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Circolare Ministeriale 18 ottobre 2011, n. 94

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

 

Circolare 18 ottobre 2011, n. 94

Prot. n. 6828

 

Ai Dirigenti Scolastici degli Istituti di Istruzione Secondaria di II grado

LORO SEDI

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

e p.c. Al Capo di Gabinetto

SEDE

Al Capo Dipartimento per l’istruzione

SEDE

Al Direttore generale per l’istruzione e formazione tecnica superiore e i rapporti con i sistemi formativi

delle Regioni

SEDE

 

Oggetto: Valutazione periodica degli apprendimenti nei percorsi di istruzione secondaria di II grado. Indicazioni operative per l’a.s. 2011/12.

La presente circolare fornisce indicazioni alle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di II grado al fine di assicurare l’ordinato svolgimento delle operazioni relative alle valutazioni periodiche del corrente anno scolastico, nelle more dell’adozione delle modifiche e integrazioni al D.P.R. 122/2009, regolamento recante il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni.

Le indicazioni riguardano il primo biennio dei percorsi di istruzione superiore in considerazione del fatto che i nuovi ordinamenti stanno trovando applicazione ai primi due anni di corso di ciascun indirizzo di studio. Si tiene, ovviamente, conto delle esperienze realizzate dalle scuole nell’anno di avvio dei nuovi percorsi e delle indicazioni già fornite per l’anno scolastico 2010/11 con la nota n. 3320 del 9 novembre 2010.

A tale riguardo è utile richiamare il quadro di riferimento proprio dei vecchi ordinamenti, tuttora applicabile alle classi terze, quarte e quinte di tutti gli indirizzi di studio. Esso richiede che, mentre in sede di scrutinio finale sia attribuito un unico voto a ciascuna disciplina o gruppo di discipline afferenti al medesimo insegnamento, negli scrutini intermedi la valutazione si esprima attraverso l’attribuzione di uno o più voti a seconda che l’insegnamento preveda una o più prove (scritte, orali, pratiche o grafiche).

 

Per quanto riguarda i nuovi ordinamenti si ritiene che le regole sopra delineate siano compatibili con i piani di studio del primo biennio, in attesa che si pervenga, anche sulla scorta delle esperienze di attuazione dei nuovi Regolamenti, alle citate modifiche e integrazioni del D.P.R. 122/2009.

Pertanto con le tabelle allegate sono state individuate, in accordo con la Direzione generale per l’istruzione e formazione tecnica superiore, le tipologie di prove e le corrispondenti modalità di espressione del voto in sede di scrutini intermedi, relative a ciascun insegnamento dei primi due anni dei percorsi di istruzione secondaria di II grado.

E’ evidente che la previsione di più voti è contemplata per le discipline nelle quali la produzione scritta, pratica o grafica sia irrinunciabile, anche alla luce delle Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento dei percorsi liceali e delle distinte Linee guida per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali.

Va, comunque, sottolineato che la valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente e che le istituzioni scolastiche potranno individuare e adottare, nella loro autonomia e nell’ambito delle prove previste per ciascun insegnamento (scritte, orali, pratiche e grafiche), modalità e forme di verifica che ritengano funzionali all’accertamento dei risultati di apprendimento, declinati in competenze, conoscenze e abilità, di cui ai Regolamenti di riordino e al D.M. 139/2007 relativo all’obbligo d’istruzione.

Ciò significa che, anche nel caso di insegnamenti ad una prova, il voto potrà essere espressione di una sintesi valutativa frutto di diverse forme di verifica: scritte, strutturate e non strutturate, grafiche, multimediali, laboratoriali, orali, documentali, ecc.

Infatti, come già indicato nella citata circolare del 9 novembre 2010, le verifiche possono prevedere, a solo titolo di esempio e in relazione alle tipologie individuate dalle istituzioni scolastiche, modalità scritte anche nel caso di insegnamento a sola prova orale.

Appare opportuno aggiungere che, in ogni caso, un’ampia varietà di forme di verifica concorre a valorizzare pienamente i diversi stili di apprendimento, le potenzialità e le diverse attitudini degli studenti.

Nel caso in cui le istituzioni scolastiche utilizzino le quote di autonomia previste dai regolamenti di riordino dei licei (art. 10, comma 1, lett. c) D.P.R. 89/10), dei tecnici (art. 5, comma 3, lett. a) D.P.R. 88/10) e dei professionali (art. 5, comma 3, lett. a) D.P.R. 87/10) per introdurre nuove discipline curricolari, le relative modalità di valutazione e di espressione del voto in sede di scrutinio intermedio sono demandate alle singole istituzioni scolastiche.

Limitatamente ai licei, in caso di potenziamento degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti ai sensi dell’art. 10, comma 3, D.P.R. 89/10, il voto va espresso con le stesse modalità previste per l’insegnamento obbligatorio.

Le istituzioni scolastiche avranno cura di esplicitare, nei rispettivi piani dell’offerta formativa, le tipologie delle verifiche adottate, al fine di rendere l’intero processo valutativo trasparente e coerente con gli specifici obiettivi di apprendimento.

 

Saranno così valorizzate, anche in materia di valutazione, le attività progettuali e innovative realizzate dai licei in coerenza con le citate Indicazioni Nazionali, nonché le esperienze di organizzazione metodologico-didattica e di ricerca (didattica modulare e laboratoriale, personalizzazione dei percorsi, utilizzazione di metodologie e strumenti didattici innovativi, aree di progetto, ecc.) che gli istituti tecnici e professionali realizzano in attuazione delle Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento per il primo biennio.

 

IL DIRETTORE GENERALE

F.to Carmela Palumbo

Lettera INVALSI 18 ottobre 2011, Prot. n. 10047

Lettera INVALSI 18 ottobre 2011, Prot. n. 10047

Ai dirigenti delle istituzioni scolastiche autonome statali e delle scuole paritarie

OGGETTO: Rilevazione degli apprendimenti nell’anno scolastico 2011/2012

Direttiva 3 ottobre 2011, n. 88

Direttiva 3 ottobre 2011, n. 88

Obiettivi delle rilevazioni nazionali INVALSI sugli apprendimenti degli studenti – a.s. 2011/2012

13 settembre Rapporto OCSE 2011

Pubblicato il Rapporto OCSE “Education at a Glance 2011”.

Rapporto OCSE “Education at a Glance 2011” (Testo integrale in Inglese)

Rapporto OCSE “Education at a Glance 2011” – Italia (Sintesi in Italiano)

Di seguito il comunicato stampa:

Education at a Glance 2011: OECD Indicators

Across OECD countries, governments are having to work with shrinking public budgets while designing policies to make education more effective and responsive to growing demand.

The 2011 edition of Education at a Glance: OECD Indicators enables countries to see themselves in the light of other countries’ performance. It provides a broad array of comparable indicators on education systems and represents the consensus of professional thinking on how to measure the current state of education internationally.

The indicators show who participates in education, how much is spent on it, and how education systems operate. They also illustrate a wide range of educational outcomes, comparing, for example, student performance in key subjects and the impact of education on earnings and on adults’ chances of employment.

Nota 5 maggio 2011, Prot. MPIAOODGRUIREG.UFF.8114

Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca

Dipartimento per la Programmazione e Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali

Direzione Generale per le Risorse Umane del Ministero, Acquisti e Affari Generali

Ufficio IV

 

Nota 5 maggio 2011, Prot. MPIAOODGRUIREG.UFF.8114

 

Ai Direttori Generali centrali e periferici

L.L. SEDI

E, p.c. Al Gabinetto dell’ On.le Ministro

SEDE

E, p.c. all’OIV

SEDE

 

OGGETTO: Comitato dei garanti – Art. 22 del d.lgs. n. 165 del 2001. Presentazione delle candidature

Nota 20 aprile 2011, MIURAOODGOS prot. 2792 R.U./U./

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

 

Nota 20 aprile 2011, MIURAOODGOS prot. 2792 R.U./U./

 

Ai Direttori Generali degli

Uffici scolastici regionali

LORO SEDI

Al Sovrintendente Scolastico

Provincia Autonoma di

TRENTO

Al Sovrintendente Scolastico Provincia

Autonoma di

BOLZANO

All’Intendente Scolastico

Scuole lingua tedesca

BOLZANO

All’Intendente Scolastico

Scuole lingua ladina

BOLZANO

Al Sovrintendente agli Studi per la

Regione -Valle d’Aosta

AOSTA

e p.c. Al Capo di Gabinetto

Al Capo del Dipartimento per

l’Istruzione

SEDE

Al Presidente dell’Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione Villa Falconieri 00044 – FRASCATI (RM)

 

Oggetto: Servizio nazionale di valutazione – Rilevazione degli apprendimenti per l’a.s. 2010/11 – precisazioni.

