Ritorno 26 aprile, per i ministri Gelmini e Speranza è doveroso: ora la “palla” passa alle scuole

da La Tecnica della Scuola

Quasi tutte le scuole italiane si apprestano a riaprire con gli studenti di nuovo in presenza. Le esigenze sono note da tempo, ormai da quasi un anno: si tratta delle mascherine Ffp2, dei tamponi rapidi con monitoraggi periodici, dell’areazione automatica, di più trasporti per raggiungere gli istituti, oltre che di terminare il prima possibile le vaccinazione del personale. Al governo, però, sembra che le priorità siano ancora da decidere. Tanto da continuare ad organizzare riunioni con gli enti locali. E’ a loro che spetterà, infatti, predisporre le misure da adottare, ad iniziare dall’organizzazione dei trasporti. Subito dopo, già in settimana, la “palla” delle decisioni da prendere passerà ai dirigenti scolastici e agli organi collegiali delle scuole, cui spetterà stabilire regole e soprattutto eventuali orari di entrate-uscite scaglionate. Solo che i giorni al 26 aprile, sono ormai veramente pochi. E gli strumenti su cui agire, se si eccettuano circa 18 mila euro a scuola giunti dal Decreto Sostegni, non sono molto diversi rispetto al rientro generalizzato dello scorso settembre.

Gelmini: tornare in aula almeno un mese

“Per tutti gli aspetti della logistica in settimana ci sarà un tavolo con” il ministro “Giovannini, Bianchi e presidenti regionali”, ha detto il ministro degli Affari regionali e delle Autonomia Mariastella Gelmini al Caffè della Domenica su Radio24.

“Ci vorrà il tracciamento per individuare in tempo eventuali contagi a scuola, ma il ritorno in classe almeno per un mese è un fatto doveroso”, ha sottolineato la titolare del dicastero degli Affari regionali.

Speranza: mandiamo fiducia ai giovani

Molti addetti ai lavori esprimono più di un dubbio. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, fino a pochi giorni fa era tra i più intransigenti verso le riaperture: dopo la conferenza di venerdì scorso del premier Mario Draghi ha però cambiato idea. Ed ora spiega perché anche lui è improvvisamente diventato pro-aperture.

Intervistato da Lucia Annunziata, durante Mezz’ora in più su Rai 3, ha detto che si riapre “la scuola perchè è l’architrave della nostra società per ripartire e dare un segnale di fiducia ai ragazzi. La scelta del governo è stata chiara e netta e vogliamo che il più altro numero di ragazzi possa essere in presenza”.

“Si tratta di un rischio ragionato, non folle, ma dobbiamo chiedere aiuto alle persone, soprattutto ora avremo ancora più bisogno di attenzione, mascherine, distanziamento, lavaggio mani”, ha esortato Speranza.

Miozzo: decisioni da prendere sul territorio

Agostino Miozzo, ex capo del Cts, oggi consigliere del ministro Patrizio Bianchi è dello stesso parere: sul Messaggero, Miozzo dice che è “giusto fare test a campione e lezioni all’aperto, turni solo dove serve, ma la riapertura delle scuole è un grande risultato”.

Miozzo dice che ci saranno “ingressi scaglionati e decisioni da assumere sul territorio. Nei ragazzi italiani “questo lungo periodo senza lezioni lascerà segni importanti”, perché “i neuropsichiatri infantili dicono di avere i reparti strapieni, i tentativi di suicidio e autolesionismo sono molti” e “questa generazione sta male”.

Rispetto al rischio contagi, Miozzo ammette che le scuole non ne sono esenti, “ma bisogna fare una distinzione tra l’interno e l’esterno della scuola. All’interno, certo, c’è una quota di rischio di contagio, ma ridotta dalle regole”, mentre “all’esterno restano i problemi dei trasporti e degli assembramenti. Sui quali, però, molto è stato fatto”.

Fedriga: sui trasporti c’è poco da fare

Non sembra dello stesso avviso il neo presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga: durante il programma “Mezz’ora in più” su Rai 3, ha detto che per quanto riguarda i trasporti pubblici, legati alla riapertura delle scuole in presenza, “c’è un limite fisiologico rappresentato dal numero insufficiente di bus”.

“Come Conferenza delle Regioni, insieme ad Upi ed Anci abbiamo chiesto un incontro al Governo per rivedere gli orari di entrata ed uscita dalle scuole”, ha detto ancora Fedriga.

Sindacati: la lista degli interventi è lunga

Ancora più perplessi si dicono i sindacati. “La decisione di tornare a lavorare in presenza, a partire dal 26 aprile, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, pur essendo un obiettivo condiviso, è stata assunta”, hanno scritto Flc-Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, si basano “su un calcolo di ‘rischio ragionato’ che non basta a dare tranquillità e garanzie al personale e agli alunni, le cui condizioni relativamente al distanziamento sono rimaste immutate, nonostante le varianti del virus”.

Per le sigle principali è “necessario – ed è bene che le autorità preposte, tutte, riflettano attentamente sul da farsi – che in questi giorni che ci separano dalla effettiva generale apertura del 26 aprile vengano messi in atto provvedimenti adeguati”.

Quello che chiedono è “un’efficace azione di tracciamento, potenziare i trasporti (che sono il luogo dove le persone che frequentano la scuola corrono i rischi maggiori di contagio) e, soprattutto, occorre consentire che le scuole – supportate dagli uffici scolastici regionali, e non più costrette a seguire le discutibili decisioni delle Regioni, fin qui dimostratesi ampiamente non all’altezza – possano auto organizzarsi circa gli orari di ingresso e di uscita, la durata delle lezioni  e quant’altro occorra per garantire il lavoro e le lezioni in sicurezza”.

Come serve “non appena esaurite le attuali priorità vaccinali stabilite dal Governo, riprendere subito e portare rapidamente a termine la vaccinazione del personale scolastico”.

Infine, i sindacati chiedono “di aggiornare i protocolli di sicurezza, peraltro mai puntualmente applicati, che sono fermi all’estate del 2020”.

