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Pantheon, visite guidate per non vedenti

Pantheon, dal 24 febbraio visite guidate per non vedenti
Redattore Sociale del 08/02/2024

ROMA. Da sabato 24 febbraio, al Pantheon iniziano con cadenza mensile le visite guidate speciali per persone con disabilità visive. Il progetto di inclusione culturale è curato dalla direzione del monumento in collaborazione con l’Istituto Sant’Alessio-Margherita di Savoia.

“Dopo il positivo esperimento del 3 dicembre scorso, in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità, abbiamo deciso di rendere stabile, una volta al mese, questa iniziativa pensata per i disabili visivi ed eventuali accompagnatori, ma aperta a tutte le persone interessate alla scoperta di un modo unico di percepire sensorialmente uno dei monumenti tra i più antichi e meglio conservati”, ha detto la direttrice Gabriella Musto.

Stati Generali sulle Disabilità intellettive e Disturbo del Neurosviluppo

Si svolgono giovedì 8 febbraio 2024 in Abruzzo, più precisamente a Pescara – dalle ore 9.00 alle ore 17.30, presso l’Hotel Mood in Via Tito de Caseari, 8, Marina di Città Sant’Angelo – gli “Stati Generali sulle Disabilità intellettive e Disturbo del Neurosviluppo”, iniziativa realizzata da Anffas Abruzzo in collaborazione con Anffas Nazionale che rappresenta la seconda tappa di quel percorso virtuoso che, iniziato nel dicembre 2023 in Sicilia, vedrà progressivamente coinvolte tutte le regioni d’Italia, per culminare all’organizzazione degli Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo a livello nazionale nel 2025 e supportare l’iniziativa di Fish Nazionale che a sua volta andrà a celebrare gli Stati Generali di tutte le disabilità.

Obiettivo, anche per questo appuntamento, è realizzare un focus sui punti di forza e di criticità presenti nell’attuale sistema dei servizi e sull’esigibilità dei diritti nella Regione Abruzzo, con espresso riferimento alla condizione delle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo e dei loro familiari e corposo in tal senso è il programma che vede anche l’intervento del Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli.

Dopo l’apertura dei lavori con Maria Pia Di Sabatino, presidente Anffas Regione Abruzzo,  e Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas, ed i saluti istituzionali – con Marco Marsilio, Presidente Regione Abruzzo, Carlo Masci, Sindaco di Pescara, Mons. Tommaso Valentinetti, Vescovo di Pescara, Vincenzo Falabella, Presidente FISH, Nazaro Pagano, Presidente FAND* – infatti, si svolgeranno le diverse sessioni previste, iniziando con “I diritti delle persone con disabilita intellettive e disturbi del neurosviluppo e dei loro familiari in Abruzzo. Quadro Generale” (con l’avv.Valentina Di Bonaventura, Consulente Anffas Regione Abruzzo, l’Avv. Alessia Maria Gatto e l’Avv. Corinne Ceraolo Spurio, entrambe componenti del Centro Studi Giuridici e Sociali di Anffas Nazionale), proseguendo con “L’impatto della normativa sulla programmazione sanitaria e sociale della Regione Abruzzo” (con Nicoletta Verì, Assessore Regionale Salute e Pari Opportunità, e Pietro Quaresimale, Assessore Regionale Politiche Sociali), e con la sessione dedicata al tema “Nuovo PEI e quadro generale sull’inclusione scolastica nella Regione Abruzzo” (con Massimiliano Nardocci, Direttore Generale Ufficio Scolastico Regionale per l’Abruzzo). I lavori della mattina vedranno anche la consegna del documento realizzato dagli Autorappresentanti delle strutture Anffas del territorio abruzzese – che raccoglie le opinioni, le idee e le richieste degli Autorappresentanti proprio in merito all’esigibilità dei loro diritti nei vari ambiti della società – ai rappresentanti della Regione Abruzzo e al Ministro Alessandra Locatelli e proprio l’intervento del Ministro Locatelli chiuderà la prima parte della giornata dei lavori.

Il pomeriggio riprenderà con la tavola rotonda “Punti di forza e punti di debolezza del sistema di presa in carico delle persone con disabilita intellettive e disturbi del neurosviluppo in Abruzzo” (a cui prenderanno parte Raimondo Pascale e Tobia Monaco, Dipartimento Lavoro e Sociale Regione Abruzzo, Gianguido D’Alberto, presidente Anci Abruzzo, Daniela Arcieri Mastromattei, UVM ASL Pescara, Giuliano Bocchia, dirigente tecnico USR Abruzzo – referente per l’Inclusione e Scuola in Ospedale, Gabriele Perfetti, portavoce Forum Terzo Settore Abruzzo, Marco Stornelli, commissario FAND Abruzzo, Casto Di Bonaventura, presidente Centro Servizi Volontariato Abruzzo, Germana Sorge, presidente Federautismo Abruzzo, Vittorio Morganti, coord. Aism Abruzzo, Mariangela Cilli, segreterio Ass.ne Carrozzine Determinate, Tiziana Arista, presidente Cosma Odv, Maria Cristina Falone, UIL Abruzzo, Carmine Ranieri, Segretario Generale CGIL Abruzzo Molise, Giovanni Notaro,  Segretario Generale Cisl Abruzzo, a cui seguiranno gli interventi della presidente di Anffas Regione Abruzzo, Maria Pia Di Sabatino, e del vicepresidente di Anffas Nazionale, Emilio Rota, dedicati ad offrire una sintesi di quanto esposto in precedenza e ad illustrare quelle che sono le prospettive e gli impegni per il futuro. A chiudere i lavori sarà Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas, con le sue conclusioni. 

A moderare sarà Angela Trentini, Caposervizio TGR Abruzzo.

Così come per gli Stati Generali della regione Sicilia, l’evento sarà nuovamente occasione per evidenziare le specificità del territorio, dialogare e confrontarsi con tutti gli attori – famiglie, persone con disabilità, amministrazioni, istituzioni, realtà associative del Terzo Settore e sindacali – del territorio coinvolti, con l’obiettivo di ribadire quali sono i diritti delle persone con disabilità intellettive e del neurosviluppo e il loro livello di esigibilità in Abruzzo, inquadrare il nuovo ruolo assunto dal Terzo Settore nelle relazioni con le istituzioni ed evidenziare come vengono declinati i nuovi istituti della co-programmazione e co-progettazione e, più in generale, dell’amministrazione condivisa.

Maria Pia Di Sabatino, presidente Anffas Regione Abruzzo: “Anffas Abruzzo, unitamente alle diciotto realtà Anffas dislocate nei diversi territori della nostra regione e al nostro livello nazionale, ha fortemente voluto la realizzazione di tale importante evento che, mettendo insieme le voci di tutti i soggetti che a vario titolo si occupano delle persone con disabilità e soprattutto a partire proprio dalla voce dei diretti interessati, rappresenterà certamente un momento di confronto costruttivo su cui porre nuove basi per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie e, di conseguenza, per la costruzione di un futuro migliore e più inclusivo a beneficio di tutta la collettività”.

Continua il percorso di approfondimento, confronto e dialogo di Anffas per comprendere la realtà della condizione delle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo e delle loro famiglie in tutti gli ambiti che le riguardano su tutto il territorio italiano: siamo certi che anche questo appuntamento in Abruzzo sarà fonte di nuovi spunti e opportunità per il futuro e per mettere un altro tassello a quelli che saranno gli Stati Generali sulle Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo a livello nazionale del 2025”: così Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas a pochi giorni dall’incontro abruzzese.

Inclusione scolastica: un gelido clima e un clamoroso caso di discriminazione

Inclusione scolastica: un gelido clima e un clamoroso caso di discriminazione
Superando del 02/02/2024

In questi ultimi mesi si sta diffondendo un gelido clima culturale e sociale contrario all’inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità. Ha cominciato il professor Galli della Loggia, sostenendo la tesi secondo cui sarebbe assurdo che alunni intellettivamente molto differenti dai compagni debbano frequentare le scuole comuni, costringendo i compagni a ritardi negli apprendimenti, senza trarre personalmente alcun vantaggio. Il tutto, quindi, proponendo, «almeno per quelli in situazione di gravità» a tornare a frequentare le scuole speciali.
Poi, in occasione delle visite di istruzione, in molte scuole sono state sollevate difficoltà per la partecipazione degli alunni con disabilità, adducendo le motivazioni più varie, che in buona parte sono state superate con “accomodamenti ragionevoli”, come previsti dall’articolo 3 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09.
Da ultimo, è scoppiato un caso in Umbria a Foligno, dove un’alunna con disabilità certificata “non grave”, frequentante la scuola media, è stata esclusa dalla partecipazione alla visita di istruzione in Spagna. Quest’ultima vicenda è paradigmatica, poiché ha avuto un risvolto particolarmente articolato.