Circolare Ministeriale 4 marzo 2011, n. 20

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per l’Istruzione
Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali LORO SEDI
Al Sovrintendente Scolastico della Provincia di BOLZANO
Al Dirigente del Dipartimento Istruzione della Provincia di TRENTO
Ai Dirigenti Scolastici degli Istituti di Istruzione Secondaria di I e II Grado Statali e Paritari LORO SEDI
e.p.c. Al Ministro degli Affari Esteri ROMA
All’Intendente Scolastico per la scuola in lingua tedesca BOLZANO
All’Intendente Scolastico per la scuola delle località ladine BOLZANO
All’Assessore all’ Istruzione e Cultura delle Regione Autonoma della Valle d’Aosta AOSTA
Al Sovrintendente agli Studi della Regione Autonoma della Valle d’Aosta AOSTA
All’Assessore ai Beni Culturali e Pubblica Istruzione della Regione Sicilia PALERMO
Ai Presidenti delle Giunte Provinciali delle Province Autonome di BOLZANO e TRENTO

Oggetto: Validità dell’anno scolastico per la valutazione degli alunni nella scuola secondaria di primo e secondo grado- Artt. 2 e 14 DPR 122/2009

Nota 2 marzo 2011, Prot. n. 2065

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Direzione Generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione

 

Ai Direttori Generali degli Uffici scolastici regionali

SEDE

e, p.c. Al Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano

Foro Italico

00194 ROMA

 

OGGETTO: D.P.R. 22.6.2009, n. 122 – Numero massimo assenze annuali e svolgimento pratica sportiva agonistica.

 

Il Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha sottoposto all’attenzione dell’On.le Ministro il tema del contemperamento fra profitto scolastico e svolgimento della pratica sportiva agonistica da parte degli alunni.

La questione si lega alle disposizioni contenute nei decreti legislativi 19.2.2004, n. 59 e 17 ottobre 2006, n. 226, riprese dal D.P.R. 22.6.2009, n. 122 che richiedono la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale delle lezioni ai fini della validità dell’anno scolastico.

Non si tratta di un principio assoluto riducibile ad un mero accertamento aritmetico ma di disposizioni che mirano a contrastare comportamenti ascrivibili a disimpegno dalla vita scolastica. Sono infatti previste delle deroghe motivate in rapporto alle cause che hanno determinato le assenze e che debbono essere oggetto di attenta valutazione da parte dei consigli di classe, fermo restando che debbono comunque sussistere elementi di giudizio sufficienti per la valutazione degli apprendimenti degli alunni.

Questo principio derogatorio è stato anche ribadito in sede di risposta fornita all’interrogazione parlamentare n. 5-03509 dell’On.le Di Centa nella seduta della Commissione cultura del 9 novembre 2010. La circostanza che nella risposta di cui trattasi sia stato fatto riferimento agli “studenti che svolgono sport invernali a livello agonistico” va riferita allo specifico tema sollevato dall’Onorevole interrogante ma è anche espressione di un orientamento generale che non può non coinvolgere tutte le discipline sportive. La deroga, nel sopra evidenziato limite normativo della sussistenza di elementi valutativi congrui, si basa infatti sulla generale valenza educativa della pratica sportiva che concorre alla crescita della personalità complessiva degli studenti e non consente di discriminare fra discipline sportive diverse.

Nel ringraziare le SS.LL. per l’attenzione, si prega di diffondere la presente nota fra i dirigenti scolastici delle istituzioni interessate.

 

IL DIRETTORE GENERALE

– Massimo Zennaro –

DPCM Performace (Bozza 8 febbraio 2011)

Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri (bozza 8.2.11)

Definizione, ai sensi dell’articolo 74, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009, dei limiti e delle modalità di applicazione del sistema di misurazione, valutazione, trasparenza della performance di cui alle disposizioni dei Titoli II e III del citato decreto legislativo al personale docente ed educativo degli istituti e scuole del primo e secondo ciclo di istruzione e delle istituzioni educative, a quello delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché ai tecnologi ed ai ricercatori degli enti di ricerca

Nota 30 dicembre 2010, Prot. N. 3813

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane,

finanziarie e strumentali

Ai Direttori Generali degli

Uffici scolastici regionali

LORO SEDI

Al Sovrintendente Scolastico

Provincia Autonoma di

TRENTO

Al Sovrintendente Scolastico

Provincia Autonoma di

BOLZANO

All’Intendente Scolastico

Scuole lingua tedesca

BOLZANO

All’Intendente Scolastico

Scuole lingua ladina

BOLZANO

Al Sovrintendente agli Studi

per la Regione Valle d’Aosta

AOSTA

e, p.c. :

Al Capo di Gabinetto

Al Capo del Dipartimento

per l’Istruzione

SEDE

Al Presidente dell’Istituto Nazionale per la

valutazione del sistema educativo

di istruzione e di formazione Villa Falconieri

00044 – FRASCATI (RM)

Oggetto: Servizio nazionale di valutazione – Rilevazione degli apprendimenti – Anno scolastico 2010-2011.

Come è noto alle SS.LL., l’art.3, comma 1, lettera b, della legge 28 marzo 2003, n.53 assegna all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione (INVALSI) il compito di effettuare verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze ed abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche.

Al fine di attuare questo specifico compito, finalizzato al progressivo miglioramento e all’armonizzazione della qualità del sistema di istruzione e formazione, con il decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286, è stato istituito il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione nell’ambito del predetto Istituto nazionale.

La rilevanza strategica dell’attività dell’Istituto ha indotto il legislatore ad intervenire più volte per potenziare la qualificazione scientifica dell’INVALSI, attribuendo allo stesso ulteriori compiti (vedi art.1, commi da 612 a 615, della legge 27 dicembre 2006, n.296) e prevedendo, con la legge 25 ottobre 2007, n.176, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 7 settembre 2007, n.147, in particolare all’art.1, comma 5, l’emanazione di un’apposita direttiva annuale, da parte del Ministro dell’Istruzione, per l’individuazione degli obiettivi relativi alla valutazione esterna condotta dal Servizio nazionale di valutazione sul sistema scolastico e sui livelli di apprendimento degli studenti.

Con la direttiva del Ministro n.67 del 30 luglio 2010, registrata dalla Corte dei Conti il 20 settembre 2010, registro 15, foglio 253, sono stati perciò individuati gli obiettivi generali delle politiche educative nazionali, di cui l’INVALSI è impegnato a tener conto per lo svolgimento della propria attività istituzionale per l’anno scolastico 2010-2011.

Fra gli obiettivi, assume particolare importanza la valutazione degli apprendimenti in Italiano e Matematica degli studenti della seconda e quinta classe della scuola primaria, della prima e terza classe della scuola secondaria di primo grado e della classe seconda della scuola secondaria superiore. Si precisa che, in questo primo anno di estensione alla scuola secondaria superiore, tale valutazione non riguarderà coloro che frequentano i corsi serali e i centri di istruzione per adulti.

Per la terza classe della scuola secondaria di primo grado si terrà conto della valutazione degli apprendimenti cui sono sottoposti gli studenti in occasione della prova nazionale dell’esame di Stato al termine del primo ciclo.

La valutazione riguarderà obbligatoriamente tutti gli studenti delle predette classi delle istituzioni scolastiche, statali e paritarie.

Per snellire e facilitare le operazioni di trasmissione dei risultati è essenziale la collaborazione degli insegnanti in tutte le diverse fasi della procedura secondo le modalità che saranno successivamente comunicate dall’INVALSI. I predetti esiti dovranno essere tempestivamente inviati dalle istituzioni scolastiche all’INVALSI nei modi indicati dall’istituto stesso. In questo modo i fascicoli delle prove potranno essere trattenuti e conservati dalle istituzioni scolastiche quali materiali utili a iniziative e momenti di riflessione e di confronto.

Come in tutte le indagini è anche previsto un controllo di qualità sulle procedure di somministrazione mediante l’invio di osservatori esterni in un campione di scuole rappresentativo dell’universo regionale e nazionale, con il compito di garantire la corretta applicazione del protocollo di somministrazione delle prove, trascrivere i risultati e inviarli all’INVALSI.

