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Dichiarazione dei diritti in Internet (Camera, 28.7.15)

Dichiarazione dei diritti in Internet

Camera dei Deputati, 28 luglio 2015

Commissione di studio per l’elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet


Presentazione “Dichiarazione diritti in Internet”

Martedì 28 luglio, dalle ore 12, presso la Sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della “Dichiarazione dei diritti in Internet”. L’appuntamento, cui hanno partecipato la Presidente della Camera, Laura Boldrini, il professor Stefano Rodotà e altri membri della Commissione di studio, è stato trasmesso in diretta webtv.

La Presidenza della Camera dei deputati ha promosso la costituzione di una Commissione di studio per l’elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet un anno fa. A far parte della Commissione, che ha iniziato i suoi lavori il 28 luglio 2014, sono stati chiamati deputati attivi sui temi dell’innovazione tecnologica e dei diritti fondamentali, studiosi ed esperti, operatori del settore e rappresentanti di associazioni.

Per la prima volta in Italia è stata istituita in sede parlamentare una Commissione su questi temi. L’iniziativa, che fa seguito ad alcuni incontri e seminari svolti proprio alla Camera dei deputati su questi argomenti, nasce anche in coincidenza con altre iniziative analoghe, assunte in questo ambito negli ultimi anni, con una recente accelerazione a livello internazionale. Tra queste, l’approvazione in Brasile della legge cosiddetta “Marco civil” nell’aprile 2014, le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’8 aprile (Google-Spain) e del 13 maggio 2014 (Digital rights Ireland), la raccomandazione del Consiglio d’Europa anch’essa del 16 aprile 2014 (sulla protezione dei diritti umani su Internet) e la sentenza della Corte Suprema Usa del 25 giugno 2014 (sulla privacy relativa ai telefoni cellulari). Tutto ciò si aggiunge alle molte iniziative provenienti dalla società civile che in questi ultimi anni si sono mosse nella direzione della elaborazione di specifici principi per il governo della rete. Il testo elaborato dalla Commissione, anche per la specificità di Internet, individua una serie di principi generali che abbracciano le diverse tematiche connesse all’uso della rete. Non intende invece costituire una forma di regolamentazione secondo il classico modello normativo.

L’8 ottobre 2014 la Commissione ha varato una prima bozza di dichiarazione dei diritti in Internet, i cui contenuti – sintetizzati in 14 articoli – sono stati sottoposti all’attenzione dei partecipanti alla riunione dei Parlamenti dei Paesi membri dell’Unione europea e del Parlamento europeo sui diritti fondamentali che si è tenuta presso la Camera il 13 e il 14 ottobre 2014 nel corso del Semestre di presidenza dell’Unione europea. Il testo è stato poi sottoposto a una consultazione pubblica (dal 27 ottobre 2014 al 31 marzo 2015) per assicurare la partecipazione più larga possibile all’individuazione dei principi in esso contenuti. All’esito della consultazione pubblica e di un ciclo di audizioni di associazioni, esperti e soggetti istituzionali, i principi sono stati rielaborati e trasfusi in un nuovo testo della Carta dei diritti, che si propone come sintesi più avanzata delle diverse posizioni e sensibilità emerse. Durante la conferenza stampa, la Presidente Boldrini ha annunciato anche quali saranno le prossime tappe.

L’Educazione nell’Era Digitale

Dipartimento per la Programmazione e la Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali

L’Educazione nell’Era Digitale
La scuola digitale come partenariato nazionale. L’iniziativa “Protocolli in Rete”: come si monitora e valuta la costruzione di un partenariato per il Piano Nazionale Scuola Digitale

FORUM PA
Roma, 26 maggio 2015

Capo del Dipartimento per la Programmazione e la Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali del MIUR
Dott.ssa Sabrina Bono

DIDAMATICA 2015

29° edizione  – Genova 15, 16 e 17 Aprile 2015

Il 15 Aprile a Genova si aprono i lavori della 29° edizione di DIDAMATICA, il convegno annuale divenuto punto di riferimento critico per tutta la filiera della formazione che si propone di fornire un quadro ampio e approfondito delle ricerche, delle innovazioni e delle esperienze nel settore del digitale applicato alla didattica, nei diversi domini e nei molteplici contesti di apprendimento.

DIDAMATICA 2015 è organizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova – Scuola Politecnica – e la partecipazione  del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e dell’Agenzia per l’Italia Digitale.

La manifestazione avrà come tema portante Studio Ergo Lavoro – Dalla Società della Conoscenza alla Società delle Competenze.

Il programma dei tre giorni sarà, come di consueto, vasto e articolato: cinque sessioni plenarie dedicate ai temi portanti della manifestazione precedute da relazioni inviate, ventuno workshop organizzati dal comitato organizzatore e dieci sessioni scientifiche per dar conto dei lavori pervenuti.

Il programma sintetico è allegato alla presente, quello analitico sarà pubblicato a breve sul sito http://www.didamatica2015.unige.it/ .

La partecipazione è aperta a tutti previa registrazione.
Si informa che l’ingresso per le scolaresche e i loro accompagnatori è gratuito previa prenotazione al seguente link.

Per iscriversi, aggiornamenti sul programma, informazioni logistiche consultare http://www.didamatica2015.unige.it/ .


Studio ergo Lavoro
Dalla società della conoscenza alla società delle competenze
29° EDIZIONE – Genova 15, 16 e 17 Aprile 2015
Università degli Studi di Genova – Scuola Politecnica – Stradone S. Agostino 37

Programma Preliminare Sintetico Plenarie (Relatori invitati) (30 marzo 2015)

Mercoledì 15 Aprile 2015
08.00 Inizio Registrazione partecipanti
08.30 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
09.30 Inizio welcome coffe
Sessione Plenaria di apertura
10.45 Benvenuto e apertura lavori
a cura di Giovanni Adorni, chair DIDAMATICA 2015
Daniela Rovina, AICA
Partecipano Maria Linda Falcidieno, Direttore DSA Università di Genova
Bruno Lamborghini, Presidente AICA
Paolo Comanducci, Rettore Università degli Studi di Genova
Rosaria Pagano, Direttore USR Liguria
Claudio Burlando, Presidente Regione Liguria
Pippo Rossetti, Assessore Istruzione Regione Liguria
11.15 Relazione invitata: Studio ergo Lavoro a cura di Walter Rizzi, McKinsey & Company
11.45 Panel: Studio ergo Lavoro – Dalla società della conoscenza alla società delle competenze
coordina: Giovanni Adorni, chair DIDAMATICA 2015
Partecipano: Bruno Lamborghini, AICA
Andrea Bairati, Confindustria
Gabriele Toccafondi, MIUR
Carmela Palumbo, MIUR
Pasquale Lavacca, Comando Generale Arma Carabinieri
Arturo Baroncelli, Comau
Fabio Franceschini, Banca d’Italia
Testimonianze dei Campioni delle Olimpiadi di Informatica
13.15 Pranzo Libero
Sessione Plenaria MIUR
14.00 Relazione Invitata: Studio, Valutazione e Lavoro
a cura di Carmela Palumbo, DG Ordinamenti scolastici e valutazione
14.30 Panel I: La valutazione delle competenze nell’istruzione attraverso la lente dei progetti digitali
Introduce e Coordina: Anna Brancaccio, MIUR
Intervengono: Rodolfo Zich, Torino Wireless
Giorgio Ventre, Università di Napoli Federico II
Giorgio Casadei, Università di Bologna
15.15 Panel II: Sistemi ed Esperienze di valutazione delle competenze nella formazione
Introduce e Coordina: Claudio Demartini, Politecnico di Torino
Intervengono: Emanuele Riva, Accredia
Giulio Occhini, AICA
Roberto Ricci, INVALSI
16.00 Incontro con i vincitori del concorso WebTrotter a cura di Paolo Schgor, AICA
Consegnano i premi: Carmela Palumbo, MIUR
Bruno Lamborghini, AICA
16.15 Pausa Caffè
16.30 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
18.30 Sessione Poster
19.00 Apericena