La scuola, dunque, organizza dal 31 gennaio al 7 febbraio un viaggio di istruzione per una settimana in Spagna, per approfondire la lingua spagnola presso un istituto, fissando come requisiti solo l’assenza di provvedimenti disciplinari e avere il 9 in condotta.
Quando la famiglia dell’alunna ha chiesto l’iscrizione, la scuola esprime una serie di obiezioni, sostenendo che avrebbe avuto problemi di disagio, dovuti alla mancanza di autonomia e che in quella scuola spagnola non si applica l’inclusione scolastica; che durante quei giorni, insomma, sarebbe stato meglio per l’alunna rimanere a scuola per un breve corso di recupero.
La famiglia si rivolge al Garante Regionale per la tutela delle persone con disabilità, il quale contatta la scuola, che però sostiene non trattarsi di viaggio di istruzione, ma di un “viaggio di studio”, e che quindi, come tale, esso non era previsto dal PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Il Garante stesso, dunque, al termine di una lunga interlocuzione, invia una nota all’Ufficio Scolastico Regionale, facendo presente che nessuna norma riporta la distinzione tra “viaggio di istruzione” e “viaggio di studio”, mentre la normativa prevede altresì il diritto pieno di inclusione scolastica e che tale violazione comporta discriminazione ai sensi della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilita’ vittime di discriminazioni); fa presente inoltre che la normativa prevede la possibilità di “accomodamenti ragionevoli”, onde evitare la discriminazione e cioè che la ragazzina sarebbe stata accompagnata da un familiare e che avrebbe seguito le attività di studio secondo tempi e modi concordati coi docenti.
L’Ufficio Scolastico Regionale si dichiara disponibile a questi accomodamenti ragionevoli, ma la scuola si rifiuta decisamente, dicendo che l’alunna avrebbe svolto a Foligno un breve corso di aggiornamento e diffidando la famiglia dall’insistere. Quest’ultima, allora, promuove ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), chiedendo la sospensiva dal divieto di partecipazione e il TAR, in via urgente, senza valutare affatto gli accomodamenti ragionevoli proposti, nega la sospensiva.
A questo punto la famiglia chiede il programma di aggiornamento da svolgere a Foligno, ma la scuola non dà seguito e la classe il 31 gennaio parte, lasciando la ragazzina in aula senza far nulla.

Ritengo questo fatto veramente grave per il reiterato diniego di “accomodamento ragionevole”. Infatti, il problema del disorientamento della ragazzina se fosse stata sola era stato superato con l’offerta della famiglia di accompagnarla. Riguardo poi alla frequenza del corso di spagnolo – impossibile, essendo vietato ai docenti di sostegno di seguire l’alunna durante le lezioni -, sarebbe stata superata tramite attività didattiche rivolte alla ragazza dai docenti che non potevano seguire la classe. La ragazza stessa, però, avrebbe seguito la classe in tutte le altre attività culturali, quali visite a monumenti, a musei e ad altre località.

Ritengo a questo punto che la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) debba intervenire per stigmatizzare pubblicamente questo comportamento discriminatorio, sostenendo la famiglia in tutte le sedi, politica e legale. In altre circostanze, infatti, le scuole hanno cambiato itinerario per rendere l’iniziativa compatibile con la presenza di un alunno con disabilità. In alcune addirittura i compagni, per solidarietà, si sono rifiutati di partecipare alla visita di istruzione. Non ci saremmo aspettati tanto dalla classe, ma un accomodamento ragionevole dalla scuola sì.
Questa scuola, invece, non ha assolutamente voluto tener conto di alcun accomodamento ragionevole e quindi la famiglia merita certamente un intervento di sostegno antidiscriminatorio.

di Salvatore Nocera,
Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap)

Smartphone e scuola

È ora di dircelo: i minori di 17 anni non dovrebbero avere smartphone e la scuola non dovrebbe spingere a usarli
La Tecnica della Scuola del 02/02/2024

Lo smartphone danneggia la psiche dei minorenni. Non lo diciamo noi. Lo dicono i dati, e gli psicoterapeuti lo confermano. D’altronde, non è difficile comprendere che un minore non può non rimanere traumatizzato da ciò che facilmente può reperire in rete. Scene di incredibile violenza, ad esempio, scioccanti persino per gli adulti. Il piccolo, trovandosi da solo di fronte a immagini simili, sente il bisogno di qualcuno che lo fermi, che gli dica di non guardare: ma quel qualcuno non è lì insieme a lui (o lei), perché l’assoluta maggioranza dei genitori è convinta di aver esaurito i propri doveri verso i figli regalando loro l’ultimo modello di device.

 Soli con lo smartphone, e figli di genitori soli con lo smartphone
Nell’assenza costante di qualcuno che lo aiuti, lo consigli e lo guidi di fronte ad emozioni così forti, il minore si convince di potercela fare da solo. Inoltre, percependo oscuramente di essersi avventurato in territori vietati, nasconde agli adulti ciò che ha visto, temendo punizioni. Continua pertanto a cercare immagini simili, per dimostrare a se stesso di esser forte abbastanza da reggerle, facendosi in realtà del male. Nella migliore delle ipotesi ciò deforma il suo modo di vedere le cose, ne rimescola la scala valoriale, fino a renderlo indifferente a certe scene, riducendone l’empatia, la comprensione e la compassione per la sofferenza altrui.

Rinserrati in una fortezza (che diventa gabbia)
Malgrado ciò, quasi nove adolescenti italiani su dieci usano lo smartphone ogni giorno. Sette su dieci frequentano quotidianamente il web. Il primo pensiero di ognuno di loro, appena svegli, è controllare il telefono (ed è anche l’ultimo prima di dormire). La media di uso quotidiano è di quattro ore e mezza. Con danni alla vista: occhi irritati, sensazioni di abbagliamento, affaticamento e secchezza oculare. E sarebbe il meno, visto che i danni più gravi sono quelli comportamentali.
Cresce, infatti, il numero degli hikikomori: adolescenti introversi e timidi (soprattutto maschi) che approfittano del cellulare per isolarsi nella propria stanza, col rischio di complicazioni psichiatriche gravi, riscontrabili sempre più spesso specialmente tra i 14 e i 30 anni.

Guai scheletrici, distrazione e fallimenti scolastici
Passare più di cinque ore piegati sul device significa sviluppare seri problemi muscolo-scheletrici — specialmente a spalle e collo — destinati ad aggravarsi nell’età adulta. Possono comprenderlo, tuttavia, ragazzi e ragazze che vedono i propri genitori fissi sul cellulare più di loro? La disattenzione degli adulti è ormai cronica persino mentre guidano, tanto da aver moltiplicato gli incidenti automobilistici imputabili all’uso compulsivo degli smartphone. Possiamo quindi meravigliarci che i giovanissimi camminino in mezzo al traffico fissando lo schermo, chattando e giocando ai videogame con le cuffie a tutto volume? Che dire poi dei risultati scolastici? Il genitore italiano medio non se ne accorge, ma i docenti ben sanno quanto sia calata la capacità di concentrazione degli alunni nell’ultimo quindicennio. Fatalità? Certamente no. Energie e concentrazione degli allievi sono completamente assorbite dal marchingegno elettronico che essi tengono sempre in mano, e pochissime ne restano per l’apprendimento dei contenuti e delle abilità proposti dalla Scuola.
Ecco perché, quand’anche studino, questi giovanissimi lo fanno in modo mnemonico, superficiale, privo di qualsiasi interesse per l’approfondimento (e per la semplice comprensione). «Eppure», sostiene il genitore medio, «sta sempre in camera a studiare!».