L’INVALSI, cui la presente è inviata per conoscenza, vorrà coordinare l’attività dei referenti degli Uffici scolastici regionali, allo scopo di fornire indicazioni in ambito regionale sia in merito alle scuole campione sia in relazione alla tempistica delle operazioni di somministrazione delle prove a tutte le istituzioni scolastiche, statali e paritarie, che, si ribadisce, devono prestare la massima collaborazione all’Istituto nazionale per lo svolgimento dei compiti istituzionali obbligatori che gli sono affidati dalla legge. Sarà cura, inoltre, del medesimo Istituto concordare con i referenti degli Uffici scolastici regionali le modalità per l’individuazione degli osservatori esterni che saranno designati per assistere allo svolgimento delle prove in questione e per la comunicazione dei loro nominativi alle istituzioni scolastiche interessate, chiarendo eventuali aspetti connessi al coordinamento tra il personale della scuola e i predetti osservatori.

Le SS.LL., acquisite tutte le informazioni utili sulle fasi della rilevazione degli apprendimenti, anche mediante consultazione del sito dell’INVALSI – www.invalsi.it -, vorranno provvedere ad accreditare gli osservatori esterni e a fornire ai Dirigenti scolastici di tutte le scuole, statali e paritarie, ogni utile indicazione al fine di garantire il migliore esito della rilevazione stessa.

Si confida nella consueta disponibilità delle SS.LL., nella consapevolezza che un armonico coinvolgimento di tutte le parti interessate possa contribuire ad una buona riuscita delle operazioni di valutazione in coerenza con gli obiettivi generali delle politiche educative nazionali.

Si ringrazia per la collaborazione

Il Capo Dipartimento

Giovanni Biondi

18 novembre Valorizzazione merito

Il ministro dell’Istruzione presenta due progetti sperimentali per la valorizzazione del merito di scuole e docenti.

Scuola, al via i progetti per valorizzare il merito

Premi agli istituti e ai docenti migliori

Gelmini: “E’ un giorno storico”

(Roma, 18 novembre 2010) Per la prima volta dopo decenni di dibattiti parte finalmente un progetto concreto che introduce il merito nel sistema d’istruzione italiano, per valutare e premiare le scuole e i docenti migliori. La sperimentazione ha l’obiettivo di individuare criteri, metodologie e competenze per valorizzare il merito e migliorare quindi la qualità del sistema scolastico secondo le migliori esperienze europee ed internazionali. La sperimentazione sarà finanziata con parte del 30% dei risparmi ottenuti grazie alla razionalizzazione delle spesa al netto delle risorse destinate al recupero per il personale docente degli scatti biennali.

Ai docenti particolarmente meritevoli verrà assegnato un premio pari ad una mensilità di stipendio. Agli istituti migliori un premio fino ad un massimo di 70 mila euro.

“E’ un giorno storico – ha dichiarato il ministro Mariastella Gelmini – Finalmente si iniziano a valutare i professori e le scuole su base meritocratica. Premi dunque ai migliori e non soldi legati solo all’anzianità di carriera che comunque, grazie allo sforzo del governo, sono stati garantiti a tutto il settore”.

Lo scorso febbraio il ministro Gelmini ha istituito un Comitato Tecnico Scientifico (CTS) che ha l’obiettivo di proporre l’istituzione di un sistema nazionale di valutazione e di miglioramento della didattica. Il Comitato ha proposto al ministro due progetti sperimentali: uno per la valutazione delle scuole, l’altro per i docenti.

Entrambi i progetti saranno attivati nel corrente anno scolastico.

Progetto sperimentale per la valutazione delle scuole

Il progetto sarà proposto a tutte le scuole medie delle province di Pisa e Siracusa.

Le scuole saranno valutate prendendo in considerazione:

* il livello di miglioramento degli apprendimenti degli studenti, individuato attraverso i test INVALSI;

* una serie di indicatori (rapporto scuola-famiglia, rapporto scuola-territorio, gestione delle risorse, livelli di abbandono…) verificati da un team di osservatori esterni composto da un ispettore e da due esperti indipendenti che, al termine delle attività, proporranno una relazione complessiva.

Sulla base dei risultati ottenuti verrà formulata da una Commissione tecnica regionale una graduatoria finale.

Alle scuole che si collocheranno nella fascia più alta sarà assegnato un premio (fino ad un massimo di 70mila euro) da destinare esclusivamente al personale effettivamente impiegato nell’istituto durante il periodo di sperimentazione.

Contemporaneamente sarà avviato un monitoraggio sull’intera sperimentazione per analizzare i cambiamenti nelle scuole a seguito dell’introduzione dei meccanismi di valutazione. Progetto sperimentale per premiare i docenti migliori

Il secondo progetto mira ad individuare metodi e criteri per premiare gli insegnanti che si distinguono per le capacità e la professionalità dimostrate.

La sperimentazione riguarderà i docenti delle scuole di due città, Torino e Napoli.

In ogni scuola verrà costituito un “nucleo” composto dal Dirigente scolastico, da due docenti eletti dal Collegio dei docenti e dal presidente del Consiglio di Istituto in qualità di osservatore. Il “nucleo” avrà il compito di valutare i docenti che hanno aderito volontariamente alla sperimentazione.

La valutazione farà riferimento a due elementi:

* curriculum vitae;

* documento di valutazione.

In aggiunta a questi elementi il nucleo dovrà considerare anche i risultati di indagini realizzate per rilevare l’apprezzamento dei docenti da parte dei genitori e degli studenti. Sperimentare l’utilizzo di indicatori dell’apprezzamento da parte di genitori e studenti costituisce un elemento qualificante della sperimentazione, poiché rende la valutazione più completa, significativa e soprattutto non autoreferenziale.

Gli insegnanti meritevoli saranno individuati e premiati entro aprile/maggio 2011.

Una quota del 30% consentirà, inoltre, di rafforzare l’azione dell’INVALSI ed estendere ad altre materie e livelli scolastici l’utilizzo di test per la valutazione degli apprendimenti.

Sentenza TAR Lazio 15 novembre 2010, n. 33433

N. 33433/2010 REG.SEN.

N. 10681/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10681 del 2009, proposto da:
Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni; CIDI – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti; Comitato Insegnanti Evangelici Italiani (CIEI); Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia; Comitato Torinese per la Laicità della Scuola; Tavola Valdese, CRIDES – Centro Romano Iniziative Difesa Diritti nella Scuola; Associazione XXXI ottobre per una scuola laica e pluralista (promossa dagli evangelici italiani); Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”; UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni; Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno; Federazione delle Chiese Pentecostali; Associazione per la Scuola della Repubblica; Comitato Bolognese Scuola e Costituzione; Associazione Italialaica; UCEI – Unione delle Comunità Ebraiche Italiane; Associazione Gruppo Martin Buber Ebrei per la Pace; Fnism -Federazione Nazionale Insegnanti;
nonché per i sigg. XXXX, nella qualità di studente rappresentato dai genitori XXXX; XXXX, nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore XXXX; XXXX, in qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore XXXX; XXXX, nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore XXXX;
tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Fausto Buccellato e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma, al viale Angelico, 45;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero della Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede – in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12 – domiciliano per legge;

nei confronti di

Conferenza Episcopale Italiana, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

e con l’intervento di

ad opponendum:
SNADIR – Sindacato Nazionale Autonomo degli Insegnanti di Religione, XXXX, rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Nastasi, ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Gavorrano, n. 12, presso lo studio dell’avv. Mario Giannarini;

per l’annullamento, in parte qua, previa sospensione,

del d.p.r. 22 giugno 2009, n. 122, pubblicato in G.U. n. 191 del 19 agosto 2009, avente ad oggetto ” Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169”, limitatamente agli artt. 2, commi 1, 4 e 6; 3, commi 1 e 2; 4, commi 1 e 3; 6, commi 2 e 3, nonché di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso ancorché allo stato incognito.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate e del Sindacato opponente;

Viste le memorie difensive presentate dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 14 ottobre 2010 il cons. Massimo L. Calveri e uditi i difensori delle parti come specificato nel relativo verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- Nel premettere che la questione della partecipazione degli insegnanti di religione alle procedure valutative degli studenti della scuola pubblica è stata al centro di un notevole contenzioso, rammentano i ricorrenti che, da ultimo, con sentenza n. 7076 in data 17 luglio 2009, la Sezione III-quater di questo Tribunale ha annullato le ordinanze ministeriali un. 26/07 prot. n. 2578 e 30/08 prot. 2724, recanti “Istruzioni e Modalità per lo svolgimento degli Esami di Stato”, rispettivamente, per gli anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007, nella parte in cui esse prevedevano che l’impegno e il profitto degli studenti che si avvalessero dell’insegnamento della religione cattolica o di insegnamenti alternativi fossero oggetto di valutazione ai fini dell’attribuzione del credito scolastico.

