Giorno della Memoria

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Con la Legge 211/00 la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche’ coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.


Giorno della Memoria, al Quirinale premiate le istituzioni scolastiche vincitrici del concorso “I giovani ricordano la Shoah”

Fedeli: “Nelle scuole Linee guida per lo studio di questi temi”

(Giovedì, 25 gennaio 2018) “Il Giorno della Memoria è una data importante del nostro calendario civile. Un momento di riflessione collettiva grazie al quale, anno dopo anno, rinnoviamo la convinzione che il ricordo della Shoah debba essere esercitato quotidianamente e attivamente, in modo consapevole e responsabile, per far sì che nel presente non si ripetano più atroci crimini contro la dignità di donne e uomini”. Così la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, è intervenuta oggi al Quirinale nel corso delle celebrazioni del Giorno della Memoria, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella.

“Non siamo immuni da quell’odio. Dobbiamo sapere che è replicabile e che gli unici vaccini in grado di contrastarlo sono la conoscenza, la cultura, e l’educazione che superano paure e timori, combattono discriminazioni, sopraffazione e violenza. La scuola è il luogo in cui vogliamo e dobbiamo trasmetterle”, ha sottolineato la Ministra, ricordando poi le attività messe in campo dal Ministero per raggiungere questo obiettivo. Quest’anno, in particolare, Il MIUR invierà alle scuole apposite Linee guida per la didattica della Shoah. Le Linee guida saranno accompagnate da una circolare e dal discorso pronunciato oggi al Quirinale dal Presidente Sergio Mattarella.

Nel corso della mattinata, il Presidente e la Ministra hanno poi premiato le scuole vincitrici dell’annuale concorso “I giovani ricordano la Shoah” che hanno raccontato con video, disegni, collage tridimensionali, e anche attraverso il linguaggio delle chat il loro punto di vista sul dramma che si è consumato nei campi di sterminio nazisti. Le scuole vincitrici vengono da tutta Italia e si tratta della primaria “Collodi” di Fidenza (PR), dell’Istituto Comprensivo “Agatino Malerba” di Catania, del liceo artistico “Giovanni Paolo II” di Maratea (PZ). Hanno ricevuto una menzione speciale, l’Istituto comprensivo “Avigliano Centro-Plesso S. Spaventa Filippi” di Avigliano (PZ), l’Istituto comprensivo “Don Roberto Angeli” di Livorno (LI), l’Istituto comprensivo “Druento” di Druento (TO), l’Istituto comprensivo “Don Lorenzo Milani” di Ariano Irpino (AV), l’Istituto superiore “Tonino Guerra” di Novafeltria (RN), l’Istituto “Betty Ambiveri” di Presezzo (BG).


Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla celebrazione del “Giorno della Memoria”

(Palazzo del Quirinale 25/01/2018) Rivolgo un saluto ai presidenti del Senato, della Camera dei Deputati e della Corte costituzionale, ai membri del governo, a tutti i presenti, a coloro che ci ascoltano attraverso la tv.

Un saluto particolare ai superstiti dei campi di sterminio, alla senatrice Segre, ai ragazzi.

Il 27 gennaio del 1945 le truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, spalancando, davanti al mondo attonito, le porte dell’abisso.

Quei corpi ammassati, i volti dei pochi sopravvissuti dallo sguardo spento e atterrito, i resti delle baracche, delle camere a gas, dei forni crematori erano il simbolo estremo della scellerata ideologia nazista.

Un virus letale – quello del razzismo omicida – era esploso al centro dell’Europa, contagiando nazioni e popoli fino a pochi anni prima emblema della civiltà, del progresso, dell’arte. Auschwitz era il frutto più emblematico di questa perversione.

Ancora oggi ciò che ci interroga e sgomenta maggiormente, di un mare di violenza e di abominio, sono la metodicità ossessiva, l’odio razziale divenuto sistema, la macchina lugubre e solerte degli apparati di sterminio di massa, sostenuta da una complessa organizzazione che estendeva i suoi gangli nella società tedesca.

