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Tecnologie digitali: come e quando utilizzarle

Tecnologie digitali: come e quando utilizzarle

di Umberto Tenuta

 

Uomini  non si nasce ma si diventa[1].

A questa consapevolezza si è giunti soprattutto nell’età moderna e contemporanea[2].

Tuttavia va preso atto che anche nelle epoche più remote il problema del processo attraverso il quale il figlio di donna diventa uomo si è posto come problema fondamentale che la famiglia e la società debbono assumersi, utilizzando le strategie più efficaci per raggiungere risultati ottimali[3].

In questa sede non intendiamo ripercorrere il cammino che ha portato alle attuali consapevolezze delle strategie da seguire per ottenere i risultati, non solo più elevati, ma anche e meglio rispondenti alle esigenze personali, sociali, politiche ed anche e economiche.

Invece, vogliamo soffermarci, anche se non a livello approfondito, sulle migliori strategie dell’apprendimento formativo[4], che oggi dovrebbero essere utilizzate in tutte le scuole, tenute ad assicurare a tutti i giovani i più alti livelli della loro integrale formazione della personalità nei suoi molteplici aspetti, da quello sociale a quello intellettivo, estetico, morale, civile, religioso ecc.

Evidentemente, la scuola dell’istruzione non basta più, ma forse non bastava nemmeno in passato.

Pertanto, oggi la scuola non può non impegnarsi al massimo, in continuità con l’azione formativa svolta dalle famiglie e dalle istituzioni sociali, civili, religiose ecc. che debbono integrare le loro azioni formative (sistema formativo integrato)[5].

In questa sede ci soffermiamo soprattutto sull’azione formativa che è chiamata a svolgere la scuola pubblica e privata per dare un contributo essenziale alla formazione integrale della personalità dei giovani che la frequentano.

Per assolvere questo compito la scuola non può non realizzare una sua profonda trasformazione da scuola dell’insegnare a scuola dell’apprendere[6].

Purtroppo, la scuola, salve limitate eccezioni, continua ad operare secondo una metodologia fondata sulla lezione dei docenti, cioè sull’insegnamento[7].

Questa impostazione non può continuare ad essere presente nella realtà nella quale oggi viviamo.

Occorre una a rivoluzione copernicana che veda studenti e docenti coprotagonisti dei processi di formazione dei singoli alunni.

Le aule scolastiche debbono trasformarsi in laboratori di apprendimento formativo[8] che vedano gli alunni e i docenti interagire nelle attività di apprendimento che i singoli alunni realizzano attraverso i processi di problem solving[9], in un contesto di cooperative learning[10].

Il modello rimane quello chiaramente delineato e sperimentato da Maria Montessori già un secolo fa[11].

In sintesi, i tavolinetti debbono essere raggruppati a due a due, a tre a tre e intorno ad essi debbono stare seduti tre/cinque alunni[12].

Sui tavolinetti debbono essere disponibili i materiali concreti, digitali, iconici e simbolici che gli alunni debbono utilizzare per riscoprire, reinventare, costruire i concetti, lavorando assieme, cioè cooperando, seppure con l’aiuto dei docenti che offrono indicazioni utili per le attività che gli alunni debbono svolgere con tali materiali ai fini della riscoperta dei concetti.

Come afferma il Piaget e ribadisce il Bruner[13], solo dopo aver operato con il proprio corpo (con le mani, con i piedi …), gli alunni possono operare a livello di immagini e poi di simboli degli oggetti o dei concetti.

È questo il punto cruciale della trasformazione che si richiede da tempo alla scuola: l’apprendimento iniziale di qualsiasi concetto deve cominciare dall’attività di manipolazione di oggetti concreti anziché dalle parole dei docenti o dalle immagini.

Si comincia dall’orbis rerum, il quale viene sostituito prima dall’orbis digitalis , poi dall’orbis rerum sensualium pictus[14] ed infine dall’orbis simbolicus[15].

Da Rousseau[16] al movimento delle Scuole attive (scuole nuove)[17] si è posta l’attenzione sull’importanza di tale momento delle attività di apprendimento e, quindi, di formazione delle capacità e degli atteggiamenti, oltre che di acquisizione delle conoscenze.

In un secondo momento, ma solo in un secondo momento, agli oggetti concreti possono essere sostituiti gli oggetti virtuali[18], cioè digitali quali oggi possono essere resi disponibili dai personal computer[19], anche nelle loro versioni più aggiornate dei notebock, dei tablet, degli smartphone.

Evidentemente, l’utilizzo degli strumenti didattici virtuali andrà incontro a  notevoli insuccessi ove essi non siano preceduti dall’utilizzazione di materiali concreti, almeno fino all’adolescenza, e quindi per tutta la scuola dell’obbligo. Anche nella scuola secondaria l’utilizzo di materiali digitali avrà pieno successo solo se gli alunni nella scuola dell’obbligo avranno utilizzato adeguato materiale concreto prima che digitale.

Pertanto, i materiali digitali dovranno innanzitutto essere costituiti dalla riproduzione di oggetti concreti in forma virtuale (digitale).

Ai fiori concreti da collocare nei portafiori a seconda del loro colore potranno seguire i fiori digitali che gli alunni dovranno collocare nei portafiori digitali (rappresentazione digitale).

Alla rappresentazione digitale potrà far seguito anche quella iconica, utilizzando anche qui, sia il disegno con le matite concrete, sia i disegni digitali.

Solo alla fine si utilizzano i relativi simboli.

E, pertanto, occorre evitare l’utilizzo delle tecnologie digitali all’inizio dei processi di apprendimento, in quanto le esperienze concrete, lo si ribadisce, non possono essere eliminate senza andare incontro agli insuccessi, che non dipendono dalle tecnologie digitali ma dall’improprio utilizzo che di essi viene effettuato dagli alunni, in sostituzione delle esperienze concrete che essi debbono necessariamente effettuare.

Al riguardo, doverosamente aggiungiamo che, ove non sia comunque possibile utilizzare le esperienze concrete, le esperienze effettuate dagli alunni con i software digitali che obbediscano agli standard SCORM risultano certamente utili e comunque da preferire sicuramente ai materiali iconici e assolutamente alla lezione verbale ed ai libri di testo.

Comunque, occorre tenere presente che questi ultimi cambiano la loro valenza didattica quando, anziché limitarsi a presentare in forma digitale il testo verbale, offrono applicazioni digitali che gli alunni possano utilizzare per effettuare appropriate esperienze digitali, sostitutive di quelle concrete.

Ma, su questa utilizzazione ci soffermeremo in una successiva nota, anche se in tanti saggi dello scrivente si trovano utili indicazioni al riguardo[20].

In conclusione, vorremmo sottolineare che le tecnologie digitali sono uno strumento estremamente utile se vengono utilizzate, non dagli insegnanti, come avviene prevalentemente con le LIM, ma dagli alunni per effettuare manipolazioni di oggetti virtuali.

 

Pertanto, non si tratta di dire sì o no alle tecnologie digitali, ma occorre precisare quale utilizzo di esse si vuole realizzare.

Tuttavia non sembra che su questo ci si stia soffermando abbastanza, per cui la querelle in ordine alle tecnologie digitali risulta estremamente equivoca.

 

Concludiamo, dicendo che noi siamo estremamente convinti dell’utilità delle tecnologie digitali e, quindi, le riteniamo, non solo necessarie, ma indispensabili, in una scuola che, ai fini dell’acquisizione delle conoscenze, ma soprattutto dell’acquisizione di capacità e di atteggiamenti, alla lezione del docente sostituisca le attività di ricerca/riscoperta/ reinvenzione/ ricostruzione dei concetti (problem solving nella forma del cooperative learning).



[1] Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agire… La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>[1].(KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27)

[2] In merito, è opportuno riandare alla Storia della Pedagogia ed agli sviluppi delle Scienze umane soprattutto nell’Età contemporanea.

[3]  <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche …si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>> (D.P.R. 8.3.1999, n.275−Art.1(Natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche).

[4] Definiamo come apprendimento formativo l’apprendimento che mira, non solo all’apprendimento dei saperi, ma anche alla formazione delle capacità (saper fare) e degli atteggiamenti (saper essere) (Umberto Tenuta). In merito  cfr.: Cresson, E., , Insegnare ad apprendere. Verso la società conoscitiva, Libro bianco su istruzione e formazione, Lussemburgo, Commissione Europea. 1995; TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in Rivista dell’istruzione, Maggio-li, Rimini, 1998, N. 5; TENUTA U., Verificare le conoscenze essenziali, ma soprattutto le capacità ed anche gli atteggiamenti, in Rivista dell’istruzione, Maggioli, Rimini, 2002, n. 4; TENUTA U., Atteggiamenti: non solo conoscenze, non solo capacità, Il Dirigente scolastico, ScuolaSNALS, Roma, gennaio 2002; TENUTA U., Conoscenze Capacità Atteggiamenti; TENUTA U., Obiettivi Formativi da Raggiungere; TENUTA U.,Obiettivi Formativi e Competenze; TENUTA U., Obiettivi Specifici di Apprendimento; TENUTA U., Obiettivi: come districarsi?; TENUTA U. , Atteggiamenti Capacità Conoscenze, nel sito http://www.edscuola.it/archivio/didattica/index.html

[5] In merito  cfr.:  Umberto Tenuta Sistema formativo integrato, in www.rivistadidattica.com  

[6] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, Insegnare ed apprendere, in www.rivistadidattica.com ed UMBERTO TENUTA, Lettera aperta al Ministro della Pubblica istruzione, in https://www.edscuola.eu/wordpress/?wpfb_dl=837

[7] In merito  cfr.: ed UMBERTO TENUTA, Lettera aperta al Ministro della Pubblica istruzione, in https://www.edscuola.eu/wordpress/?wpfb_dl=837

[8] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, Scuola e laboratori o scuolalaboratoriale, in www.rivistadidattica.com

[9] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNCKER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Pe la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuola, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

[10] In merito al Coperative learning, cfr. COMOGLIO M., Educare insegnando. Apprendere ad applicare il Cooperative learning, LAS, Roma, 1986; COMOGLIO M., CARDOSO M.A., Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative Learning, LAS, Roma, 1996; COMOGLIO M. (a cura di), Il Cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di animazione e formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1999; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura), I contesti sociali dell’apprendimento.Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995.