L’annullamento giudiziale delle predette ordinanze è stato disposto nella considerazione che esse “si pongono … in radicale contrasto con la lettera c) dell’articolo 9 della legge 21 del 1985, in quanto l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti o dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione” e che “Il sistema complessivo, in essere in concreto, ha dunque l’effetto di indurre gli studenti a rinunciare alle scelte dettate dalla propria coscienza, garantita dalla Carta Costituzionale e dell’articolo 9 del Concordato, in vista di un punteggio più vantaggioso nel credito scolastico”.

1.1.- Riportando la testuale disciplina delle norme regolamentari, qui impugnate con atto notificato in data 14 dicembre 2009, rilevano i ricorrenti come il Governo interviene nuovamente in questa delicata materia, aggravando i vizi già stigmatizzati dalla sentenza n. 7076 del 2009.

Tanto in ragione del fatto che il nuovo testo regolamentare non contiene la previsione, un tempo usuale (e, a loro avviso, doverosa) nei provvedimenti ministeriali annualmente regolativi delle valutazioni degli studenti, che la “nota” relativa alla frequenza del corso di religione, di cui all’art. 309, comma 4, del d. d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, “diventa un giudizio motivato” (non, comunque, un voto), nel caso in cui il parere dell’insegnante di religione cattolica sia determinante.

Inoltre, essi soggiungono, il regolamento, in violazione della normativa vigente, procederebbe alla piena equiparazione degli insegnanti di religione a tutti gli altri docenti.

Con la conseguenza che da tali statuizioni discenderebbe un effetto gravemente discriminatorio nei confronti degli studenti che abbiano deciso di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, i quali rischierebbero di essere penalizzati nella valutazione complessiva e nell’attribuzione del credito scolastico rispetto ai colleghi che abbiano diversamente optato.

1.2.- Nell’esplicitare le ragioni della propria legittimazione alla presente impugnativa, i ricorrenti formulano tre motivi di ricorso, sollevando in subordine la questione di legittimità costituzionale della normativa di riferimento (artt. 9 legge n. 121/1985; art. unico d.p.r. n. 202/1990; art. 309 d.lgs. n. 297/1994; art. 6, 7 e 11 d.p.r. n. 323/1998) ove interpretata nel senso del provvedimento impugnato.

1.3.- Si costituivano in giudizio le amministrazioni intimate, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

1.4.- Dispiegava intervento ad opponendum la SNADIR, Sindacato Autonomo degli Insegnanti di Religione, svolgendo argomentate considerazioni in favore della legittimità dell’impugnato testo regolamentare.

1.5.- Su accordo delle parti, l’istanza cautelare non è stata esaminata in vista della sollecita definizione nel merito del ricorso, che viene trattenuto in decisione alla udienza pubblica del 14 ottobre 2010.

2.- In via preliminare vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalle amministrazioni resistenti.

Si sostiene che il ricorso è stato proposto nei confronti di un atto regolamentare non suscettibile in via autonoma di arrecare una qualche lesione attuale e concreta degli interessi dei soggetti che hanno attivato l’impugnativa, soggiungendosi che comunque con il provvedimento impugnato non sono state attribuite misure di favore all’insegnamento della religione cattolica discriminando altre opzioni religiose ovvero sia stato pregiudicato il valore della laicità della scuola statale.

Il ricorso sarebbe poi inammissibile perché non notificato ad almeno uno degli alunni che hanno optato per l’insegnamento della religione cattolica, in violazione dell’art. 21 della legge n. 1034/1971 (ora art. 41, comma 2, c.p.a.).

2.1.- Le eccezioni non hanno pregio.

2.1.1.- Tutte le prospettazioni formulate con il ricorso sono dirette a censurare alcune norme del regolamento del d.p.r. n. 122/2009 nell’assunto che esse, contenendo disposizioni di favore per l’insegnamento della religione cattolica, introdurrebbe una discriminazione nei riguardi degli studenti che, come uno dei ricorrenti, non si sono avvalsi di detto insegnamento.

Trattasi quindi di normativa idonea, in ipotesi, a vulnerare autonomamente, e a prescindere dall’interposizione di atti amministrativi, il principio di laicità e di non discriminazione della scuola statale.

La riprova di quanto precede è offerta dalle stesse amministrazioni opponenti che, nell’argomentare il profilo di inammissibilità dell’impugnativa, escludono che comunque la censurata normativa contenga una disciplina discriminatoria nei riguardi degli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, compromettendo il principio del pluralismo religioso.

Tale argomentazione attiene però non già al piano della ritualità ma alla fondatezza del ricorso, che va pertanto esaminato nel merito.

2.1.2.- Quanto all’ulteriore eccezione di inammissibilità per omessa notifica del ricorso ad almeno uno dei controinteressati, individuabile in uno degli studenti che ha scelto di seguire l’insegnamento della religione cattolica, è del tutto pacifico che i ricorsi avverso atti normativi a contenuto generale, quale è quello impugnato, vanno notificati solo all’amministrazione che ha adottato l’atto, perché nei confronti di detti atti non sono configurabili controinteressati (tra le molte, CdS, VI, 13 aprile 2006, n. 2037).

3.- Con il primo motivo di ricorso è dedotto, con riferimento all’intero regolamento: Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 5, del d. 1. n. 137 del 2008. Difetto di fondamento legislativo.

Si afferma che il regolamento impugnato è stato adottato in pretesa attuazione dell’art. 3, comma 5, del decreto legge n. 137 del 2008, a tenore del quale “Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell‘istruzione, dell‘università e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni, e sono stabilite eventuali ulteriori modalità applicative del presente articolo”.

Poiché, come emergerà dallo svolgimento dei successivi motivi di ricorso, il regolamento non si sarebbe limitato al semplice coordinamento, ma avrebbe innovato la normativa vigente, esso avrebbe operato in carenza assoluta di fondamento legislativo.

3.1.- Stante il tenore del motivo, il suo esame non potrà che avvenire nel contesto dell’esame dei motivi successivi, perché – come puntualizzato dagli stessi ricorrenti – è con tali motivi che sarebbero state profilate censure secondo cui la potestà regolamentare governativa sarebbe stata esercitata debordando dalle finalità e dai limiti posti dalla norma primaria, confinati nel mero “coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti”.

In realtà, come si vedrà nell’esposizione puntuale dei motivi dedotti, questi ultimi sono diretti, più che a censurare il difetto di fondamento legislativo delle norme regolamentari impugnate, ad evidenziare che dette norme, violando la normativa pattizia intervenuta tra Repubblica Italiana e Santa Sede, attribuiscano al docente di religione cattolica la possibilità di avere un peso determinante, in sede di scrutinio finale degli studenti, nelle decisioni collegiali adottate a maggioranza dal consiglio di classe, riconoscendo al docente di concorrere anche nell’attribuzione del punteggio per il credito scolastico, così determinando una disparità di trattamento tra gli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione e tra quelli che decidano di non avvalersene.

3.2.- Con il secondo motivo di ricorso è dedotta: con particolare riferimento agli artt. 2, commi 1, 4 e 6; 3, commi 1 e 2; 4, commi 1 e 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 9 legge n. 121/1985; art. unico d.p.r. n. 202/1990; art. 309 del d.lgs. n. 297/1994; punto 2.7 dell’Intesa di cui al d.p.r. n. 751/1985.

Nel riportare la normativa primaria e pattizia in ordine all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali e la correlativa posizione di status dei docenti di detto insegnamento, riferiscono i ricorrenti che le norme regolamentari censurate con il ricorso prevedono che: l’insegnante di religione partecipi al consiglio di classe; il consiglio di classe esprima le sue valutazioni sugli studenti, anche in riferimento alle ammissioni, con voto a maggioranza; conseguentemente, il docente di religione può avere un peso determinante nella decisione collegiale; in questo caso, però, contrariamente a quanto disposto dalle norme primarie o pattizie, quelle impugnate non stabiliscono che, se determinante, il voto dell’insegnante di religione divenga un semplice “giudizio motivato iscritto a verbale”.

