Archivi categoria: Stampa

Concorso nazionale sul ruolo delle Forze Armate e del Militare italiano e sugli articoli 11 e 52 della Costituzione

Durante le celebrazioni della Festa della Repubblica

Nell’ambito delle celebrazioni per la Festa della Repubblica, si è svolta oggi a Roma la premiazione delle scuole vincitrici del primo concorso nazionale sul ruolo delle Forze Armate e del Militare italiano e sugli articoli 11 e 52 della Costituzione. L’iniziativa è stata lanciata durante questo anno scolastico per promuovere i principi fondanti della Repubblica, nella prospettiva di rafforzare il senso civico la consapevolezza storica e la conoscenza del ruolo delle Forze Armate nel nostro Paese.

La premiazione delle scuole è avvenuta nel corso dei festeggiamenti del 2 giugno. Alla manifestazione erano presenti le delegazioni degli Istituti scolastici vincitori che hanno consegnato i loro elaborati al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla presenza del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.

Di seguito le scuole vincitrici:

1° classificato, categoria elaborato scritto,

Liceo classico linguistico “Giacomo Leopardi” di Macerata, Amanda Procaccini classe 5^C

1° classificato, categoria elaborato grafico,

Istituto di istruzione secondaria “Del Prete – Falcone” di Sava (TA), classe 2^A Chimica, Materiali e Biotecnologie.

1° classificato, categoria elaborato multimediale, Istituto tecnico tecnologico statale “Leonardo Da Vinci” di Viterbo, classe 1^A Elettronica ed elettrotecnica.

Studenti dei professionali indietro di 3 anni rispetto agli altri, i dati di Fondazione Agnelli. “La singola scuola fa la differenza”

da La Tecnica della Scuola

Di Redazione

Quali sono le differenze tra gli studenti del Sud e quelli del Nord? Solo parlando di una disciplina, la matematica, tra loro c’è un divario di apprendimento di oltre due anni di scuola. A dirlo uno studio, presentato oggi, 29 maggio, alla Camera dei Deputati, dal titolo “Divari scolastici in Italia”, di Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca.

I dati

Come riporta La Repubblica, l’indagine ha confermato la forte relazione tra condizioni di contesto socioeconomico e culturale delle regioni e i relativi risultati di apprendimento. Non c’entra quindi semplicemente la regione geografica di provenienza. Ci sono casi di disallineamento. Ciò dipende da differenze fra le scuole e all’interno delle scuole.

Ci sono molti elementi che concorrono: ad esempio l’origine, la formazione sociale e culturale, anche il genere: “Prendendo come standard un ragazzo maschio italiano, le ragazze fanno più fatica in matematica ma spiccano in italiano; gli stranieri di prima e seconda generazione soffrono di più in entrambe le materie”.

Molto significativo è poi, secondo lo studio, l’impatto degli indirizzi di studio. Ad esempio, a parità di altre condizioni, frequentare il liceo classico o linguistico ‘spiega’ uno svantaggio rispetto al liceo scientifico, misurabile in 14 punti Invalsi in matematica in meno.

Come fa notare Il Corriere della Sera, al termine del secondo anno di scuola superiore un ragazzino di Taranto è talmente indietro in matematica che è come se fosse andato a scuola due anni in meno di un suo coetaneo di Treviso.

E le differenze non finiscono qui: perché anche nel Nordest dei miracoli ci sono enormi divari fra un indirizzo e l’altro, tanto che un alunno di un istituto professionale a quindici anni è indietro addirittura di più di tre anni rispetto alla media dei risultati dei suoi coetanei.

Da un lato ci sono regioni virtuose come la Puglia che ottengono risultati molto migliori delle altre regioni del Sud e altre come il Lazio che invece va decisamente peggio non solo delle altre regioni del Centro ma anche dell’Abruzzo e del Molise (dati Invalsi e Ocse-Pisa).

Ma soprattutto a pesare nella differenza fra scuole sono i singoli indirizzi: i primi ritardi dei ragazzi (in italiano) e delle ragazze (in matematica) si notano già alle elementari.

I commenti

“Un impatto eccessivo – ha detto Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli – per limitare il quale sarebbe bene rafforzare nella scuola media l’orientamento alla scelta di studio successiva. In prospettiva, serve forse ripensare la struttura didattica della scuola superiore, per dare a tutti un più robusto e comune livello di competenze di base, indipendentemente dall’indirizzo scelto”.

“La ricerca mostra grandi divari, ma anche che le singole scuole, nella loro autonoma capacità di organizzazione, possono fare la differenza – ha commentato Gianfelice Rocca, presidente di Fondazione Rocca –. Per la Scuola italiana, il tema non è aumentare il numero di insegnanti o di risorse, tra i più alti d’Europa, ma incidere sull’organizzazione”.