Giovedi 16 Aprile 2015
8.30 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
10.30 Pausa Caffè
Sessione Plenaria
10.45 Relazione Invitata: <tbd> a cura di Roberto Battaglia, Intesa SanPaolo
11,15 Panel: Alternanza Scuola Lavoro: Incontro tra scuole, studenti e aziende
Introduce e coordina: Claudio Demartini, Comitato Naz. Sistema Duale
Intervengono: Elena Ugolini, Fondazione Ducati
Fabrizio Pieralisi, Gruppo Loccioni
Franco Patini, Confindustria Digitale
Adriana Sonego, ITS JF Kennedy Pordenone
Tommaso Scognamiglio, IIS Jean Monnet di Mariano Comense
Renato Causa, Grandi Navi Veloci
Eugenio Massolo, Fondazione Accademia Italiana Marina Mercantile
Testimonianze ed esperienze di studenti
Edoardo Pratelli, ex ITE Fermi di Pontedera
Studente, ITS Kennedy di Pordenone
13.00 Pranzo Libero
Sessione Plenaria AgID e MIUR
14.00 Relazione Invitata: La Buona Scuola Digitale a cura di Francesco Luccisano , MIUR
14,30 Panel: Futuro delle competenze nello scenario digitale
Introduce e coordina: Renzo Turatto, SNA
Intervengono: Marco Bani, AgID
Maria Pia Giovannini, AgID
Franco Patini, Confindustria Digitale
Clara Fresca Fantoni, ASSINTER Italia
Bruno Lamborghini, AICA
Giorgio Rapari, ASSINTEL
Agostino Santoni, ASSINFORM
16.00 Pausa Caffè
16.15 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
18,30 Visite guidate nel centro storico

Venerdì 17 Aprile 2015
08.30 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
10.30 Pausa Caffè
Sessione Plenaria
10.45 Relazione invitata: Dove va la tecnologia? a cura di Roberto Cingolani, Istituto Italiano di Tecnologia
11,15 Plenaria: Competenze per le nuove frontiere: makers, additive manufacturing e oltre
Introduce e coordina: Edoardo Calia, Istituto Superiore Mario Boella
Intervengono: Enrico Loccioni, Gruppo Loccioni
Enzo Marvaso, Comitato Naz. Sistema Duale
Giovanni Re, Artigiano Tecnologico e Digital Champion
Paolo Gennaro, Avio Aero
Stefano Micelli, Università Ca’ Foscari Venezia
Massimo Menichinelli, autore di Che Futuro!
Fabrizio Manca, USR Piemonte
Intervento conclusivo di Riccardo Luna, Italian Digital Champion
13.15 Pranzo Libero
14.15 Sessioni Parallele (Scientifiche e Workshop)
16.15 Chiusura lavori Didamatica 2015
17,00 Visite guidate nel centro storico

 

Il dirigente al passo con i tempi

ANDIS – ASSOCIAZIONE NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI
– PUGLIA –

SEMINARI FORMATIVI – CONCORSO DIRIGENTE SCOLASTICO

Sabato 11 aprile 2015
ore 16.00-19.00

Dario Cillo, Il dirigente al passo con i tempi

fare_ds2015

  • Le tecnologie multimediali al servizio dell’apprendimento
  • Un utile vademecum del nuovo dirigente scolastico

L’incontro si terrà c/o l’I.C. “Eleonora Duse” di Bari
Strada San Girolamo, 38 – Uscita n. 4 Tangenziale 16/bis direzione Foggia-Barletta

I 3 tipi più comuni di cyberbullismo

I 3 tipi più comuni di cyberbullismo

Secondo il consuntivo 2014 della Polizia Postale e delle Comunicazioni, nel 2014 in Italia sono stati più di 300 i casi di prepotenze on-line compiute da minori contro minori, il doppio rispetto all’anno  precedente.

Secondo Barracuda Networks, società leader nell’ambito della sicurezza informatica, che in alcuni Paesi si occupa anche di questo tema offrendo soluzioni ad hoc, i cyberbulli hanno diversi modi di esprimersi e manifestarsi tanti quanti sono le possibilità di generare contenuti online dai social network ai forum, passando per i blog.

Sempre secondo Barracuda sono 3 le tipologie più comuni di cyberbulli:

1)  I cyberbulli che molestano direttamente le loro vittime: E-mail, SMS e Instant Messaging diretti alla vittima sono gli strumenti preferiti da questa categoria che di solito agisce in anonimato o attraverso una falsa identità. Altra forma di attacco comune è postare sui social o sui blog  pettegolezzi sulla vittima.Questa tipologia può anche adottare tecniche più subdole, come:

segnalare la vittima sui social affinché sia “bannata”;
pubblicare informazioni personali della vittima su Internet, esponendola al rischio di un furto di identità o di azioni di altri malintenzionati;
creare sondaggi tanto umoristici quanto crudeli (“pensi che sia grassa” e simili);
utilizzare malware o altre applicazioni per spiarla o prendere il controllo dei suoi profili.
2)  I cyberbulli mascherati: Questa tipologia di bullo “ruba” l’identità della vittima creando  account che replicano il suo nome per poi navigare in rete sotto falsa identità e comportarsi male.   Queste attività sono destinate a cambiare la percezione che il pubblico ha della vittima in modo negativo. Altre tecniche che rientrano nella stessa categoria sono:

il furto della password o del dispositivo che permette al bullo di fingersi la vittima nelle conversazioni con terzi;
la modifica in termini offensivi del profilo della vittima negli account social;
l’impostazione di falsi account social a nome della vittima.
3)  I cyberbulli fotografi e videomaker: Ci sono nella vita momenti in cui nessuno di noi vorrebbe essere immortalato, questa categoria di bullo è attenta a coglierli tutti. Le immagini possono essere riprese senza che la vittima se ne accorga o può trattarsi di scatti che non dovrebbero uscire dalla sfera privata. In tutti i casi, i bulli sanno cosa farne:

possono ricattare la vittima, minacciandola di condividere pubblicamente;
possono divulgare foto o video con sms ed e-mail, privando la vittima del controllo della sua immagine;
possono pubblicare le immagini su Internet permettendo a chiunque di visualizzarle;
possono filmare la vittima mentre viene presa in giro da altri e postare il video in rete.
I bambini e i ragazzi non sono le uniche vittime del cyberbullismo, ci sono siti come l’ora fortunamente scomparso  ‘Is Anyone Up’, che permetteva di postare foto di nudo altrui senza permesso alcuno, o ‘She’s a Home Wrecker’ creati per umiliare gli adulti . Difendersi è complesso e mancano ancora delle tutele legali: basti pensare che “Is Anyone Up” funzionerebbe ancora se non fosse stato coinvolto in altre attività illegali a scopo di lucro. Se nessuno è immune al  cyberbullismo, i giovani sono senza dubbio quelli che ne soffrono di più ed è nostra responsabilità tutelarli.

Il Piano Nazionale Scuola Digitale non ha background

Il Piano Nazionale Scuola Digitale non ha background

di Enrico Maranzana

 

Scrive Thomas Eliot:

Dov’è la saggezza che abbiamo perso in conoscenza?

Dov’è la conoscenza che abbiamo perso in informazione?

Interrogativi integrati da:

Dov’è l’informazione che abbiamo perso nei dati?

Un mantra che rende manifesto il disorientamento e la superficialità di cui è infarcita la proposta ministeriale per l’introduzione delle nuove tecnologie dell’informazione nelle scuole. Il giudizio ha la sua motivazione in rete: “La scuola regredisce. Dal Piano Nazionale Informatica al Piano Nazionale Scuola Digitale”.

Questo scritto propone un breve percorso didattico esemplificativo di informatica/logica matematica che persegue la finalità e rispetta le regole del sistema educativo di istruzione e di formazione[1],[2], attento ai moniti del poeta.

Le attività di classe gravitano intorno alla PROgrammazione LOGiga: sono orientate alla promozione e al consolidamento di capacità, traguardi verso cui tutti gli insegnamenti devono convergere[3],[4].

Gli studenti sono collocati in situazione non strutturate, all’interno delle quali devono orientarsi, formulare ipotesi, elaborare risposte ai problemi loro posti: il tradizionale insegnamento cattedratico è superato. Le conoscenze perdono il carattere di definitività e intangibililità per assumere quello della plasticità e della strumentalità1.