[11] In merito  cfr.:  MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000

[12] <<Dovrà essere abolito quasi completamente l’attuale metodo di insegnamento in classe dove l’insegnante pontifica, in posizione di potere centrale, e dovrà essere sostituito con lo studio individuale ed a piccoli gruppi, usando materiale concreto ed istruzioni scritte, con l’insegnante che agisce come guida e consigliere>> ( DIENES Z.P., Costruiamo la matematica, ED. O.S., FIRENZE, 1962, p. 27).

[13] Scriveva il Piaget: <<…la parola non serve a nulla… il disegno non basta ancora, è necessaria l’azione. L’intelligenza è un sistema di operazioni, la matematica è tutta un sistema di operazioni. L’operazione non è altro che azione: un ‘azione reale, ma interiorizzata, divenuta reversibile. Perché il bambino giunga a combinare delle operazioni, si tratti di operazioni numeriche o di operazioni spaziali, è necessario che abbia manipolato, è necessario che abbia agito, sperimentato non solo su disegni ma su un materiale reale, su oggetti fisici…” ( Piaget J., Avviamento al calcolo. La Nuova Italia, Firenze, 1956, p.

E aggiungeva il Bruner:: <<Se è vero che l’abituale decorso dello sviluppo intellettuale procede dalla rappresentazione attiva, attraverso quella iconica, alla rappresentazione sim-bolica della realtà, è probabile che la migliore progressione possibile seguirà la stessa direzione>> (BRUNER J. S., Dopo Dewey, Armando, Roma, 1964, p. 17).

[14] Libera interpretazione dell’Orbis (rerum) sensualium pictus di Comenio..

[15] In merito  cfr.: Cassirer E., Saggio sull’uomo, Armando, Roma, 1971.

[16] ROUSSEAU J.J., Emilio o dell’educazione, Mondadori, Milano, 1997.

[17] In merito  cfr.: ROMANINI L., Il movimento pedagogico all’estero (vol. I – Le idee; vol. II – Le esperienze), La Scuola, Brescia, 1955

[18] In merito  cfr.: Quarta rappresentazione (Virtuale) di Umberto Tenuta, in RIVISTA DIGITALE DELLA DIDATTICA:www.rivistadidattica.com

 

Tecnologie nuove

Tecnologie nuove

di Umberto Tenuta

Oggi si assiste ad un gran parlare di nuove tecnologie educative da utilizzare nella scuola, ma molto spesso se ne parla in astratto, prescindendo dall’uso che occorre farne, cosa che invece è di estrema rilevanza ai fini della loro scelta: occorre disporre delle tecnologie che meglio contribuiscono a raggiungere le finalità formative che la scuola deve perseguire, sia attraverso la sua gestione amministrativa, sia, e soprattutto, attraverso la sua azione didattica e formativa (o educativa che dir si voglia).

Anche per quanto riguarda la gestione della scuola dal punto di vista amministrativo, non si può prescindere dalle finalità che si vogliono perseguire. Se si vuole rendere più snella e più trasparente la gestione contabile e meramente amministrativa della scuola, i software digitali offrono strumenti più efficaci e più economici di quelli tradizionali.

Al riguardo, vorremmo precisare che, per quanto riguarda gli obblighi amministrativi dei docenti (registrazione delle assenze degli alunni, dei risultati delle valutazioni in itinere e finali, delle programmazioni annuali e trimestrali, dei piani formativi personalizzati dei singoli alunni), risultano estremamente evidenti i vantaggi offerti dalle tecnologie digitali (Word Processor, Fogli di calcolo, Database ecc.).

In particolare, è opportuno precisare che anche le attività programmatorie, le quali impegnano notevolmente i docenti nei tempi extrascolastici, possono essere effettuate in modo più efficace, oltre che più agevole ed economico con gli strumenti digitali.

Tuttavia, ora vogliamo prendere in particolare considerazione la vera e propria attività didattica dei docenti che forse meglio potremmo indicare come attività formativa.  

E, qui, risulta essenziale precisare quali sono le finalità che la scuola ha l’obbligo, ineludibile,  di perseguire, attraverso l’attività rivolta, non solo all’acquisizione di conoscenze, ma anche e soprattutto alla formazione di competenze e di atteggiamenti: sapere, saper fare, saper essere[1].

Al riguardo, occorre primariamente domandarsi se la scuola deve perseguire solo finalità di istruzione o anche, e soprattutto, finalità formative (educative).

Se, come noi siamo convinti, la scuola, e soprattutto la scuola dell’obbligo ovvero, e meglio , la scuola del diritto all’educazione deve perseguire finalità preminentemente formative (educative), allora occorre che tutte le attività che in essa si svolgono, e soprattutto quelle dei docenti, mirino alla piena formazione della personalità dei singoli alunni, e non soltanto all’acquisizione di conoscenze.

Al riguardo, occorre precisare che sono formative, non tanto le conoscenze di cui si viene in possesso, quanto le esperienze effettuate per acquisirle.

Come si è già detto, le finalità della scuola sono costituite dal sapere, dal saper fare e sopratutto dal saper essere, cioè dalle conoscenze, dalle competenze e dagli atteggiamenti.

Se la scuola, tutte le scuole, ma soprattutto la scuola dell’obbligo, deve perseguire finalità preminentemente formative, i docenti, anziché insegnare[2] ovvero fare lezioni (etimologicamente, leggere i libri di testo, dal latino lego, leggere), debbono organizzare situazioni di apprendimento che vedano gli studenti impegnati a riscoprire (reinventare)[3] le conoscenze e, attraverso tale impegno, a costruire le loro capacità (saper leggere, saper scrivere, saper comporre, saper contare, saper calcolare, sapere far ragionamenti logici, saper leggere e comprendere il passaggio geografico, saper comprendere gli eventi storici ecc.) ed i relativi atteggiamenti.

Pertanto, la scuola si trasforma, da aula per fare lezioni e banchi per stare seduti ad ascoltare, in laboratorio, nel quale gli alunni possono fare esperienze linguistiche, storiche, matematiche, geografiche ecc[4].

In tale prospettiva, gli strumenti didattici debbono essere utilizzati, anziché dai docenti per fare lezioni verbali −magari con l’ausilio delle lavagne di ardesia o di plastica, con il proiettore, le lim eccetera−, dagli alunni nel banco a due piazze di berlingueriana memoria[5] o, meglio, da gruppi di alunni seduti intorno a tavoli per effettuare esperienze con materiali concreti, virtuali, iconici e simbolici[6].

Per quanto riguarda tali attività, si rinvia ai saggi pubblicati dallo scrivente, in particolare nelle seguenti riviste digitali: www.edscuola.it/dida.html e www.rivistadidattica.com

In questa sede precisiamo che riteniamo un grande errore aver fornito e continuare a fornire le scuole delle lavagne interattive multimediali (LIM) e di personal computer per i docenti, anziché fornire i singoli alunni o gruppi di tre/quattro alunni di notebook[7] o, meglio, di tablet[8].

Se e vero che l’apprendimento si attua attraverso esperienze concrete, virtuali, iconiche, simboliche[9], non bastano i libri, ma occorrono anche e soprattutto gli strumenti concreti, virtuali iconici e simbolici.

In primis, vengono i materiali didattici concreti, da quelli comuni, non strutturati, a quelli strutturati.

Poi, ma solo poi, possono essere utilizzati quelli virtuali ed iconici, infine quelli simbolici[10].

Forse, l’errore che oggi si commette è quello di ritenere che nell’attività didattica la realtà virtuale[11] possa sostituire quella reale e che, quindi, le tecnologie digitali possano prescindere dal previo utilizzo delle tecnologie concrete, sostituendosi ai materiali concreti, strutturati e non strutturati (dalle cianfrusaglie agazziane[12] ai materiali strutturati della Montessori[13] ecc.).

In tal senso, nella scuola, soprattutto nella scuola dell’infanzia, della fanciullezza ed anche dell’adolescenza, debbono essere presenti innanzitutto i materiali concreti, poi quelli virtuali che li sostituiscano consentendo, a differenza dai materiali iconici, le stesse operazioni che si fanno con i materiali concreti.

Si obietterà che risulta estremamente oneroso fornire gli alunni di tali materiali.

Al riguardo, precisiamo che, se questa è la strategia più valida per consentire ai singoli alunni di realizzare la loro piena formazione, attraverso l’acquisizione delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti relativi alle singole dimensioni della loro personalità, allora non esistono alibi di alcuna natura, perché sarebbe come dire che, siccome la guarigione delle malattie risulta estremamente costosa, non si creano ospedali e case di cura.

Ma, forse, il costo di una scuola siffatta non differisce granché da quello di una scuola con aule dotate di banchi, cattedra, lavagne anche multimediali, cartelloni, libri di testo ecc.