Il cammino dell’umanità è purtroppo costellato di stragi, uccisioni, genocidi.

Tutte le vittime dell’odio sono uguali e meritano uguale rispetto. Ma la Shoah – per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale – resta unica nella storia d’Europa.

Come fu possibile che anziani, donne, bambini anche di pochi mesi, stremati dalle lunghe persecuzioni, potessero essere sistematicamente eliminati, perché considerati pericolosi nemici? Che fine aveva fatto tra gli ufficiali di un esercito prestigioso, dalle grandi tradizioni, il senso dell’onore, quello per cui, quanto meno, non si uccidono gli inermi? Dove era finito il sentimento più elementare di umanità e di pietà di una nazione, evoluta e sviluppata, di fronte alle moltitudini di innocenti avviati, con zelo e nella generale indifferenza, verso le camere a gas? Migliaia di cittadini, i “volenterosi carnefici di Hitler”, come li ha definiti lo storico Goldhagen, cooperavano alla distruzione degli ebrei.

Con questo consenso il nazismo riuscì a sterminare milioni di ebrei, di oppositori politici e di altri gruppi sociali – gitani, omosessuali, testimoni di Geova, disabili – considerati inferiori e ritenuti un ostacolo per il progresso della nazione.

Saluto e ringrazio per la loro presenza il presidente della Federazione dei Rom e Sinti, il presidente dell’Associazione deportati politici. Saluto anche il presidente degli internati militari: 800 mila soldati che, per il rifiuto di collaborare con i nazisti e di arruolarsi sotto le insegne di Salò, patirono privazioni, persecuzioni e violenze.

Da Liliana Segre e Pietro Terracina abbiamo sentito poc’anzi il racconto diretto, sconvolgente e inestimabile, dell’inferno dei campi, avvertendo la stessa emozione provata, nei giorni scorsi, ascoltando le parole, anch’esse essenziali e penetranti, di Sami Modiano. Agli internati venivano negati il nome, gli affetti, la memoria e il futuro, il diritto a essere persone.

Tutti i sentimenti erano brutalmente proibiti, tranne quello della paura.

Si possono uccidere, a freddo, senza remore, sei milioni di individui inermi se si nega non soltanto la loro appartenenza al genere umano ma la loro stessa esistenza. Soltanto per effetto di questa insana distorsione essi possono essere trasformati – con un progressivo e violento processo di spoliazione – da persone, titolari di diritti, in oggetti di freddi elenchi, in numeri, come quelli che i sopravvissuti ai campi di sterminio – che saluto tutti ancora – portano indelebilmente segnati sul proprio corpo.

Anche in Italia questo folle e scellerato processo di riduzione delle persone in oggetti fu attuato con consapevolezza e determinazione. Sul territorio nazionale, è vero, il regime fascista non fece costruire camere a gas e forni crematori. Ma, dopo l’8 settembre, il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione verso l’annientamento fisico.

Le misure persecutorie messe in atto con le leggi razziali del 1938, la schedatura e la concentrazione nei campi di lavoro favorirono enormemente l’ignobile lavoro dei carnefici delle SS.

Le leggi razziali – che, oggi, molti studiosi preferiscono chiamare “leggi razziste”- rappresentano un capitolo buio, una macchia indelebile, una pagina infamante della nostra storia.

Ideate e scritte di pugno da Mussolini, trovarono a tutti i livelli delle istituzioni, della politica, della cultura e della società italiana connivenze, complicità, turpi convenienze, indifferenza. Quella stessa indifferenza, come ha sovente sottolineato la senatrice Segre, che rappresenta l’atteggiamento più insidioso e gravido di pericoli.