La sistematizzazione del sapere é la fase terminale delle attività promosse dalle schede di lavoro.

L’approccio laboratoriale arricchisce l’immagine delle discipline trasmessa dall’ordinario insegnamento. Essa é integrata dai problemi che ne hanno caratterizzato la storia e dalle metodologie risolutive.

I nuovi regolamenti di riordino del 2010 che, per orientare la didattica, collocano “tra punti fondamentali e imprescindibili, la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari[5]“, non hanno prodotto alcun cambiamento alla gestione dell’aula.

Metodo disciplinare e competenze sono le due facce della stessa medaglia. Le competenze[6], che non possono essere insegnate, trovano nella pratica, nella soluzione di problemi, il loro terreno germinativo.

La staticità delle mappe concettuali, cardine dell’ordinaria organizzazione scolastica, é superata[7]. Gli itinerari procedono per approssimazioni successive. Si consideri la prima proposta di lavoro: la richiesta privilegia il coinvolgimento degli studenti rispetto alla proposizione d’una limpida e ben strutturata visione del campo disciplinare. Il compito assegnato si colloca in una posizione molto prossima al loro modo di pensare: l’astrattezza che possiedono le modellazioni informatiche è sacrificata, inizialmente.

Il materiale didattico è stato testato in tre classi prime dell’its Badoni di Lecco. La docente, Stella Beccaria, si è detta soddisfatta dall’esperienza e ha notato come l’introduzione delle strutture di controllo dei linguaggi di programmazione sia stata facilitata dall’esercizio di Prolog che ha costretto gli studenti a “ragionare” per far eseguire con rigore i passi di un algoritmo….

In appendice l’esito e il commento della produzione di un gruppo di lavoro.

 


 

[1]E’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea” art. 2 comma a) legge 53/2003.

[2] DPR 275/99 – art. 1 “ L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.

[3] CFR in rete “La professionalità dei docenti: un campo inesplorato”.

[4] In rete : “Probelma-modello-esecutore” propone un percorso per introdurre l’informatica

[5] Il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei

[6] Si tratta della finalità del Sistema educativo – cfr art. 2 legge 53/2003 [nota 1]

[7] Albert Einstein scriveva: “La conoscenza è cosa morta. La scuola serve a vivere

Consumatori digitali

Consumatori digitali

di Bruno Santoro

Nella nostra epoca il problema dell’istruzione ovvero quello della formazione del cittadino si gioca sensibilmente attorno al rapporto tra didattica e tecnologia, in particolare le tecnologie dell’informazione. Si tratta di un rapporto che già da molti anni si cerca di bilanciare ma che spesso si scontra con una difficoltà reale dovuta a due fattori contrapposti: da una parte ad un vuoto di elaborazione di modelli didattici, dall’altra l’aggressiva esuberanza di soluzioni tecnologiche che dichiarano di potere risolvere i problemi a cui quei modelli didattici dovrebbero rispondere.
Tentare di bilanciare questo rapporto significa quindi anzitutto colmare questo vuoto e, dopo averlo fatto, selezionare le offerte e scegliere le soluzioni.

Ciò di cui abbiamo bisogno è essenzialmente una strategia, una pianificazione attenta modellata sui nostri bisogni e che, con sufficiente consapevole, approfitti dei molti, innegabili e profondi vantaggi che la tecnologia oggi offre al mondo dell’istruzione.

Perché accogliere la tecnologia all’interno della didattica si deve, certo, ma anteponendo la necessità di una strategia, disegnandola  preventivamente attorno ai problemi, ai bisogni e alle caratteristiche del contesto di apprendimento e non cercando di immaginarla come attributo della tecnologia. A meno che non si dichiari apertamente che non sono più le competenze chiave, l’obiettivo di insegnamento efficace, né lo sviluppo delle abilità di base quello di un apprendimento significativo.  

L’insegnante moderno, non dobbiamo dimenticarlo, è soprattutto un professionista che affronta problemi di apprendimento; per farlo realizza scenari didattici secondo le proprie competenze: quello che ne esce valorizzato, da soluzioni di tecnologia didattica, è la sua esperienza di docente. 

Disegnare scenari, organizzare occasioni di apprendimento, elaborare attività e soluzioni formative è quello che definisce quegli ambienti come ambienti di formazione: spazi di attività che, se vogliamo rispettare l’orientamento del costruttivismo sociale (ispirazione alla quale tutti oggi sembrano appassionatamente appartenere: basti guardare alle parole chiave che vengono usate..) deve essere realizzato, cioè modellato per l’azione didattica  anche in collaborazione con i soggetti (nella doppia accezione di costruttori e di utenti ) dell’istruzione, cioè gli stessi allievi.

Un  ambiente di formazione è in definitiva un ambiente di modellazione didattica.

Perché un ambiente, fisico o virtuale che sia, diventi  ambiente di apprendimento occorre però che esso sia scelto e abitato e non solo ‘alitato’: l’obiettivo non è la semplice presenza registrata ma una attiva partecipazione all’invenzione del proprio percorso formativo.

Occorre quindi quanto meno innescare quell’accredito emotivo che ogni abitante di un mondo, quindi anche il cittadino digitale, concede ad uno spazio protetto al quale affidare, seppur parzialmente, le coordinate della propria formazione di persona e in definitiva della propria rappresentazione del mondo.

La caratteristica di uno scenario di apprendimento è quella di innescare la definizione valoriale di uno spazio che non è solo non solo suddiviso, tecnicamente convissuto o praticamente co-utilizzato: come potrebbe essere, ad esempio, qualsiasi spazio telematico condiviso secondo le regole di una policy o una cartella comune su di un server remoto. 

Definire uno di questi spazi telematici  ‘ambiente condiviso’ è il segno della superficialità e della mancanza di consapevolezza con i quali alcuni si accostano al mondo digitale pensando di applicare ad esso le medesime coordinate che peraltro gli impediscono una chiara visione delle cose anche nel mondo scolastico senza la tecnologia.


Provocare questo processo, attivare il percorso di accreditamento che possa portare progressivamente un gruppo disomogeneo, composto di individualità separate a diventare una piccola comunità di apprendimento significa lavorare ad un progetto, profondamente umano e relazionale, non certo tecnologico, di attività comuni nelle quali ciascuno si senta sufficientemente valorizzato, valutato nelle prestazioni e mai giudicato nella persona.

Dunque avere una strategia didattica, posti come già definiti i fondamenti pedagogici dell’azione didattica (come si apprende? Perché? Come apprendono gli adolescenti? Quali dinamiche di gruppo sono riconducibili a fasi di apprendimento collettivo?) significa soprattutto creare comunità di apprendimento, utilizzando, come farebbe un buon artigiano o un progettista, i migliori materiali disponibili, gli strumenti adeguati allo scopo: e quando necessario costruendone di nuovi.


Le tecnologie possono essere un’eccellente opportunità per creare con i propri allievi ambienti integrati che possano favorire la nascita di comunità di apprendimento. Considerata l’enorme incidenza che le tecnologie digitali hanno all’esterno della scuola sulla vita quotidiana dei nostri allievi, devono certo diventarne un elemento familiare anche all’interno.

Il problema è che esse non sono semplici strumenti, come da più parti si tende ad accreditare in modo ‘tranquillizzante’ né tanto meno delle zone franche, neutre, facilmente plasmabili alla bisogna. 

Tantomeno si tratta di ambienti portati a disegnare naturalmente ambienti formativi nel senso scolastico del termine o a modellare competenze di cittadinanza: piuttosto si tratta si aree attrezzate governate da logiche tecnico-gestionali  e strettamente commerciali, di profitto: in molti casi, come nei diffusissimi modelli di social, disegnate secondo gli assiomi avvolgenti (la grande ragnatela, si sa, è…vischiosa) del marketing avanzato assistito dalle moderne neuro-scienze. Non si è molto lontani dal vero se si afferma che si tratta di ambienti che impongono all’utente/abitatore linguaggi, codici, dialetti, creando nuovi bisogni,  strutturando comportamenti.