Su tale problematica ci riserviamo di fornire, in un successivo saggio, alcune proposte che possono ridurre notevolmente le spese complessive per la scuola, senza che essa venga meno alle sue ineludibili  finalità formative, le quali, sia detto per inciso, nelle società primitive venivano perseguite nel contesto sociale, attraverso le esperienze che i giovani vivevano accanto agli adulti.

Si dirà che la situazione è cambiata in un contesto sociale come quello odierno, contrassegnato da saperi molto evoluti.

Ciò è vero, ma non bisogna mai dimenticare che il sapere, il saper fare ed il saper essere non possono essere trasmessi dai docenti, ma debbono essere acquisiti dagli studenti attraverso adeguate esperienze personali.

E questo, peraltro, vale soprattutto in una civiltà in rapida trasformazione qual è quella attuale[14].

In sostanza, riteniamo che l’utilizzazione delle nuove tecnologie digitali non può essere disattesa, sopratutto nella società contemporanea, nella quale si richiede a tutti i cittadini, e non solo ad una minoranza, come nella scuola estremamente selettiva del passato, un elevato livello di conoscenze e soprattutto di competenze e di atteggiamenti di carattere generale e specifico da parte di tutti i suoi studenti[15].

Pertanto, oggi la scuola deve far ricorso alle più aggiornate strategie di apprendimento, incentrando la sua attività, più che sulle lezioni dei docenti −che purtroppo ancora oggi, almeno in Italia, continuano a risultare preminenti− sulle attività di apprendimento degli alunni, da realizzare in forma di cooperative learning e di problem solving[16], cambiando finalmente la sua organizzazione.

Alle aule, che traggono la loro origine dalle cattedrali medievali, nelle quali il pontifix sta sulla cattedra e legge i testi sacri ai fedeli, seduti sui banchi a sei/otto posti che si ritrovavano nelle nostre aule scolastiche fino ai primi decenni del XX secolo, quando furono sostituiti dai banchi a due posti.

Purtroppo, le file dei banchi o tavolinetti a due  posti costituiscono ancora la più diffusa organizzazione delle scuole: gli insegnanti, seduti sulla cattedre, presentano i contenuti delle loro lezioni in forma orale, eventualmente integrandole con presentazioni grafiche sulle lavagne di ardesia o sulle LIM, mentre gli alunni restano seduti dietro i tavolinetti, a due a due, con obbligo di ascoltare in silenzio e di consolidare poi le lezioni sui libri di testo che molto spesso costituiscono l’unico sussidio didattico di cui gli alunni sono forniti, oltre agli eventuali appunti presi durante la lezione.

In un suo saggio, lo scrivente aveva auspicato che i docenti consentissero agli alunni di videoregistrare le lezioni, in modo da poterle rivedere  a casa, ma le esperienze in merito riguardano solo alcune scuole di secondo grado o università degli studi.

Certamente, le videoregistrazioni effettuate dalle scuole o dagli studenti potrebbero costituire un valido strumento di valutazione formativa delle scuole ed il Miur dovrebbe favorirle, magari con opportuni incentivi[17].

Il discorso pedagogico e didattico più aggiornato dimostra che l’attuale impostazione didattica, fondata sulle lezioni e sui libri di testo, consente solo ad una minoranza di studenti di raggiungere i livelli di formazione che si richiedono in una civiltà avanzata ed in rapida trasformazione, qual è quella contemporanea.

Tuttavia il rinnovamento dell’impostazione dell’azione educativo-didattica costituisce un impegno che non può essere disatteso, perché da esso dipende il benessere dei cittadini da tutti i punti di vista, da quello sociale a quello economico, da quello civile a quello personale.

Le tecnologie educative digitali, così come quelle concrete, comuni e strutturate, non possono non entrare nella scuola che la società globale richiede.

Ovviamente, quello che maggiormente importa è l’utilizzo che di esse occorre fare in un’attività educativa e didattica fondata prevalentemente sul lavoro di gruppo degli alunni impegnati in attività di ricerca/riscoperta/invenzione, che richiede materiali concreti, virtuali, iconici e simbolici, oggi presenti solo in alcune scuole di avanguardia, dalle quali la scuola italiana è abissalmente lontana, con gravi danni sul benessere dei cittadini, sulla vita sociale, civile e politica, nonché sull’economia..

Ma questo è un altro problema, peraltro non secondario, da affrontare adeguatamente da tutti i punti di vista, ove la scuola italiana non voglia continuare a rimanere inadeguata ai compiti formativi ai quali essa è chiamata a dare risposte adeguate, così come prevede l’art. 1 del D.P.R. 275/1999: <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>> (Art 1.2).

Viene da dire, col Sommo Poeta (Purgatorio, XVI): “le leggi son, ma chi pon mano ad esse”!



[1] In merito cfr.CRESSON, E., Insegnare ad apprendere. Verso la società conoscitiva, Libro bianco su istruzione e formazione, Lussemburgo, Commissione Europea. 1995; TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in Rivista dell’istruzione, Maggioli, Rimini, 1998, N. 5; TENUTA U., Verificare le conoscenze essenziali, ma soprattutto le capacità ed anche gli atteggiamenti, in Rivista dell’istruzione, Maggioli, Rimini, 2002, n. 4; TENUTA U., Atteggiamenti: non solo conoscenze, non solo capacità, Il Dirigente scolastico, ScuolaSNALS, Roma, gennaio 2002; TENUTA U., Conoscenze Capacità Atteggiamenti; TENUTA U., Obiettivi Formativi da raggiungere; TENUTA U.,Obiettivi Formativi e Competenze; TENUTA U., Obiettivi Specifici di apprendimento; TENUTA U., Obiettivi: come districarsi?,nel sito Http://www.edscuola.com/dida.html.

[2] In merito cfr.: UMBERTO TENUTA, Insegnare ed apprendere, in www.rivistadigitale.com: <<Lezione è sinonimo di insegnare, e l’insegnante¸ secondo l’etimologia, è colui che “incide, imprime dei segni (nella mente)”, in quanto la parola insegnare è composta da in- (intensivo) e da signare nel senso di “mostrare, spiegare”>>. Appare evidente il collegamento stretto di tali concetti con la psicologia empiristica che concepiva la mente dell’alunno come una tabula rasa, sulla quale l’insegnante andava a incidere i segni (in-signare). Oggi non v’è chi non veda che si tratta di una visione dell’insegnare completamente superata, nel momento in cui universalmente si riconosce che l’insegnante non può imprimere le conoscenze nella mente degli alunni, come pure si prevedeva nei Programmi didattici del 1867 (<<Il maestro si astenga dal dare dimostrazioni che in quella tenera età non sarebbero intese. Si limiti ad imprimer bene nelle menti degli scolari le definizioni e le regole>> www.edscuola.it/archivio/didattica/apprendimento). (vedi: LOMBARDI F.M., I Programmi per la scuola elementare dal 1850 al 1985, La Scuola, Brescia, 1987, pp. 49-50).

[3] Ibidem..

[4] Ibidem

[5] In  ItaliaOggi, N. 056  pag. 46, del 7/3/2000 | : <<Il ministro Berlinguer spinge per una forte informatizzazione degli istituti.C’è un banco a due piazze nel futuro delle tecno-aule Per lo studente italiano si affaccia l’era del banco a due piazze. L’idea, suggerita dal ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer nel corso di un convegno su ´L’Italia e il progetto e-Europe’, prevede la stretta interazione tra libro e tastiera, indissolubilmente legati fra loro […]>>.

[6] In merito  cfr.: UMBERTO TENUTA, Computer in ogni aula con i kit mobili, (http://www.edscuola.it/archivio/didattica/pcinaula.html )

[7] Ibidem

[8] Ibidem

[9] In merito cfr.: Sintesi didattica: dalle lezioni alle unità di apprendimento
di Umberto Tenuta , in www.rivistadidattica.com

[10] In merito cfr: Umberto Tenuta, Docente – analisi dell’ attività docente, in www.rivistadidattica.com

[11] Umberto Tenuta Quarta rappresentazione: rappresentazione virtuale (http://www.rivistadidattica.com/metodologia/metodologie_60.htm )

[12] In merito cfr.: AGAZZI R., Come intendo il museo didattico, La Scuola, Brescia, 1968.

[13] In merito  cfr.: MONTESSORI M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000

[14] In merito, cfr.: Kilpatrick W. H., Educazione per una civiltà in cammino, La Nuova Italia, Firenze, 1962.

[15] Riteniamo opportuno anche un cambiamento terminologico, sostituendo ai termini alunni o, peggio, scolari, il termine studenti. In merito, è appena il caso di precisare che la parola Studente deriva dalla parola studium che in latino significa anchepassione, desiderio, impulso interiore“. Al riguardo, F. Ferrarotti scrive: <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998).

[16] In merito al Cooperative learning cfr.: JOHNSON, D.W. ET AL., Apprendimento Cooperativo in Classe, Edizioni Erickson, Trento, 1997; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCHERMAGLIO C., Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola, NIS, Roma, 1991; PONTECORVO C. (a cura di), La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993; PONTECORVO C., AIELLO A.M., ZUCCERMAGLIO C., (a cura di), I contesti sociali dell’apprendimento. Acquisire co-noscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, 1995;. LIGORIO M.B., Apprendimento e collaborazione in ambienti di Realtà Virtuale. Teoria, metodi, tecniche ed esperienze, Garamond, Roma 2002

7 In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti- Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNC-KER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti- Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Per la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuo-la, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992

[17] In merito, però, siamo scettici, perché l’efficienza delle istituzioni scolastiche comporta degli impegni che difficilmente il MIUR riuscirà ad ottenere dagli operatori scolastici.