Si produce, conseguentemente, la diretta violazione delle norme in epigrafe, in quanto non si fa salva la previsione dell’intesa del 1985 modificata nel 1990 (e, anzi, si fanno salve delle ipotetiche “intese future”, che non si comprende bene perché siano richiamate), consentendo – dunque – all’insegnante di religione di partecipare al giudizio in modo determinante; determinante in modo radicale, atteso che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, la valutazione del comportamento dello studente (essenziale per la stessa ammissione) è collegiale, e che ad essa partecipa l’insegnante di religione, senza che il regolamento impugnato escluda che, sul punto, questi possa avere un peso decisivo.

Solo l’assenza di un voto determinante degli insegnanti di religione, invece, assicura il rispetto della libertà di scelta (in ordine all’avvalimento o meno dell’insegnamento della religione) sancito dalla Costituzione, dalla legge e dai patti con la Santa Sede, facendo in modo che la scelta se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica sia davvero rimessa alla libera valutazione di ciascuno studente, poiché non possono in alcun modo derivarne incentivi, né penalizzazioni, a carico di alcuno.

L’inderogabilità del principio di libertà della scelta è fondamentale e inderogabile, come ribadito anche da questo Tribunale con la precitata sentenza n. 7076 del 2009, con la quale si è affermato che “in una società democratica, al cui interno convivono differenti credenze religiose, certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un‘implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali”.

3.2.1.- Il motivo non è fondato.

Giova brevemente richiamare il quadro normativo e pattizio nel quale si iscrive la vicenda dell’insegnamento della religione cattolica in Italia.

E’ noto che con il Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana del 1984 è venuta meno l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola statale, già sancita con il Concordato del 1929.

Con la l. 25 marzo 1985, n. 121 (“Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede”, lo Stato italiano, “riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”, si è impegnato “ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado” (art. 9, comma 2).

Con la medesima norma si è stabilito quanto segue: “Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione”.

La legge ha poi trovato applicazione mediante Intese tra lo Stato Italiano e le diverse confessioni religiose, e, per quel che specificamente attiene alle modalità di organizzazione dell’insegnamento della religione cattolica, da Intesa intercorsa tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana formalizzata con d.p.r. 16 dicembre 1985, n. 751 (“Esecuzione dell’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche”), successivamente modificata e integrata con d.p.r. 23 giugno 1990, n. 202.

Di tale Intesa merita di essere richiamato, ai fini dell’impugnativa all’esame, il punto 2.7 dell’art. 2 del d.p.r. n. 751/1985, il cui ultimo periodo è stato aggiunto dall’Intesa allegata al d.p.r. n. 202/1990, che così recita: “Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica, fermo quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento. Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale”.

L’ora menzionata norma pattizia è stata in sostanza recepita dall’art. 309 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, con il quale è stato approvato il testo unico delle disposizioni vigenti in materia di istruzione; di tale articolo vanno menzionati i commi 3 e 4 del seguente tenore: “I docenti incaricati dell’insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica.

Per l’insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento e il profitto che ne ritrae”.

Con d.l. 1 settembre 2008, n. 137, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della l. 30 ottobre 2008, n. 169, contenente “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università”, sono state dettate, in particolare con gli artt. 1, 2 e 3, norme in materia di acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione” di valutazione del comportamento e degli apprendimenti degli alunni.; in applicazione degli artt. 2 e 3 dell’anzidetto decreto legge, è stato emanato il d.p.r. 22 giugno 2009, n. 122 (“Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni”), i cui artt. 2, 3, 4 e 6 costituiscono, in parte, oggetto dell’impugnativa all’esame.

Ritiene il Collegio che, nel delineato quadro normativo, non sono suscettibili di favorevole apprezzamento le censure dedotte con il motivo.

Non è anzitutto rispondente che le norme regolamentari impugnate consentano al docente di religione di partecipare a pieno titolo, assieme agli altri docenti, alla valutazione collegiale e periodica degli studenti della scuola primaria e secondaria.

Invero, sia nell’art. 2, comma 4, che nell’art. 4, comma 3, del testo regolamentare in questione, concernenti la valutazione degli alunni rispettivamente nel primo ciclo di istruzione e nella scuola secondaria di secondo grado, si rinviene la seguente medesima proposizione normativa : “La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall’articolo 309 del decreto legislativo 16 aprile L 1994, n. 297, ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico, fatte salve eventuali modifiche all’intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121”.

Orbene, stante il riferimento normativo alla disciplina contenuta nel precitato art. 309 per la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica, con la puntualizzazione quivi espressa che il docente di religione non esprime un voto, curando solo e soltanto la redazione di “una speciale nota” riguardante l’interesse e il profitto relativo a detto insegnamento, ai sensi del quarto comma del medesimo art. 309, è evidente come non sia predicabile che il docente in questione partecipi “a pieno titolo” assieme agli altri docenti alla valutazione degli studenti.

Tale partecipazione si modula infatti nei termini prefigurati dall’Intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, di cui all’accordo concordatario ratificato con la legge n. 121/1985 (peraltro opportunamente richiamato dalle norme regolamentari censurate), e quindi – per quel che qui interessa considerare – dal p. 2.7 dell’art. 2 del d.p.r. n. 751/1985, come integrato dal d.p.r. n. 202/1990, con il quale è stata data esecuzione dell’Intesa tra l’autorità scolastica italiana e la conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica.

E’ il caso di ricordare, e di ribadire, in proposito che la modifica (recte: l’integrazione) del p. 2.7 dell’esecuzione dell’Intesa del 1985, ad opera dell’Intesa intervenuta nel 1990, è nel senso che “nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio iscritto a verbale”.

Dalle esposte considerazioni emergono i punti salienti che disciplinano la subiecta materia, sulla quale l’impugnata normativa regolamentare non ha in alcun modo inciso, limitandosi solo a richiamare, e a ribadire la vigenza, della disciplina pattizia cui fa sostanziale riferimento l’art. 309 del t.u. sull’istruzione.

Tali punti salienti possono riassumersi in quanto segue:

a.- il docente incaricato dell’insegnamento della religione cattolica fa parte della componente docente negli organi scolastici e possiede pertanto lo status degli altri insegnanti;

b.- egli partecipa alle valutazioni periodiche e finali, ma soltanto per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica (c.d. avvalentisi); non esprime un voto numerico, limitandosi a compilare una speciale nota, da consegnare assieme alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse manifestato e il profitto conseguito in detto insegnamento;

c.- nello scrutinio finale, per il solo caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale.

Tanto premesso, e ribadito che il d.p.r. n. 122/2009 non è in alcun modo idoneo a immutare la riferita disciplina pattizia, consegue che la partecipazione del docente di religione alle valutazioni collegiali degli allievi è confinata – ovviamente per gli allievi avvalentisi – nei limiti circoscritti da detta normativa; d’altro canto, i ricorrenti affermano in modo apodittico la partecipazione dei docenti in questione alla stregua degli altri insegnanti, non menzionando una qualche situazione in cui ciò si sia verificato. Del resto, e concludendo sul punto, una volta chiarito che tali docenti non esprimono un voto numerico e che, nella particolare situazione descritta dall’ultimo periodo del p. 2.7 del d.p.r. n. 751/1985, formulano solo un giudizio motivato, non vi è ragione di asserire la prospettata assimilazione, non potendosi dubitare che il docente della religione cattolica, sotto lo specifico profilo dell’attività valutativa, non è assimilabile ai docenti delle materie curriculari.

Tanto vale anche con riferimento al profilo di censura che involge l’applicazione della proposizione normativa di cui al precitato p. 2.7 dell’Intesa (fattispecie rappresentata alla lettera c.- dei punti salienti di cui sopra), nei riguardi della quale si deduce che una sua non corretta interpretazione, in ordine al “voto espresso dall’insegnante di religione cattolica”, potrebbe condurre ad un’arbitraria equiparazione dei docenti di religione agli altri docenti.

E’ da osservare in proposito che la censura si sostiene sull’inesistente presupposto che il predetto voto si sostanzi in un voto di profitto; diversamente, il voto in questione è quello che concorre alla determinazione della maggioranza dell’organo scolastico chiamato a deliberare a maggioranza nello scrutinio finale, disponendosi in proposito che, ove tale voto sia determinante, esso deve diventare un giudizio motivato.