A letto col cellulare acceso sotto al cuscino
 Lo stesso genitore medio non controlla che la propria prole faccia colazione la mattina prima di recarsi a scuola. Né che dorma bene, almeno otto ore a notte. Infatti, anche il ritmo circadiano del giovane è danneggiato dall’abuso dei cellulari, rendendo difficile l’addormentamento a causa della continua sovreccitazione nervosa che procura. 
Eppure è noto a tutti che la carenza di riposo notturno è gravemente nociva, e che ad essa sono spesso dovuti i disturbi ossessivo-compulsivi evidenziati da non pochi adolescenti. Se non dormono adeguatamente, i giovani vanno incontro a disfunzioni metaboliche, possibilità di sviluppare il diabete, stanchezza cronica. Ne possono derivare abuso di alcolici, depressione, dipendenza da stupefacenti, e persino malattie cardiovascolari.

Al punto da non potersene separare mai
Infine, l’uso compulsivo degli smartphone può generare una vera e propria dipendenza dalla tecnologia, riconoscibile quando il soggetto letteralmente non pensa ad altro che a quello e agli altri apparecchi elettronici, ormai incapace di provare alcun interesse per ciò che prima lo attraeva. La dipendenza dal cellulare lo porta a perdere il controllo di sé quando ne sia privato, ad isolarsi dalla realtà e, di conseguenza, a vivere nell’ansia e a deprimersi.

È impopolare dirlo, ma non va usato se non quando è prossima la maggiore età
È dunque corretto che la Scuola spinga gli studenti a usare la tecnologia anche per studiare? O non sarebbe più saggio che la Scuola stessa fosse il momento della libertà della mente (l’otium dei Romani antichi, la scholé degli antichi Elleni), nel quale si sperimenta com’è bello pensare insieme e scambiarsi informazioni e idee, guardandosi negli occhi, ascoltandosi, parlandosi, leggendo libri di carta e scrivendo con la penna? Non è forse vero che — come tutti i giornali riportano — persino gli alti funzionari della Silicon Valley, ideatori e creatori del mondo degli smartphone, vietano lo smartphone ai propri figli?
Forse è il caso di dircelo francamente e con coraggio: lo smartphone può essere un’arma, come può esserlo un’automobile. E come l’automobile non si mette in mano a un minorenne (che con essa farebbe male a se stesso e agli altri), così non gli si può affidare uno smartphone.
Aspettiamo dunque, per consegnarlo ai giovanissimi, che questi abbiano almeno 17 anni, se siamo adulti consapevoli della realtà.di Alvaro Belardinelli

Cattedra inclusiva

Cattedra inclusiva, Evelina Chiocca: “Chi non vuole avere a che fare con la disabilità dovrebbe cambiare mestiere”
La Tecnica della Scuola del 30/01/2024

Le polemiche sulla proposta della “cattedra inclusiva” proseguono senza sosta. Numerose le lettere pervenute alla nostra redazione e ancora più numerosi i commenti dei lettori nella nostra pagina Facebook.

Per il momento fra le prese di posizioni sindacali va segnalata quella della Uil Scuola, di cui abbiamo dato conto nelle ultime ore.

A molte delle critiche e delle osservazioni risponde anche Evelina Chiocca, una delle esperte che ha lavorato per la messa a punto della proposta di legge.
“Molti docenti – sottolinea Chiocca – affermano che il progetto di legge taglierà le ore di sostegno e quindi temono di perdere il posto di lavoro; ma è affatto così, perché con la cattedra inclusiva le ore di sostegno sono garantite. Ogni ora sarà garantita, grazie alla presenza, in classe, di due docenti secondo le ore indicate dal GLO. In altre parole non viene meno la risorsa sostegno”.

Ma c’è un altro timore e cioè quello di dover lavorare “anche” con l’alunno con disabilità. “Mi sembra che molti – interviene Chiocca – stiano dimenticando che l’alunno con disabilità è alunno di tutti i docenti della classe. L’obbligo di garantire all’alunno con disabilità il successo formativo è già presente oggi, non viene introdotto con la cattedra inclusiva”. “Già oggi – ribadisce l’esperta – ogni insegnante, compreso quello curricolare deve insegnare all’alunno con disabilità, preparare le verifiche, valutare l’alunno, riportare il voto nel suo registro personale”.
“Se qualcuno pensa che l’alunno con disabilità non sia suo alunno – ammonisce Evelina Chiocca – allora ha sbagliato lavoro, vada altrove, non nella scuola. L’alunno con disabilità, esattamente come i suoi compagni, ha diritto di apprendere e di socializzare, di essere accompagnato nel suo percorso e di vivere la quotidianità scolastica, crescendo e imparando insieme ai coetanei. Il diritto è garantito dalla Costituzione, è meglio ricordarlo!”

Quanto alle accuse di appartenenza partitica, Evelina Chiocca è categorica: “La cattedra inclusiva non è un’idea né della sinistra, né della destra, né del centro; molto semplicemente è il frutto di una riflessione e di una ricerca di 7 persone che all’inclusione credono davvero e che hanno a cuore la scuola italiana”.
Come spesso accade ci sono anche critiche del tutto infondate come quelle di chi mette in dubbio le competenze dei promotori dell’iniziativa usando alle volte anche espressioni fuori luogo (“esperti di che?”, “i sedicenti esperti che non sono mai entrati in un’aula in vita loro”, ecc…) e che addirittura, riferendosi ad uno dei 7, noto persino a livello internazionale, parlano di “un tal xxx“.

Evelina Chiocca replica anche su questo: “Siamo 7 persone che conoscono la scuola e che dentro la scuola stanno lavorando o ci hanno lavorato per anni, alcuni per decenni”.di Reginaldo Palermo

Nuovo Pei 2023

Nuovo Pei 2023. Disposizioni correttive del DM 182/2020 modelli e linee guida
SuperAbile INAIL del 29/01/2024

ROMA. È stato pubblicato il Decreto Ministeriale n. 153 del 1° agosto 2023, con disposizioni correttive al decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, recante: “Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità, ai sensi dell’articolo 7, comma 2-ter del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66” a valle di un percorso complesso. 

Nel settembre 2021, infatti, il Tar del Lazio, con sentenza n. 9795, aveva disposto l’annullamento del Decreto Interministeriale n.182/2020 e dei suoi allegati. La sentenza aveva sindacato, tra altri profili, la legittimità di quanto previsto in ordine alla possibilità di frequentare le lezioni con orario ridotto, alla composizione e alla funzione del GLO (Gruppo Lavoro Operativo per l’inclusione), all’assegnazione di risorse per il sostegno ma anche all’esonero dalle materie per gli alunni disabili. La legittimità del Decreto è stata  poi ripristinata con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3196/2022. 

Con Nota prot. n° 10166 del 1° giugno 2023, il ministero dell’Istruzione e del Merito ha fornito le indicazioni per la redazione del Pei 2023/2024. 
Nello stesso si ribadisce l’importanza delle linee guida per la redazione della certificazione di disabilità in età evolutiva, ai fini dell’inclusione scolastica e del profilo di funzionamento. 

Predisporre il Pei 2023 sarà un compito non solo del docente di sostegno, ma anche del GLO. 

Nel Gruppo di Lavoro sono presenti:
– i rappresentanti del Consiglio di Classe;
– il corpo docenti;
– i genitori dell’alunno coinvolto;
e diverse figure professionali esterne alla scuola quali:
– gli specialisti e terapisti dell’Asl;
– gli specialisti e terapisti privati segnalati dalla famiglia;
– gli operatori e le operatrici dell’Ente Locale, soprattutto se è attivo un Progetto Individuale;
– i componenti del GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale). Il nuovo modello Pei aspira ad essere uno strumento innovativo per la progettazione didattica, al cui interno sarà possibile trovare:
– le finalità didattiche ed educative;
– gli itinerari di lavoro;
– le tecnologie, i metodi e i sussidi utilizzati;
– i criteri di valutazione;
– le forme di integrazione tra scuola ed extra scuola.