Condizionamento e Decondizionamento

Condizionamento e Decondizionamento

Riflessioni delle docenti Maria Rita Natella e Rosa Maria Cannavale

 

 Lo scorso 27 dicembre 2012 è stata emanata, dal Ministro Profumo della PI, la direttiva “Strumenti di intervento per gli alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, un documento particolarmente interessante che parla di inclusione scolastica e di realizzazione del diritto all’apprendimento per tutti gli alunni, soprattutto per quelli in situazione di difficoltà.

Tra gli aspetti innovativi della direttiva si evidenzia il concetto di Bisogni Educativi Speciali (BES), che si basa su una visione globale della persona con riferimento al modello ICF della classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute (International Classification of Functioning, disability and health), fondata sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2002).

Rientrano nella più ampia definizione di BES tre grandi sotto-categorie:quella della disabilità; dei disturbi evolutivi specifici e dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale.

Le Norme primarie di riferimento per tutte le iniziative che la scuola ha finora intrapreso sono state moltissime, dalla legge 104/1992 per la disabilità, alla legge 170/2010 e successive integrazioni, per gli alunni con DSA, e sul tema della personalizzazione con la L. 53/2003.

Tutte si rifanno alla “nostra amata” Costituzione e ai suoi articoli, così ben studiati dai nostri padri costituenti:

  • art. 2: … riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’ uomo… ;
  • art. 3: … dare pari dignità sociale … senza distinzione di sesso …condizioni personali e sociali;
  • art. 4: … riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro (Quindi sistema scolastico diversificato);
  • art. 30: E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli …..
  • art.31: … agevolare con misure economiche ed altre provvidenze le famiglie, soprattutto quelle numerose, nell’adempimento dei propri doveri verso i figli.
  • art. 34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni,  è obbligatoria e gratuita (diritto allo studio).
  • art.38: … diritto di educazione mantenimento e assistenza per inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere …..

E, si potrebbe ancora continuare.

Sono norme e principi che ripetiamo da circa 2000 anni, quando già Marco Fabio Quintiliano, nato intorno al 35 D.C. a Calagurris (oggi Calahorra), ne ha parlato nella sua imponente opera l’ “Istitutio Oratoria“, nella quale si proponeva di educare il perfetto oratore già dalla primissima infanzia. Fu il retore più importante della sua epoca, ma non solo. Forte della sua esperienza di insegnante, in tarda età compose l’opera che é divisa in dodici libri, nel primo e secondo si parla di pedagogia, di grande pedagogia.

La sua attività di insegnante riscosse grande successo (Ebbe fra i suoi discepoli Plinio il Giovane e forse anche Tacito), tanto che nel 78 Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale con uno stipendio di centomila sesterzi annui. Quindi fu il primo professore la cui cattedra fosse pagata dallo Stato. Domiziano lo incaricò dell’educazione dei suoi nipoti.

Perchè la sua opera è di grande interesse, ancora oggi così attuale e nel leggerla ha attirato la nostra attenzione? Proprio perché, nella sua attenta e amorevole osservazione del comportamento dei bambini, è il primo trattato di pedagogia della storia.

“….Si deve avere la massima cura per la formazione dei bambini, che sono tutti, per la stessa natura, portati a imparare e usare il pensiero. Poiché la prima età è estremamente duttile rispetto a ciò che le viene proposto, bisogna evitare che le persone con cui il bambino si relaziona possano trasmettergli insegnamenti sbagliati, che sarebbero difficili da correggere in seguito. Per questo è bene che le nutrici, i genitori e i paedagogi (schiavi greci che svolgevano il ruolo di maestri nell’ambito domestico) − parola, che letteralmente significa  “guida dei fanciulli“−, siano non solo irreprensibili, ma anche il più possibile colti e corretti, anche nel linguaggio1.

E inoltre Quintiliano, nella sua somma esperienza e saggezza, quale grande precursore della Pedagogia come scienza, afferma che: il “maestro” deve imparare a conoscere la psicologia di ogni alunno, non deve infliggere assolutamente punizioni fisiche o psicologiche, deve adattarsi a tutti gli allievi studiando per loro i metodi d’insegnamento più idonei alle singole caratteristiche: solo in questo modo tutti possono apprendere secondo le loro possibilità.

Egli ritiene il gioco, non una perdita di tempo da proibire o limitare, ma un’occasione per apprendere precetti utili in modo piacevole; mostra di considerare l’infanzia un’età particolarmente disposta all’apprendimento2.

E ancora: ” Il maestro di scuola deve sentire nei confronti dei suoi alunni la stessa responsabilità dei genitori che glieli hanno affidati. Il suo atteggiamento dovrà essere equilibrato e propositivo,coniugando autorevolezza e simpatia. Il maestro deve avere due grandi amori, lo studio e i ragazzi, e quindi è felice quando questi due amori si incontrano. Di conseguenza deve evitare più di ogni altra cosa che il ragazzo odi lo studio(par.6taedium laboris) 3

Riassumendo, Quintiliano giustifica la sua insistenza sul modello di perfezione a cui deve tendere tutto l’ambiente umano che circonda il fanciullo dicendo che formare un oratore è impegnativo e difficile( res ardua).

Una squisita opera di grande pedagogia scritta, ripetiamo, circa duemila anni fa, ma ancora così attuale.

Non ci sono più le nutrici, i paedagogi o il grammaticus, ma la scuola, scuola pubblica o privata ma pur sempre scuola.

Quindi, là dove l’ambiente umano che circonda il fanciullo non è un modello di perfezione e lo condiziona negativamente nel suo apprendimento, la scuola deve intervenire. la scuola che ha l’obbligo di organizzarsi come “Ambiente Educativo e di Apprendimento” un ambiente, cioè, che deve costituirsi come fonte di stimoli positivi.

La scuola non può ignorare, ma deve farsi carico, dello “scarso apprendimento” di tutti quegli alunni che, pur frequentandola, non traggono beneficio dagli stimoli educativi offerti dall’ambiente scolastico e quindi non riescono a raggiungere un’eguaglianza di risultati. Per gli alunni con difficoltà di apprendimento non basta essere immessi, a partire dall’età dell’obbligo, nell’ambiente scolastico, in quanto il loro processo di apprendimento, come per tutti i bambini, inizia sin dalla nascita. I bambini arrivano a scuola già con un bagaglio di esperienza che ha condizionato lo sviluppo, esperienze che potranno ostacolare o facilitare l’azione formativa che la scuola si prefigge di svolgere.

L’opera di G.Petracchi, Decondizionamento4, presenta una panoramica abbastanza esaustiva del problema dei condizionamenti ed affronta il delicato problema del “DECONDIZIONAMENTO” scolastico per garantire agli alunni in difficoltà di apprendimento il raggiungimento della piena formazione della loro personalità.

Ma cosa intendiamo per condizionamento e decondizionamento?

Il decondizionamento è “l’intenzionale intervento finalizzato alla rimozione di ogni forma d’influsso che l’ambiente, largamente inteso, va esercitando sull’individuo, condizionandone o limitandone lo sviluppo”.

Il condizionamento, come tutti sappiamo, è costituito dall’azione di fattori interni ed esterni che influenzano il processo formativo, ed è costituito dall’azione di tutti i fattori, interni al soggetto o esterni ad esso, derivati dall’ambiente, che influiscono sul processo di apprendimento e sullo sviluppo della personalità di un soggetto nel corso dell’età evolutiva.

Esso può essere positivo e negativo: l’educazione, ad esempio, come azione intenzionale e sistematica attuata dalla scuola, è senz’altro un’opera di condizionamento positivo. Quindi il processo di apprendimento è un processo condizionato dai tipi di stimoli ricevuti, cioè dall’ambiente da cui gli stimoli provengono, e l’apprendimento raggiungerà livelli più o meno elevati in relazione agli stimoli ambientali.

Su questo problema si è accesa la controversia tra genetisti e ambientalisti.

Per gli ambientalisti è la classe sociale di appartenenza a costituire il fattore determinante non solo del destino scolastico ma anche del complesso dei modelli di comportamento.

Per i genetisti la classe sociale e le razze hanno presupposti genetici diversi che renderebbero del tutto vano l’impegno di un’educazione compensativa, diretta a colmare nel soggetto, il suo stato di deprivazione culturale.

Mediando le posizioni di entrambi, si può dire che ogni individuo ha la sua natura personale ed originale e che le influenze dell’ambiente naturale ed umano incidono nello sviluppo e nelle strutture mentali.

A partire dagli anni ’60, negli Stati democratici furono impegnate ingenti somme per permettere a tutti i fanciulli di frequentare la scuola, e questo per assicurare a tutti pari opportunità. Si rimase sorpresi nel constatare che una gran parte di alunni non raggiungeva gli stessi risultati formativi, ma presentava grosse difficoltà nell’apprendimento. Gli Stati Uniti, per primi, mostrarono sensibilità al problema e cercarono di risolverlo avviando un’inchiesta su oltre 4000 scuole che coinvolse oltre 60.000 bambini e si concluse con il famoso RAPPORTO COLEMAN.

Si capì che le cause del fallimento di alcuni studenti non sono da attribuire tanto alla sua volontà o alla inadeguatezza della scuola, ma vanno ricercate nell’ambiente sociale di appartenenza del ragazzo.