L’indagine ha analizzato cinque scuole (tre professionali, un tecnico e un liceo di Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Puglia) con esiti nettamente superiori a quanto ci si aspetterebbe in base al loro contesto territoriale. Le due Fondazioni hanno dedotto che alcuni benefici possono derivare da un modello organizzativo ispirato a logiche cooperative fra dirigenti e docenti e a un’efficace comunicazione con le famiglie; da una gestione dinamica e proattiva delle risorse finanziarie e materiali, capace di orientare i progetti finanziati dall’esterno; da una gestione collegiale della didattica e dei curricoli; da attività extracurricolari ricche e dinamiche, in rete con gli enti locali, con le imprese e il terzo settore, orientate alle competenze di base e al supporto degli studenti più svantaggiati.


Insegnante come “modello” educativo: sta scritto nel nuove Indicazioni nazionali, ma la Cisl contesta l’idea

da La Tecnica della Scuola

Di Reginaldo Palermo

Non da oggi nel sistema scolastico parla di ridefinizione dei profili professionali del personale della scuola.

Un primo tentativo di aggiornamento è stato avviato con il CCNL 2019/21, quello attualmente in vigore, che ha previsto una “correzione” dei profili del personale ATA.
Con un decreto ministeriale del dicembre 2024 è stato istituito un Gruppo di lavoro per la “Definizione dei framework delle competenze professionali del personale scolastico”.
Ne parla anche la Cisl Scuola, nella sua ultima newsletter per i dirigenti scolastici, lamentando però il fatto che di queste proposte si sia temporaneamente persa traccia.

Nel frattempo – sottolinea il sindacato guidato da Ivana Barbacci – il dibattito si è arricchito di un elemento controverso: nella bozza delle nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo è comparsa una riflessione sul ruolo del docente, descritto non solo come professionista dell’insegnamento ma anche come “modello”, punto di riferimento capace di stimolare il desiderio di apprendere dell’alunno. Secondo il testo – prosegue Cisl Scuola – l’allievo non sceglie di desiderare di imparare, ma sceglie chi riesce a ispirarlo in tale direzione — il maestro come esempio, guida e motore del percorso formativo.

Questa impostazione, pur suggestiva, solleva interrogativi rilevanti. Non trova infatti riscontro nello stato giuridico o nei contratti attualmente in vigore, introducendo un’idea di professionalità non formalmente regolata. Inoltre, l’adozione del concetto di “modello” nel contesto educativo rischia di promuovere rappresentazioni idealizzate, talvolta rigide o ideologiche, del ruolo del docente.
Secondo il sindacato, un maestro-modello può facilmente diventare un riferimento totalizzante, potenzialmente in contrasto con altre figure educative – genitori, altri insegnanti, contesti culturali – generando ambiguità o tensioni.
Il rischio è quello di sovraccaricare la figura del docente di un compito simbolico che eccede la sua funzione professionale, avvicinandolo a una figura carismatica e difficilmente replicabile.

Resta fermo il principio che una ridefinizione dei profili professionali è necessaria, ma essa deve essere frutto di una riflessione sistematica, basata su analisi rigorose, confronto tra esperti e coerenza normativa. Inserire elementi nuovi attraverso documenti programmatici, senza un quadro di riferimento chiaro e condiviso, rischia di alimentare confusione piuttosto che innovazione.

“A parte le perplessità sulla legittimità e opportunità di operare per questa via sulla definizione di aspetti di professionalità docente – conclude Cisl Scuola – desta una certa inquietudine il richiamo all’idea di un insegnante che sia anche modello, concetto che richiama l’idea di esclusività (difficilmente conciliabile con aspetti di formazione individuale dell’allievo) e conformità, più che di generatività”


Istat 2025: in Italia si investe poco e male in istruzione e cultura. Un rischio per la democrazia?

da La Tecnica della Scuola

Di Pasquale Almirante

Quando il Rapporto Istat 2025 descrive lo stato precario  dell’economica relativamente al  lavoro, occupazione, salari, prezzi, produttività, fa pure sapere che:

“L’incidenza della povertà assoluta diminuisce sensibilmente al crescere del livello di istruzione della persona. (…). La povertà colpisce il 13 per cento delle famiglie con bassa istruzione, ma scende al 4,6 per cento tra quelle con almeno un diploma”;

“la dispersione scolastica resta elevata (9,8 per cento) e colpisce in modo più marcato chi proviene da famiglie con basso livello di istruzione”;

“le competenze digitali sono fortemente associate sia all’età sia al livello di istruzione”;

“nel 2021, ultimo anno con informazioni disponibili per livello di istruzione, in Italia si osserva un forte gradiente per titolo di studio nella mortalità sia prevenibile sia trattabile, con tassi più alti per le persone con livello di istruzione più basso”.

In estrema sintesi, si legge su LaVoce.info, il grado di istruzione e cultura è un discrimine ineludibile per la qualità della vita, a cominciare da salute e reddito, e dunque  con cultura e istruzione c’è più diffuso benessere economico, si esercitano meglio i diritti di cittadinanza nell’ecosistema digitale e si vive più a lungo e in modo più dignitoso.