Sono i nuovi supermercati dell’informazione e qualunque soluzione ‘sociale’ essi progettino ed offrano al mercato è comunque un prodotto da commercializzare con profitto.

Fare distinzione tra strumenti di connessione e ambienti cui essi immettono è operazione peregrina: sono elementi intimamente co-generati e definire i primi semplici ‘strumenti’ serve solo a rassicurarci sul controllo che l’utente avrebbe su di essi come su un qualsiasi accessorio ad estensione delle nostre naturali facoltà.

Si tratta di vero e proprio marketing culturale quello nel quale le grandi major del settore gestiscono enormi flussi di informazioni e che canalizzano ovviamente  secondo interessi aziendali.

In una società dell’informazione l’informazione, lo sappiamo, non si fa da sé: è un prodotto.

Anche nel caso di “piattaforme protette”, prodotti dedicate all’istruzione, si tratta di soluzioni predisposte per un utilizzo facilitato,  spazi nei quali, ‘con pochissimi click’ – come recitano le grafiche pubblicitarie – anche insegnanti ancora ‘poco informati’ sulle possibilità del mondo digitale possono modellare, con elementi prefabbricati, interventi didattici di successo, azioni fortemente motivanti, pratiche didattiche sensibilmente formative e di perfetto gradimento degli allievi. 
Devo confessare che questo tipo di tecnologia didattica, totalmente sbilanciata nella declinazione dell’accezione digitale, fatta di bacini di informazioni a pagamento ( i grandi archivi giornalistici), moduli esercitativi pre-confezionati, mappe concettuali pre-masticate, simulazioni di attività cognitiva in modelli semi-automatici e reiterativi è per me sinceramente un modello sconcertante di istruzione. 


Chiunque abbia seguito un corso online obbligatorio su una qualunque delle tematiche che si sviluppano attorno e dentro il mondo del lavoro (sicurezza?) sa di che cosa parlo in quanto a interesse, motivazione, piacere dell’apprendere e soluzione delle proprie difficoltà che sono in grado di suscitare nell’utente.   

Persino gli avanzatissimi corsi di tipo MOOC tentano senza successo di emulare la creazione di comunità di apprendimento e vi riescono solo con un investimento massiccio di motivazione personale da parte dell’utente. Pre-requisito che nel mondo ‘normale’ costituisce invece proprio l’obiettivo nobile da raggiungere attraverso l’azione didattica.

Una sorta di sindrome da Lego digitale, insomma, si è impossessato di una buona parte del mondo scolastico, all’inseguimento della chimera della ‘formazione automatica’, una soluzione che dovrebbe nelle intenzioni permettere agli insegnanti di farsi ‘assistere’ (sostituire?) da un sistema robotizzato, standardizzare l’apprendimento e, in futuro, chissà, magari anche orientarlo flessibilmente verso nuove e progressive necessità sociali.

In realtà le piattaforme didattiche si candidano ad essere, agli occhi di studenti già ‘avvisati’ (è vero che sono nativi digitali, ma mica proprio stupidi) dei veri propri ‘recinti’ nei quali alcuni dei vantaggi migliori della telematica (senso della scoperta, apertura sul mondo, libertà di azione) andranno perduti assieme all’”effetto wow!” non appena l’esperienza digital-didattica si istituzionalizza, diventa compito, incombenza da assolvere, tedioso esercizio.

Si può immaginare la gioia degli studenti nel collegarsi alla piattaforma digitale della scuola, con il registro elettronico, gli esercizi, i materiali da assemblare, i forum obbligatori cui partecipare: potrà mai un tale ambiente essere emotivamente connotato come spazio da ‘abitare’?

Forse con il prossimo salto tecnologico, magari gli ologrammi tridimensionali.

Accogliere la tecnologie in classe significa avere ben chiaro che la scuola che stabilisce le condizioni di questo rapporto e che una didattica digitale non significa che il primo termine, il sostantivo, venga poi fagocitato dal secondo che ne è solo uno degli attributi e neanche il più importante.

La tecnologia in classe quindi è la benvenuta se gli innegabili vantaggi che il mondo digitale oggi ci offre sono utilizzati all’interno di una strategia formativa e dal punto di vista della didattica: cosa che non può avvenire se, invece, intimoriti dalle novità tecnologiche, sedotti dalla scintillante realtà virtuale, convinti da abili piazzisti, disorientati dalle condizioni attuali del sistema di istruzione ci lasciamo convincere a cercare di immaginare una didattica dal punto di vista della tecnologia, dando per scontato che qualsiasi pur lieve vantaggio essa ci offra sia pur sempre meglio delle attuali difficoltà che molti oggi trovano nel ‘fare scuola’, nel comprendere i propri allievi, nell’affrontare i loro problemi di apprendimento.

I problemi della scuola, infatti, non sono stati creati dall’assenza di tecnologia e da un presunto digital divide (che riguarda invece il mondo dei servizi e della produzione) che impedisce ai nostri allievi di accedere alle medesime opportunità dei coetanei europei: i loro comportamenti, anzi, sono perfettamente in linea con i migliori ‘consumatori di digitale’ del mondo e se una volta si andava a scuola per ottenere informazioni oggi tutta l’informazione di cui abbiamo bisogno, compresi i contatti interpersonali e le opportunità di lavoro, passa invece all’esterno della scuola stessa. E oggi tutti, ma proprio tutti, hanno una connessione in 3G o 4G, anche nei paesini più sperduti del nostro Appennino. 
Elettrificare l’istruzione purtroppo non ridurrà alcuno dei gap culturali che si intende affrontare poichè la radice del problema sta piuttosto nella teoria della conoscenza e nella metodologia didattica, che è rimasta in molti casi all’Ottocento e non conosce né Dewey, né Lewin oltre ad avere dimenticato la Montessori.

Puntare con una certa gaiezza sui malfondati concetti di nativo digitale e competenze digitali naturali  dei nostri giovani allievi, farne addirittura i prodromi di una ipotetica e assolutamente aleatoria intelligenza digitale frutto di una altrettanto bene inventata evoluzione epigenetica non farà altro che legittimare i problemi che una iperdigitalizzazione della nostra società sta invece già causando ai nostri ragazzi (miopia giovanile, difficoltà di lettura e comprensione del testo, difficoltà di sintesi concettuale, di calcolo) incoraggiati piuttosto sulla strada di un perfetto, circolare, avvolgente consumismo digitale.

Programma il Futuro

#Coding, successo per il progetto “Programma il Futuro”
Oltre 290.000 studenti coinvolti, 1.900 scuole e 15.000 classi

Quasi 2.000 scuole iscritte, 300.000 studenti coinvolti e 15.000 classi protagoniste. Sono solo alcuni dei numeri del progetto sul #Coding, Programma il Futuro, realizzato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in collaborazione con il Cini (il Consorzio Interuniversitario nazionale per l’informatica) per lanciare la programmazione informatica tra i banchi. Partito nel mese di settembre 2014 (con una apposita circolare ministeriale), il progetto è stato ufficialmente presentato lo scorso 3 dicembre dal Ministro Stefania Giannini. Programma il Futuro ha una durata triennale, si inserisce tra gli obbiettivi del piano di Governo de “La Buona Scuola”, e vuole insegnare agli alunni i rudimenti della programmazione con il pc in maniera semplice, divertente, accessibile.

Programma il Futuro piace, non solo agli alunni, ma anche ai docenti. Stando al monitoraggio effettuato tra settembre 2014 e gennaio 2015, hanno attivamente partecipato al progetto e svolto attività di formazione culturale all’informatica 1.911 scuole, 14.948 classi e 290.516 studenti. Al 15 gennaio, gli iscritti registrati erano, in totale, oltre 7.400 (si tratta di singoli insegnanti, studenti e utenti interessati).

L’Italia, durante la settimana internazionale dell’Ora del Codice (dall’11 al 17 ottobre scorsi), è stato il Paese con la maggiore partecipazione all’iniziativa, a parte gli Usa.

Le scuole primarie, più degli altri ordini, sono protagoniste di Programma il Futuro: più della metà (il 55% per esattezza) delle iscrizioni. Seguono poi le medie, con un’adesione del 28 per cento, e le secondarie (il 15%).

