, di 450-500 dirigenti scolastici, sparsi sul territorio ed esercitanti la funzione non già in un omogeneo ufficio amministrativo strutturato su livelli gerarchici, bensì – con ben più ampia libertà – in più complessi enti-organi dotati di soggettività giuridica nell’agire doverosamente la propria autonomia funzionale; e in cui sono incardinati soggetti – individuali e collettivi – attributari di facoltà decisionali addirittura garantite dalla Costituzione.

Pur tuttavia, il Legislatore la soluzione l’ha indicata nell’articolo 25 del D. Lgs. 165/01, statuendo che i dirigenti scolastici – nel rispondere, agli effetti dell’articolo 21 (norma-base per tutta la dirigenza pubblica) dei risultati (estensivamente: dei comportamenti organizzativi, del raggiungimento degli obiettivi, nonché dell’osservanza delle direttive degli organi d’indirizzo) – si relazionano in prima istanza con un nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all’amministrazione stessa, in ragione – evidentemente – della specificità delle funzioni (ante) svolte dai valutandi.

Le recenti disposizioni di cui è parola nel comma 94 della legge 107/15 hanno previsto, nell’ambito della dotazione organica dei dirigenti tecnici del MIUR, l’attribuzione temporanea di incarichi di livello dirigenziale non generale, di durata non superiore a tre anni, per le funzioni ispettive, impiegabili per la costituzione dei nuclei di cui all’art. 25 del D. Lgs. 165/01 (che possono ora essere articolati con una diversa composizione in relazione al procedimento e agli oggetti di valutazione), data l’indifferibile esigenza di assicurare la valutazione dei dirigenti scolastici; per la realizzazione del sistema nazionale di valutazione, di cui al D.P.R. 80/13; infine per garantire le indispensabili azioni di supporto alle scuole impegnate nell’attuazione delle presente legge.

Non sembrano perciò sussistere particolari difficoltà a che i nuclei esaminino con tempi sufficientemente distesi di tre-quattro mesi (da settembre a dicembre dell’anno scolastico successivo a quello di riferimento?) le due schede (dei comportamenti organizzativi, degli obiettivi assegnati e delle eventuali difficoltà evidenziate) unitamente all’essenziale documentazione a corredo ritenuta significativa dai soggetti valutati: dai 150 ai 200.

Eventuali visite dovrebbero essere limitate ai casi in cui l’Amministrazione, in corso d’anno, sia venuta a conoscenza di fatti e circostanze che lascino ragionevolmente presumere un giudizio negativo, o gravemente negativo, per il dirigente scolastico.

Il Nucleo, quindi, per ogni dirigente scolastico assegnatogli, formulerebbe un giudizio e definirebbe la collocazione nei previsti livelli – anche sulla scorta di un protocollo standard ministeriale ai fini della necessaria uniformità – e comunque assistiti da un’adeguata motivazione.

Il direttore generale dell’USR potrà confermarli nell’adozione del provvedimento formale oppure potrà assumere, debitamente motivandola, una decisione diversa.

  1. La procedura fin qui illustrata, con i correttivi suggeriti, a DIRIGENTISCUOLA-Di.s.Conf. sembra, oltre che pienamente fattibile, abbondantemente garantista: di sicuro non meno di quella riguardante i dirigenti amministrativi e tecnici, atteso che l’eliminazione della dimensione soggettiva nella valutazione è, per definizione, impossibile.

Allora, qual è il problema? O meglio, riguarda esso soltanto i diretti interessati – partecipanti o meno ai vari convegni – o investe altri soggetti agenti nel sistema, a cominciare dall’Amministrazione che, con i progetti sperimentali che si susseguono e si accavallano, continua ad avvantaggiarsi di una prestazione formalmente dirigenziale, ma è esonerata dal corrispondere una reale retribuzione di risultato, sbrigandosela con una mancia e mantenendo sospesa quella che, sul piano dell’effettività, di dirigenza ha soltanto il nomen iuris?

In verità, coloro che – vuoi per granitici pregiudizi ideologici, vuoi per prosaici e molto concreti interessi – non sono disposti a denunciare che il re è nudo sono in tanti: dalle associazioni professionali ai sindacati storici rappresentativi.

Si divaga quando si insiste – lo si vuol pensare in buona fede – sulla necessità di rifisionomizzare la figura del dirigente scolastico per focalizzarla sui processi di insegnamento-apprendimento, in una comunità professionale attiva, aperta al territorio, caratterizzata da un forte spirito cooperativo, orientata verso didattiche innovative, sede privilegiata di inclusione ed emancipazione civile e culturale. Sicuramente affermazioni condivisibili – e come potrebbero non esserlo? – ma che ci girano intorno e, come suol dirsi, non prendono mai il toro per le corna.

E’ a suo modo coerente chi, con onestà sebbene del tutto fuori contesto, orfana dei presidi, aspira a un modello di valutazione…che valorizzi la dimensione educativa…di una professione direttiva. Di modo che, in luogo di fondarsi sulle caratteristiche di managerialità gestionale, si indirizzi ai bisogni formativi e culturali delle nostre scuole e del Paese.

Ed è completamente fuori dall’orizzonte del cartello dei sindacati generalisti la sola idea che i dirigenti scolastici possano essere (effettivamente) valutati come tutti i dirigenti pubblici normali. Difatti contestano non già la filosofia dell’attuale caravanserraglio, bensì le sue insufficienti garanzie nei confronti – il che è davvero(?) stupefacente – della loro dichiarata controparte datoriale!