Semplice a questo punto trarre le legittime conclusioni: investire in istruzione e cultura dovrebbe essere al centro della politica governativa e invece si  continua a investire poco e male su entrambi i fronti.

Sulla cultura, come teatro, musica, libri, giornali e altro, l’Italia, secondo Eurostat 2022,  occupa gli ultimi posti nella Ue, mentre, per esempio, in Francia si spende più del doppio, in Germania quasi il triplo.

Relativamente a tutto il sistema scolastico, oltre a non sfruttare pienamente il PNRR, scontiamo un ritardo consistente sia in termini di capacità di spesa, sia sotto il profilo della sua efficace ed equilibrata distribuzione per obiettivi e per territori.

Ma siamo anche il paese, scrive LaVoce.info,  in cui oltre la metà della popolazione adulta è priva di competenze digitali di base.

E siamo anche il paese a consumi culturali zero per larghe fasce di popolazione:

sei cittadini adulti su dieci non leggono un libro; otto su dieci nell’anno non vanno mai a teatro o a un concerto; la musica classica è ignorata da oltre il 90 per cento della popolazione.

Le soluzioni? Tante e di tipo strutturale, ma, viene sottolineato, si preferisce investire oltre 13 miliardi di euro per il Ponte sullo Stretto e a moltiplicare le proprie spese militari.

Il 4+2 cresce, ma per ora non sfonda. Basterà alle imprese?

da  Tuttoscuola

L’impegno del ministro Valditara a sostegno del modello 4+2, una riforma simbolo del suo mandato, prosegue con ulteriori interventi. Dopo aver accolto con soddisfazione l’esito delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico 2025/26, che hanno visto i corsi autorizzati passare da 225 a 628 e gli istituti coinvolti da 180 a 396, il ministro ha firmato lo scorso 22 maggio un decreto che stanzia altri 151 milioni, nell’ambito del PNRR, finalizzati a potenziare i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) volti a promuovere esperienze all’estero degli istituti tecnici e professionali e degli Istituti che hanno aderito al 4+2.

L’avviso pubblico per l’adesione delle scuole interessate – un passaggio necessario per attivare l’iniziativa – sarà pubblicato nei prossimi giorni, sul sito del MIM, nell’apposita sezione dedicata al PNRR (https://pnrr.istruzione.it/). I fondi stanziati con questo provvedimento vanno ricondotti al “Piano Scuola 4.0” finanziato dal PNRR, che ha previsto la cospicua somma complessiva di 2,1 miliardi di euro per la creazione di 100.000 classi innovative e laboratori per le professioni digitali del futuro in particolare per la creazione di spazi fisici e digitali di apprendimento innovativi, arredi e attrezzature, con una quota parte destinata al supporto dei PCTO.

Continua l’investimento nella scuola per fornire agli studenti stesse opportunità di successo formativo e di crescita”, ha detto Valditara, “Investire nell’orientamento e nelle esperienze all’estero è un segnale importante che pone al centro lo studente, valorizza e favorisce scelte consapevoli per il percorso di studi e di lavoro”.

Va tenuto presente, peraltro, che il totale degli studenti coinvolti nel 4+2 è ancora modesto, perché parliamo di poco più di 8.000 iscritti su un totale di quasi 250.000 complessivamente iscritti agli istituti tecnici e professionali, i cui corsi quinquennali necessiterebbero a loro volta di un forte rilancio, come sottolineato su Tuttoscuola da un esperto di istruzione tecnica come l’ing. Valerio Ricciardelli. Ma per il ministro si tratta comunque ormai di una realtà consolidata.

Prosegue invece, sia pure con un lieve aumento, la marcia dei licei (invano contrastata nel tempo da governi di destra e sinistra), che passano dal 55,63% al 56%. Quello del Made in Italy però non decolla, con poche centinaia di iscrizioni.

Divari scolastici in Italia: oggi presentata nuova indagine alla Camera

da  Tuttoscuola

Appuntamento oggi, giovedì 29 maggio a Roma con Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca. Interverranno anche Valditara e Ascani. Moderazione a cura del direttore di Tuttoscuola, Giovanni Vinciguerra.

I divari di apprendimento degli studenti italiani sono una delle sfide più urgenti per il nostro sistema di istruzione. Iniziano a manifestarsi già nella scuola primaria, si amplificano nella secondaria di I grado e si accentuano drammaticamente nella scuola secondaria di II grado, dove le differenze non sono più solo tra studenti, ma anche tra indirizzi e territori.

Per aggiornare il quadro del problema e analizzare le possibili vie di intervento, Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca presenteranno oggi, giovedì 29 maggio, a Roma una nuova indagine nazionale, dal titolo “Divari scolastici in Italia. Un’indagine sulle differenze di apprendimento nei territori e tra le scuole”.