Attività didattiche, la prossima sarà un’estate diversa?

da La Tecnica della Scuola

Prove generali di ripartenza domani 19 aprile in molte Regioni con tantissimi studenti che potranno ritornare nelle loro scuole con un obiettivo coraggioso e calcolato di permettere a tutti, dal 26 aprile, di poter riprendere le attività formative in presenza almeno per un mese prima della conclusione dell’anno scolastico.

È da apprezzare e incoraggiare, anche da parte degli operatori scolatici tutti, questa scommessa del Ministero per il beneficio, sotto l’aspetto psicologico e formativo, in quanto permetterebbe di ristabilire quei contatti di comunità che sono tanto mancati agli studenti e della cui importanza, per una crescita significativa, ci siamo accorti proprio in questo periodo di distanza fisica a cui siamo stati costretti per quattordici lunghi mesi.

Ancora più innovativa e da valutare positivamente è la proposta del Ministero di far vivere agli studenti un’estate socializzante che permetta loro di approfondire tematiche, di intessere relazioni, di riflettere sull’esperienza provocata da un lockdown così prolungato, imprevisto e inimmaginabile.

Estate diversa

Per questa iniziativa sono stati stanziati 150 milioni ma ancora più interessante è la decisione di coinvolgere in questo progetto di riorientamento i Comuni, le Province e le Regioni e c’è da augurarsi anche le scuole, non solo come esecutrici di decisioni e direttive, ma come protagoniste per definire un ampliamento dell’offerta formativa anche assegnando loro la possibilità di reclutare per queste esperienze formative il personale più motivato sia interno al collegio, sia esterno.

Sarebbe opportuno cogliere questa occasione per sperimentare nuove forme di reclutamento dal basso per rompere il circolo vizioso dei concorsi farciti di ricorsi e di lungaggini che arrivano sino alla Cassazione o alla Corte Costituzionale.

È opportuno ricordare che già in altre occasioni, come la strutturazione delle “sezioni primavera”, previste dalla legge 296 del 2006, è stata data questa opportunità di selezionare le figure professionali direttamente alle scuole e si son potute realizzare ottime esperienze sulle quali le “cabine di regia regionali” dovrebbero fare un monitoraggio e raccontare queste esperienze come “best practices”.

Inoltre il coinvolgimento degli Enti Locali può tornare utile per creare quel “capitale sociale” necessario alla creazione di una scuola di qualità cui tendere dopo la pandemia.

Le indagini internazionali e i dati Invalsi stanno tutti lì a dimostrare che i risultati migliori nelle performance degli apprendimenti vengono raggiunti nelle parti d’Italia dove si riesce a creare questa sinergia tra stakeholders, genitori, imprese ed Enti Locali.

Ampliamento offerta formativa estiva

Per questo motivo nel Decreto Sostegni si è pensato da parte del Ministro di attivare interventi di potenziamento attraverso centri estivi diurni, servizi socio-educativi territoriali, centri con funzione educativa e ricreativa per potenziare l’offerta formativa extracurriculare, il recupero delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della “socialità” degli studenti, realizzando un grande piano nazionale contro povertà e fragilità educative e la conseguente dispersione scolastica.

Come tutte le proposte innovative di questi ultimi 20 anni hanno trovato una forte opposizione delle oligarchie che operano nel sistema scolastico e che vorrebbero spesso sostituirsi al Ministro.

Né la proposta di un’ESTATE DIVERSA deve essere letta artatamente come un voler gettare colpe al personale docente che ha saputo, invece, affrontare le novità dell’emergenza sanitaria con un piano di lavoro di didattica digitale integrata, di cui possono ritenersi orgogliosi.

I centri estivi rientrano nella migliore tradizione culturale dei percorsi formativi sperimentati da anni del nostro Paese e possono diventare un nuovo modo di vivere la socialità fuori dalle “mura scolastiche”, per riportarla a settembre anche all’interno delle aule scolastiche.

Classi pollaio più forti del Covid, le norme Gelmini valgono ancora: 30 alunni alle superiori, no sdoppiamenti

da La Tecnica della Scuola

Dopo la comunicazione delle scuole agli Ambiti territoriali delle decisioni dei Collegi dei docenti sulle quote di autonomia, sta entrando nel vivo la “partita” degli organici. Da questi, infatti, deriveranno eventuali soprannumerarietà, sulla base delle graduatorie d’istituto dei docenti di ruolo. In molti casi, però, il quadro non è ancora definito. Innanzitutto perché per alcune settimane potrebbero esserci integrazioni derivanti dall’organico di fatto. Ma anche perché vi sono casi in cui i dirigenti scolastici, ma anche le famiglie, chiedono all’ufficio di competenza di poter formare classi sinora negate.

Peggio del 2020

Il problema è che, come un anno fa, le norme rimangono immutate, ferme ai parametri introdotti col dimensionamento Tremonti-Gelmini, in particolare con la famigerata Legge 133 del 2008. Solo che in queste condizioni la richiesta del Comitato tecnico scientifico di rispettare il distanziamento fisico non è certo agevolata: quasi sempre, infatti, gli alunni vengono collocati in aule che non superano i 40-50 metri quadri.

Continuano quindi a formarsi, anche in piena pandemia, classi con oltre 30 alunni, a volte anche in presenza di disabili. Il tutto in ossequio alle rigide norme sulle formazioni di classi iniziali.

Anzi, le cose vanno pure peggio: perché per il 2020 il governo aveva approvato una deroga che prevedeva, in particolari casi, classi da non più di 23 alunni. Oggi di quella deroga non c’è più traccia.

La denuncia

Su questo tema, la nostra redazione continua a ricevere lamentele. Ed è di questi giorni la denuncia pubblica di Mario Rusconi, presidente Anp Lazio-Roma sulla “composizione delle classi”, perchè nulla è stato fatto “nel ritorno a scuola da settembre 2020 ad oggi. Risultano classi che possono variare da 22 a 29/30 alunni, talvolta con la presenza di alunni disabili”, dice il sindacalista.