Le (mancate) garanzie consisterebbero nell’assoggettamento dei dirigenti scolastici ai direttori generali, con la compressione della loro autonomia professionale e la libertà delle scuole autonome. In altri termini, la valutazione loro imposta è ingiusta e offensiva perché consegnata ad una burocrazia esterna…non supportata da competenza e terzietà dei valutatori… e in violazione della vigente normativa contrattuale. E’ perciò una valutazione ingiusta e offensiva, ragion per cui deve essere ricondotta ad un’intesa sindacale e non decisa unilateralmente dal datore di lavoro.

La riconduzione della valutazione della dirigenza scolastica ad un’intesa sindacale, anziché essere decisa unilateralmente dall’Amministrazione – come invece è avvenuto con l’ultimo ectoplasma e precedenti – è, in punto di diritto, legittima. Ma con alcune precisazioni.

Recita l’articolo 40 del D. Lgs. 165/01 che in materia di valutazione delle prestazioni per la corresponsione del trattamento accessorio, la contrattazione è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge. Ma sono limiti che possono essere resi più elastici ricorrendosi all’istituto dell’ esame congiunto, che la legge 135/15 (di conversione del decreto legge 95/15) aveva previsto in materia di rapporti di lavoro e che ora il D. Lgs. 75/17, integrando il D. Lgs. 165/01, ha esteso all’organizzazione degli uffici: il che significa che il Sindacato può interloquire su tutte le materie di contrattazione, così come su tutti gli aspetti organizzativi del servizio, sino ad arrivare alla sottoscrizione di un’intesa che poi obbliga le parti ad eseguirla secondo i principi della correttezza e della buona fede, benché tale sottoscrizione non sia assistita da un obbligo giuridico.

Nel caso che qui ne occupa il canovaccio disegnato dalle disposizioni di legge che abbiamo riferito potrà bensì essere meglio sviluppato e dettagliato in sede negoziale, ma non di certo alterato o dandosene un’interpretazione alternativa, magari per cancellare la valutazione dei dirigenti che si fonda sull’applicazione del disastro della 107!

Orbene, chiunque potrà convenire che, con queste premesse, che esplicitamente si propongono di vanificare norme imperative, si sarà sempre destinati su un binario morto.

Sorge dunque il sospetto che chi, nel complesso, detiene il 52% di rappresentanza della dirigenza scolastica – e non perde occasione nel rimarcarlo – non vuole che essa sia valutata. Perché una dirigenza non valutata non è legittimata a valutare i propri dipendenti – docenti, personale amministrativo, personale tecnico e collaboratori scolastici – né ad attribuire bonus premiali e, ancor prima, individuare i docenti dagli ambiti territoriali e poi stipulare i relativi atti d’incarico.

Peraltro, se per i docenti vi è una deroga all’applicazione della brunettiana valutazione della performance (art. 74, comma 4, D. Lgs. 150/09, citato), per ora e per almeno un triennio surrogata dall’estemporaneo bonus premiale (commi 126-130, legge 107/15), il personale ATA ben potrebbe da subito essere valutato dal dirigente scolastico secondo i parametri figuranti nell’art. 4 del plurimenzionato D.M. 971/13:

  1. livelli di responsabilità;
  2. fungibilità delle prestazioni di lavoro e/o dell’eventuale aggravio di lavoro per situazioni contingenti, e/o collaborazione funzionale e flessibilità;
  3. accuratezza e tempestività nello svolgimento delle attività;
  4. comunicazione e gestione delle relazioni con l’utenza e/o all’interno dell’ufficio;
  5. sviluppo e condivisione della conoscenza e/o analisi e risoluzione dei problemi;
  6. contributo assicurato al raggiungimento degli obiettivi dell’unità organizzativa di appartenenza.

Da ultimo, il sindacato della dirigenza scolastica relativamente più rappresentativo non sembra aver mutato linea con l’avvento del suo nuovo presidente, peraltro appartenente all’area dirigenziale delle Funzioni centrali, cioè dei dirigenti veri. Ha accettato il Portfolio, ma ne rifiuta la compilazione perché è stata indebolita la funzione dei dirigenti scolastici con l’Intesa del 30 novembre 2016 tra la Funzione Pubblica e le confederazioni CGIL-CISL-UIL, seguita dall’Accordo del successivo 29 dicembre tra il MIUR e i sindacati di comparto. Con il che si rinforza un cortocircuito che, al di là delle opposte motivazioni, fa il gioco dei suoi competitor e, sicuramente, non rende un servizio alla dirigenza scolastica.

  1. Dopo circa vent’anni di stand-by, con questo scenario non è azzardato presumere che altrettanti ne occorreranno per una valutazione seria di una dirigenza vera: più o meno lo stesso tempo in cui il popolo d’Israele andò vagando nel deserto prima di raggiungere la Terra Promessa.

A meno che i diretti interessati, dismettendo l’illusione di potersi affidare alla benevolenza altrui e a protezioni – quanto meno sospette, anzi ora palesemente scoperte – di sigle spuntate fuori all’ultima ora, non si determino a rendersi artefici del proprio destino.

Sempreché si sentano – e vogliano essere – dirigenti.