L’evento si terrà alle ore 16.00 presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, Camera dei Deputati (via del Seminario 76), e sarà trasmesso anche in streaming al link: https://webtv.camera.it/evento/28215

Quali fattori spiegano i divari di apprendimento?

Lo studio – che sarà illustrato da Francesca Bastagli (Fondazione Agnelli) e Giovanni Biondi (Fondazione Rocca) – approfondisce il ruolo di fattori individuali, familiari, scolastici e territoriali nel determinare i divari di apprendimento nella scuola secondaria di secondo grado, dove la disuguaglianza si innesta anche su scelte di percorso e opportunità molto diverse tra loro.

Obiettivo dell’indagine è anche capire quanto e come le scuole possano fare la differenza, migliorando i risultati e contrastando gli svantaggi iniziali degli studenti.

Un confronto aperto con scuole, istituzioni e ricerca

Dopo la presentazione dei dati, è previsto un confronto con due dirigenti scolastici – Manuela Cenciarini e Roberto Olivieri – che porteranno la voce delle scuole. Interverranno anche Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, e Gianfelice Rocca, presidente della Fondazione Rocca. I saluti istituzionali saranno affidati alla Vicepresidente della Camera Anna Ascani, mentre le conclusioni saranno tirate dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

A moderare l’incontro sarà Giovanni Vinciguerra, direttore responsabile di Tuttoscuola.

Per partecipare in presenza, giornalisti e operatori professionisti dovranno accreditarsi presso l’Ufficio Stampa della Camera all’indirizzo: sg_ufficiostampa@camera.it

Fase due di Agenda Sud

Parte il 29 maggio la Fase due di Agenda Sud, il piano di interventi fortemente voluto dal Ministro Valditara nel 2023 per contrastare la dispersione scolastica e ridurre i divari negli apprendimenti tra Nord e Sud Italia, garantendo pari opportunità d’istruzione alle studentesse e agli studenti su tutto il territorio nazionale.

“Avevamo stanziato 325 milioni di euro per le scuole delle regioni del Mezzogiorno. Ora aggiungiamo altri 35 milioni di euro, che si traducono in ulteriori 100mila euro per le scuole che presentano maggiori fragilità”, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

I nuovi fondi consentiranno di fornire sussidi didattici come libri, tablet e pc, di riqualificare spazi e ambienti scolastici, nonché di fornire le attrezzature per palestre, mense, auditorium e laboratori. Potranno, inoltre, essere avviati percorsi didattici e formativi innovativi, potenziate le competenze di base e ampliate le opportunità di crescita per le studentesse e gli studenti, anche attraverso programmi di formazione all’estero. I fondi saranno utilizzati anche per pagare i docenti e il personale Ata coinvolti nelle attività aggiuntive.

“Puntiamo a promuovere una didattica nuova per far sì che l’Italia sia veramente unita, superando i divari e garantendo a tutti, al di là delle aree territoriali e dei contesti sociali, eguali opportunità formative”, ha concluso il Ministro.

Mobilità 2025/26, pubblicati i movimenti del personale educativo: restano 557 posti vacanti e disponibili

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

Il Ministero ha pubblicato i movimenti (trasferimenti e passaggi) del personale educativo per l’a.s. 2025/26.

Per verificare l’accoglimento della propsia domanda, gli interessati devono accedere alla propria area riservata di Istanze OnLine. Nella stessa area sarà possibile anche visualizzare il movimento d’ufficio eventualmente disposto qualora siano perdenti posto.

Come riporta la CISL Scuola, i movimenti hanno riguardato 112 persone. Riportiamo anche la tabella riepilogativa elaborata dallo stesso Sindacato delle operazioni effettuate, al termine delle quali restano vacanti e disponibili 557 posti.

Le altre date della mobilità

Ricordiamo che gli esiti della mobilità per gli insegnanti di religione saranno pubblicati il 30 maggio 2025, mentre per il personale ATA la data è il 3 giugno 2025.

Divari scolastici in Italia: una nuova indagine presentata alla Camera

da Tuttoscuola

Appuntamento giovedì 29 maggio a Roma con Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca. Interverranno anche Valditara e Ascani. Moderazione a cura del direttore di Tuttoscuola, Giovanni Vinciguerra.

I divari di apprendimento degli studenti italiani sono una delle sfide più urgenti per il nostro sistema di istruzione. Iniziano a manifestarsi già nella scuola primaria, si amplificano nella secondaria di I grado e si accentuano drammaticamente nella scuola secondaria di II grado, dove le differenze non sono più solo tra studenti, ma anche tra indirizzi e territori.

Per aggiornare il quadro del problema e analizzare le possibili vie di intervento, Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca presenteranno giovedì 29 maggio a Roma una nuova indagine nazionale, dal titolo “Divari scolastici in Italia. Un’indagine sulle differenze di apprendimento nei territori e tra le scuole”.

L’evento si terrà alle ore 16.00 presso la Sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, Camera dei Deputati (via del Seminario 76), e sarà trasmesso anche in streaming al link: https://webtv.camera.it/evento/28215

Quali fattori spiegano i divari di apprendimento?