A metà dicembre gli iscritti erano 6.840 (7.400 all’ultima rilevazione). Di questi: quasi 7 su 10 sono insegnanti (il 67,9 per cento), il 20,1 per cento sono studenti e il 12 per cento utenti di altro tipo.

Ma come sono arrivate le scuole a conoscere il #Coding? Più della metà (il 57,1% degli iscritti) tramite la circolare diramata dal Miur, mentre quasi una su quattro dal sito web del Ministero dell’Istruzione.
La Lombardia, con il 15,6 per cento, è in testa alla classifica regionale della partecipazione. Seguono la Puglia (10,2%), l’Emilia Romagna (9,8%), il Piemonte (9,7%), il Veneto (7,7%), la Campania (7,6%) e il Lazio (7%).

Programma il Futuro piace, appunto. Quattro iscritti su cinque si sono detti soddisfatti delle attività; il 72,5% ha utilizzato il servizio di supporto; il 67,6% le risposte alle domande più frequenti (le Faq), il 59,5% ha fatto ricorso al Forum. Il 94,7% ha seguito le lezioni interattive e il 66,5% quelle cosiddette “senza rete”. L’89,8% ha utilizzato i video introduttivi delle lezioni.
Il 97% degli insegnanti ha valutato il progetto utile o molto utile e una percentuale uguale di studenti si è detto interessato o molto interessato.
Il progetto, al quale le scuole possono aderire facoltativamente, proseguirà per tutto l’anno scolastico, con la possibilità per gli istituti di iscriversi ancora.
Tra i suggerimenti e le osservazioni forniti dai partecipanti, emergono in particolare la richiesta di proseguire ed estendere la formazione sul “pensiero computazionale”, andando al di là dell’iniziale alfabetizzazione digitale.


Rapporto monitoraggio (settembre 2014 -gennaio 2015)

Scuola e apprendimento digitale

Lunedì 2 e Martedì 3 MARZO 2015 (ore 15:00)

ISTITUTO COMPRENSIVO “G. PASCOLI”
MASSAFRA (TA) (PLESSO ANDRIA via Aosta s.n.)

SEMINARIO DI FORMAZIONE

SCUOLA E APPRENDIMENTO DIGITALE

INTERVENTI:

Maria Rosaria CHIRULLI (Docente)

Dario CILLO
Dirigente Scolastico Polo Professionale “L. SCARAMBONE”

Marcello CAFIERO
Docente / Learning & Technology Consultant

  • Modelli e pratiche didattiche innovative
  • Creazione di Learning Objects

programma_sviluppo

Tecnodidattica

Tecnodidattica

di Bruno Santoro

Eh si, sembra proprio che senza tecnologie non si possa davvero più insegnare, a tutti i livelli della scuola italiana. Siamo in ritardo, è stato sentenziato, rispetto alla solita Europa, che quando si tratta di livellare sembra sempre un passo avanti a noi. Siamo in ritardo, sprona il Ministero, è l’era digitale e noi siamo ancora alla biro..
Probabilmente è vero (mi tocca qui la ormai solita premessa: non sono un luddista! see my CV here please: http://www.letsnet.it/PPP/CV.htm..) ma c’è lo stesso qualcosa di inquietante in questa ‘necessità’ di tecnologia nella scuola, soprattutto da quando i tablet a basso costo hanno fatto la loro comparsa sulla scena commerciale realizzando di colpo quello che in vent’anni di tentativi non si era riusciti a fare: svecchiare, rinnovare, discutere, cercare. Ben venga, giustamente, questa ondata di novità se davvero, porta con sé una riflessione anche sui fondamenti epistemici, sulla teoria dell’apprendimento, sulla reimpostazione del processo di insegnamento e apprendimento.
Sembriamo invece in una fase alla statu nascenti’ in cui al noviziato tecnologico di tanti si unisce la ‘impalpabilità teorica’ di chi potrebbe e dovrebbe dare a questo movimento sostanza di assunti e consistenza di pratiche e monitoraggi. In fondo è questo che si cerca, l’efficacia dell’insegnamento ed un apprendimento più significativo, una formazione in linea con le esigenze del mondo moderno (saper convivere) e con le indicazioni di Lisbona 2006 in tema di competenze chiave, no? 

La potenza seduttiva dei nuovi dispositivi, accelerata da ambienti opportunamente predisposti, è meravigliosa è, come dire, ludico-magica e promette all’utente, qualunque utente, di potere fare veramente qualsiasi cosa: un gesto ieratico a sfiorare gli schermi et voilà, la realtà virtuale diventa di colpo realtà aumentata, tutto sembra realizzabile …con un dito. 
Ne sono sedotti gli adulti, figuriamoci se non dovrebbero esserne i giovanissimi.
L’avessimo avuto noi, alla loro età, altro che dostoevskij e le 1200 pagine di Delitto e Castigo in edizione Bur economica…
Oggi però il problema non esiste, un comodo epub di 14.000 kindle-facciate risolverebbe il problema di peso e trasporto. Di lettura, chissà..
Solo che ci siamo dimenticati i fondamenti. Mi rifiuto di credere che migliaia di professionisti si sentano coinvolti convintamente in un movimento di rinnovamento radicale senza averli enunciati, quanto meno dichiarati. Ed ogni soluzione che si dichiari strategica e irreversibile come questa presuppone un problema, del quale si propone come la soluzione, lo scioglimento. Ecco, appunto, qual è il problema, il vero problema, quello che si evita persino di formulare?
Non si dica che si tratta di strutture perché sarebbe risposta superficiale e insufficiente: in questi venti anni, dopo i primi investimenti del governo Prodi, molte scuole hanno goduto di un periodo di relativa abbondanza tecnologica mentre un profluvio di corsi, come le famose TIC, hanno risolto praticamente il problema dell’alfabetizzazione informatica e telematica, se non quella didattico metodologica.
Una volta la lingua si insegnava solo in classe, oggi ci sono laboratori, bravi insegnanti, lettori madre-lingua in diverse scuole, computer e software dedicati.
Il punto è che i nostri risultati complessivi non sono migliorati in quanto a rendimento né è diminuito il problema della dispersione scolastica che, anzi, è addirittura aumentata.
Qualunque analisi seria prenderebbe in considerazione altre ipotesi, posto che però a noi le strutture e le attrezzature, se ci sono, vanno benissimo, naturalmente.

Invece qui gli unici assunti sembrano essere quelli di una ‘presa d’atto’ di essere in piena era digitale e della necessità di adeguare le procedure scolastiche a quelle che la società già condivide e prtica: ma siamo sicuri che sia questo, il problema? 
In ogni caso, si dice, è questa la strada della modernità inevitabile: scuola moderna è scuola digitale. Che altro se no?
Quello che è più stupefacente è questa straordinaria equazione che lo stesso Ministero della Magica Istruzione ha ormai fatto propria: esiste una super-razza, quella dei nativi digitali (evidente generatio spontanea ed evoluzione di quella umana…) dotata di super-poteri neuro-informatici e addirittura di una vera e propria ‘intelligenza’ aggiuntiva (povero Gardner: prima le critiche al tuo sistema delle intelligenze multiple, adesso anche le aggiunte..), l’intelligenza digitale appunto.(Ferri e altri)
Sicché adesso al sistema scolastico non resta che andare incontro al nuovo ‘stile cognitivo’ proprio di questa nuova generazione di genietti telematici e adeguarlo alla loro ‘dieta mediale’ riempiendo le nostre aule di ‘strumenti’ (è così che vengono chiamati?) e terminali, di lavagnone elettriche e apparecchi senza fili: altrimenti come si fa a comunicare, con i giovani alieni? Come si fa ad insegnare, oggi? 
Eccolo il problema, quindi: non sappiamo più come insegnare, come metterci in contato con le nuove generazioni. Già da tempo abbiamo perso contatto, noi, e proprio nell’epoca del contatto permanente e ossessivo. Ma allora si tratta di un problema di metodo, di impostazione didattica, di fondamenti pedagogici e di psicologia cognitiva.
Il futuro ci dirà.
Al momento sembra impossibile fronteggiare anche solo il desiderio assai condiviso di elettrificazione del processo di insegnamento e apprendimento. Un vero e proprio nuovo bisogno, direi, creatosi chissà dove: generatio spontanea anch’esso?. 
Morire se in tutti questi anni di predigitale (quello degli ultimi venti anni, per intenderci) si sia mai manifestato con la stessa forza il bisogno di nuovi fondamenti epistemici dell’insegnare, di una nuova teoria della conoscenza, di nuove pratiche efficaci e adeguate ai tempi…
La ‘scuola tavoletta’ ha fatto il miracolo: s’è trovato l’anello mancante alla catena dei perchè..
Anzi: proprio questa passione per il digitale spegne e vanifica qualsiasi discorso pedagogico che potesse nel frattempo avere preso piede.
La prova? Il fatto che la risoluzione di ogni problema venga quasi automaticamente demandata a ‘nuove strutture digitali’, a delle applicazioni. Abbiamo studenti che non sanno scrivere? Si impara a scrivere con un app e direttamente sullo schermo. Hanno difficoltà terribili di lettura e comprensione? Audiolibri e app-osite applicazioni digitali!
Abbiamo problemi di disagio formativo, mancanza di capacità sociali e problemi di cittadinanza consapevole? Tablet! App! App! e via cantando…