Proposte sull’inclusione scolastica contrarie alla pedagogia e alla Costituzione

Proposte sull’inclusione scolastica contrarie alla pedagogia e alla Costituzione

di Salvatore Nocera

Superando del 24/01/2024

L’articolo del professor Galli della Loggia del 13 gennaio scorso, seguito da quello di chiarimento del 20 gennaio, ha scatenato un dibattito culturale che mi ha rimandato indietro di oltre cinquant’anni, quando si cominciò a parlare di inserimento e di integrazione scolastica [l’elenco dei contributi pubblicati su queste pagine rispetto a tale tema è disponibile a questo link negli “Articoli correlati”, N.d.R.].
Io ho partecipato al dibattito che fu suscitato da quella novità dirompente; allora i primi casi di inclusione erano eccezionali e turbavano i benpensanti che non avevano mai visto alunni con disabilità nelle classi comuni perché erano tutti chiusi nelle scuole e negli istituti speciali e la scuola procedeva con la sua routine quotidiana.
Il movimento per l’integrazione sconvolse il normale ritmo della scuola e dopo i primi anni di “inserimento selvaggio”, il fenomeno che era divenuto impetuoso fu affrontato dai docenti della scuola affiancati e guidati dai pedagogisti, poi seguiti dal legislatore, che cominciò a regolare il fenomeno stesso, nuovissimo, sostenuto dai ripetuti interventi di legittimazione della Corte Costituzionale.
Oggi il professor Galli della Loggia rimette in dubbio tutto il lavoro culturale, pedagogico, sociale e giuridico svolto, prendendo spunto da talune carenze, già denunciate con puntualità dal mondo accademico, specie della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) e dalle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, specie dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ); le denunce di Galli della Loggia riguardano sostanzialmente l’insufficiente preparazione dei docenti di sostegno e la loro permanente discontinuità, dovuta all’uso strumentale del posto di sostegno per poter passare su posto di ruolo disciplinare.
Non entro nel merito delle coerenti critiche a lui svolte da pedagogisti come i professori Daniele Novara e Fabio Bocci, illustri docenti universitari di Pedagogia, che si richiamano ai massimi esponenti del movimento per l’inclusione, come don Lorenzo Milani, Andrea Canevaro e altri; né ignoro i legittimi interventi critici delle Associazioni, come quelli di Vincenzo Falabella, presidente della FISH, dell’ANFFAS presieduta da Roberto Speziale, aderente anch’essa alla FISH, e di Francesca Palmas, pedagogista dell’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), altra organizzazione aderente alla FISH, insieme ad altri su varie riviste pedagogiche.
Leggo che anche il professor Dario Ianes critica la posizione del professor Galli della Loggia, contrapponendogli però la propria ipotesi di “cattedra inclusiva”, sostanzialmente “mista”, con la quale ogni docente dovrà essere specializzato per il sostegno e dovrà insegnare per mezza cattedra la disciplina e per l’altra mezza sostegno. Ho già avuto modo di scrivere su queste stesse pagine che questa “cattedra mista”, pur essendo una bella idea, è una pura utopia a livello teorico e organizzativo.
E in ogni caso vorrei qui intervenire come pluridecennale consulente giuridico dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), affiancato dal pedagogista Nicola Tagliani, con il quale curiamo l’Osservatorio sull’Inclusione Scolastica della stessa AIPD.

Ma le lagnanze del professor Galli della Loggia non solo sono minimali, mancando, come denuncia il professor Novara, della critica all’assenza di pedagogisti nella scuola italiana (ai quali Galli della Loggia non accenna nemmeno); e ancora, a questa carenza gravissima, se ne aggiunge un’altra, e cioè la mancata formazione iniziale dei docenti curricolari sulla pedagogia e la didattica speciale.
Sino ad oggi tali docenti, specie quelli delle scuole secondarie, sono ope legis “ignoranti” di tali discipline. Questo ha determinato una delega ai soli docenti di sostegno, facendo venire meno l’altro principale pilastro portante dell’inclusione scolastica, cioè la presa in carico del progetto inclusivo da parte di tutti i docenti della classe. Finalmente la Legge 79/22 ha previsto un anno abilitante all’insegnamento con 60 crediti formativi obbligatori che cercherebbe di colmare questa enorme smagliatura nel sistema inclusivo, ma, come ha da tempo segnalato il professor Luigi d’Alonzo, già presidente della SIPeS, tra questi 60 crediti formativi, quelli concernenti la pedagogia e la didattica speciale sono talmente poco numerosi da risultare insignificanti e quindi la “delega” permarrà, se non si interviene immediatamente. Per questo la FISH, nella citata Proposta di Legge, prevede un aumento nel numero di tali Crediti Formativi, i cui contenuti saranno precisati con apposito Decreto del Ministero dell’Università.

Purtroppo il professor Galli della Loggia alle proprie critiche non fa seguire delle proposte costruttive, ma salta subito al “ritorno al passato”, riproponendo le scuole speciali almeno per gli alunni più gravi (bontà sua!). Invece le Associazioni, e specie quelle aderenti alla FISH, sono riuscite ad ottenere nella Legge 107/15, cosiddetta sulla “buona scuola” la delega per adeguare la nostra normativa ai princìpi dell’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). sulla valutazione del funzionamento dell’organismo umano, recepiti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall0’Italia con la Legge 18/09). Purtroppo, però, a distanza di quasi dieci anni da questo fondamentale potenziamento dell’originario principio inclusivo – introdotto con la Legge 104/92 -, non hanno fatto seguito quasi tutti gli atti applicativi, necessari per dare una piena risposta alle critiche del professor Galli della Loggia ed altri.

Infine il professor Galli della Loggia ignora totalmente il principio di “individualizzazione” introdotto nella normativa inclusiva fin dall’inizio; esso fa sì che nella scuola del primo ciclo l’articolo 16, commi 1 e 2 della Legge 104/92 prevedono che per gli alunni e le alunne con disabilità il PEI (Piano Educativo Individualizzato) debba essere formulato con riguardo alle sue «effettive capacità» e per le scuole del secondo ciclo la normativa ha previsto che per gli alunni che il professor Galli della Loggia vorrebbe rimandare sicuramente nelle scuole speciali, data la loro situazione di gravità, la formulazione di un Piano Educativo Individualizzato sempre formulato secondo le singole capacità effettive; esso può allontanarsi dai programmi ministeriali e non conduce al diploma di maturità, ma solo alla certificazione dei crediti formativi maturati.

In conclusione, non solo il secondo articolo del professor Galli della Loggia può considerarsi «una toppa peggiore del buco» rispetto al primo, come scrive il professor Fabio Bocci nel suo puntuale e articolato articolo di replica, ma, ossessionato dal concetto di “scuola del merito”, non tiene conto che la Corte Costituzionale, con la famosa Sentenza 215/87, ha stabilito che per gli alunni e le alunne con disabilità capacità e merito non vanno valutati secondo parametri standardizzati. ma secondo criteri relativi alle loro peculiari situazioni di disabilità.
Conseguentemente, se egli avesse tenuto conto del valore costituzionale del diritto all’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità, non avrebbe avanzato la sua richiesta anacronistica, almeno per l’Italia, dove abbiamo una scuola regolata dalla nostra Costituzione e dalle nostre leggi, ma avrebbe potuto e dovuto formulare delle proposte coerenti col dettato costituzionale e con le più avanzate conquiste della pedagogia. Quanto poi alla considerazione che l’Italia sia quasi l’unico Paese al mondo che si sforzza di attuare l’inclusione scolastica, questa considerazione, apparentemente democratica, è fuorviante, come lo era quella, basata sul “buon senso”, che costrinse Galileo ad abiurare obtorto collo la sua rivoluzionaria scoperta scientifica!

In aumento i casi di autismo

Diagnosi tardive e fattori ambientali, in aumento i casi di autismo
Redattore Sociale del 24/01/2024

ROMA. “Diagnosi tardive, fattori ambientali e così i casi di persone con autismo sono in aumento. Ma in arrivo anche nuovi approcci. Sono le coordinate, molto in sintesi, del pianeta autismo. In sintesi perché, al netto di alcuni comuni denominatori, ogni caso rappresenta una storia a sé. E va trattato come tale, senza prescindere dal rapporto con le famiglie delle persone con autismo, oltre che con le persone con autismo, uniti dalla condivisione di questa condizione complessa”, si legge così in un articolo. 

 “Da un lato l’autismo mostra delle difficoltà: nella capacità di relazionarsi a livello sociale, nel comunicare in particolare a livello non verbale, nell’adeguarsi alle variazioni di un contesto, nella peculiare risposta agli stimoli sensoriali. Dall’altra parte manifesta attraverso la neurodivergenza anche un modo di essere, di esistere meno comune, meno banale, con potenzialità creative uniche- ha spiegato il dottor Roberto Keller, direttore Centro Regionale Disturbi Spettro Autistico in Età Adulta Asl Città di Torino-. Non esiste un autismo, ma tanti autismi quante sono le persone con autismo”.  