Lo studio – che sarà illustrato da Francesca Bastagli (Fondazione Agnelli) e Giovanni Biondi (Fondazione Rocca) – approfondisce il ruolo di fattori individuali, familiari, scolastici e territoriali nel determinare i divari di apprendimento nella scuola secondaria di secondo grado, dove la disuguaglianza si innesta anche su scelte di percorso e opportunità molto diverse tra loro.

Obiettivo dell’indagine è anche capire quanto e come le scuole possano fare la differenza, migliorando i risultati e contrastando gli svantaggi iniziali degli studenti.

Un confronto aperto con scuole, istituzioni e ricerca

Dopo la presentazione dei dati, è previsto un confronto con due dirigenti scolastici – Manuela Cenciarini e Roberto Olivieri – che porteranno la voce delle scuole. Interverranno anche Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, e Gianfelice Rocca, presidente della Fondazione Rocca. I saluti istituzionali saranno affidati alla Vicepresidente della Camera Anna Ascani, mentre le conclusioni saranno tirate dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

A moderare l’incontro sarà Giovanni Vinciguerra, direttore responsabile di Tuttoscuola.

Per partecipare in presenza, giornalisti e operatori professionisti dovranno accreditarsi presso l’Ufficio Stampa della Camera all’indirizzo: sg_ufficiostampa@camera.it

Sezioni pollaio nelle scuole dell’Infanzia: sono 829, pari al 2% del totale

da Tuttoscuola

Quando si parla di classi pollaio, si pensa, come è logico, alle classi della scuola secondaria di II grado, il settore che, più di ogni altro, soffre di questa criticità. Ma anche gli altri settori registrano situazioni uguali, se pur in termini quantitativamente molto più contenuti. Conseguentemente, nelle relative classi sovradimensionate la criticità incide sull’efficienza organizzativa e gestionale degli alunni da parte dei docenti, nonché sull’efficacia sia dell’insegnamento da parte dei docenti che dell’apprendimento per tutti gli alunni (dove quel tutti è riferito soprattutto agli alunni più fragili e ai più difficili che in queste condizioni critiche delle classi pollaio rischiano spesso di rimanere ai margini).

Anche la scuola dell’infanzia nell’anno scolastico 2023-24 ha registrato sezioni con numero di bambini che ha superato il normale limite massimo definito dal dpr 81/2009. Le sezioni sovradimensionate sono state complessivamente 829, pari al 2% delle 40.567 sezioni funzionanti, collocate all’interno di 428 scuole, e hanno coinvolto 25.835 bambini.

L’Emilia-Romagna è la regione con il maggior numero di sezioni-pollaio (112), seguita dal Piemonte (103) e dalla Lombardia (75). La Basilicata non ha sezioni-pollaio.

Complessivamente sono le regioni del Nord ovest a registrare il maggior numero di sezioni-pollaio (231), seguite da quelle del Sud (199) e del Centro (181).

Congedo parentale, le novità della Legge di Bilancio 2025 spiegate dall’INPS

da La Tecnica della Scuola

Di Lara La Gatta

L’articolo 1, comma 217, della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (legge di Bilancio 2025) ha modificato una parte del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, conosciuto come Testo Unico sulla maternità e paternità. In particolare, è stato cambiato l’articolo 34, comma 1, aumentando l’indennità per un mese di congedo parentale, introdotto dalla legge di Bilancio 2024, dal 60% all’80% della retribuzione. Inoltre, è stato previsto che per un ulteriore mese di congedo parentale l’indennità salga dal 30% all’80% dello stipendio.

Secondo quanto stabilito dal comma 218 dello stesso articolo, questi aumenti dell’indennità si applicano:

  • Il primo aumento (dal 60% all’80%) ai lavoratori dipendenti che finiscono il congedo di maternità o paternità dopo il 31 dicembre 2023.
  • Il secondo aumento (dal 30% all’80%) a quelli che lo concludono dopo il 31 dicembre 2024.

Per ottenere l’indennità più alta, il congedo parentale deve essere utilizzato entro il sesto anno di vita del bambino (oppure entro sei anni dall’ingresso in famiglia del minore in caso di adozione o affidamento, ma comunque non oltre il compimento dei 18 anni).

L’INPS, con Circolare numero 95 del 26 maggio 2025, ha fornito alcune indicazioni.

Le novità si applicano solo ai lavoratori dipendente

L’elevazione dell’indennità riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti, restando escluse tutte le altre categorie di lavoratori. Quindi, se un genitore è lavoratore dipendente e l’altro genitore appartiene ad altra categoria lavorativa, l’elevazione dell’indennità all’80% della retribuzione per i mesi di congedo parentale spetta solo al genitore lavoratore dipendente.

