Dispersione scolastica: 1,8 milioni di studenti hanno abbandonato la scuola in 10 anni

da Tuttoscuola

Dispersione scolastica: 1,8 milioni di studenti hanno abbandonato la scuola in 10 anni

Dispersione scolastica in calo (-6% circa in un decennio), ma ancora molto alta. Il costo è enorme: 27 miliardi di euro, per non parlare del complessivo costo sociale. Quali ricette da parte delle forze politiche? La campagna elettorale non è certo incentrata su questa drammatica emorragia che ogni anno indebolisce il corpo sociale del paese e segna la vita di tanti giovani.

Negli ultimi dieci anni, degli oltre sei milioni (6.114.644) di studenti iscritti al primo anno delle superiori negli istituti statali, non sono arrivati all’ultimo anno quasi un milione e 750 mila studenti (1.744.142). Il 28,5% disperso, non pervenuto, “perso” dal sistema di istruzione statale.

Il costo di questo fallimento? Tuttoscuola lo ha calcolato. Tenuto conto che lo Stato investe per ogni studente della scuola secondaria superiore € 6.914,31 l’anno (fonte Education at a glance OECD), il costo per quei 1,8 milioni di studenti che non ce l’hanno fatta è stato di oltre 12 miliardi di euro l’anno. Tenuto conto che in media – tra chi ha abbandonato dopo il primo anno (708 mila alunni), chi dopo due anni (227 mila) e così via – sono stati alle superiori in media 2 anni e una parte (2,3 anni), il costo si può stimare in circa 27 miliardi di euro (27.438.139.345 euro). Un investimento, relativo solo all’ultimo decennio, non andato a buon fine, perché non si è raggiunto l’obiettivo del completamento del ciclo di studi. Ma niente rispetto al costo sociale per le vite “segnate” di questi ragazzi senza istruzione e quindi in larga parte senza futuro. Oggi il 45% di coloro che sono in possesso della sola licenza media sono disoccupati. Difficile, purtroppo, che non tocchi lo stesso destino ai “fuoriusciti” dalla scuola statale di questi ultimi dieci anni.

Diversi studi internazionali dimostrano che i drop-out incontrano ovunque maggiori difficoltà a trovare lavoro, restando spesso disoccupati per lunghi periodi, sono più soggetti a demotivazione nella ricerca del lavoro e nella ripresa degli studi (è il caso dei NEET) e anche nel mantenimento dello stesso, e presentano elevati costi economici e sociali, legati alla spesa per interventi di welfare in loro favore (sanità, sussidi), e per l’incremento dei costi legati alla sicurezza a causa della loro maggiore propensione alla micro-criminalità e ad altre forme di devianza. Accanto a questi maggiori costi andrebbero poi considerati i mancati guadagni derivanti dalla inattività di questi soggetti.

Dal punto di vista della convenienza economico-sociale è perciò indiscutibile che prevenire il fenomeno della dispersione con politiche inclusive e di supporto sistematico agli studenti a rischio di drop-out avrebbe costi notevolmente più bassi di quelli che derivano dalla necessità che i governi hanno di gestire le conseguenze sociali della mancata soluzione del problema.

Insomma, un’emergenza drammatica, da più punti di vista. Accentuata dal fatto che tanti giovani super preparati (anche qui con un forte investimento del paese, in questi casi andato perfettamente a buon fine), lasciano l’Italia e vanno a produrre reddito, ricerca, valore aggiunto in altri paesi europei o extra-europei: “si può stimare che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, siano 39.000 i diplomati e 34.000 i laureati” (Dossier Statistico Immigrazione 2017 di Idos e Confronti).

Quanto ha speso l’Italia per formarli? I conti li ha fatti sempre Idos e Confronti con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, sulla base di dati Ocse: “90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca”.

Il quadro si complica ancora di più se si considera – come se non bastasse – accanto ai fenomeni della dispersione scolastica e della fuga di cervelli, il concomitante fenomeno – in senso opposto – della “overducation”, che riguarda coloro che hanno un eccesso di istruzione rispetto all’occupazione che trovano.

Come spiega l’Istat (“I giovani nel mercato del lavoro, Focus del 27 ottobre 2017), “il sottoutilizzo del capitale umano disponibile (fenomeno della sovraistruzione o overeducation), cioè la mancata corrispondenza tra il livello di istruzione raggiunto e la professione svolta è piuttosto frequente fra i giovani. Nel 2016, il 38,5% dei giovani diplomati e laureati di 15-34 anni (circa 1,5 milioni) dichiara che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un più basso livello di istruzione rispetto a quello posseduto (41,2% dei diplomati e 32,4% dei laureati)”.

Si intuisce bene come si tratti di questioni molto complesse che dovrebbero essere inquadrate in un’agenda pluriennale, condivisa a livello paese, indipendentemente da chi governa nel periodo contingente. Non ci pare che questo accada.

Ma concentriamoci sulla criticità degli abbandoni scolastici nelle scuole superiori statali, e ai relativi costi. A breve i dati esclusivi elaborati da Tuttoscuola.