Secondo Rusconi “è grave che, ad oggi, non sia stata cambiata la norma che prevede una tale composizione numerica. Rischiamo di tornare” in presenza al 100% “con classi sovraffollate, che costituiscono non solo un potenziale pericolo per la salute dei nostri ragazzi, ma anche un danno formativo grave per quegli studenti più fragili”.

I numeri delle classi

Ricordiamo che i parametri minimi per la formazione delle prime classi prevedono numeri piuttosto elevati: 18 alunni all’infanzia, 15 alla primaria, 18 alle medie e 27 alle superiori. A meno che non vi siano disabili: nel caso siano gravi non si potrebbe andare oltre le 20 unità (indicazione che però nei fatti spesso viene superata).

Senza disabili si può arrivare a classi da 29 alunni nella scuola dell’infanzia, 27 alla primaria, 28 alle medie e 30 alle superiori. Numeri davvero alti, che anche in questo caso non di rado vengono oltrepassati.

Ma non finisce qui. Perché per la formazione delle classi intermedie, soprattutto alle superiori, i dirigenti concedono difficilmente classi attorno ai 15 alunni, così capita che la classe si sopprime.

La politica dell’amministrazione è semplice: non vi devono essere aggravi di spesa rispetto a quanto prefissato. Come dire: il diritto allo studio si può assolvere altrove, ma senza mai uscire dai conti prefissati. Se poi a rimetterci è l’alunno, che deve farsi decine di chilometri al giorno per raggiungere la scuola, non è un problema.

I vincoli scattano anche sulla concessione di classi aggiuntive. Se, ad esempio, ad una scuola giungono richieste di iscrizioni superiori alle classi “concesse” dall’ufficio scolastico, la scuola è costretta a rifiutarne una parte.

Il caso Atri: 46 iscritti, solo una classe

È il caso di Atri, nel teramano, dove al liceo scientifico ad indirizzo sportivo dell’IIS ‘Adone Zoli’ sono giunte un alto numero di domande di iscrizione al prossimo anno scolastico, in tutto 46. Un numero che sembrerebbe perfetto per creare due classi da 23. Invece, non se ne parla: l’ex Provveditorato concede solo una classe, magari da 26-28.

Almeno una quindicina di ragazzi dovranno trovarsi un’altra scuola. Con il rifiuto dell’amministrazione, in pratica, si crea un doppio danno: lo spostamento obbligato di tanti ragazzi, probabilmente su un altro corso di studio o in un’altra località, considerando che il liceo sportivo non è presente in tutti gli istituti superiori; ma anche la formazione di una classe con il massimo numero.

Le proteste del sindaco

Le agenzie di stampa riportano che il sindaco di Atri, Piergiogio Ferretti, ha scritto al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: non si dà pace, non comprende perché non si possano creare due classi prime.

Lo scorso 5 febbraio aveva scritto anche all’Ufficio scolastico regionale “senza ottenere risposta”.

“Sin dalla prima istituzione del Liceo ad indirizzo sportivo – ha detto il sindaco – si è attuata una serie di investimenti tesi a incoraggiare lo sviluppo di tale indirizzo”.

Di fronte al rifiuto della seconda classe si dice “basito e sconvolto: il fatto che un istituto della città di Atri raccolga così tanti iscritti – dice – è solo una notizia positiva che deve rallegrarci e devono essere messe in campo tutte le azioni per accogliere al meglio gli studenti. Invece si nega loro il diritto a scegliere, come hanno potuto fare i loro coetanei, il proprio indirizzo di studi preferito”.

Il sostegno della Regione Abruzzo

Anche il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, sostiene le ragioni del sindaco e degli studenti di Atri. “È paradossale che ormai da troppi anni ci si ritrovi quasi sempre a dover chiudere classi o intere scuole perché gli alunni diminuiscono, soprattutto nelle aree interne dove non reggono determinati parametri, e quando invece ci sono richieste importanti si costringono i ragazzi a scegliere altri indirizzi o altri luoghi”.

“Il sindaco – dice Marsilio – ha pienamente ragione nella sua protesta e noi sosterremo insieme a lui, nei confronti del ministro dell’Istruzione, questa protesta affinché autorizzi l’apertura della seconda classe”.

La Regione Abruzzo, infine, era già all’opera per chiedere il riconoscimento del convitto e potenziare il liceo ad indirizzo sportivo.

Riaprire tutto potrebbe essere un azzardo

Prot. 18/2021
COMUNICATO 18 aprile 2021

Riaprire tutto potrebbe essere un azzardo: le scuole non vanno lasciate sole

L’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici segnala al Governo e al Ministro dell’Istruzione che tra il personale scolastico e le famiglie continua a diffondersi un forte sentimento di preoccupazione e di ansia circa i possibili rischi connessi alla ripresa, dal prossimo 26 aprile, delle lezioni in presenza anche per le secondarie di II grado senza che siano stati predisposti servizi aggiuntivi e più efficaci interventi di prevenzione.
A tale riguardo l’ANDIS ribadisce la necessità e l’urgenza di emanare alcune misure indifferibili:

  • aggiornare il protocollo di sicurezza anche in relazione alla diffusione delle varianti COVID;
  • delegare ai dirigenti scolastici il compito di definire, in rapporto al protocollo di sicurezza e alla capienza dei locali, la percentuale di alunni – a partire dal 50% – da ammettere alle lezioni in presenza;
  • prevedere la somministrazione di tamponi periodici agli alunni e al personale della scuola;
  • definire efficaci misure di tracciamento;
  • emanare linee guida unitarie all’indirizzo di ASL/USL;
  • completare la vaccinazione del personale scolastico;
  • aumentare i mezzi di trasporto scolastico;
  • affidare alla Protezione Civile e alle organizzazioni di volontariato il controllo sugli assembramenti all’entrata e all’uscita delle scuole e alle fermate dei mezzi pubblici.