In definitiva, coerentemente alle previsioni della normativa concordataria, il docente di religione non esprime mai un voto numerico (circostanza questa ribadita proprio dall’impugnato comma 2 del d.p.r. n. 122, che, nel prefigurare le condizioni di ammissibilità agli esami di Stato degli studenti della penultima classe del secondo ciclo di istruzione, chiarisce che “le votazioni suddette [cioè quelle assegnate dai docenti negli scrutini finali dei due anni precedenti il penultimo] non si riferiscono all’insegnamento della religione cattolica”), ma sempre e comunque un giudizio.

Quanto poi alla doglianza secondo cui le norme regolamentari impugnate non farebbero salva la previsione dell’intesa del 1985 e la modifica intervenuta nel 1990, e che rinviino senza motivo a “intese future”, può osservarsi, come già anticipato, che proprio le norme impugnate fanno contestuale riferimento sia all’art. 309 del d.lgs. n. 297/1994, che in parte recepisce l’Intesa del 1985, sia al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge n. 121/1985, e che la salvezza di “eventuali modifiche all’intesa di cui al (predetto) punto 5 del Protocollo addizionale è indubbiamente una superfetazione normativa cui non può però attribuirsi il significato adombrato in ricorso, e cioè di un elemento di voluta vaghezza temporale idoneo a favorire la possibile disapplicazione e/o diversa interpretazione dell’attuale normativa pattizia vigente.

D’altra parte, non può non osservarsi che la rappresentata necessità di inserire nel corpo del regolamento di cui al d.p.r. n. 122/2009 il testo della modifica dell’Intesa intervenuta nel 1990 involge un profilo di tecnica redazionale dei testi normativi e non può certamente assurgere a dignità di censura apprezzabile nella sede giurisdizionale.

In proposito può solo auspicarsi (nei limiti della valenza di un auspicio formulato da un giudice di legittimità) che, in una materia così sensibilmente significativa involgente la libertà religiosa e il principio di laicità dello Stato, il Ministero della Pubblica Istruzione dia mano ad una nota informativa, chiara e puntuale, sull’insegnamento della religione cattolica, diretta agli organi scolastici e alle famiglie degli studenti, sugli aspetti organizzativi e sui riflessi didattici di detto insegnamento, con un necessario riferimento ovviamente anche alle previste opzioni alternative all’insegnamento della religione cattolica.

Quanto poi all’ordine di considerazioni formulate da questo Tribunale nella richiamata sentenza n. 7076/2009 (avente ad oggetto un ricorso diretto a censurare l’O.M. 30/2008 prot. 2724 recante “Istruzioni e Modalità per lo svolgimento degli Esami di Stato”), il Collegio non ritiene di poter condividere la conclusione quivi rinvenibile, e cioè che, alla luce della normativa regolamentare apprestata in subiecta materia dall’impugnato d.p.r. n. 122/2009, si dia luogo ad una violazione del principio del pluralismo in ragione del “collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico”.

Le ragioni di tale scostamento risulteranno meglio percepibili dalle considerazioni che si svolgeranno nell’esame del terzo motivo.

2.3.- Il quale è mirato a dedurre l’illegittimità dell’art. 6, comma 3, del d.p.r. n. 122/2009, in ordine alla modalità quivi prevista di attribuzione del credito scolastico in sede di scrutinio finale nel secondo ciclo di istruzione, perché violativo degli artt. 6, 7 e 11 del d.p.r. n. 323/1998, dell’art. 309 del d.lgs. n. 297/1994, nonché viziato di illogicità e di disparità di trattamento.

Si argomenta nel modo che segue.

La precitata disposizione regolamentare testualmente prescrive: “In sede di scrutinio finale il consiglio di classe, cui partecipano tutti i docenti della classe, compresi gli insegnanti di educazione fisica, gli insegnanti tecnico-pratici nelle modalità previste dall’art. 5, commi 1- bis e 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti di sostegno, nonché gli insegnanti di religione cattolica limitatamente agli alunni che si avvalgono di quest’ultimo insegnamento, attribuisce il punteggio per il credito scolastico di cui all’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 223 e successive modificazioni.

Ove detta previsione normativa fosse interpretata in modo da intendere la “partecipazione” degli insegnanti di religione al consiglio di classe in sede di attribuzione del punteggio per il credito scolastico come partecipazione decisoria, essa sarebbe palesemente illegittima, potendo detti insegnanti partecipare al consiglio di classe solo con funzioni eventualmente consultive.

Diversamente, ove a tale docenti si attribuissero funzioni decisorie, sarebbe violata la libertà di scelta relativa all’avvalimento, perché gli studenti avrebbero interesse a vedersi attribuire crediti anche grazie alla decisione dell’insegnante di una materia ch’essi hanno scelto di frequentare e altri (legittimamente) no.

Oltretutto – si soggiunge – si determinerebbe in tal modo una disparità di trattamento fra studenti avvalentisi e no, atteso che la norma impugnata non fa alcun riferimento ai “docenti incaricati delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica”, i quali, ai sensi degli artt. 2, comma 5, e 4, comma 1, semplicemente “forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull’interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno”, trovandosi così esclusi da un procedimento decisionale che vede, invece, protagonisti anche gli insegnanti di religione.

3.1.- Il motivo si compone di due distinte doglianze, involgendo l’una l’illegittimità della funzione decisoria attribuita ai docenti di religione nel consiglio di classe chiamato ad attribuire il punteggio per il credito scolastico; l’altra, la conseguente illegittimità per il diverso trattamento riservato a detta categoria di docenti rispetto a quella dei docenti di attività alternative all’insegnamento della religione cattolica, non essendo prevista la partecipazione di questi ultimi nel consiglio di classe.

3.1.1.- – La prima delle enunciate doglianze non merita adesione.

Il nucleo dell’assunto che sta alla base del motivo dedotto è sintetizzabile nel fatto che il docente di religione, con la sua partecipazione a pieno titolo al consiglio di classe per l’attribuzione del credito scolastico, introdurrebbe un elemento discriminatorio nei riguardi degli studenti non avvalentisi.

Al fine di esaminare compiutamente la censura dedotta, ravvisa il Collegio l’opportunità di illustrare il meccanismo del credito scolastico, disciplinato dall’art. 11 del d. p.r. n. 323 del 23 luglio 1998, n. 223 e successive modificazioni (contenente il “Regolamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, a norma dell’articolo 1 della L. 10 dicembre 1997, n. 425”).

Della citata disposizione regolamentare vanno richiamati i primi due commi:

Il consiglio di classe attribuisce ad ogni alunno che ne sia meritevole, nello scrutinio finale di ciascuno degli ultimi tre anni della scuola secondaria superiore, un apposito punteggio per l’andamento degli studi, denominato credito scolastico. La somma dei punteggi ottenuti nei tre anni costituisce il credito scolastico che, ai sensi dell’articolo 4, comma 6, si aggiunge ai punteggi riportati dai candidati nelle prove d’esame scritte e orali. Per gli istituti professionali e gli istituti d’arte si provvede all’attribuzione del credito scolastico, per il primo dei tre anni, in sede, rispettivamente, di esame di qualifica e di licenza.

Il punteggio di cui al comma 1 esprime la valutazione del grado di preparazione complessiva raggiunta da ciascun alunno nell’anno scolastico in corso, con riguardo al profitto e tenendo in considerazione anche l’assiduità della frequenza scolastica, ivi compresa, per gli istituti ove è previsto, la frequenza dell’area di progetto, l’interesse e l’impegno nella partecipazione al dialogo educativo, alle attività complementari ed integrative ed eventuali crediti formativi. Esso è attribuito sulla base dell’allegata tabella A e della nota in calce alla medesima”.

L’ora citata tabella A, in relazione a un valore indicato come M, che rappresenta la media dei voti conseguiti nello scrutinio finale di ciascun anno scolastico, fa corrispondere un punteggio che costituisce il credito scolastico. Tale punteggio non è fisso, ma oscilla tra il minimo e il massimo di una banda di oscillazione che varia di un punto. Esemplificando: chi al terzo anno ha la media di 6 può conseguire un credito scolastico tra 4 e 5 punti; se la media è compresa tra 6 e 7 il credito può variare da 5 a 6, e così di seguito.

La banda di oscillazione, e la conseguente possibilità per lo studente di cumulare un punto aggiuntivo, è influenzata da alcune variabili individuate (cfr. NOTA alla precitata Tabella A allegata al d.p.r n. 323 cit.) oltre che dalla media dei voti, anche dall’assiduità della frequenza scolastica, dall’interesse e dall’impegno nella partecipazione al dialogo educativo e alle attività complementari ed integrative, e da eventuali crediti formativi.