Il punto è stato fatto in un convegno di specialisti organizzato presso l’Auditorium Carlo Levi di Grugliasco dal Dipartimento Salute Mentale dell’Asl e dal Centro Regionale Esperto. 

Trend in crescita 
E ancora si legge: Quante sono le persone con autismo? Un bambino ogni 77 persone, secondo lo studio nazionale pubblicato dall’Istituto superiore di sanità. Uno ogni 36, ultimo dato pubblicato dal Cdc di Atlanta, Stati Uniti. Dati in aumento, in ogni caso. E drammatici. Vale anche in Piemonte, dove le persone con autismo superano l’uno per cento della popolazione e dove il trend sta salendo. Un costante innalzamento, quello della curva, dovuto all’azione di fattori ambientali inquinanti che con una azione epigenetica modificano il DNA  ma anche alla maggiore accuratezza delle diagnosi. Un numero, e solo con riferimento agli adulti, rende l’idea: oltre 1.200 i soggetti seguiti dal Centro dell’Asl cittadina, principale ambulatorio territoriale nazionale. 

Diagnosi più accurate 
Diagnosi più accurate, si diceva. “Negli adulti continuiamo a fare molte prime diagnosi che quindi erano sfuggite in età evolutiva- ha precisato Keller-. In particolare nelle femmine, dove l’autismo è mascherato da un camouflage, vale a dire da una apparente migliore empatia su base biologica che nasconde i sintomi e complica la diagnosi”. Altro problema, a monte: “Se è vero che l’autismo è trasversale a tutte le fasce d’età, l’esordio clinico dei sintomi è sempre nei primi anni di vita. Mai bambini molto intelligenti possono vedere lette le difficoltà relazionali come una sorta di effetto collaterale di una intelligenza elevata, e non essere diagnosticati: questo li espone a problemi di ansia e depressione in adolescenza e ad essere spesso vittima di bullismo”. 

Mente e corpo 
Molti fattori, molte variabili, molte inadeguatezza che finiscono per diversificare l’essere nel mondo della persona con autismo. Anche il funzionamento intellettivo spazia da gravi disabilità intellettive a funzionamenti superiori alla media della popolazione. La difficoltà di relazionarsi di queste persone può portare anche a problemi di comportamento, talora gravi, che mettono in grande difficoltà le famiglie. Anche così, prima di pensare al disturbo del comportamento come espressione di una alterazione a livello psicologico è fondamentale pensare al corpo, a una malattia organica da cui il disturbo – meglio: i disturbi – vengono originati ha proseguito l’esperto: “Sarebbe quindi un grave errore non esaminare prima il corpo e attribuire un disagio comportamentale a un problema mentale e ancor più errato curarlo con psicofarmaci”. 

Professionisti in rete
Questa la premessa dell’incontro, pubblico e formativo,- si legge- punto di partenza della creazione di una rete di professionisti che, nel Sistema sanitario nazionale, hanno cercato di dare una risposta alla valutazione dei disturbi organici nella disabilità e nell’autismo: professionisti preparati e soprattutto capaci di visitare le persone, rispettando le loro peculiarità in termini di comunicazione, organizzazione del tempo e di sensorialità. Una rete di cui dovranno far parte anche le famiglie. La persona al centro, insomma, e così pure il suo corpo: anche nei soggetti con autismo.

Lavoro e disabilità

Lavoro e disabilità, come misurare l’investimento delle imprese
Il Sole 24 Ore del 24/01/2024

Le recenti statistiche sulle assunzioni di lavoratori con disabilità evidenziano un incoraggiante crescita del 12,4% nei primi sei mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Nonostante questo segnale positivo – con 264.600 lavoratori disabili in Italia, di cui il circa 66% impiegato nel settore privato – rimane ancora molto da fare per promuovere un’effettiva inclusione sul luogo di lavoro.
La pandemia ha introdotto ad esempio cambiamenti significativi, incluso l’ampio utilizzo dello smart working, aprendo nuove opportunità per favorire ulteriori assunzioni di lavoratori con disabilità e superare i livelli pre-pandemia.
Tuttavia, l’impegno richiesto deve andare ben oltre la mera adozione dello smart working. È cruciale che le imprese investano sull’accessibilità degli spazi e sviluppino una cultura aziendale inclusiva per i lavoratori con disabilità, parallela agli sforzi dei Comuni nell’attuazione del P.E.B.A., il Piano per rimuovere le barriere architettoniche.

Il principio cardine del lavoro degno
Un principio cardine, proposto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), è quello del “lavoro degno”, che abbraccia opportunità paritarie, scelta libera nell’impiego, retribuzione equa, eliminazione delle discriminazioni, sicurezza sul luogo di lavoro e trattamento rispettoso. Questi principi sono fondamentali per tutti i lavoratori, ma risultano ancora più critici per i gruppi più vulnerabili.
È evidente che il progresso indicato dai numeri richiede uno sforzo più ampio e sistematico da parte delle aziende e delle istituzioni per garantire un ambiente lavorativo veramente inclusivo e rispettoso per tutti.

Disabilità e lavoro, come misurare (meglio) l’impegno delle aziende
In particolare, diventa fondamentale valutare l’effettivo impegno delle aziende nell’accogliere persone con disabilità. Le pratiche di assunzione variano considerevolmente: alcune aziende potrebbero assumere individui con disabilità per adempiere a normative senza investire effettivamente nella loro integrazione e sviluppo. Al contrario, altre potrebbero concentrarsi sulla valorizzazione delle competenze e del talento di queste persone, investendo in formazione, adattamenti sul posto di lavoro e politiche inclusive.
Misurare l’effettivo investimento delle imprese in “accomodamenti ragionevoli” e formazione per accogliere individui con disabilità potrebbe fornire un quadro più accurato sull’autenticità e l’impegno di un’azienda nell’inclusione. Questo approccio analitico potrebbe portare a una valutazione più precisa delle politiche aziendali, rivelando se le assunzioni siano motivate da una reale volontà di inclusione e sviluppo delle risorse umane o se siano solo adempimenti normativi o per ottenere vantaggi incentivanti.

La valorizzazione dei talenti
Per abbattere questo problema culturale l’obiettivo è identificare e valorizzare i talenti. Un bell’esempio è la storia di un imprenditore di Lecco che, nella sua azienda manifatturiera, si ritrova con un posto vacante nell’area produttiva. “Una postazione pericolosa, per questo ruolo è necessaria una persona che resti sempre super concentrata e che non si distragga”… è stato assunto un sordomuto.

di Riccardo Taverna, Presidente WeGlad

Scuola inclusiva

Scuola inclusiva, Ianes: “Ecco come superare lo scetticismo”
Redattore Sociale del 23/01/2024

Galli della Loggia torna a parlare d’inclusione, chiedendo scusa ma ribadendo: su inclusione, retorica e criticità. Ianes: “Portiamo avanti due proposte: insegnanti Dsa e cattedra inclusiva”

ROMA. Torna a far discutere, il pensiero sull’inclusione scolastica firmato Galli della Loggia. In un nuovo articolo sul Corriere della Sera, “Il dibattito sulla scuola e la sfida dell’inclusione”, l’intenzione pare quella di voler chiedere scusa per essersi spiegato male nell’editoriale che, dieci giorni fa, aveva destato tanto scalpore. “Quando si sbaglia è giusto ammetterlo. E io ho senz’altro sbagliato quando ho voluto racchiudere una questione complessa come il principio d’inclusione in vigore nella scuola italiana in pochissime righe in margine ad una breve recensione”. Così l’incipit dell’ultimo articolo. In cui però conferma, sostanzialmente, le posizioni già espresse: “E’ proprio sicuro che ad esempio, perlomeno nei casi gravi di disabilità intellettiva, di disabilità motoria, piuttosto che essere immersi in un ambiente totalmente altro assistiti da un incompetente non gioverebbe di più l’inserimento in un’istituzione capace di prendersi cura di simili casi in modo più appropriato e scientificamente orientato?”. In altre parole, Della Loggia invita a non escludere, ideologicamente, il ritorno a qualcosa che tanto somiglia alle scuole speciali. Soprattutto, vuole “sollevare il velo di retorica che solitamente ricopre il principio d’inclusione così com’esso è praticato nella nostra scuola, attirando l’attenzione sui suoi numerosi aspetti critici”. Rispolverando, in questo, anche la lezione di Barbiana, su quanto possa essere ingiusto “fare parti uguali tra disuguali”.