Il Presidente nazionale
Paolino Marotta

Miozzo: “Lezioni all’aperto, ma tornare a scuola è un grande risultato”

da La Tecnica della Scuola

Agostino Miozzo,  già dirigente della Protezione civile e coordinatore del Comitato tecnico scientifico, consigliere del Ministero della Pubblica istruzione, intervistato da Messaggero sulla prossima riapertura delle scuole dopo il 26 aprile, ha detto: “Posso citare gran parte del comitato tecnico scientifico, dei docenti, dei presidi, molti genitori. Non solo io, ma in tanti abbiamo sempre sostenuto la necessità di guardare alla scuola come una priorità. Per certi aspetti è una soddisfazione vedere che finalmente la scuola riapre, anche se c’è un po’ di tristezza, perché sono passati mesi e mesi prima di arrivare a questa decisione. Scontiamo il fatto che il sistema scolastico non era preparato ad alcuna forma di emergenza. Si è presentato in maniera improvvida, impreparata, incapace di reagire. Altri paesi hanno reagito diversamente: nel Nord Europa il distanziamento non era un problema perché avevano spazi differenti, la scuola all’aperto era nella loro cultura. Le scuole in Francia, Germania, Inghilterra ma anche in Spagna sono rimaste aperte, salvo nei momenti di massima crisi. Noi siamo stati tra i paesi europei che hanno chiuso di più. Con un approccio tra l’altro schizofrenico, con una regione che apriva, un’altra chiudeva”.

Per Miozzo tuttavia  questo lungo periodo senza lezioni “lascerà segni importanti. Basta vedere che succede nei reparti di psichiatria infantile, non stiamo né drammatizzando né enfatizzando i problemi. I neuropsichiatri infantili dicono di avere i reparti strapieni, i tentativi di suicidio e autolesionismo sono molti. E questo aspetto della violenza, delle risse tra grandi gruppi, è un segnale di squilibrio. Questa generazione sta male. E quali saranno i segnali del mancato apprendimento? Per un anno e mezzo i ragazzi hanno seguito una didattica a distanza che, nonostante gli sforzi, è stata improvvisata, è stato un esperimento. Ma gli esperimenti in emergenza sono destinati a fallire”.

E onestà per onestà, sottolinea Miozzo, “le scuole non sono esenti da rischi. Ma bisogna fare una distinzione tra l’interno e l’esterno della scuola. All’interno, certo, c’è una quota di rischio di contagio, ma ridotta dalle regole, dall’attenzione dei docenti. Se la scuola funziona bene, il ragazzo mantiene le distanze e usa le mascherine in aula. All’esterno restano i problemi dei trasporti e degli assembramenti. Sui quali, però, molto è stato fatto. I prefetti hanno svolto un lavoro pazzesco, va data continuità e applicazione alle indicazioni e ai report presentati dalle prefetture. Se serve bisogna noleggiare nuovi bus. A livello nazionale si può dire: mantenete distanze e organizzate i trasporti, ma poi l’applicazione pratica va fatta a livello locale”.

Vanno incentivate, spiega Miozzo al Messaggero, le lezioni all’aperto perché all’esterno si riducono le possibilità di contagio. Certo, è più semplice farlo negli istituti delle piccole e medie città, o nelle periferie, meno nelle sedi in palazzi dei centri storici. Ma con spirito di iniziativa, capacità di adattamento e fantasia si può fare molto. La scuola all’aperto ha più storia della dad”.

Per Miozzo, “se non ci saranno brutte sorprese sul fronte delle forniture vaccinali” e continueremo  “a usare precauzioni e vigilare sulle varianti”, in autunno si potrà tornare a scuola”. “Condivido -conclude Miozzo- la necessità delle aperture, con prudenza e attenzione. Dobbiamo essere molti attenti a non riaprire tutte le attività insieme, giusta la gradualità”.

Prove Invalsi, c’è la richiesta di sospenderle in tutte le classi

da La Tecnica della Scuola

Anche quest’anno sulle prove Invalsi si sta aprendo la consueta polemica da parte di chi le vorrebbe abolire.
Unicobas, Usb e Cobas Sardegna ne fanno persino un punto importante della piattaforma con la quale hanno proclamato lo sciopero nazionale dell’intero comparto scuola per il 6 maggio.
Come avevamo già annunciato nei giorni scorsi il Ministero ha già pronta una ordinanza per sospendere quest’anno le prove nelle classi seconde della secondaria di secondo grado, ordinanza sulla quale è già stato acquisito il parere favorevole del CSPI che, però, ha anche chiesto al Ministro di “valutare attentamente le condizioni di contesto anche per lo svolgimento delle prove nelle altre classi”.
E così anche la CUB scuola sta chiedendo al Ministro di “annullare, almeno per l’anno in corso, lo svolgimento delle prove Invalsi per tutte le classi di ogni ordine e grado sull’intero territorio nazionale”. “Si tratterebbe – aggiunge la CUB – di una decisione tanto più opportuna quanto più si guardi alla realtà dello svolgimento del presente anno scolastico e alle difficoltà che le nostre scuole hanno affrontato e ancora affrontano”.
Le prove riguardano un milione di alunni della primaria (classi seconde e quinte), 500mila dell’ultimo anno della secondaria di primo grado e poco meno di un milione di studenti della secondaria di secondo grado (classi seconde e quinte).
Nella primaria si svolgono con modalità cartacea, in tutte le altre classi in modalità digitale.
Quest’anno, nella scuola secondaria,  il calendario è di fatto stato stravolto perché si è data alle scuole di organizzare autonomamente la rilevazione.
Restano invece ferme le date nella primaria: 5, 6 e 12 maggio.
Sempre che – alla fine – il Ministro non decida di sospendere le prove per tutti gli studenti; ma va detto che una decisione in tal senso sarebbe un po’ contraddittoria dal momento che in molte scuole sono già state somministrate in un certo numero di classi.