Queste conclusioni diedero il via ad una serie di programmi di interventi compensativi denominati “HEAD- START”. Programmi di educazione compensativa da attuarsi in età prescolastica che avevano l’obbiettivo di offrire stimoli intellettuali ed emotivi che motivassero i bambini appartenenti a famiglie culturalmente, socialmente ed economicamente deprivate, in modo da colmare gli svantaggi culturali. Il fallimento di questo programma fece capire che l’educazione compensativa non ha effetti risolutivi nei riguardi dello svantaggio, perché anche se questi bambini all’atto dell’ingresso nella scuola primaria presentavano una migliore attitudine iniziale questo si esauriva e scompariva del tutto in due o tre anni. Inoltre il persistere degli svantaggi si presenta come un ostacolo alla realizzazione dell’eguaglianza educativa perché nella scuola dell’obbligo ha luogo il fenomeno del “deficit cumulativo” (il bambino appartenente ad una classe sociale disagiata rimane via via più indietro).

Ciò avvalora la tesi degli ambientalisti, cioè che l’ambiente familiare e sociale sono forze che non possono essere sconfitte dalle iniziative di decondizionamento della scuola.

È, quindi, indispensabile una radicale riforma della struttura del sistema sociale: riforma che elimini la povertà, la scarsa acculturazione e l’emarginazione sociale, che sono le cause dello svantaggio culturale.

I genetisti, a loro volta, interpretano questo fallimento dell’educazione compensativa come naturale conseguenza delle differenze ereditarie. Secondo loro esiste un condizionamento naturale e non sociale e quindi la scuola deve solo prendere atto delle potenzialità innate del singolo.

Poi fu avviata un’analisi per stabilire quali fossero i fattori negativi dell’ambiente socio-culturale e ne furono messi in evidenza tre:

  1. Povertà economic: – dell’alimentazione; – del tenore di vita; – delle abitazioni;
  2. Povertà culturale: – scarsità di stimoli; – scarsità di interessi culturali; – codice ristretto ( povertà di linguaggio).
  3. 3.      Povertà dei rapporti sociali: – chiusura nel proprio ambiente; – riluttanza ad aprirsi.

Successivamente ci si rese conto che anche i bambini che non provenivano da ambienti culturalmente ed economicamente deprivati presentavano difficoltà di apprendimento e si ipotizzò che le cause fossero dovute a” fattori affettivi”.

Lo sviluppo intellettuale del bambino ha bisogno di un’atmosfera affettiva che sovente in famiglie numerose o indigenti viene meno.

L’inadeguatezza di questo ambiente riduce fortemente la possibilità di instaurazione di quella fiducia di base che è indispensabile ad uno sviluppo equilibrato della personalità.

I soggetti che soffrono di tali carenze sono apatici, scarsamente motivati, difficilmente propensi a socializzare.

Altro fattore che condiziona e aggrava la già difficile situazione degli svantaggiati è, paradossalmente, proprio la scuola. Il criterio dell’uguaglianza delle opportunità educative avrebbe senso se i soggetti pervenissero alla scuola portando doti ereditarie e capacità acquisite diffuse omogeneamente in ciascuno. Quindi ad una sostanziale uguaglianza di partenza corrisponde una uguaglianza di opportunità. Ma a scuola giungono soggetti con caratteristiche profondamente diverse, che non sempre si riesce a cogliere, e qui, io credo, che si trova la radice dei meccanismi di discriminazione e selezione.

Come sappiamo, una delle forme più conosciute di selezione è la bocciatura che ha un duplice effetto sugli alunni:

  1. li stigmatizza come inadatti ed incapaci di seguire gli studi;

  2. li costringe ad entrare in una nuova classe dove i compagni tendono a rifiutarli.

Spesso, poi, la scuola modella il suo sistema di valori su quello delle classi medio-alte, per cui costringe, seppur involontariamente, i ragazzi delle altre classi ad adattarsi a quei valori, pena l’insuccesso scolastico.

Il successo scolastico di un soggetto di classe inferiore è un successo pagato a caro prezzo della perdita della cultura originaria, venendo assimilato nella classe media. A volte nella scuola si valorizzano i comportamenti, le capacità, le aspirazioni degli alunni provenienti dai ceti sociali simili a quelli degli insegnanti che spesso non gradiscono, seppur in maniera inconscia, lavorare con alunni di classi sociali inferiori o del sottoproletariato. Per questo si addebita ai docenti la mancanza di neutralità nei confronti di alunni diversi per estrazione socio-culturale.

Vi sono forme di discriminazione anche meno visibili da riferire al comportamento degli insegnanti, si parla, infatti, di “selezione occulta” 5, cioè quando, all’interno della classe, ha luogo una precisa stratificazione, all’apparenza meritocratica. L’insegnante che rimprovera allo svantaggiato la mancanza di buona volontà, non si pone il problema delle cause che producono il ridotto rendimento. C’è poi il così detto “effetto Pigmalione” 6 , cioè il fallimento di questi alunni è dovuto anche al livello di aspettative che l’insegnante ha nei loro confronti, e “l’effetto alone” 7 cioè la prima impressione del maestro, la quale determina, in parte, le sue considerazioni successive sull’alunno.

Spesso nell’istituzione scolastica si aiuta e si privilegia chi naturalmente è già nelle condizioni di riuscire e si scoraggia chi parte da posizioni di svantaggio, allargando a forbice le differenze iniziali.

Cosa fare allora per poter, se non risolvere, almeno avviare un miglioramento?

Ricordandoci che lo scopo del decondizionamento è dare all’individuo il modo di realizzare, sia nella scuola sia nel mondo del lavoro, tutte le potenzialità del suo essere, credo che spetta già alla scuola dell’Infanzia dare l’avvio all’opera di decondizionamento esercitando una funzione di compensazione ed un’azione di rimedio perché, se è vero che gli alunni delle classi più sfortunate possono restare confinati a livelli inferiori, è anche vero che queste differenze in giovane età non sono ancora cristallizzate, quindi un’educazione opportuna può modificare radicalmente i processi di pensiero e la competenza linguistica.

È necessario offrire ai bambini culturalmente svantaggiati un ambiente ricco di stimoli ed un’istruzione intensiva (qualità e quantità di contenuti) per rendere effettiva la possibilità di recupero.

Sappiamo bene che le carenze di cui soffrono i bambini svantaggiati riguardano l’apprendimento e non la capacità di apprendere: perciò è bene che la scuola dia un’istruzione intensiva già nella scuola dell’Infanzia.

Sono già attuati, ma, a nostro avviso, si potrebbero migliorare, alcuni criteri organizzativi quali:

  • la flessibilità nei programmi, nei metodi e negli ordinamenti, il che significa utilizzare interessi e curiosità degli alunni;
  • ridurre la convinzione che la disciplina di studio ha un ambito circoscritto;
  • assumere, da parte dei docenti, un ruolo più di consigliere, guida, stimolatore, animatore che di puro trasmettitore e didatta;
  • la scuola a tempo pieno che può gettare le basi dell’effettiva realizzazione dell’eguaglianza educativa se organizzata con laboratori, classi aperte, lavori di gruppo, circle time, cooperative learning, mastery learning, metodo didattico euristico e sperimentale, personalizzazione, role playing;
  • per la durata della frequenza scolastica il bambino riduce i tempi di permanenza nell’ambiente di appartenenza e perciò si può sottrarre al condizionamento negativo del suo ambiente.

È chiaro che all’interno di una società stratificata va combattuta la battaglia del diritto allo studio e quindi si rende necessario l’intervento assistenziale che deve essere attento, vigile ed efficace ed avere la totale, piena ed attiva collaborazione della scuola.

In modo specifico, per attuare, nella scuola, un decondizionamento che risulti efficace si devono individuare tre ordini di svantaggio:

  1. svantaggi cognitivi
  • inferiorità percettiva;
  • inferiorità nella capacità di concentrazione dell’attenzione;
  • necessità di attenersi a cose concrete;
  • rallentato sviluppo delle capacità di induzione e deduzione;

2. svantaggi del linguaggio

  • carenza del patrimonio lessicale;
  • scarsa capacità di uso della sintassi nella strutturazione della frase;
  • frasi brevi, grammaticalmente semplici e poco corrette;
  • uso limitato di aggettivi e verbi;
  • quindi un così detto codice ristretto;

3. svantaggi non cognitivi

  • che appartengono al comportamento. Infatti  la vita disordinata dei quartieri poveri non favorisce lo sviluppo di quei controlli interiorizzati che mantengono il bambino impegnato in un compito per lunghi periodi di tempo. Sono soggetti che, come ben sappiano noi docenti, mal si adattano alla disciplina e all’ordine.

Occorre attuare, quindi, dei principi didattici personalizzati che si prefiggano di adeguare gli interventi educativi a ciascuno degli alunni, tenendo conto delle reali condizioni iniziali di partenza, dei ritmi, dei tempi e dei modi di apprendimento di ciascuno.

Cose che moltissimi docenti fanno già, ma che bisognerebbe fare con più convinzione perchè altrimenti non si spiega il perdurare se non l’aggravarsi di tali situazioni.

Una delle condizioni di deprivazione è, come abbiamo visto, la povertà del linguaggio. Quindi, per i soggetti deprivati, occorrono molteplici opportunità per parlare sia con gli insegnanti sia con i compagni di diverse estrazioni sociali:

  • Il dialogo deve diventare un criterio didattico fondamentale; occore ricercare, inoltre, tutte le occasioni che possono fornire la partecipazione alla vita della scuola.
  • L’alunno che partecipa, non solo avrà modo di esprimersi ma anche di maturare nuove capacità ed abilità.
  • La Scuola deve inoltre motivare nel bambino curiosità e osservazione che facciano intuire all’alunno svantaggiato che le motivazioni che la scuola vuole accendere per l’apprendimento puntano non tanto sul rendimento e quindi sul risultato scolastico, quanto sull’accrescimento e sull’espansione della sua personalità.