Ma il ruolo del docente è quello di esperto di problemi di apprendimento, non di piazzista di materiale digitale. Il suo compito è quello di elaborare una strategia per risolvere i problemi di apprendimento degli allievi aiutandoli ad uscirne: non quello di delegarlo a realtà connettive realizzate da presunti esperti e per di più, guarda un po’, in vendita promozionale…
Per capirci basti per ora segnalare la strana attenuazione dell’appellativo di ‘strumenti’ riferito ai dispositivi di connessione al mondo digitale: se ne vuole sottolineare forse, dopo averne esaltato la potenza, la flessibilità, la capacità di curvare i nostri comportamenti, anche la loro controllabilità?
Effettivamente finché sono solo ‘strumenti’ (frullatori?) il soggetto operante, il deus ex-machina è sempre, almeno per l’analisi logica, l’utente: Ma se solo si riflettesse un attimo non si potrebbe che concludere che essi sono in realtà sliding doors e perfetti ambienti, i cui codici sono etero-strutturati ed i cui linguaggi finiscono per in-formare in modo univoco la nostra permanenza.

Gli ambienti condizionano il comportamento, come a volte sono i nostri comportamenti a modellare gli ambienti: gli ambienti digitali non fanno eccezione, ci modellano e si lasciano abitare, anche se alle loro condizioni. Come tutti gli ambienti suggeriscono codici e parlano un linguaggio: il loro.
Stabilire che i comportamenti, spesso compulsivi, coattivi, infantilmente ripetitivi, raramente dettati da reali necessità dei nostri giovani digitalizzati siano anche quelli a cui il sistema deve andare incontro (evidentemente per disperazione: è questo il problema? non riusciamo più ad entrare in relazione con loro e con il mondo in cui noi, proprio noi, li abbiamo spinti?) sembra essere un’operazione con un certo margine di errore. Di cui certamente risponderemo.

L’identikit dello studente tecnologico

L’identikit dello studente tecnologico
Caratteristiche e abitudini degli studenti universitari italiani

a cura di Docsity

L’analisi ci ha permesso di definire le caratteristiche degli studenti italiani che utilizzano la tecnologia ( siti educational ) per studiare o reperire materiale didattico in rete, approfondendone le abitudini e i bisogni.
Il campione riguarda 410,314 studenti.

eta studenti che utilizzano l a tecnologia per studiare

L’80% degli studenti ha un’età compresa tra i 20 e 29 anni.

Le donne risultano essere più attratte dall’utilizzo della tecnologia per finalità didattiche degli uomini.
Tra gli studenti più tecnologici 229,775 sono donne mentre gli uomini sono 180,539.

Percentuale di uomini e donne tecnologiche

Le ricerche online effettuate dagli studenti riguardano principalmente:

Cosa cercano gli studenti online

Tra le materie che creano più problemi ai giovani studenti ci sono le materie umanistico-giuridiche.

Le materie che creano più problemi agli studenti

dove si trovano gli studenti  più tecnologici italiani Città da cui si connettono gli studenti italiani Gli orari preferiti dagli studenti per studiare

Ars maieutica digitalis

ARS MAIEUTICA DIGITALIS

 

Sintesi dell’intervento al Convegno Internazionale

LE VIE DELLA PEDGOGIA

tra linguaggi, ambienti e tecnologie

Università degli Studi di Macerata

14-15 novembre 2014

 

prof. Giovanni Soldini

(Dirigente Tecnico MIUR- USR Marche)

 

Con Decreto della Direzione Generale per i contratti, gli acquisti e per i sistemi informativi e la statistica del MIUR n.12 del 6 novembre 2014 è stato pubblicato un avviso per la selezione di progetti formativi sulle competenza digitali del personale docente per €1.000.000 .

 

Perché spendere ben 1 milione di Euro per il potenziamento delle competenze del personale docente sui processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica?

 

Negli ultimi anni il MIUR ha promosso il “Piano Nazionale Scuola Digitale” articolato in una pluralità di azioni coordinate (LIM in classe, Cl@ssi 2.0, Scuol@ 2.0 e i Centri Scolastici Digitali), che fino ad oggi hanno dato vita ad una rete di istituzioni scolastiche tecnologicamente avanzate. Le attività poste in essere sono state sicuramente molto interessanti ed hanno ottenuto anche risultati degni di particolare attenzione.

Bisogna rilevare però che non c’è stato il cosiddetto “contagio”: il coinvolgimento di altre classi e scuole (escluse dalla sperimentazione) è stato limitato.

 

Nel documento del Governo denominato “La Buona Scuola” – un documento che ha portato per due mesi al dibattito e al confronto non solo gli “addetti ai lavori” (= scuola), ma anche la società civile – si sottolinea che “la sfida dell’alfabetizzazione che ha contraddistinto la scuola nel Novecento, non è finita: si è estesa a nuovi ambiti e a nuovi linguaggi […]Se il secolo scorso è stato quello dell’alfabetizzazione di massa, durante il quale gli italiani hanno imparato a leggere, scrivere e far di conto, il nostro è il secolo dell’alfabetizzazione digitale: la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie, a non limitarsi ad essere “consumatori di digitale”, a non accontentarsi di utilizzare un sito web, una app, un videogioco, ma a progettarne uno”. [1]

Programmare non serve solo agli informatici – si sostiene – ma serve a tutti. Pensare in termini computazionali significa applicare la logica per capire, controllare, sviluppare contenuti e metodi per risolvere i problemi e cogliere le opportunità che la società ci offre.

Il MIUR intende quindi introdurre il “coding” (= programmazione) nella scuola italiana, a partire dalla primaria: gli alunni devono imparare a risolvere problemi complessi applicando il paradigma informatico, anche attraverso modalità ludiche (“gamification”), come ad esempio attraverso il sito code.org

 

Se l’ipotesi di introduzione del “coding” nella primaria ha suscitato inizialmente non poche perplessità, ad una analisi più approfondita emergono aspetti degni di particolare attenzione:

 

“Il coding non va visto come conseguimento di una competenza informatica in senso tecnico (la programmazione è ormai una competenza specialistica, viceversa essere un creatore digitale non significa necessariamente programmare) ma nell’ottica della sua valenza formativa trasversale (sviluppo del pensiero logico-analitico, delle abilità di problem solving e di formalizzazione intesa come rappresentazione corretta, completa e coerente di fatti e situazioni complesse). Occorre distinguere la cultura informatica (permanente e con valenza culturale come disciplina autonoma) dalle competenze tecniche (soggette a rapida obsolescenza)[2].” […]

 

Ma ci sono altre importanti criticità: ad oggi, solo il 10% delle nostre scuole primarie e il 23% delle nostre scuole secondarie è connesso ad Internet con rete veloce. Le altre sono collegate a velocità medio-bassa, e con situazioni molto differenziate. C’è un chiaro problema di “digital divide”: semplicemente la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette di applicare forme di didattica digitale.