Con la normativa sulla razza si rivela al massimo grado il carattere disumano del regime fascista e si manifesta il distacco definitivo della monarchia dai valori del Risorgimento e dello Statuto liberale.

Una donna forte e coraggiosa, Ernesta Bittanti, vedova dell’eroe trentino Cesare Battisti, commentava così nel suo diario quei giorni cupi e di dolore: «Io porto tutto il peso di queste sventure nel mio cuore (…) peso che mi viene dal ruinare di questa nostra povera Italia nell’abisso della barbarie spirituale. Da cui certo si riavrà un giorno!».

Lo Stato italiano del ventennio espelleva dal consesso civile una parte dei suoi cittadini, venendo meno al suo compito fondamentale, quello di rappresentare e difendere tutti gli italiani.

Dopo aver soppresso i partiti, ridotto al silenzio gli oppositori e sottomesso la stampa, svuotato ogni ordinamento dagli elementi di democrazia, il Fascismo mostrava ulteriormente il suo volto: alla conquista del cosiddetto impero accompagna l’introduzione di norme di discriminazione e persecuzione razziale, che si manifesta già nell’aprile del 1937, con il regio decreto legge volto a punire i rapporti tra cittadini italiani e quelli definiti sudditi dell’Africa orientale italiana, per evitare che venisse inquinata la razza.

Alla metà del 1938, con le leggi antiebraiche, rivolgeva il suo odio cieco contro una minoranza di italiani, attivi nella cultura, nell’arte, nelle professioni, nell’economia, nella vita sociale. Molti, venti anni prima, avevano servito con onore la Patria – come ufficiali, come soldati – nella grande guerra.

Ma la persecuzione, da sola, non fu ritenuta sufficiente. Occorreva tentare di darle una base giuridica, una giustificazione ideologica, delle argomentazioni pseudo-scientifiche. Vennero cercati – e, purtroppo, si trovarono – intellettuali, antropologi, medici, giuristi e storici compiacenti. Nacque Il Manifesto della Razza. Letto oggi potrebbe far persino sorridere, per la mole di stoltezze, banalità e falsità contenute, se sorridere si potesse su una tragedia così immane.

Eppure questo Manifesto, dalle basi così vacue e fallaci, costituì una pietra miliare della giurisprudenza del regime; e un nuovo “dogma” per moltissimi italiani, già assoggettati alla granitica logica del credere, obbedire, combattere.

La penna propagandistica, efficace nel suo cinismo, coniò lo slogan con il quale intendeva rassicurare gli italiani e il mondo, nel tentativo di prendere, apparentemente, le distanze dall’antisemitismo nazista: “Discriminare – disse Mussolini – non significa perseguitare”.

Ma cacciare i bambini dalle scuole, espellere gli ebrei dall’amministrazione statale, proibire loro il lavoro intellettuale, confiscare i beni e le attività commerciali, cancellare i nomi ebraici dai libri, dalle targhe e persino dagli elenchi del telefono e dai necrologi sui giornali costituiva una persecuzione della peggiore specie. Gli ebrei in Italia erano, di fatto, condannati alla segregazione, all’isolamento, all’oblio civile. In molti casi, tutto questo rappresentò la premessa dell’eliminazione fisica.

Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il Fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza, retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma.

Abbiamo, in questo giorno della Memoria, ascoltato testimonianze coinvolgenti dei sopravvissuti. Nelle loro parole si avverte la forza e il fascino della loro vita ritrovata, della loro volontà di vivere con pienezza ma, al contempo, ci si rende conto dell’immenso patrimonio di presenze e di protagonismi che ci avrebbe assicurato la vita di coloro che sono stati trucidati nei lager e che quella programmata violenza omicida ci ha sottratto.

Dalla professoressa Foa, dalla presidente Di Segni, dalla ministra Fedeli abbiamo sentito discorsi netti e lungimiranti: le ringrazio molto. Abbiamo rivissuto, attraverso le voci incisive di Remo Girone e Victoria Zinny, momenti drammatici della nostra storia di allora.