Non aumentano i mesi indennizzati

La modifica normativa non aggiunge ulteriori mesi di congedo parentale indennizzato, ma dispone l’elevazione dell’indennità per il mese introdotto dalla legge di Bilancio 2024 dal 60% all’80% della retribuzione e prevede una nuova elevazione dal 30% all’80% per un ulteriore mese rispetto alle elevazioni già previste dalla legge di Bilancio 2023 e dalla legge di Bilancio 2024.

Pertanto, l’elevazione dell’indennità di congedo parentale all’80% è prevista per un massimo di tre mesi per ogni coppia genitoriale.

Come anticipato, l’elevazione è riconosciuta a condizione che i mesi di congedo parentale siano fruiti entro i 6 anni di vita del minore.

L’elevazione dell’indennità in questione si applica anche ai genitori adottivi o affidatari/collocatari e, in tali casi, i mesi di congedo parentale devono essere fruiti entro i 6 anni dall’ingresso del minore in famiglia in caso di adozione o di affidamento e, comunque, non oltre il compimento della maggiore età.

Infine, l’elevazione dell’indennità interessa tutte le modalità di fruizione del congedo parentale: intero, frazionato a mesi, a giorni o in modalità oraria.

Ripartizione tra i genitori

I tre mesi indennizzabili all’80% interessano entrambi i genitori e possono essere fruiti in modalità ripartita tra gli stessi o soltanto da uno di essi. La fruizione “alternata” tra i genitori non preclude la possibilità di fruirne nei medesimi giorni e per lo stesso figlio, come consentito per tutti i periodi di congedo parentale.

Limite massimo di congedo per la coppia

Il limite massimo di congedo parentale per ogni coppia genitoriale è di dieci mesi (elevabili a undici mesi nel caso in cui il padre si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a tre mesi), da fruire entro i 12 anni di vita del figlio o dall’ingresso in famiglia del minore, di cui:

  • alla madre spetta un periodo indennizzabile di tre mesi non trasferibili all’altro genitore;
  • al padre spetta un periodo indennizzabile di tre mesi non trasferibili all’altro genitore;
  • a entrambi i genitori spetta anche un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di tre mesi, da fruire in modalità ripartita tra gli stessi.

Alla luce della modifica apportata, il congedo parentale di entrambi i genitori o del “genitore solo” risulta indennizzabile come di seguito indicato:

  • un mese è indennizzato all’80% della retribuzione, entro i 6 anni di vita o entro 6 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento del minore (legge di Bilancio 2023);
  • un ulteriore mese è indennizzato all’80% della retribuzione, entro i 6 anni di vita o entro 6 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento del minore (legge di Bilancio 2024 e legge di Bilancio 2025);
  • un ulteriore mese è indennizzato all’80% della retribuzione, entro i 6 anni di vita o entro 6 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento del minore (legge di Bilancio 2025);
  • sei mesi sono indennizzati al 30%, a prescindere dalla situazione reddituale;
  • i rimanenti due mesi non sono indennizzati, salvo il caso in cui il richiedente si trovi nella condizione reddituale prevista dall’articolo 34, comma 3, del T.U.

Decorrenza delle misure

L’INPS propone alcune casistiche in merito alla decorrenza delle nuove misure:

1) se il minore è nato o adottato, affidato/collocato prima del 1° gennaio 2023, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo un mese (in applicazione della legge di Bilancio 2023), se almeno un genitore lavoratore dipendente ha terminato il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2022. Se, invece, il minore è nato o adottato, affidato/collocato dal 1° gennaio 2023, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo un mese a prescindere dalla fruizione del congedo di maternità o di paternità, purché sussista un rapporto di lavoro dipendente al momento della fruizione;

2) se il minore è nato o adottato, affidato/collocato prima del 1° gennaio 2024, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo due mesi (in applicazione della legge di Bilancio 2023 e 2024), se almeno un genitore lavoratore dipendente ha terminato il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2023. Altrimenti, si ha diritto a un solo mese indennizzato all’80% con applicazione delle indicazioni di cui al precedente punto 1).

Se, invece, il minore è nato o adottato, affidato/collocato dal 1° gennaio 2024, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo due mesi a prescindere dalla fruizione del congedo di maternità o di paternità, purché sussista un rapporto di lavoro dipendente al momento della fruizione del congedo parentale;

3) se il minore è nato o adottato, affidato/collocato prima del 1° gennaio 2025, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo tre mesi (in applicazione delle leggi di Bilancio 2023, 2024 e 2025) se almeno un genitore lavoratore dipendente ha terminato il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2024. Altrimenti, si ha diritto a soli due mesi indennizzati all’80% con applicazione delle indicazioni di cui ai precedenti punti 1) e 2).

Se, invece, il minore è nato o adottato, affidato/collocato dal 1° gennaio 2025, il diritto all’80% dell’indennità di congedo parentale spetta per massimo tre mesi a prescindere dalla fruizione del congedo di maternità o di paternità, purché sussista un rapporto di lavoro dipendente al momento della fruizione.