Tutti in classe il 26 aprile, dov’è la sicurezza? Urgono mascherine Ffp2, tamponi, monitoraggi, areazione e trasporti

da La Tecnica della Scuola

In attesa del rientro in classe quasi per tutti previsto per il 26 aprile, come ha fatto intendere dal premier Mario Draghi in conferenza stampa e poi confermato il ministro Patrizio Bianchi, già lunedì 19 i numeri degli alunni in classe sono destinati ad aumentare: diventeranno 6 milioni e 850 mila gli allievi presenti a scuola, a fronte di 8,5 milioni delle scuole statali e paritarie, quindi 291 mila in più rispetto alla settimana precedente.

A far lievitare la quantità di alunni sarà il passaggio della Campania dalla zona rossa ad arancione. Mentre resteranno in zona rossa Puglia, Sardegna e Val d’Aosta con 390 mila alunni in didattica a distanza. In tutto, ha conteggiato Tuttoscuola, saranno quasi un milione e 657mila quelli ancora a casa in DaD la prossima settimana.

Quanti alunni in classe da lunedì 19

La prossima settimana ben l’80,5% degli alunni italiani sarà in presenza a scuola, in pratica quasi sui livelli del febbraio scorso, quando si erano sfiorati i 7 milioni in classe.

A livello territoriale, nelle tante regioni in zona arancione la percentuale di alunni in presenza oscillerà tra l’81% e l’86%, mentre nelle tre in zona rossa si fermerà al 51%.

Da lunedì 19 aprile gli alunni in presenza, sempre secondo Tuttoscuola, raggiungeranno l’84% al Nord, l’83% al Centro, il 76% nelle Isole (con un calo dovuto alla Sardegna), e il 74% nelle regioni del Sud.

Infine, le province autonome di Bolzano e Trento faranno registrare la più alta percentuale di alunni in presenza (87%).

Le garanzie che mancano

Ma quali garanzie avranno alunni, docenti e personale scolastico nello stare a scuola per diverse ore al giorno?

Come già rilevato, sono diversi i punti che rimangono oscuri: dai trasporti, che nei grandi centri risultano potenziati non ancora in modo adeguato, alla maggiore interazione scuole-Asl, dai monitoraggi e tamponi periodici (attivati solo in Alto Adige) alle forniture di materiali anti-Covid (ad iniziare dalle mascherine Ffp2, considerando che quelle fornite ogni sono considerate di pessima qualità e non a caso rifiutate in massa), fino alla ripresa della somministrazione delle prime dosi dei vaccini al personale scolastico. Come rimane solo un auspicio l’attivazione degli impianti di areazione automatica dei locali scolastici.

C’è poi il problema del distanziamento che in molte classi rimane impossibile da mantenere.

Risultano classi che possono variare da 22 a 29/30 alunni, talvolta con la presenza di alunni disabili, con l’attuale frequenza del 50-75 % degli studenti delle superiori il fenomeno sì è parzialmente attenuato, non rendendosi percepibile”, ha detto Mario Rusconi, leader Anp Lazio.

Giannelli (Anp): unica novità il 75% del personale vaccinato

I dubbi sono confermati dagli addetti ai lavori. “È stato lo stesso presidente Draghi a ricordare che nelle scuole gli ambienti sono ragionevolmente sicuri, ma all’ esterno?”, ha chiesto Antonello Giannelli, presidente Anp.

“A me non risulta – ha detto il sindacalista alla Stampa – che sia stato fatto molto né sui trasporti né che sia stato istituito un sistema di monitoraggio su tamponi”.

Rispetto a mesi fa “c’è una differenza”, ha aggiunto Giannelli, ed è che al personale scolastico è stata somministrata “la prima dose di vaccino. È una percentuale importante, siamo quasi al 75%, però si è deciso di fermare la vaccinazione di queste categorie per concentrarsi sulle fasce di età. Non vorrei essere frainteso, sono d’accordo sul criterio dell’anzianità, ma bisogna continuare a vaccinare anche il personale scolastico”.

“Le scuole – ha concluso il leader Anp – si aprono con il timore che si creino di nuovo le condizioni per una chiusura, si rischia di assistere a un’apertura effimera”.

Boccia (Pd): quali misure di sicurezza?

A porsi il problema sono anche i politici della maggioranza. L’ex ministro Francesco Boccia, oggi responsabile Enti locali della segreteria nazionale Pd, ha detto che “nella scuola italiana, gli studenti, i genitori così come gli insegnanti e tutto il personale, attendono con ansia di conoscere le nuove misure di sicurezza per evitare il rischio di contagi da variante inglese”.

Boccia ha quindi ricordato, davanti al Nazareno, che si riprende la scuola “con quasi 500 morti”: in questo stato “sicuramente sarà stato predisposto un pacchetto immediato di interventi per salvaguardare la salute di tutti e proteggere la vita. Auspico, così come chiedono tanti sindaci e presidenti di provincia, che siano stati predisposti tamponi rapidi continui, un rigido distanziamento, l’igienizzazione continua e il tracciamento casi sospetti in tempo reale”.

Comuni ed enti locali cosa possono fare?

L’unica novità rispetto al precedente governo è però quella dell’assegnazione nel decreto legge Sostegni di 150 milioni di euro da destinare alle scuole: gli istituti hanno ricevuto, in media, poco più di 18 mila euro. Con questi fondi le scuole hanno la possibilità di migliorare la prevenzione dei contagi, acquistando materiali. Per dare la possibilità di fare i tamponi, però, occorre l’intervento dei Comuni.

Come ha fatto quello di Pesaro: “l’unico modo per garantire delle scuole sicure è controllare periodicamente i ragazzi con tamponi veloci”, ha detto il sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci Pd Matteo Ricci.

“A Pesaro – ha aggiunto Ricci – abbiamo dimostrato che si può fare e siamo fieri di avere nella nostra città le scuole più sicure d’Italia. Non è un caso che il ministro Bianchi abbia voluto visionare il protocollo “Scuole Sicure”, costruito in questi mesi insieme alle associazioni che ci hanno aiutato”.