 

Quanto all’introduzione delle LIM (Lavagne Interattive Multimediali ), definirle una tecnologia troppo pesante che ha da una parte ipotecato l’uso di notevoli nostre risorse per innovare la didattica, e ha anche parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti,[3] sembra eccessivo. Le LIM sono senza dubbio uno strumento molto valido ma che, per essere veramente efficace, deve essere utilizzato costantemente dal docente.

 

C’è sicuramente anche un problema di formazione, e dunque nel citato Decreto del 6 novembre 2014 si dice che “obiettivo dei progetti formativi è l’organizzazione, l’erogazione e la verifica della efficacia di corsi di formazione di tipo base e avanzato, in risposta ai livelli differenziati dei bisogni formativi dei docenti, sui linguaggi multimediali e l’integrazione tra risorse cartacee e digitali in una logica di modularità e flessibilità”[4]. Ci piace in particolare evidenziare quest’ultimo aspetto (l’integrazione tra risorse cartacee e digitali): sono stati gli stessi studenti dell’ultimo anno di un liceo maceratese – in un recente dibattito – a rifiutare l’uso esclusivo del digitale, ritenendo che un buon manuale sia ancora un necessario punto di riferimento.

 

Cosa implica ciò?

Una didattica diversa, un capovolgimento della didattica: UPSIDE DOWN, “sottosopra”.

 

Un primo aspetto da tenere in considerazione è quello legato al sistema. Mi piace richiamare una felice argomentazione dell’ispettore Maurizio Tiriticco[5] che da tempo sostiene che abbiamo bisogno di una nuova pedagogia delle 3 C: accanto a conoscenze capacità e competenze, a livello sistemico vanno modificate Classe Cattedra e Campanella.

 

Ciò significa che:

  1. CLASSE – bisogna superare il modello di gruppi di studenti per età cronologica, andando verso una individualizzazione e personalizzazione dei percorsi, in base agli interessi specifici degli alunni.

 

Superamento della classe significa che non esiste più lo spazio classico dell’aula abbinata ad un gruppo di studenti, ma solo l’aula per la disciplina specifica, dove il docente prepara il lavoro, il setting, i materiali.
Grazie alla completa informatizzazione della scuola e alla digitalizzazione della didattica sarà possibile sfondare le pareti, configurare una “scuola trasparente”, una scuola che possa finalmente uscire dalla sua tradizionale immagine “opaca”, per aprirsi a nuovi orizzonti.

C’è una “leggibilità” degli spazi, concetto già caro alla Montessori, per cui gli studenti devono essere in grado di riconoscere, attraverso la lettura dei luoghi, a quale tipo di apprendimento lo spazio è destinato. L’aula-disciplina è uno spazio in cui si può “leggere” l’apprendimento, quindi l’aula di matematica non può essere asetticamente uguale all’aula di italiano o di inglese. Classe e aula non sono più in corrispondenza biunivoca: avremo perciò una “aula disciplina” (lo spazio fisico in cui si svolge l’azione didattica) e la “aula classe” (l’insieme degli alunni). I laboratori sono a tutti gli effetti aule e le aule a tutti gli effetti laboratori. I docenti possono personalizzare gli arredi collegando la leggibilità dello spazio alla disciplina insegnata.

 

  1. CAMPANELLA- l’unità didattica basata sull’ora di lezione va modificata e resa più flessibile. Anche se i Regolamenti del 2010 (DPR 87 per i professionali, 88 per i Tecnici e 89 per i Licei) contemplano la possibilità di una quota di autonomia e di flessibilità nella gestione del tempo-scuola e dell’offerta formativa, in realtà tali e tanti sono i vincoli (tra cui, in particolare, l’espressione “nei limiti dell’organico assegnato”[6] ovvero “senza ulteriori oneri per lo Stato”) che rendono praticamente impossibile un vero cambiamento della struttura oraria e del curricolo. C’è bisogno di garantire maggiore e più reale autonomia alle scuole, come previsto dal DPR 275/99.

 

  1. CATTEDRA- la didattica va profondamente rinnovata e cambiata. Non è più possibile pensare ad un docente che “sale in cattedra” … e non ne scende più! Ritroviamo il docente in cattedra anche in quadri del medioevo, riferiti alle lezioni nelle prime Università europee, in cui si vede il docente in cattedra, appunto, gli studenti delle prime file attenti alla lezione, quelli più indietro disattenti o addirittura addormentati sui banchi. Sembra la fotografia delle nostre classi.

 

Nulla è cambiato. Eppure la “lectio” (che deriva dal latino *legere) aveva originariamente lo scopo di leggere ad alta voce il libro, che era inaccessibile ai più; con l’avvento della stampa a caratteri mobili il libro era a disposizione di molti, ma gli eruditi continuavano a sostenere la necessità di una interpretazione autorevole, di una spiegazione da parte dei “saggi” e questo si è perpetuato nel tempo. Oggi con l’evoluzione della tecnologia e di Internet la diffusione dei contenuti avviene in modo istantaneo e su scala globale; gli stessi contenuti non sono più fissi e definiti come in un testo, ma fluidi, in continuo divenire e generati da tutti (si pensi a Wikipedia, per esempio).

 

La nostra è una società fluida, liquida, come sostiene *Bauman[7] e non c’è più distinzione tra produttore e fruitore di contenuti: tutti possono esprimere le proprie idee senza particolari filtri o impedimenti. Cambia quindi il meccanismo stesso di creazione della conoscenza: questa interconnessione globale ha dato vita a quella che *Levy chiamava già 20 anni fa “intelligenza collettiva”[8]: ci vengono offerte strategie di conoscenza del tutto nuove, come la realtà virtuale, la realtà aumentata, che consentono non solo una grande interattività con i contenuti, ma anche la possibilità di entrare in contatto diretto con le fonti, con persone in tutto il mondo.

 

Dunque, l’innovazione digitale rappresenta per la scuola l’opportunità di superare il concetto tradizionale di classe, per creare uno spazio di apprendimento aperto sul mondo nel quale costruire il senso di cittadinanza ed entrare in contatto con realtà sia locale che internazionali, con il supporto e il mentoring di esperti ed educatori.

 

Una metodologia didattica – già sperimentata da anni negli Stati Uniti e che si va diffondendo sempre più in vari paesi europei – è il cosiddetto “FLIP TEACHING”.

Le classi coinvolte in questa metodologia, chiamate flipped classrooms, sono protagoniste di una inversione delle modalità di insegnamento tradizionale, come ben sottolinea *Graziano Cecchinati[9]. Il termine “flip” indica il ribaltamento della modalità in cui vengono proposti i contenuti e i tempi utili per l’apprendimento, dunque “UPSIDE DOWN”, sottosopra!

La responsabilità del processo di insegnamento viene in un certo senso “trasferita” agli studenti: essi possono accedere ai contenuti in modo diretto, gestendo personalmente fonti, tempi e modalità necessari per l’apprendimento; gli allievi hanno a disposizione una ingente quantità di materiali didattici (video, podcast, websites, DVDs, CDs, o qualsiasi altra forma che fornisca un chiaro messaggio istruzionale), che possono condividere (ad esempio attraverso un forum), annotare, modificare o addirittura creare in maniera collaborativa (scricoll= scrittura collaborativa).

L’insegnante diventa quindi un supporto alla comprensione di ciò che gli studenti hanno appreso: la cosiddetta lezione è finalizzata all’acquisizione di capacità e competenze più che all’ampliamento delle conoscenze.

Tra i vantaggi dell’introduzione dell’insegnamento capovolto va indubbiamente messa al primo posto la motivazione; gli studenti si sentono pienamente coinvolti nel processo di insegnamento-apprendimento e non sono più spettatori passivi, bensì protagonisti attivi e responsabili nella costruzione del proprio sapere. Trasmettere entusiasmo è di certo una carta vincente per il raggiungimento del successo formativo.