Che ci sia qualcosa di vero, nel pensiero critico di Della Loggia, lo ammette anche Dario Ianes, docente di Pedagogia dell’inclusione presso la Libera Università di Bolzano e tra i fondatori del Centro studi Erickson, convinto e appassionato sostenitore della scuola inclusiva, ma al tempo stesso consapevole di quanto ci sia da migliorare perché questa in effetti si realizzi.

A Ianes abbiamo chiesto un parere sulle ultime riflessioni di della Loggia e, in particolare, sulle criticità della scuola dell’inclusione evidenziate nel suo articolo.
“Della Loggia ha dato voce a quelli che da tempo io chiamo gli “inclusio scettici”, ai quali ho dedicato anche un libro, qualche anno fa, scritto insieme a Giuseppe Augello. Che l’inclusione faccia fatica è chiaro a tutti: non possiamo nascondere questa realtà sotto il velo dell’ideologia, solo perché l’inclusione è un principio politicamente, civilmente ed eticamente valido, diventato patrimonio anche retorico della nostra scuola. Le difficoltà sono sotto gli occhi di tutti, ma la soluzione non è certamente quella di tornare a un sistema separato. Lo scorso ottobre abbiamo realizzato una ricerca su 3100 persone (“Inclusione scolastica e sociale: Un valore irrinunciabile? Quanto è fattibile, efficace e condivisa nei suoi valori?”): agli intervistati – la maggior parte del campione ha esperienza (pluriennale) con le persone con disabilità – chiedevamo se non ritenessero meglio tornare a un sistema separato. Solo il 17 % del campione si diceva convinto di questo. Ma se uniamo questo 17% a quasi il 50% che dichiara che l’inclusione piena sia impossibile, emerge con chiarezza la grande quantità di scettici sul campo. E il mio timore più grande è che, a forza di difficoltà sul campo, anche i valori vadano in difficoltà. E si possa iniziare a pensare che l’inclusione non sia poi così importante. Qualcosa di simile è successo anche con la riforma Basaglia. Per fortuna, le reazioni a Galli della Loggia hanno ricompattato tutti sul valore dell’inclusione come principio. Dobbiamo comunque aiutare queste persone che stanno diventando scettiche per la fatica sul campo. Ma non saranno certo gli interventi di della Loggia ad aiutarli. Servono interventi diversi.

Per esempio, quali?
Noi, come università e come Centro Erickson ne stiamo studiando due: la prima è l’insegnante con DSA. Stiamo rilevando una grande capacità inclusiva degli insegnanti con DSA, sia dal punto di vista psicologico che didattico, grazie alle strategie sperimentate e messe in campo in prima persona. La presenza di questi insegnanti è un fiore all’occhiello da valorizzare. Un’altra proposta che stiamo portando avanti è quella sulla cosiddetta “cattedra inclusiva”: una vera e propria proposta di legge, che presenteremo il prossimo 25 gennaio alla Camera. Prevede, in poche parole, che tutti i docenti, nessuno escluso, abbiano la metà del proprio orario dedicato al sostegno: il 50% alla propria materia, il 50% al sostegno. Nel nostro sondaggio, il 75% circa si diceva favorevole a questa proposta, che si accompagna a un piano di formazione capillare. E’ un modello che alcune scuole stanno già sperimentando con successo, in virtù dell’autonomia scolastica. D’altra parte, attualmente il 40% dei nostri insegnanti di sostegno manca di titoli e formazione. Crediamo fortemente che il sostegno sia e debba essere un impegno e una competenza di tutti e di ciascuno. Così, crediamo, si potranno superare buona parte delle criticità lucidamente evidenziate da Galli della Loggia, mettendo in campo soluzioni più praticabili e accettabili di quelle da lui indicate.

di Chiara Ludovisi

L’inclusione è un processo

Caro Galli della Loggia, l’inclusione è un processo (ed è irreversibile)
Vita del 23/01/2024

Ernesto Galli della Loggia domenica si è preso una pagina del “Corriere della Sera” per chiarire la sua posizione sull’inclusione scolastica. Inizia scusandosi e dichiarando che non è un fautore dell’esclusione, ma poi ribadisce le sue osservazioni. Qui la risposta della responsabile scuola dell’Associazione Bambini Cerebrolesi

Le giuste ed opportune reazioni di sdegno davanti agli articoli di Ernesto Galli della Loggia hanno dato a mio giudizio fin troppa visibilità alle sue esternazioni, che dimostrano pura ignoranza (nel senso di “chi ignora”) in materia di scuola e inclusione scolastica. Una cosa di cui, francamente, non aveva bisogno nessuno di noi che la scuola la respira ogni giorno, impegnati per la tutela dei diritti e per migliorare concretamente la vita scolastica dei nostri alunni con disabilità. Ero combattuta anch’io sul rispondere o meno al secondo articolo, ma alla fine ha prevalso la necessità di correggere alcune informazioni di base, dal momento che ancora molti – e ci può stare – ignorano cosa sia l’inclusione scolastica. 

Prima di tutto l’inclusione è un processo, per cui è sempre in divenire, come pure la stessa formazione (intesa come dare e prendere forma). Nasce dall’incontro, dalla relazione, che “costringe” al cambiamento, dunque alla riorganizzazione di se stessi nel momento in cui accogliamo l’altro. Per esempio nel  sistema scolastico tutto è chiamato continuamente a dare delle risposte a nuovi bisogni e dunque a trovare e sperimentare nuove soluzioni.  Sperimentare,  perché ogni percorso ed ogni processo inclusivo presuppone e sottende la personalizzazione: non ci sono confezioni già pronte da applicare a tutti ma ogni azione, essendo una risposta attiva, va modellata su quella particolare persona che vive quella particolare situazione. Il percorso inclusivo, dunque, va inteso come un cammino continuo (mai finito e mai chiuso) in cui si affrontano continue ri-organizzazioni e costruzioni, che poi faranno sì che quella persona (con disabilità o con bisogni educativi speciali) possa essere pienamente se stessa: cioè possa raggiungere quella forma che le è propria, possa essere quell’individuo che è, unico e irripetibile. Non è forse un principio della pedagogia e della nostra scuola quello di “salvaguardare” le diversità, le unicità e le particolarità degli individui? 

La scuola, in quanto agenzia formativa più vicina alla famiglia, è (dovrebbe essere) il primo naturale e vero alleato della famiglia per la costruzione di percorsi inclusivi per i propri figli, insieme a tutti gli operatori coinvolti: insegnanti, educatori e professionisti in genere che diventano coautori corresponsabili di questi processi inclusivi personalizzati e co-progettati. È nella scuola che si sperimenta e si costruisce l’inclusione e il cambiamento del sistema. Sulla scia della pedagogia della Montessori, che utilizzò le metodologie educative “speciali” proponendole quali basi della pedagogia scientifica indirizzata a tutti gli allievi, oggi sentiamo la necessità di far coesistere nella realtà scolastica i bisogni educativi di tutti e la specificità di ognuno. I nostri figli ci hanno insegnato come loro stessi siano una risorsa per tutta la scuola in questo senso: grazie a loro la didattica diventa speciale, si ri-organizza, si costruisce sulla base dei bisogni e attiva nuove soluzioni, che sono utili anche ad altri alunni che non hanno alcuna disabilità. Realizzare i piani personalizzati significa anche essere costretti a lavorare insieme, tutti i soggetti coinvolti, non solo la scuola ma gli Enti locali, i servizi Sanitari, gli operatori e i servizi dei territori, le Università, le organizzazioni dei diretti interessati.