Siamo stati affascinati dalle canzoni, commoventi e piene di speranza di Noa, messaggera di pace e di bellezza. Grande amica dell’Italia, venuta appositamente da Israele per condividere con noi il Giorno della Memoria e renderlo ancora più ricco di intensità. La ringrazio di cuore, con stima e amicizia.

Abbiamo incontrato anche i giovani appena tornati dall’esperienza, sconvolgente ma formativa, del viaggio ad Auschwitz. A loro viene affidato il compito di custodire e tramandare la Memoria, perché non si attenui e non si smarrisca mai, per non rischiare di provocare nuovi lutti e nuove tragedie.

Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono infatti presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese, e l’Unione Europea, hanno gli anticorpi necessari per combatterli; ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità.

I cambiamenti rapidi e sconvolgenti che la globalizzazione comporta – le grandi migrazioni, i timori per lo smarrimento della propria identità, la paura di un futuro dai contorni incerti – possono far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, parole d’ordine, tentazioni semplificatrici, scorciatoie pericolose e nocive.

La predicazione dell’odio viene amplificata e propagata dai nuovi mezzi di comunicazione. La tecnologia e la scienza offrono grandi opportunità ma, come sempre, se non correttamente utilizzate, possono rendere disponibili strumenti sofisticati nelle mani di vecchi e nuovi profeti di morte.

Contro queste minacce, contro il terrorismo, contro il razzismo e la violenza dell’intolleranza serve cooperazione internazionale, servono coraggio e determinazione. E’ necessario, soprattutto, consolidare quegli ideali di democrazia, libertà, tolleranza, pace, eguaglianza, serena convivenza, sui quali abbiamo riedificato l’Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale.

Le leggi razziali in Italia erano entrate in vigore nell’autunno del 1938.

Il 1 gennaio del 1948, dopo neppure dieci anni, la Costituzione Italiana sanciva solennemente che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Di mezzo, vi era stata la cesura della guerra. Una guerra terribile, che aveva sparso morte e devastazione su larga parte del mondo. E che aveva aperto gli occhi del mondo sulla follia portatrice di morte del nazismo e del fascismo.

La Memoria, custodita e tramandata, è un antidoto indispensabile contro i fantasmi del passato.

La Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza, si è definita e sviluppata in totale contrapposizione al fascismo.

La nostra Costituzione ne rappresenta, per i valori che proclama e per gli ordinamenti che disegna, l’antitesi più netta.

L’indicazione delle discriminazioni da rifiutare e respingere, al suo articolo 3, rappresenta un monito. Il presente ci indica che di questo monito vi era e vi è tuttora bisogno.

Egualmente credo che tutti gli italiani abbiano il dovere, oggi, di riconoscere che un crimine turpe e inaccettabile è stato commesso, con l’approvazione delle leggi razziali, nei confronti dei nostri concittadini ebrei.

La Repubblica italiana, proprio perché forte e radicata nella democrazia, non ha timore di fare i conti con la storia d’Italia, non dimenticando né nascondendo quanto di terribile e di inumano è stato commesso nel nostro Paese, con la complicità di organismi dello Stato, di intellettuali, giuristi, magistrati, cittadini, asserviti a una ideologia nemica dell’uomo.

La Repubblica e la sua Costituzione sono il baluardo perché tutto questo non possa mai più avvenire.

Vi ringrazio.


La Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Roma, 25 gennaio 2018

Signor Presidente della Repubblica, Autorità presenti, Cara Noemi, Professoressa Foa, Cara Senatrice Liliana Segre e caro Pietro Terracina, Carissimi Giovanni Bassanelli, Luigi Lucchini e Francesco Perrone, Care studentesse e cari studenti,
Care e cari docenti,

sono grata dell’invito rivolto al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a partecipare alle celebrazioni del Giorno della Memoria, una data importante del nostro calendario civile. Un momento di riflessione collettiva grazie al quale, anno dopo anno, rinnoviamo la convinzione che il ricordo della Shoah debba essere esercitato quotidianamente e attivamente, in modo consapevole e responsabile, per far sì che nel presente non si ripetano più atroci crimini contro la dignità di donne e uomini. Non dobbiamo pensare di essere distanti da quella furia dissennata che ha permesso a degli esseri umani di costruire una fabbrica della morte per altri esseri umani. Rigurgiti di odio, di antisemitismo, di violenza possono tornare a macchiare le nostre comunità.
E le sono particolarmente grata, Signor Presidente, per la scelta di nominare Senatrice a vita Liliana Segre, una straordinaria donna sopravvissuta ad Auschwitz, che ha impegnato tutta la sua esistenza a tramandare alle giovani generazioni la memoria delle barbarie subite, con l’obiettivo di dare loro strumenti conoscitivi utili a costruire oggi una società giusta e libera. Si tratta di una scelta che ha un grande valore anche educativo, proprio in quest’anno in cui ricorre l’80esimo anniversario dall’emanazione delle leggi razziali. Norme dettate da un odio ingiustificato e ingiustificabile, che hanno generato esclusione, emarginazione e indifferenza negli ambiti più comuni dell’esistenza di donne e uomini. Norme che testimoniano quanto poco possa bastare per calpestare la dignità di una persona. Non siamo immuni da quell’odio. Dobbiamo sapere che è replicabile e che gli unici vaccini in grado di contrastarlo sono la conoscenza, la cultura e l’educazione che superano paure e timori, combattono discriminazioni, sopraffazione e violenza. La scuola è il luogo in cui vogliamo e dobbiamo trasmetterle. In cui educhiamo studentesse e studenti alla cittadinanza attiva, al rispetto di ogni persona e dei suoi diritti, all’accoglienza e all’inclusione delle diversità. Appena qualche giorno fa abbiamo ripercorso, insieme a oltre cento ragazze e ragazzi delle scuole italiane, le rotte dell’odio della Shoah. Lo abbiamo fatto accompagnati da chi quei campi di sterminio li ha abitati, costretto da un potere politico e da un consenso popolare che autorizzavano reati atroci mossi dalla volontà di spogliare di diritti e di dignità bambine e bambini, donne e uomini solo per il fatto di essere “diversi”, di essere ebrei, Rom, Sinti, Caminanti, omosessuali. Il “Viaggio della Memoria”, un’esperienza di conoscenza e di cittadinanza organizzata ormai da anni dal MIUR, apre ogni anno gli occhi, la mente e il cuore a centinaia di studentesse e studenti. Li mette a contatto con la Storia, nei luoghi in cui questa è avvenuta e attraverso il racconto dei protagonisti che l’hanno vissuta. Protagonisti ai quali dobbiamo riconoscenza, come ha ricordato più volte anche Lei, Signor Presidente. È sorprendente vedere quanto le studentesse e gli studenti rimangano colpiti dall’incontro con quelle persone e con quei luoghi, increduli e commossi, ma anche determinati a fare tesoro di un’esperienza preziosa da condividere e rendere proficua al ritorno alla normalità, nella loro comunità di riferimento. La conoscenza ci impone di non voltare la testa mai, di non essere indifferenti, di fare i conti con una pagina tragica del nostro passato.