 

Gli studenti possono dunque gestire il proprio apprendimento, senza doversi necessariamente adattare ai ritmi e alla velocità espositiva dell’insegnante ma utilizzando le loro indicazioni su come muoversi e sulle risorse che ciascuno di loro può utilizzare. D’altro canto i docenti potranno realizzare attività individualizzate e/o personalizzate, partendo dai diversi stili cognitivi degli alunni, senza alcuna generalizzazione o omologazione! […]

 

Alcuni studiosi ritengono che tra i punti deboli vada inserito il fatto che le relazioni, i rapporti interpersonali potrebbero essere fortemente penalizzati, in quanto l’allievo avrà un contatto molto stretto con il computer sia a scuola che a casa!

 

In realtà è vero il contrario, dal momento che si passa da una didattica fondamentalmente istruzionista (fondata sulla trasmissione del sapere) ad una didattica costruttivista e sociale; infatti le attività di studio e di elaborazione personale sono portate in classe dove verranno svolte in un contesto collaborativo e con la supervisione del docente, attività di elaborazione dei contenuti che prima avvenivano in solitudine; in particolare gli studenti sono chiamati a lavorare sia su ciò che ritengono di aver ben compreso, sia su ciò che risulta ancora poco chiaro. L’attività in aula potrà svolgersi principalmente secondo uno schema basato sul problem solving: viene posta una domanda o viene chiesto di risolvere un problema che impegna a riflettere sui concetti sottesi e ad applicarli in contesti di vita reale (ma non è forse proprio questa la tipologia delle domande proposte dalle rilevazioni INVALSI che suscitano tante perplessità tra i docenti?). Per poter sfidare effettivamente la classe, le domande del docente dovrebbero essere né troppo semplici né troppo complesse, secondo il concetto di “linea di sviluppo prossimale” di *Vygotskij.[10]

Il docente è un mèntore, una persona che funge da sostegno e aiuto nello costruzione e nello sviluppo dei processi di conoscenza, anche in chiave critica. […]

 

L’insegnante deve aiutare l’alunno a tirar fuori ciò che ha dentro: “inside out”, ovvero il metodo socratico della maieutica. Socrate paragonava l’arte dialettica a quella della levatrice: come quest’ultima, il filosofo di Atene intendeva “tirar fuori” all’allievo pensieri assolutamente personali, a differenza di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l’arte della persuasione.

In tal direzione deve oggi cambiare il ruolo dell’insegnante: egli deve trasformarsi in guida, sostegno alla costruzione della conoscenza negli studenti, stimolo per favorire un’elaborazione personale dei contenuti, per attribuire significato a ciò che studia, per sviluppare pratiche che consentano l’acquisizione di competenze.[11]

E non è forse la competenza digitale (che consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione e richiede quindi abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione) una competenza chiave per l’apprendimento permanente?[12]

 

Utilizzare le tecnologie a scuola ha il merito di favorire l’apprendimento di un nuovo tipo di competenza che aiuterà i ragazzi a vivere nella società dell’informazione e ad essere “cittadini digitali”.

Occorre qui precisare che la didattica digitale è la didattica che si avvale delle tecnologie. La tecnologia da sola non fa niente; la tecnologia permette semplicemente di fare una didattica migliore, ci permette di fare cose che se non avessimo la tecnologia non potremmo fare, quindi la tecnologia è uno strumento e non ha nessuna altra funzione.

 

Nel mondo del lavoro di oggi si richiede che le persone siano autonome, che sappiano risolvere i problemi, che lavorino in team, che sappiano andare su Internet, che siano globalizzati: sarà poi l’azienda a provvedere a formarli sulle compente specifiche di cui ha bisogno.

 

Quindi adesso bisogna preparare i nostri ragazzi a un mondo del lavoro diverso, dove occorre  insegnare a saper progettare, a lavorare in gruppo, a condividere del materiale, a collaborare, a interagire nella rete, ad essere un cittadino digitale ‘responsabile’. Bisogna  insegnare loro a muoversi nel digitale, conoscere il copyright, le leggi,  come si fa a selezionare i siti, come si selezionano le risorse digitali e così via. E l’insegnante deve essere disposto ad apprendere insieme al proprio studente. […]

Con le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) è stato possibile scardinare la dimensione temporale della lezione in classe: le nuove tecnologie  hanno portato ad una socializzazione della conoscenza legata a processi di interconnessione mai visti prima (si pensi ai social network), espandendo le possibilità di conoscenza, collaborazione, progettazione, indipendente dal tempo e dal luogo. E’ la metafora della rete.

Per spiegare questa nuova modalità di apprendere tipica dell’era digitale è emersa recentemente una nuova teoria dell’apprendimento, denominata connettivismo.

Partendo dall’analisi dei limiti del comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo nel tentativo di spiegare gli effetti dell’uso delle tecnologie sul nostro modo di apprendere, *George Siemens[13] ha formulata questa teoria, secondo cui l’apprendimento è un processo che crea delle connessioni e sviluppa una rete; un nodo è qualunque cosa che possa essere connessa ad un altro nodo: informazioni, dati, immagini, sentimenti… L’apprendimento è dunque un processo di connessione di nodi specializzati o fonti di informazione e si fonda sulla differenza di opinione. Per facilitare l’apprendimento permanente è necessario alimentare e mantenere le connessioni. […]

Ci sono tuttavia varie critiche al connettivismo che arrivano dal mondo scientifico; in particolare *Antonio Calvani sostiene che “un trasferimento selvaggio del connettivismo alla scuola può indurre a credere che basti mettere gli allievi in rete per produrre conoscenza, consolidando quel famoso stereotipo diffuso, secondo cui più tecnologie si usano, in qualunque modo lo si faccia, e meglio è per l’apprendimento[14].

 

Occorre infatti ribadire che l’introduzione delle tecnologie nella scuola deve avere come scopo principale quello di innovare la didattica, altrimenti la presenza degli strumenti non solo sarà superflua, ma anche controproducente. In alcune scuole sono stati introdotti i tablet ma poi sono stati messi nel cassetto adducendo la motivazione che distraevano e basta; in realtà distraggono se gli insegnati non fanno lavorare seriamente i ragazzi, se non c’è un uso continuo, se non c’è il consolidamento di buone prassi. […]

 

In conclusione possiamo affermare che il web rappresenta una straordinaria opportunità di rinnovamento della didattica se adeguatamente utilizzato.

 

Per far ciò c’è bisogno di formazione continua e aggiornamento da parte degli insegnanti non solo per quanto concerne le competenze tecnologiche e digitali in senso stretto, ma anche e soprattutto per le competenze cognitive, creative, emotive, comunicative, collaborative e… maieutiche, per tirar fuori, per sviluppare le potenzialità delle diverse forme di intelligenza[15] nel rispetto delle attitudini di ciascuno e per creare una cultura della rete o, meglio ancora, una rete della cultura.

ars maieutica digitalis


 

[1] MIUR, La Buona Scuola, settembre 2014, pag. 95

[2] Sintesi del dibattito sulla tematica specifica “La digitalizzazione” promosso dall’USR Marche a San Benedetto del Tronto il 24 ottobre 2014

[3] MIUR, La Buona Scuola, cit., pag. 74

[4] DDG n.12 cit., pag. 2

[5] La rivoluzione copernicana proposta dall’ispettore Maurizio Tiriticco, PVM Scuola, 23 Febbraio 2014,  http://www.pvmscuola.it

[6] Cfr. CM 34/2014

[7] Bauman Z., Modernità liquida, Ed. Laterza, Bari, 2002

[8] Lévy P., L’intelligenza collettiva. Per un’antologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996

[9] Cecchinato G., Flipped classroom. Innovare la scuola con le tecnologie del Web 2.0, Atti del seminario residenziale “il fascino discreto dell’innovazione”, Lecce, 2012

[10] Vygotskij, Pensiero e linguaggio, 1934

[11] Competenza è “la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; sono descritte in termini di responsabilità e autonomia” – Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente

[12] Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. – Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente [Gazzetta ufficiale L 394 del 30.12.2006, pag. 10].

[13] Connectivism: A Learning Theory for the Digital Age, International Journal of Instructional Technology and Distance Learning, Vol. 2 No. 1, Jan 2005

[14] Connectivism: new paradigm or fascinating pout-pourri? , Antonio Calvani, Je-LKS n.1, 2008

[15] Gardner, Frames of mind, 1983