Il problema è che i Comuni in Italia sono quasi 8 mila: difficilmente, soprattutto quelli posti in territori con difficoltà economica, potranno seguire l’esempio di Pesaro.

Il ministro Enrico Giovannini ha cercato di potenziare gli Enti locali dando un nuovo appuntamento alla prossima settimana: Comuni e Province rimangono comunque perplesse per l’accelerazione del governo nelle riaperture dal 26 aprile.

Di certo, è impossibile pensare che in pochi giorni i grandi capoluoghi – come Roma, Milano, Napoli e Palermo – possano aumentare le corse dei mezzi di trasporto che portano studenti e personale a scuola. Per i piccoli centri, invece, qualcosa si potrebbe ottenere.

La domanda sorge comunque spontanea: riuscirà il governo a realizzare in una settimana quello che non è stato fatto nel corso dell’ultimo anno?

Maturità 2021, quali i docenti di riferimento per gli elaborati?

da La Tecnica della Scuola

Entro il 30 aprile, ai sensi dell’O.M. del 3 marzo scorso sugli Esami di Stato, i Consigli delle classi quinte dovranno trasmettere via mail a ciascun candidato l’argomento sul quale questi dovrà svolgere l’elaborato, oggetto della prima parte del Colloquio. Questo argomento, si legge nell’articolo 18 dell’Ordinanza, dovrà essere strettamente legato alle discipline caratterizzanti il corso di studi, che il Ministero elenca negli allegati all’ordinanza: ad esempio, nei licei classici le materie saranno il Latino e il Greco, nei licei scientifici Matematica e Fisica, nei licei linguistici la prima e la terza lingua straniera e così via.

Come scegliere i docenti “tutor”?

Ma veniamo alla parte più controversa dell’articolo 18: Il consiglio di classe provvede altresì all’indicazione, tra tutti i membri designati per far parte delle sottocommissioni, di docenti di riferimento per l’elaborato, a ciascuno dei quali è assegnato un gruppo di studenti.

L’idea presenta, a nostro avviso, dei punti di criticità, uno in particolare: abbiamo, infatti, difficoltà a credere che in un liceo scientifico in cui l’elaborato verterà principalmente su matematica e fisica, il docente di Italiano o il docente di Storia dell’Arte presenti – ad esempio – in commissione, possiedano le competenze necessarie per svolgere la funzione di docente di riferimento, rispondendo ad eventuali richieste dei candidati loro assegnati.

Appare, altresì, difficile da comprendere, in una quinta di liceo linguistico con prima lingua inglese e terza lingua tedesco, come un docente di matematica o scienze possa apprezzare il lavoro di un candidato che svolgerà il suo elaborato in inglese e in tedesco.

Vero è che lo stesso articolo 18 dell’O.M. afferma che l’elaborato dovrà essere svolto in una prospettiva multidisciplinare…. integrato dagli apporti di altre discipline o competenze individuali presenti nel curriculum dello studente, e dell’esperienza di PCTO svolta durante il percorso di studi.

Ma è altrettanto vero che deve essere ancorato alle materie di indirizzo.

Una soluzione semplice e razionale

Per evitare, dunque, che in un consiglio di classe di un Istituto Tecnico, il professore di inglese abbia assegnato come tutor uno studente che deve sviluppare un elaborato su Economia aziendale e Informatica, sarebbe utile che i docenti di quel Consiglio prendessero una posizione molto saggia ed equilibrata, così come sta accadendo in molte scuole: si delibera, cioè, che tutti i docenti della Commissione sono potenziali docenti di riferimento, e – a seconda dei loro dubbi o richiesta di consigli vari – i candidati potranno rivolgersi, per una consulenza, ora a questo ora all’altro.

Resta inteso che i “responsabili” dell’elaborato – un po’ come accade per le tesi di laurea – saranno i docenti delle discipline di indirizzo, così come da allegati C1, C2 e C3 dell’Ordinanza Ministeriale.

La norma non resta, così, disattesa, ma la si interpreta in modo razionale, per favorire al meglio l’efficacia dell’intervento e la serenità degli studenti.

Assistenti specialistici per alunni con disabilità: non si parla più di statalizzazione?

da La Tecnica della Scuola

Sul tema della statalizzazione degli assistenti alla disabilità riceviamo un interessante contributo che qui pubblichiamo

Due notizie di questi giorni riportano all’attenzione il tema degli assistenti specialistici per l’autonomia e la comunicazione degli alunni con disabilità e della loro collocazione nel mondo della scuola.

Tre proposte per statalizzare gli assistenti specialistici all’autonomia e alla comunicazione

La prima notizia è che, alla riunione dell’Osservatorio presso il Miur per l’inclusione scolastica, alla presenza del Sottosegretario per la scuola on. Rossano Sasso, alcune associazioni si siano schierate apertamente per la statizzazione degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione.

Ci sono ben due progetti di legge già presentati finora: uno, del 2016, da parte di alcune associazioni e gruppi di assistenti e un altro, recentissimo, proposto da First, Fand ed Ens. Entrambi i progetti mostrano lacune sia per la collocazione individuata per gli assistenti, sia per i procedimenti di stabilizzazione, sia per la copertura finanziaria.

L’avvocato Salvatore Nocera, in occasione di un convegno pubblico, ha informato di avere, a sua volta, scritto un progetto di legge con lo stesso scopo. Considerata l’autorevolezza dell’estensore ci sono buoni motivi per pensare che questo testo sarà ampiamente migliore, e meno lacunoso, degli altri due. La bozza, però, non è ancora stata resa pubblica perché oggetto di discussione all’interno di alcune associazioni.

La seconda notizia che è recentissima riguarda l’innalzamento del numero dei posti per i TFA sostegno.