Quanto precede porta a formulare alcune significative considerazioni con riferimento al tema che ne occupa.

Il credito scolastico tiene conto della media dei voti in ciascun anno scolastico e degli altri elementi valutativi enumerati alla NOTA della Tabella A.

Per quanto attiene alla presenza dell’insegnante di religione cattolica nello scrutinio finale dove è attribuito il punteggio per il credito scolastico, è ovvio che la valutazione di detto insegnante non può discendere da un voto di profitto, che egli non esprime, ma dagli ulteriori elementi presi in considerazione (assiduità della frequenza scolastica, interesse e impegno nella partecipazione al dialogo educativo); elementi che, a ben vedere, corrispondono in parte a quelli che figurano nella “speciale nota”, prevista dall’art. 309 t.u. istruzione, da consegnare assieme alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse manifestato e il profitto conseguito dallo studente nell’insegnamento in questione.

Tanto premesso, non può aderirsi alla prospettazione contenuta in ricorso secondo cui la presenza del docente di religione nello scrutinio finale, in quanto incidente sul credito scolastico, sia idonea a determinare una situazione di discriminazione nei riguardi degli studenti che decidono di non avvalersi di detto insegnamento, e in particolare di quelli che decidono di non partecipare ad attività alternative e di assentarsi dalla scuola.

Invero, atteso che, in forza dell’accordo con la Santa Sede, la Repubblica italiana si è obbligata ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica, e che, in omaggio al principio di laicità dello Stato, detto insegnamento è facoltativo, con la conseguenza che “solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo” (Corte cost., sent. n. 203 del 12 aprile 1989), non è irragionevole che il titolare di quell’insegnamento, divenuto obbligatorio in seguito ad un’opzione liberamente espressa, partecipi alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico.

In buona sostanza, e come condivisibilmente sul punto ritenuto di recente dal giudice d’appello, “se si parte dal presupposto (non seriamente dubitabile alla luce…delle sentenze costituzionali [intervenute sulla materia]) secondo cui l’insegnamento della religione (o di altro corso alternativo) diviene obbligatorio dopo che è stata effettuata la scelta, allora non si vede la ragione per la quale la valutazione dell’interesse e del profitto con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento della religione non debba essere valutato” (CdS, VI, 7 maggio 2010, n. 2749).

In altre parole, una volta che per scelta concordataria, gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti (partecipando alle valutazioni periodiche e finali per gli alunni che si sono avvalsi di detto insegnamento), non si vede perché tali insegnanti, cui è attribuito lo status di docenti, non possano esprimere una valutazione su quegli elementi, immanenti ad ogni funzione docente, quali assiduità della frequenza scolastica, interesse e impegno nella partecipazione al dialogo educativo, dalla norma ritenuti incidenti sul credito scolastico.

E’ diffusa l’opinione che lo statuto didattico dei docenti di religione soffra di alcune ambiguità derivanti dalla formulazione della normativa pattizia di riferimento (il precitato punto 2.7 dell’art. 2 del d.p.r. n. 751/1985, trasfuso nell’art. 297 t.u. istruzione) che configura i docenti di religione cattolica come componenti del consiglio di classe. Tanto per la ragione, alla luce dei distinti profili sopra esaminati, che tali docenti, pur non esprimendo un voto numerico di profitto nella disciplina che insegnano, possono però risultare decisivi in sede di scrutinio finale, potendo anche incidere sull’assegnazione del credito scolastico.

Il Collegio non condivide un siffatto punto di vista ove si ponga mente che le intese concordatarie sono la risultante di concessioni reciproche tra i soggetti contraenti che danno luogo ad una disciplina dagli indubbi profili di singolarità. Tale è il caso dei docenti della religione cattolica che presentano uno status particolare, non assimilabile a quello del docente di materie curriculari. Ancorché essi procedano alla valutazione dell’insegnamento della religione cattolica senza attribuzione di voto numerico – non essendo tale insegnamento considerabile alla stregua di un’ordinaria disciplina soggetta, quanto al profitto, a valutazione di merito – essi non lasciano comunque di essere docenti al pari di quelli che compongono il consiglio di classe.

Consegue, come si è sopra argomentato, e per quel che più specificamente attiene alla previsione di un loro ruolo efficiente nella determinazione del credito scolastico, che tale previsione risponde ad un’evidente esigenza di ragionevolezza, non essendo ipotizzabile che a un docente sia impedito di poter valutare il comportamento degli allievi quanto meno sotto il profilo dell’interesse, dell’impegno e dell’assiduità con cui essi seguono un insegnamento da loro scelto.

E’ sulla base delle considerazioni che precedono che non si ritiene di poter aderire agli assunti svolti dalla Sezione-quater nella decisione n. 7076/2009, ampiamente richiamata in ricorso, che, sul tema del credito scolastico quale configurato dall’art. 3, comma 6, della legge n. 425/1997, assumendo “una radicale svalutazione del valore complessivo delle prove scritte ed orali rispetto al valore del voto finale”, ha ritenuto giustificabili “le preoccupazioni di chi non abbraccia tale culto, circa la rilevanza e l’incidenza dei crediti in questione sull’esito dell’esame”.

Intanto, va precisato – altrimenti divenendo fuorviante il riferimento all’incidenza del giudizio valutativo del docente di religione cattolica sul credito scolastico – che il punteggio che concorre a formare il credito trova la sua consistente (e preponderante) base nella media dei voti di profitto riportati dallo studente nei distinti anni scolastici, rispetto alla quale media il docente di religione cattolica è del tutto estraneo non esprimendo egli, come è pacifico, alcun voto. Il docente di religione, nella sua qualità di componente il consiglio di classe, è invece chiamato, al pari degli altri docenti, a fornire un giudizio sugli ulteriori parametri valutativi (assiduità della frequenza scolastica, interesse e impegno nella partecipazione al dialogo educativo) cui fa riferimento la precitata tabella A in ordine ai criteri determinativi del credito scolastico. Consegue che il giudizio del docente di religione si risolve in uno dei molteplici elementi da prendere in considerazione, nell’ambito di un giudizio complessivo della carriera scolastica e sul comportamento dello studente, al fine della possibile attribuzione di un punto aggiuntivo rispetto alla media dei voti conseguiti nello scrutinio finale.

Non è quindi rispondente una configurazione del credito scolastico sul quale può incidere in maniera significativa il giudizio del docente di religione cattolica; a parte l’obiettiva circostanza – non tenuta in considerazione – che, come ogni giudizio, esso non conduce necessariamente ad un esito di segno positivo.

Quanto poi al profilo di censura che deduce l’illegittimità del testo regolamentare in quanto la partecipazione agli scrutini degli insegnanti di religione sarebbe discriminatorio rispetto agli studenti che decidono di non seguire alcuna attività alternativa, non presentandosi a scuola o da questa allontanandosi, valgano le conclusioni contenute nella precitata sentenza del Consiglio di Stato n. 2749/2010, che ha annullato la decisione n. 7076/2009, le cui considerazioni confutative, qui di seguito enunciate, trovano l’apprezzamento del Collegio.

Ritiene il Giudice d’appello che la partecipazione agli scrutini degli insegnanti di religione cattolica non interferisca con lo “stato di non obbligo” degli studenti non avvalentisi, non condizionandone né la libertà di scelta di non seguire alcuna attività alternativa, né discriminandoli in sede di giudizio scolastico.

A tale approdo interpretativo l’autorevole Consesso perviene valorizzando significativi contenuti della giurisprudenza della Corte costituzionale che, con le sentenze nn. 230/1989 e 13/1991, si è occupata dell’insegnamento della religione cattolica.