Quindi, per concludere, la nostra riflessione, se l’apprendimento è un processo condizionato dall’ambiente naturale, sociale e familiare di appartenenza dell’individuo, come già detto da Quintiliano 2000 anni fa, ma anche dalla sua natura personale ed originale. Spetta  soprattutto alla SCUOLA e alle altre  istituzioni, con tutti i suoi principali attori, l’azione efficace e mirata di decondizionare per garantire, come già detto in precedenza, anche agli alunni in difficoltà il raggiungimento della piena formazione della loro personalità.

 

Bibliografia

1. Istitutio Oratoria di Marco Fabio Quintiliano, 1,1,1-11.

  1. Idem, 1,1,12-23.

  2. Idem, 2,2,4-13.

  3. Petracchi G ., Decondizionamento, La Scuola, Brescia 1976.

  4. Giovannini M.L., Le ricerche di Mario Gattullo sulla selezione nella scuola dell’obbligo, in Morgagni, E. (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica, pp 113-131, Roma, Carocci, 1998.

  5. E. Bacciaglia e N. Cuomo, Le buone prassi tra il dichiarato e l’agito” 2005.Aemocon Emozioni di Conoscere, Bologna;

  6. Luigi Cancrini, Bambini diversi a Scuola, Boringhieri ’74.

Musica nel nuovo curricolo della Scuola primaria

Musica nel nuovo curricolo della Scuola primaria

di Maria Rita Natella e Rosa Maria Cannavale  

Dando uno sguardo ai programmi scolastici del passato l’insegnamento della musica (facoltativo) fu ammesso nel 1861 con un Decreto del Ministro Francesco De Sanctis.

Nel 1888 nei programmi di Gabelli, solo nelle istruzioni generali, e non nei programmi veri e propri, si sosteneva la necessità che la musica entrasse nelle scuole, non tanto per una funzione ricreativa ma anche formativa.

Con la riforma Gentile (1923) sembrava che la musica entrasse finalmente in maniera organica nella scuola, ma fu una illusione, in quanto i programmi del L. Radice non vennero attuati completamente perchè non erano molti gli insegnanti in grado di farlo. A lui però va il merito di considerare questa materia nella sua funzione educativa.

Per anni, quindi la musica è stata considerata quasi la “Cenerentola” della scuola, estranea al complesso ed allo spirito degli altri insegnamenti.

Soltanto due educatori italiani, Maria Montessori e Rosa Agazzi ne hanno realmente compreso l’importanza nell’educazione del fanciullo.

Notevole interesse pedagogico-didattico sono le serie di campanelli con i  suoni corrispondenti alla scala diatonica collocati su un supporto a forma di scala ascendente e discendente, sul quale il bambino deve saper ordinare in corrispondenza  dei 7 gradini in salita e in discesa i rispettivi suoni secondo l’altezza cioè dal più acuto al più grave e viceversa. Al primo grado della scala corrisponde il do, al secondo il re, ecc….. .

Da questo esercizio il bambino può trarre grandi vantaggi per l’ educazione all’orecchio, la comprensione, la discriminazione e l’interiorizzazione dei suoni e degli intervalli più elementari.

Secondo la formulazione dei programmi del ’55 il rapporto del fanciullo con la musica doveva essere di tipo estetico ,sentimentale, emotivo, ma l’invadenza della riproduzione elettronica(disco, cassette, compact disk) ha cambiato il “paesaggio sonoro” facendo della musica un fattore onnipresente nella nostra cultura.

E’ evidente che i programmi si siano dovuti adeguare e abbiano dovuto conferire al mondo musicale un’ importanza  maggiore che nel passato.

La radicale trasformazione in senso pedagogico dell’insegnamento della musica e del canto avviene nel 1962 con la legge istitutiva della scuola media dell’obbligo che parlava di Ed.musicale che deve “….suscitare nell’alunno l’amore verso l’arte dei suoni, intesa anch’essa come forma del linguaggio e dell’espressione”.

Dewyer1 afferma, infatti, che la musica è un linguaggio e in quanto tale può venire utilizzata pedagogicamente.

Trattandosi di un linguaggio universale capace di esprimere particolari sensazioni e stati d’animo, la musica può assumere grande valore anche per aiutare i bambini diversamente abili. La musicoterapia, infatti, attraverso l’ascolto opportunamente scelto, aiuta il bambino ad orientarsi nello spazio, a concentrarsi e a reagire alle stimolazioni emotive.

Il linguaggio musicale è quindi una possibilità comunicativa particolare dell’alfabetizzazione culturale. Esso presenta un suo codice, si parla, infatti ,di “inciso” a proposito dei brani della frase musicale come si parla di inciso o preposizioni incidentali della lingua. Per continuare, anche la musica ha la sua grammatica: le scale, le tonalità, le modalità, le progressioni ecc…. .

Come avviene per tutte le discipline, anche per la musica ogni scuola dovrebbe mettere a disposizione degli allievi un minimo di strumenti, quali: un  pianoforte, una chitarra, uno xilofono, e ancora tamburelli, maracas, legnetti, triangolini ecc…. .

Strumenti necessari per la riproduzione della musica (radio-registratori,computer) oggi   si rendono indispensabili per una proficua lezione.

Dato il grande contributo che l’educazione musicale rende allo sviluppo armonico psico-fisico dell’individuo e all’arricchimento della sua personalità già dalla scuola dell’infanzia si deve dare molto spazio a quest’educazione.

Oltre che al canto corale bisogna finalizzare l’ascolto, la ritmica, l’improvvisazione, l’esecuzione e cercare di farlo non in senso nozionistico e specialistico ma riducendo al minimo indispensabile i tecnicismi dando, invece, libero sfogo all’inventiva del bambino.

In Musica, i traguardi per lo sviluppo delle competenze della scuola primaria, come previsto dall’ articolo 1, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.89,  prevedono che:

  • · L’alunno esplora, discrimina ed elabora eventi sonori dal punto di vista qualitativo, spaziale e in riferimento alla loro fonte.
  • · Esplora diverse possibilità espressive della voce, di oggetti sonori e strumenti musicali, imparando ad ascoltare se stesso e gli altri; fa uso di forme analogiche e codificate.
  • · Articola combinazioni timbriche, ritmiche e melodiche, applicando schemi elementari; le esegue con la voce, il corpo e gli strumenti, ivi compresi quelli della tecnologia informatica.
  • · Improvvisa liberamente e in modo creativo, imparando gradualmente a dominare tecniche e materiali, suoni e silenzi.
  • · Esegue, da solo e in gruppo, semplici brani vocali o strumentali, appartenenti a generi e culture differenti, utilizzando anche strumenti didattici e auto-costruiti.
  • · Riconosce gli elementi costitutivi di un semplice brano musicale, utilizzandoli nella pratica.
  • · Ascolta, interpreta e descrive brani di diverso genere.

 

Il programma di Musica della Scuola Primaria si articola, quindi, su una sequenza che può essere definita

“percezione, comprensione, produzione”.

  • La percezione(ascolto)e la comprensione è chiaro che assumono un ruolo fondamentale.

Ascoltare e comprendere per la Musica sono sinonimi; l’ascolto guidato mette in atto le operazioni dell’intelletto che si esercita ad “attendere, cogliere, rapportare tra loro i vari elementi”.

La comprensione, entro la quale viene a collocarsi anche la capacità d’intendere il linguaggio musicale, è un fatto d’intelligenza, il risultato della combinazione di più fattori mentali.

Ci sarà un primo momento in cui l’attenzione e l’ascolto vengono diretti a discriminare, isolare,  i suoni prodotti nell’ambiente (il suono di una sirena, il rumore di una macchina, il gocciolio di una gronda, il passo di una persona, una canzone che si diffonde nell’aria…..)e un secondo momento in cui l’alunno impara a metterli in ordine e a riprodurli in sequenze, a raggrupparli in base al ritmo, alla durata e all’intensità.

Si farà poi rilevare la differenza dei timbri che, vari suoni, ricavabili percuotendo il legno, il vetro, il metallo, possono avere.

Solo in un secondo momento si  passerà all’ascolto di tutti i vari tipi della produzione musicale(classica, moderna, rock, jazz, afro-americana ecc…) si faranno notare loro le differenze e i vari stili che lo porteranno a conoscere e quindi ad avvicinarlo alla storia e alle tradizioni di altri paesi.

L’insegnante deve scegliere i brani da proporre all’ascolto cercando di rispondere ai bisogni del momento evolutivo vissuto dal discente, deve assicurare una notevole varietà di spunti interessanti (storici, geografici, religiosi, poetici, linguistici) anche per un utile collaborazione interdisciplinare.

Importante è inoltre, a mio avviso, raccontare aneddoti e curiosità che sono il mezzo per far scoccare la scintilla dell’attenzione, per mettere nel necessario stato di attesa l’intera classe.

Di grande importanza è anche l’educazione ritmica.

Già nell’antica  Grecia che considerava il ritmo “ordine del movimento”(dell’io  e del cosmo Platone)viene riconosciuto al ritmo la capacità di influire sul morale, di modificare le sensazioni, di provocare in noi dei movimenti regolari. L’educazione ritmica contribuisce a chiarire nella mente del discente il nesso tra il tempo e l’azione, a risvegliare in lui la “ricettività” che sarebbe  difficilmente raggiungibile con altri mezzi didattici.