La grande fuga

Moltissimi assistenti specialistici sono già fuggiti dalle precarie condizioni cui sono costretti e c’è da star certi che, se non si muoverà niente sulla statalizzazione, con questo nuovo incremento di posti fuggiranno tutti quelli che hanno i requisiti per partecipare alla procedura. Sono circa il 46% e cioè venticinquemila persone più o meno.

Non sono pochi quelli già entrati nel precedente TFA che sono risultati idonei e che non saranno più “assistenti” fin dal prossimo settembre. La grande fuga diventerà abbandono di massa della professione, con tutto quello che ne consegue. E’ bene esserne consapevoli.

D’altra parte la vita dell’assistente specialistico non è delle migliori…

La nuova chiusura del 13 marzo 2021

E’ la data dalla quale le scuole sono state nuovamente chiuse a causa dell’incremento dei contagi da Coronavirus. Tutto il personale delle scuole è stato avvisato nei giorni precedenti e sono state organizzate le attività a distanza. Solo gli operatori addetti all’assistenza specialistica per gli alunni con disabilità, di competenza degli enti Locali, non sanno cosa fare; nessuna indicazione è loro arrivata da Scuole, Cooperative, Enti Locali.

La Storia si ripete. Un Giorno della Marmotta in cui la primavera non arriva mai e la bestiola, pur speranzosa, annusa l’aria fuori dalla sua tana. Solo che stavolta è un po’ peggio. Non è un fulmine a ciel sereno. Non è un evento imprevedibile e imponderabile.

Quasi nessuna scuola ha messo al corrente della possibilità di frequentare la scuola in presenza con il piccolo gruppo e i propri alunni. Quasi nessuna scuola ha concesso le password di accesso alle piattaforme di didattica a distanza. Quasi nessuna scuola ha organizzato per tempo i gruppi per favorire l’inclusione vera dei suoi alunni, come le circolari ministeriali prevedono. Qualcuna lo farà, nei giorni successivi, ma pochissime. Altrove si creerà il remake delle classi differenziali.

Le famiglie, nella maggioranza dei casi, non vengono informate o perlomeno coinvolte, nei processi decisionali e organizzativi. Gli assistenti specialistici sono già pronti all’ennesima decurtazione dello stipendio, all’ennesima esclusione dalla scuola, condividendo la sorte dei propri alunni.

Le ore  6:30 del 13 marzo 2021

Sono le 6:30 del 13 marzo 2021 (duemilaventuno e non duemilaventi).
Sul cellulare di uno di questi operatori arriva uno scarno SMS che suona come un ordine di servizio: “Presentarsi a scuola”. L’assistente specialistico, interdetto ma memore di ciò che implica non aderire a una siffatta richiesta, si alza, si scapicolla (è proprio alle sei e trenta che, di solito, è già in strada per recarsi a scuola), attraversa una città irreale e spettrale.

Arrivato a scuola, ci trova solo i collaboratori scolastici che non sanno fornire alcuna informazione. Dopo più di un’ora arriva l’ordine perentorio del dirigente scolastico: gli assistenti specialistici devono andarsene, devono uscire dalla scuola. Al momento non vi sono disposizioni che riguardano la loro utilizzazione. Non ci sono comunicazione dal ministero, dal comune, dalla loro cooperativa.

Le ore 10:00 del 13 marzo 2021

Alle dieci il nostro operatore riprende, sconsolato, la strada di casa sapendo che, per come è stato a lui indicato dalla scuola, non può telefonare neppure al proprio alunno perché quando l’ha fatto è stato richiamato dalla scuola stessa quasi vi fosse una collusione per tramare qualcosa contro le istituzioni.

Come finisce questa favola?

Il 13 marzo 2021, di nuovo e dopo un anno esatto da 4 marzo 2020, 280.000 alunni con disabilità e 57.000 assistenti che si occupano di loro, dovranno attendere giorni e giorni per conoscere gli umori della scuola perché, a piacere delle istituzioni, i più fortunati torneranno a fare attività didattica in presenza (magari persino col piccolo gruppo, chissà), altri faranno qualche ora in DAD, e per gli assistenti, non tutte le ore saranno svolte e pagate, saranno coperte da FIS (forse…). Molto attenderanno la primavera.

Caricare sulle spalle di così tanti uomini e donne di buona volontà tutto il peso di un intervento dello Stato sociale, ignorando le condizioni sotto la soglia di decenza in cui si trovano ad operare, significa non curarsi dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità.

Come ignorare?

Come ignorare che in venti anni gli assistenti specialistici all’autonomia e alla comunicazione sono passati dai 4.800 del 1998 ai 57.000 attuali, dimostrando che sono necessari?

Come ignorare che queste persone hanno raffinato le proprie competenze sempre più, si sono occupate dell’assistenza materiale (perché è stato preteso da loro anche se spettava agli ATA) e, soprattutto, di sono dedicate, educativamente, di autonomie (personali, sociali, relazionali, scolastiche, metacognitive), di comunicazione (Lis, metodo bimodale, oralista, aptica, tiflodidattica, Braille, CAA…), di socializzazione, qualche volta supplendo anche alle carenze (quantitative e qualitative) degli insegnanti di sostegno?

I vestiti nuovi dell’imperatore

Come nella fiaba danese di Hans Christian Andersen, sono gli occhi di un bambino che ci dicono, oggi e di nuovo, che il Re è nudo. Il velo che tutti avevano davanti e che ci impediva di vedere è stato tolto dall’emergenza sanitaria. La realtà è che ci sono state regressioni importanti che adesso vengono alla luce. Queste riguardano innanzitutto la qualità dell’inclusione scolastica ma sacrificano anche (le ingiustizie non vengono mai da sole) i diritti dei lavoratori.
La domande sono queste: che fine hanno fatto i disegni di legge per la statalizzazione della funzione di assistenza specialistica per l’autonomia e la comunicazione? Che fine ha fatto il progetto di stabilizzazione degli assistenti specialistici?

Paola Di Michele

CCNL 2019-2021, definiti i comparti per il nuovo periodo contrattuale

da La Tecnica della Scuola

Il 15 aprile 2021 è stata sottoscritta l’Ipotesi del Contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle aree per il periodo contrattuale (2019-2021).