Questi gli assunti argomentativi svolti per escludere che rispetto agli studenti non avvalentisi possa esistere condizionamento o discriminazione:

a.- non esiste condizionamento, perché, come ha ritenuto la Corte costituzionale con la storica sentenza n. 203/1989, in tema di esame della questione se il minor impegno dei non avvalentisi possa condizionare la scelta degli avvalentisi, “si può certamente affermare che le famiglie e gli studenti che scelgono di non avvalersi dell’ora di religione e di non seguire alcuna attività formativa hanno motivazioni di tale serietà da non essere scalfite dal fatto che l’insegnante di religione (o l’insegnante di corsi alternativi) partecipi alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico. Una scelta legata a valori così profondi, come quelli che vengono qui in esame, non può essere condizionata da valutazioni di stampo più marcatamente utilitaristico, legate al fatto che optando per l’insegnamento della religione si potrebbe avere un vantaggio (peraltro eventuale e di minima portata) in termini di valutazione del rendimento scolastico)”;

b.- non vi è peraltro alcuna forma di discriminazione a carico dei non avvalentisi che non optano per insegnamenti alternativi, in quanto questi hanno le stesse possibilità di raggiungere il massimo punteggio in sede di attribuzione del credito scolastico rispetto agli studenti che seguono l’ora di religione o gli insegnamenti alternativi;

c.- è infine da escludere che una valutazione così importante e profonda di seguire o meno l’insegnamento della religione cattolica, che scaturisce da un esercizio di coscienza qual è quello della scelta di libertà di religione o dalla religione, “possa dipendere dalla mera possibilità di avere un vantaggio in sede di attribuzione del credito scolastico”. Con l’importante annotazione, quanto al supposto “vantaggio”, che esso “è del tutto eventuale, sia perché, lo studente non avvalentesi che sia comunque meritevole in tutte le altre materie può raggiungere il massimo punteggio in sede di credito scolastico, sia perché il giudizio dell’insegnante di religione (o del corso complementare) potrebbe essere anche negativo (e quindi incidere negativamente sul credito scolastico)”.

In definitiva, e per concludere sul punto in contestazione, chi decide di seguire la religione (o l’insegnamento alternativo) non è avvantaggiato, ma sarà giudicato sulla base dei parametri valutativi previsti per l’attribuzione del credito scolastico, nei minimali limiti – ripetesi – della banda di oscillazione. Chi diversamente ritiene liberamente di non avvalersi né dell’insegnamento della religione, né dell’insegnamento alternativo non è discriminato: “semplicemente non viene valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell’ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore” (sent. CdS, n. 2749 cit.).

3.1. 2.- A diversa conclusione deve pervenirsi per la seconda delle doglianze svolte.

Invero, non può non aderirsi all’affermato punto di vista che l’omessa previsione degli insegnanti di materie alternative all’insegnamento di religione nel consiglio di classe che decide in ordine all’attribuzione del credito scolastico introduca, essa sì, un’evidente situazione discriminatoria nei riguardi degli studenti non avvalentesi che optino per l’insegnamento alternativo.

In proposito, si premette che con riferimento al tema dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali sono ipotizzabili quattro distinte situazioni: 1.- alunni che seguono l’insegnamento della religione cattolica; 2.- alunni che seguono attività alternativa; 3.- alunni che optano per lo studio individuale; 4.- alunni che scelgono di assentarsi dalla scuola (arg.: art. 8 O.M. n. 44 in data 5 maggio 2010 avente ad oggetto “Istruzioni e modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado nelle scuole statali e non statali. Anno scolastico 2009/2010”).

Orbene, con riferimento alle fattispecie di cui ai pp. 1 e 2 non trova giustificazione il fatto, come peraltro statuito dall’art. 8 della precitata O.M. n. 44/2010, mutuando la disciplina contenuta negli impugnati artt. 4, comma 1, e 6, comma 3, che i docenti di religione cattolica “partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione, nell’ambito della banda di oscillazione, del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento, esprimendosi in relazione all’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento e il profitto che ne ha tratto”, mentre i docenti incaricati delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica “forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull’interesse manifestato e sul profitto raggiunto da ciascun alunno”.

Invero, se, come affermato dalla Corte costituzionale, richiamando la terza proposizione dell’art. 9, numero 2, dell’Accordo ratificato con le legge n. 121/1985, il principio di laicità dello Stato “è in ogni sua implicazione rispettato grazie alla convenuta garanzia che la scelta non dia luogo a forma alcuna di discriminazione” (cit. sent. n. 203(1989), è evidente che il diverso trattamento, riservato nel procedimento decisionale alle due distinte categorie dei docenti in considerazione, introduca un vulnus alla posizione degli studenti non avvalentisi che decidano di seguire attività di insegnamenti alternativo. Non può di certo dubitarsi della disparità di trattamento introdotta dalla fonte regolamentare impugnata, atteso che un conto è sedere “a pieno titolo” nel consiglio di classe e concorrere alle sue deliberazioni in ordine all’attribuzione del punteggio per il credito scolastico, un conto è fornire preventivamente al consiglio di classe “elementi conoscitivi” sull’interesse e il profitto dimostrati da ciascuno studente; insomma, un conto è presenziare, e porsi in posizione dialettica nell’ambito dell’organo consiliare, un conto è rassegnare dei “meri elementi conoscitivi” che dovranno essere apprezzati “dai docenti della classe”.

Non può infine non osservarsi, ad ulteriore riprova della marginalizzazione dei docenti di attività alternative rispetto ai docenti di religione cattolica, che la disciplina introdotta in parte qua dall’impugnato d.p.r. n. 122/2009 (artt. 4, comma 1, e 6, comma 3) determina un irragionevole trattamento deteriore dei docenti di attività alternative rispetto alla previgente disciplina dettata con l’O.M. n. 44 in data 8 aprile 2009, concernente le modalità di svolgimento degli esami di Stato dell’a.s. 2008/09. L’art. 8, comma 13, di detta ordinanza così infatti statuiva”: “I docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime”.

3.4.- Nei limiti di cui in motivazione, e quindi solo in parte, il ricorso merita accoglimento, dovendosi dichiarare l’illegittimità degli artt. 4, comma 1, e 6, comma 3, del d.p.r. n. 122/2009, nella parte in cui è stata apprestata, in sede di credito scolastico, una disciplina discriminatoria per i docenti delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica.

Al di fuori di tale specifico ed unico aspetto, va invece escluso, alla stregua delle svolte considerazioni, che la normativa regolamentare impugnata sia afflitta dagli ulteriori dedotti profili di discriminazione in danno degli studenti non avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica.

Tali considerazioni conclusive portano a disattendere la questione di legittimità costituzionale, posta in via eventuale con il terzo motivo di ricorso, e sollevata nell’asserito contrasto dell’impugnata fonte regolamentare con gli artt. 2, 3, 7, 8 e 21 della Costituzione per irragionevolezza e disparità di trattamento, nonché per la compressione del principio di parità fra le confessioni religiose, della libertà religiosa e del diritto di manifestazione del pensiero.

In proposito va puntualizzato che, ancorché la rubrica del motivo rechi l’intestazione “Illegittimità derivata per l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 l. n. 121 del 1985; art. unico d.P.R. n. 202 del 1990; 309 d.lgs. n. 297 del 1994; 6, 7 e 11 d.P.R. n. 232 del 1998 ove interpretati nel senso del provvedimento impugnato”, la questione di legittimità costituzionale viene sostanzialmente svolta nei riguardi delle norme già impugnate del testo regolamentare di cui al d.p.r. n. 122/2009.

Tanto premesso deve però osservarsi che, nel caso all’esame, si verte in tema di disposizioni normative di un regolamento, ancorché delegato in quanto emesso ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400/1988; donde l’inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale.

Tanto alla luce del costante orientamento del Giudice delle leggi, secondo cui “nell’attuale configurazione monistica di forma di Governo con potere legislativo riservato al Parlamento, il controllo della Corte deve essere limitato alle sole fonti primarie” (sent. 24 gennaio 1989, n. 23).

Invero, il regolamento delegato, nel quale l’autorizzazione delle camere al governo non trasferisce a questo la funzione legislativa ma ampia soltanto la facoltà regolamentare del medesimo, conserva pur sempre natura di atto amministrativo, impugnabile solo davanti al giudice amministrativo (tra le molte: Tar Latina, 17 aprile 2000, n. 189); la conferma di quanto precede è del resto offerta dagli stessi ricorrenti che, in presenza di un atto formalmente amministrativo, hanno ritualmente avviato l’iniziativa giurisdizionale davanti al giudice amministrativo.

4.- Il ricorso va in parte accolto, nei limiti e ai sensi di cui in motivazione.

La complessità e la novità delle questioni spingono a compensare tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di causa.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

a.- accoglie il ricorso limitatamente all’impugnativa degli artt. 4, comma 2, e 6, comma 3, per i motivi enunciati in motivazione e, per l’effetto, ne dispone l’annullamento;

b.- lo respinge per la rimanente parte;

c.- compensa tra le parti costituite le spese di lite;

d.- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Evasio Speranza, Presidente

Paolo Restaino, Consigliere

Massimo Luciano Calveri, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)