Da non sottovalutare anche l’improvvisazione poiché rende il bambino protagonista dell’atto formativo e attivizza il processo educativo.

E’ chiaro che va intesa come il “com-porre”, cioè porre insieme, da parte dell’alunno, secondo il proprio gusto, i suoni e i ritmi appena conosciuti, così come analogamente può fare lo scolaro di prima elementare quando, per la prima volta, timidamente e semmai ortograficamente poco corretti, esprime i suoi primi ed originali pensierini.

Ogni alunno è in grado di improvvisare una melodia con l’aiuto di semplici strumenti, oppure di creare e riprodurre dal nulla uno schema ritmico.

L’importanza di questa esercitazione didattica sta nella possibilità di evidenziare nella mente dell’allievo le sue capacità espressive in un linguaggio universale e di imparare a trarre da sé il frutto originale della sua creatività.

Ricordiamoci che la scuola dell’obbligo non deve educare “alla musica” bensì “con la musica”. Ciò vuol dire che il fine di questo insegnamento non esclude la possibilità di formare anche qualche musicista, ma in primo luogo mira, sostanzialmente, alla formazione della persona umana.

  • Il momento della produzione è organizzato attorno alla voce, agli strumenti musicali e alla notazione musicale.

Voce che parla, voce che canta, voce che ride, piange, grida: la vocalità umana è di per sé stessa un universo musicale. Schopenhauer2 diceva che “Nessun suono va all’anima, muove le passioni ed esalta la sensibilità come la voce umana; la parola va alla mente e all’intelligenza ma il suono della voce va al cuore”.

Fondamentale, quindi, è cantare insieme. Cantando ogni alunno “fa” musica, diventa protagonista e ciò è di fondamentale importanza ai fini educativi, che poi non sono altro che quelli di far prendere coscienza all’educando dell’interdipendenza delle varie parti del coro e quindi dell’importanza di ogni singola voce.

La voce è costituita dall’insieme dei suoni originati a livello di laringe con il concorso di tre apparati:

  • · quello respiratorio (motore) che svolge la funzione di mantice;
  • · la laringe (vibrante) che produce i suoni per mezzo della vibrazione delle corde vocali;
  • · le cavità naturali (risonante) faringe, cavità boccale e cavità nasali che funzionano da risonatori e caratterizzano il timbro della voce.

Il canto non è altro che modulazione della voce in una continuazione di suoni che nel loro insieme costituiscono uno sviluppo melodico.

I suoni bassi  trovano risonanza nella cavità toracica mentre, salendo verso gli acuti, la risonanza si ha al di sopra della laringe, fino alla cavità boccale e nasale, stabilendo le zone di contrasto timbrico corrispondente alle voci o registro di “petto” e di “testa”.

Dovendo far cantare dei ragazzi (voci bianche) occorre educarli subito a contenere l’emissione forzata dei suoni, vale a dire a non gridare e ciò si potrà ottenere impostando il canto sulla voce di testa. Cantare senza forzare facilita l’autocontrollo dell’emissione e nel contempo l’intonazione, dovuta ad un più attento ascolto di sé  e degli altri nelle esecuzioni corali. E’ utile vocalizzare con la sillaba “nu”e iniziare con il “pian(p)” per poi passare al “mezzo forte(mf)” e al “forte(f). Occorrerà distinguere, tra le voci bianche, quelle dei maschi da quelle delle bambine. Quest’ultime si caratterizzano per un timbro più sottile, mentre la voce dei maschietti è più penetrante.

Utile è poter riascoltare l’esecuzione che permette di evidenziare pregi e difetti. In genere sono da preferire melodie diatoniche,mentre sono da evitare gli intervalli cromatici persistenti, le dissonanze armoniche, le note lunghe o ripetute. Importantissima è anche la corretta pronuncia delle parole.

La scelta del repertorio dei canti deve tener presente i principi pedagogici in quanto il canto deve:

  1. adeguarsi alle reali capacità di apprendimento del fanciullo, conformemente al suo grado di sviluppo;
  2. essere elemento di interesse per l’allievo.

Secondo il parere di molti studiosi la preferenza spetta ai canti popolari, ricchi di significati educativi che sgorgano dall’anima popolare e perciò più vicini al modo di “sentire ” del bambino. E’ opportuno che la scelta, l’analisi dei brani sia fatti in collaborazione con gli allievi sulla base di una discreta “rosa” presentata dall’insegnante, selezionata secondo ovvi criteri di opportunità, in rapporto all’età dei discenti, alla classe frequentata, all’ambiente naturale, socio-economico, alle possibili correlazioni interdisciplinari, alle mille altre occasioni offerte quotidianamente dalla cronaca, dalle abitudini, dalle festività ecc… .

L’insegnamento degli elementi della notazione musicale acquista un vero contenuto educativo quando si colloca come risposta al bisogno degli allievi di penetrare i segreti della grafia musicale da utilizzare sia in vista di una più consapevole esecuzione, sia per una eventuale personale proposta creativa sotto forma di improvvisazione ritmico – melodica. Questo è indubbiamente il momento più impegnativo ,ma d’altronde la simbolizzazione musicale non è cosa diversa da quella matematica o linguistica, anzi potrebbe fornire alla maturazione intellettuale del bambino una risorsa risolutiva.

Agli strumenti, infine, si deve giungere ricostruendo le esperienze che hanno portato alla loro costruzione, percuotendo, sfregando, agitando, soffiando, pizzicando, i più svariati materiali nei modi più diversi, così che l’alunno si renda conto dell’inventiva musicale presente non solo nei popoli più evoluti ma anche nelle più povere comunità della Terra.

Per aiutarli a  riconoscere poi i vari strumenti e quindi i vari timbri si potranno far ascoltare :

  • · per gli animali e le voci della natura: di Prokofiev “Pierino e il lupo”, di Saint-Saens:” Il carnevale degli animali”;
  • · per il violino: di Paganini “La campanella”;
  • · per il violoncello: di Saint-Saens “Il cigno”;
  • · per il pianoforte: di Beethoven “Al chiaro di luna”, di Chopin i valzer o le mazurche;
  • · per l’organo: di Bach: “Toccata e fuga in re-;
  • · per la viola: di Mozart” Sinfonia concertante per violino e viola K 364;
  • · per la voce: di Thomas Tallis mottetto per otto cori a cinque voci “Spem in alium”. Di Franz Biber “Messa Salisburghese”.
  • · per chitarra: di Joaquin Rodrigo “Concierto de Aranjuez,Fantasia para un gentlhombre”,di niccolò Paganini “Valzer per chitarra”
  • · ecc……..

(1) In merito alla filosofia di Dewy: “La filosofia e la pedagogia di John Dewy” di Alberto Palmucci.

(2) In merito alla filosofia di Schopenhauer: ” Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer”.Titolo originale: “Die weet als  wille und vorstellung” ed.integrale. Traduttore Giani G. C. Editore Newton Compton.

 

P. D’Acunto, Temi platonici ed educazione estetica

dacuntoPietro D’Acunto, Temi platonici ed educazione estetica, Salerno, Edisud, 1993

a cura di Umberto Tenuta

 

L’ex Ispettore tecnico del Ministero della PI, Prof. Pietro D’Acunto, già collaboratore della Cattedra di Pedagogia dell’Università di Salerno ed autore, oltre che di vari saggi, del volume Espressione e comunicazione visiva, Morano Editore, Napoli, 1991, ha pubblicato anche un altro importante volume dal titolo: Pietro D’Acunto Temi platonici ed educazione estetica, Salerno, Edisud, 1993.

La digitalizzazione del volume da parte dell’UNIVERSITà DELLA VIRGINIA induce a riconsiderare l’opera, dopo l’ampia ed approfondita recensione che ne è stata fatta nel numero 4/1994 della RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, Maggioli Editore, Rimini.

Come si legge nella Quarta di copertina del predetto volume, Pietro D’Acunto  <<tenta di esaminare il ruolo della dimensione estetica nella formazione dell’uomo, in un momento in cui le forme e i canali di comuni­cazione si sono ampliati e i messaggi provengono per molteplici vie. La parte storica serve ad illuminare taluni nodi centrali dell’estetica contemporanea, risa­lendo ed investigando nel pensiero antico e moderno, in primo luogo in quello di Platone. L’ampiezza dei temi esaminati si presta a feconde riflessioni sulla funzione for­mativa del bello e dell’arte>>.

Il valore scientifico dell’opera era stato riconosciuto anche dal Prof. Aniello Montano, il quale così scriveva all’Autore:

<<Gentilissimo Ispettore,

ho ricevuto il suo bel libro su Temi platonici ed educazione estetica. Desidero ringraziarla del dono e, soprattutto, desidero complimentarmi con Lei per la qualità del Suo lavoro. Sono rimasto letteralmente affascinato dalla eleganza con la quale è riuscito a dar conto di alcune estetiche antiche a partire da temi e problemi delle estetiche contemporanee e a meglio illuminare alcune spinose questioni relative a queste ultime e al ruolo da esse svolto nella educazione e formazione dell’uomo con ampi, precisi e calzanti riferimenti ad estetiche antiche e moderne. Un uso così naturale e sciolto di autori e testi antichi in un tessuto ricostruttivo e argomentativo tutto sotto il segno della modernità è chiaro indice di una sicura padronanza dei testi citati e della fruttuosa possibilità di un loro riutilizzo nel presente.

Nel Suo discorso, inoltre, si lascia molto apprezzare lo sforzo inteso a fornire una fondazione storica e teoretica a questioni, anche tecniche, della pedagogia contemporanea. Si nota con piacere che la pedagogia di ispirazione filosofica ha ancora buoni cultori e appassionati indagatori. Una pedagogia sganciata dai presupposti filosofici rischierebbe di ridursi ad una sorta di tecnicismo non so quanto produttivo per la formazione di uomini consapevoli e creativi.