L’elevazione dell’indennità all’80% è riconosciuta solo durante la fruizione dei tre mesi di congedo parentale che l’articolo 34 del T.U. attribuisce a ogni genitore come non trasferibili all’altro e, comunque, non oltre i 6 anni dalla nascita del minore o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento/collocamento.

Sempre in merito alle decorrenze, la circolare INPS propone poi anche alcuni esempi (paragrafo 3).

LA CIRCOLARE

Quasi 2 mila classi pollaio alle Superiori

da Tuttoscuola

La scuola secondaria di II grado è considerata il settore scolastico in cui si registra la maggior diffusione di classi pollaio e, conseguentemente, il più elevato numero di alunni coinvolti.

In termini percentuali l’incidenza è piuttosto ridotta (in media l’1,4% delle classi e il 2,1% degli studenti coinvolti), ma in valore assoluto l’incidenza è tuttora considerevole, anche se più contenuta che in passato.

Nelle classi del primo anno di corso il peso delle classi pollaio si fa sentire in valori assoluti e percentuali (927 classi su 25.326, pari al 3,7%). Conseguentemente sono 26.439 gli studenti presenti in quelle classi, pari al 4,7% dei 557.761 del primo anno di corso.

Le classi pollaio del primo anno rappresentano la metà di tutte le classi di questa tipologia critica (927 su 1.829); lo stesso peso vale per il numero di studenti inseriti in tali classi (26.439 su 53.972).

Quanti istituti sono stati interessati dalle classi pollaio?

Nel primo anno di corso sono stati gli istituti settentrionali a registrare il maggior peso di classi pollaio, ma successivamente il loro numero si è ridotto notevolmente.

Per tutti gli anni di corso le regioni del Sud hanno registrato il maggior numero di istituti con classi pollaio: 218, pari al 28% dei 778 istituti coinvolti.

A settembre 2,7 milioni di studenti non rivedranno uno o più degli attuali professori

da Tuttoscuola

Sono stati pubblicati i movimenti (trasferimenti di sede e passaggi di ruolo/di cattedra) del personale docente per il prossimo anno scolastico.

I movimenti sono complessivamente 72.177 (oltre 14mila più dell’anno scorso), di cui 40.339 a domanda, 2.709 a domanda condizionata (riguardanti docenti individuati come perdenti posto), 21.100 d’ufficio. Tra i movimenti d’ufficio vanno compresi gli accantonamenti dei posti per il personale assunto da Graduatorie provinciali Supplenze (GPS).

Sono da includere nel totale 1.509 passaggi di cattedra e 6.460 passaggi di ruolo.

I 72.177 docenti che cambieranno sede al prossimo settembre su un totale di circa 710mila docenti di ruolo (dato riferito al 2022-23, in assenza di aggiornamenti da parte del MIM) rappresentano il 10,1%. Un insegnante su 10 si trasferisce.

Per la scuola dell’infanzia i docenti in movimento sono l’8,2% del personale di ruolo del settore; i 17.842 docenti di primaria sono il 7,5%; i 17.366 professori della secondaria di I grado che cambieranno sede sono l’11.7%, mentre i 29.911 del II grado sono il 12,5%. A loro si aggiungeranno a settembre altri docenti di ruolo in assegnazione provvisoria.

In particolare, nella scuola secondaria di I e II grado, i due settori che registrano la maggior quantità di movimenti, quante saranno le classi, tra le 210mila funzionanti, che a settembre avranno confermati tutti i professori attualmente in cattedra?

È difficile quantificarlo, ma una stima attendibile porta a ritenere che non può essere inferiore ai due terzi del totale (circa 140mila classi), con la conseguenza che circa 2 milioni e 700mila studenti delle scuole di I e II grado a settembre potrebbero non vedere in cattedra uno o più professori di quest’anno (compresi quelli andati in pensione).

A tutto questo si aggiungono le rotazioni per i contratti a tempo determinato, che raramente vedono la conferma sullo stesso posto (nel sostegno il 60%).

Sembrano dati “normali”, ai quali il mondo della scuola è abituato, ma un’organizzazione così grande che vede ruotare da un anno all’altro una quantità notevole del personale docente è una cosa enorme, che non ha eguali in altri settori.

Gira il gran carosello della scuola”, potrebbe essere il titolo di un film che cercasse di raccontare il rituale incedere della scuola italiana. Non ci stupiamo troppo se poi i risultati sono quelli che sono…

Facciamo il punto sulle classi pollaio. Ne parla anche l’Invalsi

da Tuttoscuola

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in collaborazione con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI), organizzerà un seminario dedicato all’approfondimento delle trasformazioni del sistema scolastico italiano.