Il testo contrattuale definisce la composizione dei comparti di contrattazione collettiva per il triennio 2019-2021.

I dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono aggregati nei seguenti comparti di contrattazione collettiva:
A) Comparto delle Funzioni centrali;
B) Comparto delle Funzioni locali;
C) Comparto dell’Istruzione e della ricerca;
D) Comparto della Sanità.

Il comparto di contrattazione collettiva dell’Istruzione e della ricerca comprende il personale non dirigente dipendente da:

I: Scuole statali dell’infanzia, primarie, secondarie ed artistiche, istituzioni educative e scuole speciali, nonché ogni altro tipo di scuola statale;

II: Accademie di belle arti, Accademia nazionale di danza, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche – ISIA, Conservatori di musica e Istituti Superiori di Studi Musicali;

III: Università, Istituzioni Universitarie e le Aziende ospedaliero-universitarie di cui alla lett. a) dell’art. 2 del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517;

IV:

  • Consiglio nazionale delle ricerche – CNR;
  • Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – CREA;
  • Consorzio Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile – LAMMA;
  • Consorzio per l’area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste – (AREA Science Park);
  • Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente – ENEA;
  • Istituto italiano di studi germanici – IISG;
  • Istituto nazionale di alta matematica “Francesco Severi” – INdAM;
  • Istituto nazionale di astrofisica – INAF;
  • Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa – INDIRE;
  • Istituto nazionale di fisica nucleare – INFN;
  • Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – INGV;
  • Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale – OGS;
  • Istituto nazionale di ricerca metrologica – INRIM;
  • Istituto nazionale di statistica – ISTAT;
  • Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione – INVALSI;
  • Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione – ISIN;
  • Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – INAPP;
  • Istituto superiore di sanità – ISS;
  • Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA;
  • Museo storico della fisica e centro di studi e ricerche “Enrico Fermi”;
  • Stazione zoologica “Antonio Dohrn”;

V: Agenzia spaziale italiana – ASI;

VI: Personale ex ISPESL transitato all’INAIL ai sensi dell’art. 7, comma 5, D.L. 78/2010 e personale ex ISFOL transitato all’ANPAL ai sensi dell’art. 4, comma 9, del D.Lgs. n. 150/2015.

Per quanto attiene alle Aree della dirigenza, ferma restando l’articolazione nelle quattro aree già definite dal precedente CCNQ, le parti hanno ritenuto opportuno proseguire il negoziato al fine di definirne la composizione.

L’accordo raggiunto permette, non appena ricevuti gli atti di indirizzo, di avviare le trattative contrattuali 2019-2021.

Scuola come priorità

Scuola, il Ministro Patrizio Bianchi: “È priorità per Governo e centrale nella vita del Paese”

“La scelta del Governo è chiara. La scuola è una priorità nella sua azione. Ed è centrale nella vita del Paese, così come lo sono le prossime settimane nel percorso delle nostre studentesse e dei nostri studenti, in particolare di quelli che si apprestano a sostenere gli Esami di fine ciclo”. Lo dichiara il Ministro dell’Istruzione, Professor Patrizio Bianchi.

“Con la scelta di oggi mandiamo un messaggio di speranza e di responsabilità. Dobbiamo progressivamente tornare alla normalità, a una nuova normalità, e dobbiamo farlo a partire dalla scuola. Nei prossimi giorni lavoreremo con i nostri Uffici territoriali, gli Enti locali, le scuole, i tavoli prefettizi. Saremo come sempre al fianco della comunità scolastica”, conclude il Ministro.

Tavoli di lavoro con le OO.SS.

L’ANP incontra il Ministro Bianchi: a breve i tavoli di lavoro con le OO.SS.

L’ANP oggi ha incontrato, in videoconferenza, il Ministro Bianchi per comunicazioni urgenti destinate alle organizzazioni sindacali. 

Il Ministro ha annunciato che, già a partire dalla prossima settimana, sulla base di un documento programmatico che sarà reso noto a breve, verranno attivati tre tavoli di lavoro coordinati dal Ministero dell’istruzione per intervenire su tematiche di interesse per la scuola nell’immediato e in prospettiva. Si tratta dei tavoli sul reclutamento del personale, sull’organizzazione scolastica e sulla riforma degli ITS. 

Per quanto riguarda la tematica del primo tavolo, peraltro già presente all’interno del PNRR, il Ministro ha evidenziato la necessità di prevedere forme di reclutamento del personale che, una volta a regime, consentano di rendere definitivamente regolari e stabili le modalità di accesso al mondo della scuola. Nel frattempo, occorre anche far fronte alla gestione della complessa situazione transitoria determinata dai grandi numeri del precariato della scuola. 

Il secondo tavolo intende affrontare il tema dell’organizzazione scolastica facendo leva sui due elementi determinanti che la connotano: autonomia e responsabilità. 

Il terzo tavolo, infine, è imperniato sulla riforma degli ITS la cui valorizzazione, sempre più necessaria per lo sviluppo professionale e lavorativo degli studenti, deve essere, secondo il Ministro, ancorata solidamente al sistema didattico, anche attraverso la presenza di personale docente stabile.  

Il Ministro, infine, ha ribadito la centralità della scuola nella volontà e nella visione dell’esecutivo, anche in vista di un rapido ritorno in classe di tutti gli studenti. 

L’ANP ha dichiarato la piena disponibilità dell’Associazione a partecipare, con spirito costruttivo e di prospettiva, ai tavoli ministeriali. Ha anche aggiunto che, nella previsione di una ripresa in tempi brevi delle attività scolastiche così come disegnata dal Governo, occorre tenere conto delle molte criticità sino ad oggi mai risolte – quali, ad esempio, quelle date dai trasporti – che hanno, di fatto, impedito la regolarità della frequenza degli studenti. Nessun nuovo tentativo di rientro in classe potrà avere buon esito in assenza di soluzioni concrete.