Il processo in atto in Italia, dopo 30 anni di esperienza legislativa e pratica di inclusione nelle nostre scuole, propone un approccio bio-psico-sociale (ICF) che si traduce operativamente nello strumento del Pei rinnovato e finalmente unico per tutte le scuole del Paese: dal Nord al Sud, dalle periferie alle grandi città, per tutti gli ordini e gradi di scuola (dall’infanzia alle secondarie superiori). Il focus, dunque, non è solo sul soggetto/studente, ma è necessario leggere il suo contesto di vita: si parla già infatti di ambiente di apprendimento inclusivo, che in questa ottica suggerisce immediatamente il coinvolgimento di tutti. “Quello che è necessario per qualcuno può diventare utile per tutti” dice l’Universal design for learning: che cosa vuol dire? È la reale possibilità di pensare, progettare, realizzare ed utilizzare prodotti, strutture, ambienti, spazi, mezzi e servizi fruibili da tutti, indipendentemente dalla loro età, capacità personale e/o condizione di vita, cultura, lingua. Non è sempre facile ma esistono delle eccellenze, delle buone prassi, che ci narrano di un’inclusione possibile utilizzando concretamente proprio questa metodologia. Fa sempre “più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, no?

Il lavoro comunitario non ha un destinatario prefissato e non ha lo scopo di risolvere un problema a qualcuno, bensì di eliminare le possibili barriere “prima” che si manifestino come tali, indipendentemente dall’individuo specifico che abita quel contesto; l’inclusione riguarda tutti. In questi ultimi anni l’evoluzione dei concetti di disabilità, normalità, inclusione educativa ed i continui progressi della tecnologia hanno trasformato il nostro modo di vivere e di pensare la diversità. La gestione efficace delle differenze e dei diversi livelli di competenza è il cuore della questione didattica, poiché mira a valorizzare ogni diversità e a rendere il sapere accessibile a tutti gli alunni presenti in classe, con BES con disabilità e non. C’è una scuola che lavora già in questa direzione e ci sono tanti professionisti (bersagliati e offesi dalle considerazioni dei così detti “intellettuali” che non entrano in un’aula scolastica da 40-50 anni ma che si ritengono “esperti” di scuola e inclusione scolastica) che coltivano quotidianamente la corresponsabilità, la partecipazione, l’appartenenza. 

Investiamo nel nostro presente, quindi, ossia in una scuola che sappia prendersi cura di ciascuno. Non accontentiamoci, non abituiamoci all’indifferenza che spesso ancora investe gli alunni e le alunne con maggiori difficoltà, perché ci riguarda tutti. Non rassegniamoci ad una scuola che seleziona “il merito” trascurando le unicità, tradizionalmente preoccupata di “riempire” in maniera nozionistica le teste dei nostri figli. Abbiamo bisogno di una urgente transizione sociale, finalmente inclusiva nel senso più essenziale del termine. Occorre proseguire con una riforma sostanziale dell’attuale sistema di welfare, oggi basato principalmente sul sistema di protezione e su un sistema per cui “altri” decidono sulle vite delle persone con disabilità e sui loro destini, verso un nuovo modello che sia realmente calibrato sul riconoscimento dei diritti umani, civili e sociali. Se non ora quando?di Francesca Palmas,
responsabile scuola dell’Associazione Bambini Cerebrolesi

Sportabilità

“Sportabilità” l’evento a Roma per parlare di scuola, sport e inclusione
SuperAbile INAIL del 22/01/2024

“Sportabilità”, a Roma l’evento per parlare di scuola, sport e inclusione con la partecipazione di Luca Pancalli e del ministro Andrea Abodi

ROMA. “L’unica parola che mi nasce dal profondo del cuore è grazie, perché ho vissuto questa mattinata come una rigenerazione. Per un dirigente sportivo come me, che ha tentato di dedicare gran parte della sua vita alla promozione delle politiche sportive che voi rappresentate, oggi è stato fondamentale capire le difficoltà portate avanti e assistere alla vostra opera. Mi dà la forza di andare avanti e significa che questo Paese può ancora cambiare grazie alla scuola pubblica. Grazie da genitore e cittadino a tutti gli insegnanti che si adoperano nel quotidiano. La scuola è l’avamposto di un sistema di democrazia che dobbiamo salvaguardare”. Così il presidente del Comitato italiano paralimpico, Luca Pancalli, in occasione dell’evento Sportabilità organizzato dall’I.I.S. Federico Caffè a Roma, culminato con la premiazione di alcuni studenti con disabilità impegnati nello sport.

 “Non faccio politica ma sono una persona disabile e penso che la comunità solo partendo dai più fragili può rendere il Paese più civile, più coeso e solidale e dargli la speranza di cambiare. A tanti studenti qui dico di non farvi rubare la speranza, per riprendere una celebre lezione citazione”, ha concluso Pancalli.

ABODI: “SCUOLA EDUCATA ED EDUCANTE CHE HA IL SUO PATRIMONIO NEL 5% DI STUDENTI CON DISABILITA’”
 “Aumentare le ore di educazione fisica a scuola è il cuore dell’attività che sto cercando di portare avanti. Quanto sarebbe bello se mettessimo da parte le polemiche e lavorassimo tutti insieme per una missione comune, mentre a volte emergono le differenze più che lo spirito di collaborazione. È un impegno che prendo anche a nome del mio collega dell’Istruzione, il ministro Valditara: migliorare la qualità e la quantità, perché avremmo bisogno di un’ora al giorno di educazione motoria e non di un’ora a settimana. L’impegno che prendo è colmare questa lacuna entro la fine della legislatura”. Lo ha dichiarato durante l’evento il ministro per lo Sport e I Giovani, Andrea Abodi.

 Interrogato dagli studenti, il ministro ha poi assicurato che arriveranno “nei prossimi mesi nuovi investimenti per le palestre scolastiche. Riusciremo a fare più di quanto è stato previsto nel Pnrr, che ha destinato a queste infrastrutture lo 0,14% delle risorse, ovvero 300 milioni di euro per tutta Italia”.

Riguardo all’appuntamento nell’istituto romano, Abodi ha aggiunto: “Entrare in una scuola è sempre molto bello e fa bene a chi come noi deve svolgere un ruolo così importante- ha aggiunto il ministro al termine di una mattinata che ha visto protagonisti gli studenti con disabilità impegnati nello sport- Ed è importante ascoltare, osservare, dobbiamo accorciare le distanze e andare incontro, stabilire e migliorare le relazioni. Qui siete molto avanti. Questa è una scuola educata ed educante che ha il suo patrimonio nel 5% di studenti con disabilità: loro hanno bisogno dell’insegnante di sostegno ma sono loro stessi insegnanti per tutti noi”. Per il ministro “l’impegno che prendo è che tutto quello che ho vissuto qui oggi mi aiuterà a non pensare alle difficoltà e alle incomprensioni, a rinnovare lo sforzo affinché il vostro esempio sia una possibilità per tutti. Perché l’esempio si alimenta con le buone pratiche”.Infine, sul tema della parità di genere, Abodi ha rinnovato “il mio impegno per proseguire” nel raggiungimento di questo obiettivo. “A livello di eccellenza agonistica è già stato raggiunto, mentre c’è ancora da fare nella base sociale”.

Tar Liguria: possibile bocciare anche gli alunni con bisogni educativi speciali

Tar Liguria: possibile bocciare anche gli alunni con bisogni educativi speciali
Il Sole 24 Ore del 21/01/2024

Le mancanze della scuola nell’attivare corsi di recupero non possono giustificare il passaggio alla classe successiva in presenza di un rendimento scolastico insufficiente

L’incompleta od omessa attivazione di corsi di recupero da parte dell’istituto di istruzione non può inficiare la legittimità del giudizio scolastico negativo che si basa esclusivamente sull’accertamento dell’insufficiente livello di preparazione dello studente.

E ciò – secondo il TAR Liguria sentenza 9 del 5 gennaio 2024 – vale anche per gli alunni con bisogni educativi speciali (BES). I genitori del minore avevano agito in giudizio per ottenere l’annullamento del provvedimento di non ammissione del figlio alla classe seconda del liceo scientifico sportivo; nonché la condanna dell’istituto scolastico al risarcimento dei danni.