Un passato atroce di cui è presente traccia anche nella Costituzione italiana, della quale abbiamo festeggiato il 70esimo anniversario. Abbiamo deciso come MIUR di distribuirne una copia a tutte le studentesse e a tutti gli studenti, al rientro dalle festività natalizie: è fondamento della nostra cittadinanza, del senso civico, dell’esercizio dei diritti e dei doveri, dell’essere e sentirsi comunità di donne e uomini uniti da regole e valori condivisi. Deve essere avvertita come familiare dai nostri giovani, deve essere considerata la mappa che ci aiuta ad orientarci e a trovare sempre la giusta rotta. La Costituzione mantiene in ogni parola, in ogni riga il segno della volontà delle Madri e dei Padri Costituenti di impedire una volta per tutte il ripetersi di genocidi e crimini contro l’umanità. Le giovani generazioni devono saperlo e ritrovare il senso della loro cittadinanza democratica in quegli articoli.
L’articolo 3 è straordinariamente esemplificativo. La parola “razza” in esso contenuta, parola che oggi per fortuna ci appare desueta – anche se non dobbiamo far finta di non vedere che viene ancora utilizzata per fomentare odio e divisione all’interno della nostra società -, è stata inserita con un’intenzione ben precisa. Le nostre Madri e i nostri Padri Costituenti hanno dibattuto a lungo sull’opportunità di mantenerla all’interno del testo definitivo. È stato deciso di fare ricorso al termine “razza” per ricordare che nel nostro Paese determinati principi razziali sono stati usati come criterio di discriminazione e per affermare in modo inequivocabile che non esiste alcuna diseguaglianza o supremazia legata alla “razza”, all’etnia, e che tutte le donne e tutti gli uomini fanno parte della stessa umanità.
Distribuendo la Costituzione ai giovani e invitando le scuole a promuovere iniziative di studio e approfondimento su di essa, anche con la collaborazione preziosa dei giudici della Corte Costituzionale, che ringrazio, abbiamo fatto una scelta di campo chiara: una scelta di rispetto e promozione attiva dei diritti e dei doveri. Una scelta che si sostanzia anche dell’attività costante e pluriennale del MIUR da sempre impegnato a promuovere la memoria dei tragici avvenimenti legati alla Shoah. Proprio nella giornata di domenica scorsa, con la Presidente dell’UCEI Noemi Di Segni abbiamo rinnovato l’intesa che ci vede collaborare da anni in questa direzione e, fatto inedito, abbiamo firmato una circolare con il Vice Presidente del CSM Legnini, che ringrazio, per la promozione delle attività di sensibilizzazione e formazione nelle scuole su questi temi di studio e ricerca in collaborazione con i magistrati italiani. Sempre con il CSM, abbiamo annunciato alle scuole che nell’apertura dell’Anno giudiziario presso le Corti d’Appello saranno coinvolte le studentesse e gli studenti. Abbiamo promosso il primo seminario nazionale di formazione dei docenti sui temi dell’integrazione, dell’accoglienza e della lotta al razzismo. Abbiamo costituito il portale nazionale delle buone pratiche, realizzato in collaborazione con l’UCEI, sulle esperienze didattiche più significative. Manderemo nelle scuole le Linee guida nazionali per l’insegnamento della Shoah, per affrontare la materia con correttezza storica ed efficacia didattica. Inoltre si sta lavorando alla produzione e alla diffusione di un cartone animato, “La stella di Andra e Tati”, il primo sulla tematica della Shoah realizzato in Europa, grazie alla collaborazione fra Miur, Rai e Larcadarte, che racconta la storia delle sorelle Bucci, deportate ad Auschwitz-Birkenau nel corso della Seconda Guerra Mondiale, all’età di 4 e 6 anni.
Quest’anno sono tante le ricorrenze che ci consentono di tornare a riflettere sulla natura della nostra convivenza civile. La collaborazione tra diversi soggetti educativi e istituzionali è fondamentale per dare un segnale forte riguardo alla necessità di contrastare qualsiasi genere di discriminazione, sopraffazione e violenza.
La filosofa Hannah Arendt ha detto: “Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla
superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”. La scuola è orientata a fare esercitare il pensiero che va in profondità e vince la superficialità e la banalità del male. Continueremo a lavorare per fare dell’Italia, dell’Europa e del mondo luoghi di rispetto delle differenze e di convivenza pacifica.