L’incontro è fissato per il 28 maggio 2025, dalle ore 10:30 alle 13:30, presso la Sala “A. Moro” del Ministero, a Roma, ed è possibile seguirlo in  diretta streaming, accessibile al seguente link:
https://youtube.com/live/J9YB5njWf2U?feature=share

Il seminario intende proporre un momento di analisi sugli aspetti centrali del sistema educativo, con riferimento a:

  • divari territoriali, che continuano a influenzare i livelli di apprendimento;
  • dimensione delle classi, fattore che implica riflessioni sulle condizioni dell’insegnamento;
  • dispersione scolastica, sia nella forma manifesta che in quella più difficile da rilevare;
  • utilizzo dei dati INVALSI, considerati strumenti operativi per contrastare la dispersione.

In particolare, il secondo argomento del seminario, “dimensione delle classi”, fa riferimento alle cosiddette classi pollaio, una questione critica che indubbiamente incide sull’efficienza organizzativa e gestionale della classe da parte dei docenti, nonché sull’efficacia sia dell’insegnamento da parte degli insegnanti che dell’apprendimento per tutti gli alunni (con particolare riferimento agli alunni più fragili e ai più difficili che in queste condizioni critiche delle classi pollaio rischiano spesso di rimanere ai margini).

Tuttoscuola, che sul problema delle classi pollaio ha sempre elaborato approfondimenti esclusivi (tra i quali ricordiamo il dossier “Classi pollaio, ora basta!”) intende fornire, in occasione del seminario del 28 maggio p.v., nuovi approfondimenti nelle notizie che seguono, aggiornati ai dati degli alunni dello scorso anno scolastico 2023-24, relativi a tutti i settori scolastici, dalla scuola dell’infanzia e fino alla secondaria di II grado.

Per questi nuovi approfondimenti, che ci si augura possano contribuire alla migliore conoscenza del problema, Tuttoscuola ha fatto riferimento ai normali limiti massimi di alunni per classe fissati dal DPR n. 81/2009.

Dirigenti scolastici stressati. Quali rimedi?

da Tuttoscuola

Il tema dell’eccessivo carico di lavoro per i dirigenti scolastici, oggetto qualche anno fa di un noto dossier di Tuttoscuola(“DIRIGENTI, CHE STRESS. Allarme presidi: troppi alunni e troppe incombenze”), torna al centro dell’attenzione con i risultati di una indagine sul benessere professionale dei dirigenti scolastici italiani, realizzata dal sindacato ANP in collaborazione con l’Università LUMSA e presentata lo scorso 21 maggio al ministro Valditara.

La ricerca, intitolata in modo significativo NO DStress, ha coinvolto quasi 1.800 dirigenti, e ha evidenziato, si legge nella presentazione che si legge nel sito del sindacato, “una situazione di stress professionale cronico e insostenibile che mette a rischio non solo la salute dei dirigenti ma l’efficacia dell’intero sistema scolastico”.

Sul totale degli intervistati il 73% è costituito da donne, l’età media è di 56 anni, il 60,7% dirige istituti dell’infanzia o primaria, il 32% scuole secondarie di secondo grado. Da notare che solo il 42,4% lavora nel Comune dove risiede, e anche questa lontananza dalla propria abitazione è da molti considerato come una ulteriore causa di stress.

Dai dati raccolti risulta che l’85% dei DS contattati dichiara che il proprio lavoro si accumula in modo irregolare, l’80% non riesce a completare per tempo tutte le mansioni assegnate, il 90% lavora quotidianamente a ritmi troppo elevati e addirittura il 99% lamenta di dover deve gestire simultaneamente troppi compiti che richiedono decisioni complesse.

La situazione è peggiorata rispetto a una analoga indagine condotta nel 2018 evidenziando un forte aumento del burnout, dei disturbi del sonno e di sintomatologie depressive. Sempre peggio. Come rimediare a questa situazione?

E’ interessante notare che dal sondaggio emerge la conferma di molte delle proposte avanzate nel dossier di Tuttoscuola (tra le quali introdurre un vero middle management nella scuola, sostenere l’aggiornamento professionale dei DS, modificare i parametri del dimensionamento per aumentare il numero dei DS: qui gli ultimi due Governi sono andati addirittura in senso opposto, con il “ridimensionamento” delle istituzioni scolastiche previsto nel PNRR).

Infatti la ricerca ha individuato cinque misure, indicate come prioritarie dagli stessi dirigenti, che l’ANP ha chiesto al Ministro Valditara di discutere in un apposito tavolo tecnico:

  1. Istituzione di un middle managementcon deleghe operative precise
  2. Potenziamento quantitativo e qualitativo del personale amministrativo
  3. Pianificazione centralizzata delle scadenze e semplificazione burocratica
  4. Percorsi formativi mirati alle competenze relazionali ed emotive
  5. Adeguato riconoscimento professionale ed economico della funzione dirigenziale.

I livelli di intervento necessari sono dunque numerosi e tra loro integrati. L’istanza più importante e urgente forse è la prima, anche perché si intreccia con l’annosa e irrisolta questione della carriera degli insegnanti. Governo e sindacati vogliono affrontarla (veramente)?