A loro dire la scuola non aveva organizzato corsi di recupero né programmato prove per consentire allo studente di sanare le insufficienze. Il TAR ha chiarito che a differenza che per gli alunni DSA per i quali l’adozione del piano didattico personalizzato è obbligatoria, l’attivazione del PDP per gli altri studenti BES – anche in presenza di disturbo diagnosticato da un sanitario che non dia luogo a certificazione di DSA – è rimessa alla valutazione discrezionale del consiglio di classe nelle scuole secondarie o del team docenti nelle scuole primarie; sulla base della documentazione clinica presentata dalle famiglie e di considerazioni di carattere didattico e psicopedagogico. 
Va poi evidenziato che fatta eccezione per gli alunni disabili, la finalità degli strumenti apprestati dall’ordinamento è in ogni caso di agevolare il raggiungimento di obiettivi formativi e l’acquisizione di competenze non inferiori al livello minimo richiesto agli altri studenti, attraverso modalità che consentano di superare il deficit derivante dalla condizione di svantaggio. Per tale ragione le eventuali mancanze della scuola nella predisposizione e attuazione degli strumenti di ausilio dello studente con particolari carenze o difficoltà di apprendimento non possono giustificare il passaggio alla classe successiva in presenza di un rendimento scolastico insufficiente.

di Pietro Alessio Palumbo

Autismo e vista

Le alterazioni sensoriali nell’autismo: la vista
SuperAbile INAIL del 21/01/2024

Per molti bambini autistici il senso visivo è il più forte. La buona e cattiva notizia è che spesso questo senso, utilizzato per imparare e per orientarsi nel mondo (pensiero visivo), può essere il primo a diventare iperstimolato o “non ben indirizzato”. Quando parliamo di “ipersensibilità visiva” ci riferiamo al fatto che oggetti luminosi, luci o la presenza di troppi oggetti nel campo visivo possano creare distorsione e caos sensoriale. Quando invece parliamo di un senso “non ben indirizzato” ci riferiamo al fatto che il senso visivo spesso può essere anche semplicemente “disorganizzato” o diversamente orientato.

Aiutiamoci in questo concetto con l’uso delle illusioni ottiche. Nelle illusioni ottiche le operazioni di elaborazione del cervello combinano diversi stimoli trasformando un semplice schema di buio e luce in un’immagine completa. Il nostro cervello ha una tendenza innata organizzativa che quindi gli consente di fondere le figure e lo sfondo riuscendo, all’interno di una illusione ottica, ad estrapolarne una immagine completa. Nell’immagine con forme geometriche infatti il bambino autistico avrebbe grosse difficoltà nel distinguere la tridimensionalità della cosa per formulare l’immagine finale del triangolo bianco “che in realtà non esiste”.  

Il cervello autistico darebbe priorità alle sei diverse forme separate e delineate senza creare l’immagine finale del triangolo più luminoso. L’immagine finale è quindi completamente diversa. Quando concentriamo l’attenzione su un “un solo punto” delle immagini la realtà finale è completamente diversa: nei bambini nello spettro dell’autismo la minima variazione all’interno del campo visivo può spesso creare confusione e destabilizzazione. Per capire come questo sia possibile basta guardare la seconda illusione ottica. La stessa immagine se osservata concentrando l’attenzione su un particolare piuttosto che su un altro consente di vedere  una papera invece che un coniglio.  

Questo accade nella mente di una persona autistica: la modifica dei particolari spesso cambiano la totale visione dell’insieme.  

Avete già notato quanti SE e quanti MA si utilizzano quando si parla di autismo? Avete notato quante volte si sottolinea che questa cosa accade per alcuni ma non per altri? Eccoci: siamo solo all’inizio di quello che vuol dire SPETTRO dell’autismo. Come si può pretendere di aiutare o capire una realtà cosi complessa se non la si “segue a fondo”? Dai dai… forza e coraggio… imperterriti continuate a seguirci perché alla fine di questo meraviglioso viaggio dove tutto sembra impossibile scoprirete quanto meraviglioso recupero esiste! 

Info: scopriAMO l’autismo aps www.scopriamolautismo.it

La storia di Adam

La storia di Adam, il bambino palestinese con autismo a cui vengono negate le cure
SuperAbile INAIL del 20/01/2024

BETLEMME. “Adam non parla, è completamente muto. Sta chiuso dentro la sua stanza a Betlemme mentre le sue quattro sorelle giocano nel salotto. Dall’inizio della guerra è sempre a casa, o al massimo esce nel giardino di famiglia. Non si muove più in là del raggio di osservazione dei genitori”, si legge in un articolo. 

“Abbiamo sempre paura che scappi e che si metta in situazioni pericolose- ha raccontato il padre Hani, come riporta l’articolo- Abbiamo scoperto che era autistico quando aveva più o meno quattro anni. Lo dovevamo portare in un centro specializzato a Gerusalemme, avrebbe dovuto fare riabilitazione per 21 giorni ma per superare il checkpoint che da Betlemme porta a Gerusalemme per noi è necessario un permesso speciale”. 

E ancora: “Nel 2015 Hani, la moglie e il figlio Adam riescono, dopo una lunga trafila, ad ottenere il permesso. Il primo giorno superano il ‘checkpoint’ ma dal secondo giorno in poi diventa sempre più difficile accompagnare Adam a fare riabilitazione”. 

“Abbiamo avuto questi permessi di ingresso e il primo giorno è andata bene- ha raccontato Hani- abbiamo addirittura preso il pullman. Il giorno dopo però ci hanno fermato dicendo che noi non potevamo entrare. Adam invece sì. Io e mia moglie abbiamo il permesso come accompagnatori, saremmo dovuti andare con lui fino al centro di riabilitazione ma la soldatessa dal secondo giorno ha iniziato a vietarci il passaggio”. Improvvisamente i permessi di Hani e della moglie non si trovavano più. 

E riporta l’articolo: “Adam aveva 4 anni, nonostante la precocità dei bambini palestinesi che già dai primi anni d’età sono abituati a muoversi da soli, a vedere i soldati, i checkpoint e le armi, arrivare da solo a Gerusalemme non è possibile per un bambino di soli 4 anni, figuriamoci se completamente muto”.

 “Come si può pensare che un bambino di 4 anni che ha l’autismo possa andare da solo? Il soldato continuava a dirmi: ‘Il bambino può passare, voi no’. Un bambino che non parla. Un bambino di quattro anni, un bambino che ha un problema. Per me è stato un disastro. Ero disperato, era una cosa inaccettabile”.  

La situazione è andata avanti così per ventuno giorni. Adam ha perso tante lezioni del corso di riabilitazione che avrebbe dovuto fare. “Questo è stato l’episodio che più mi ha colpito, sono rimasto colpito profondamente”, continua il padre.

La speranza nella scuola di Betlemme, l’unica per bambini autistici nella città ma la guerra ha bloccato l’erogazione delle cure 

“Dopo più di due anni di attesa Adam- spiegano i media- ha iniziato una nuova scuola tesco-palestinese a Betlemme, l’unica per bimbi autistici in città, e una volta al mese ha cominciato delle cure da un medico specializzato poco fuori Ramallah. Sta nei territori del quarantotto e ha un ambulatorio che riceve i bambini con disabilità cognitive. Lavora sia con i bambini palestinesi che con quelli israeliani. Dall’inizio della guerra, però, è impossibile per Hani e suo figlio raggiungere i territori del ‘48, il che vuol dire che le cure mediche per Adam sono bloccate da più di tre mesi”. 

“Non vedo più nessun cambiamento- spiega nell’articolo amareggiato il padre- sono molto preoccupato, ho paura possa peggiorare ma soprattutto penso a quando noi non ci saremo più. Crescere un bambino autistico in Palestina vuol dire riuscire a fargli vedere il mondo che vediamo noi. Non possiamo permetterci che lui continui a stare nel suo, un mondo in cui i militari, l’occupazione, la guerra non esistono”. 

“Adam scappa spesso,- spiega ancora l’articolo- crede di poter fare delle cose, sono corrette dal suo punto di vista, ma in realtà lo mettono in pericolo. Anche perché vivendo sotto occupazione militare è un rischio pensare di poter fare tutto. Nel maggio del 2020 un ragazzo autistico palestinese, Lyad Hallaq, fu ucciso da un poliziotto israeliano nella città vecchia di Gerusalemme per non essersi fermato ad un controllo. Sul suo caso non è ancora stata fatta giustizia”. 

“Le difficoltà nell’aiutarlo sono enormi. Attualmente è difficile, non so se potremo continuare a fare le visite. Però posso dire con certezza che siamo staccati dal mondo reale. Con Adam non viviamo più una vita normale, ma una vita fatta di compromessi in cui cerchiamo di andare incontro al suo mondo e fare entrare lui nel nostro”, conclude Hani.