Complimenti, dunque, per il Suo lavoro e per il modo in cui alimenta la Sua professionalità di Ispettore che si propone a Presidi e ad insegnanti quale guida intelligente e colta e non semplicemente come un tecnico, specialista nella lettura, nel commento e nella applicazione dei contenuti di leggi e circolari.

Ancora grazie per la gentilezza usatami e auguri di vero cuore.

Con la più viva cordialità del Suo Aniello Montano>>.

 

Pietro D’acunto, con questi due volumi e con gli altri saggi pubblicati, offre ai lettori preziose ed approfondite considerazione sulla educazione estetica, che si offrono quali validi contributi agli studiosi ed anche ai docenti di ogni ordine e grado di scuola.

Promuovere o non promuovere gli alunni

Promuovere o non promuovere gli alunni

di Umberto Tenuta

E’ imminente la fine dell’anno scolastico ed i docenti si accingono a valutare gli alunni, ai fini della loro promozione o bocciatura.

Al riguardo, è opportuno tenere presente che, come si affermava nel RAPPORTO FAURE, <<ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>[1] e che tale affermazione si ritrova sostanzialmente riprodotta nell’art. 1 del Regolamento dell’Autonomia scolastica, laddove si afferma che <<L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento>> (Art. 1 del D.P.R. 8.3.1999, n. 275).

In effetti, la normativa pone come obiettivo includibile il successo formativo di tutti i singoli alunni e, al riguardo indica la strategia da seguire, costituita dal miglioramento della efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.

Altrove[2] abbiamo scritto che il successo formativo non può essere condizionato dalle potenzialità dei singoli alunni, ma dipende dalle strategie formative che i docenti ed il loro collegio mettono in atto.

Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agireLa specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione>>[3].

Il compito della scuola è quello di promuovere l’umanizzazione dei giovani, il loro divenire uomini, acquisendo i valori che sono propri dell’umanità, in una forma singolare che è frutto del contesto formativo e del progetto della propria umanità che ogni singolo giovane via via esprime.

Come scrive il Doll: <<Per capacità potenziali dei singoli noi intendiamo quelle potenzialità di grandezza imprevedibile, che possono scaturire dall’interno della personalità: potenzialità che possono venire sviluppate o ridotte col processo educativo… le capacità potenziali non sono considerate come delle qualità congenite nell’individuo, che divengono attuali attraverso un processo di maturazione su cui non influisce in alcun modo l’ambiente. Anzi, queste capacità si sviluppano e si “manifestano nello scambio dinamico di influssi fra l’individuo e il suo ambiente”. Vengono definite capacità “potenziali” perché sono un modo di essere dell’individuo, sono una capacità individuale di reagire positivamente e in modo praticamente imprevedibile: “senza alcun preconcetto quanto ai …limiti” delle capacità potenziali…. L’essenza della concezione ebraica e greca dell’uomo era invece di porre l’accento sulla personalità umana dotata di capacità potenziali illimitate, di considerare positivo il fatto che gli sviluppi della personalità umana sono imprevedibili…>>[4].

Non esiste la scolaresca, costituita da venticinque studenti, ciascuno dei quali deve essere aiutato nel suo impegno a costruire la propria personalità, originale, irripetibile, singolare.

Non esiste una scolaresca di venticinque studentii[5] che possono essere impegnati negli stessi apprendimenti, con le stesse strategie e tecnologie, magari costituite dalla voce del docente, dal libro di testo e, a volte, dalle stesse tecnologie educative. Il compito fondamentale dei docenti è quello di personalizzare l’attività formativa, individuando attraverso quali attività ogni studente riesce a realizzare la sua irripetibile personalità.

E’ questo il significato della valutazione formativa[6]

Ovviamente, la valutazione formativa ha significato se si attua in una scuola che privilegia le unità di apprendimento[7] e non le lezioni.


[1] FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249.

[2] In merito al successo formativo di tutti i singoli alunni, vedi i saggi dello scrivente in RIVISTA DIGITALE DELLA didattica (www.rivistadidattica.com) e nella rubrica DIDATTICA&EDSCUOLA a cura di Umberto Tenuta  ( www.edscuola.it/dida.html ).

[3] KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp. 25-27.

[4] DOLL R. C., L’istruzione individualizzata, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pp. XI, 19, 21.

[5] Preferiamo indicare gli scolari con il termine studenti, inteso nel suo significato etimologico di “colui che ama” imparare per formarsi: . Studente da studium che in latino significa anche “passione, desiderio, impulso interiore“.. Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: del volume FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998). In merito, vedi: LEZIONI NOIOSE BASTA: VIVA LA GIOIA DI APPRENDERE! di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

6 In altri termini, <<la valutazione è il momento della esperienza educativa… nella quale l’educatore riesce a comprendere per quale itinerario riuscirà a prestare il suo aiuto, quello cioè che legittima la sua funzione, affinché la ricchezza del potenziale educativo (intelligenza, linguaggio, affettività, socialità, volontà, memoria, ecc.) si traduca in libertà personale, in coscienza (intesa, alla maniera dello Spranger, come sorgente normativa), in volontà morale, in creatività: senza nessuna manomissione, senza alienazione di sorta>>(AA.VV., Pedagogia della valutazione scolastica, La Scuola, Brescia, 1974 e UMBERTO TENUTA, Valutazione: selettiva o formativa?, in http://www.edscuola.it/archivio/didattica/valselform.html.

7 In merito cfr. il saggio UNITÀ DIDATTICHE E UNITÀ DI APPRENDIMENTO di Umberto Tenuta, in www.rivistadidattica.com

L’amore per lo studio delle Scienze viene da lontano

SCIENZE NATURALI, CHIMICA E GEOGRAFIA

 L’amore per lo studio delle Scienze viene da lontano

 I ricordi di una docente dell’Istituto Magistrale “Regina Margherita” di Salerno

 Isp. Anna Marra Barone

 

Ho insegnato Scienze naturali, Chimica e Geografia nel triennio dell’Istituto Magistrale “Regina Margherita” di Salerno dal. 1968/69 al. 1981/82 in qualità di titolare di cattedra nei corsi E ed F (fino al 1972/73) e successivamente nei corsi A e B. Nel 1982,. per vincita di concorso, presi servizio presso la Sovrintendenza scolastica della Campania come Ispettore tecnico del Ministero P.I.-Settore matematico-scientifico per la scuola secondaria di I e II grado. Esercitai la predetta funzione fino al 31 ottobre 2001.

A distanza di tempo, in occasione della celebrazione del 60° Anniversario dell’insediamento dell’Istituto Magistrale “Regina Margherita” nella sede attuale di via Giovanni Cuomo, ricordando con un po’ di nostalgia gli anni di docenza trascorsi in quella scuola, il mio pensiero è andato subito ai Presidi Augusto Cavaliere e Luigi Brescia Morra ( che hanno sempre dimostrato nei miei confronti profonda stima e sincera amicizia) e poi a tutti i colleghi tra i quali ricordo i proff. Lausi, Mazzone, Capasso, Tritto, Fraulo, Danza, Cignarella, Sica, Apicella, Apicella Elvira, Lauria, Gambino , Guarino, Troisi, per la grande umanità, l’attaccamento al doveree il forte spessore culturale. Di tutti ho un vivo ricordo anche perché grande e continua è stata la loro disponibilità a collaborare con me per la realizzazione dei percorsi didattici interdisciplinari più significativi.

E, infine, il mio pensiero affettuoso è andato a tutte le alunne con le quali ho lavorato con piena soddisfazione tanto che oggi, ripercorrendo la mia carriera , mi convinco sempre di più che sono stati proprio gli anni di docenza trascorsi al “Regina Margherita” ad incidere profondamente sulla mia formazione professionale con ricaduta positiva sullo svolgimento della funzione ispettiva.

Ripensando a quel periodo, ricordo che presso il “Regina Margherita” furono istituiti i Corsi pilota -OCSE-, vigenti a livello internazionale, di Biologia (Progetto B.S.C.S.) nell’a. s. 1970/71 e di Chimica (Progetto Nuffield) nell’a. s. 1972/73. Per i predetti corsi il Ministero della P.I. stanziò appositi e consistenti fondi per dotare i laboratori di tutte le attrezzature necessarie per lo svolgimento delle attività che la sperimentazione richiedeva.

Negli stessi anni, i predetti corsi sperimentali furono istituiti a Salerno anche al Liceo classico “T.Tasso” e al Liceo scientifico “G. da Procida” in quanto le prof.sse Baccaro Provenza del Liceo scientifico e Ginetti Onorato del Liceo classico, insieme alla sottoscritta e ad altri docenti di Scienze provenienti dal centro-sud dell’Italia, erano stati invitati dal Ministero della P.I. a frequentare, presso il Laboratorio centrale di Foligno, i corsi di aggiornamento nazionali e i relativi seminari di verifica riguardanti le discipline scientifiche fondamentali ( biologia, chimica, geografia, ecologia, matematica e fisica per naturalisti ).

Viene naturale chiedersi come mai in questa sperimentazione pilota, avviata a livello nazionale, furono coinvolti anche gli Istituti magistrali che, avendo corsi quadriennali, non potevano accedere alle facoltà universitariema soltanto alle facoltà di Magistero.

Occorre pertanto ricordare che la Legge Sullo (n. 910/1969) all’art.1 stabilì che, fino all’attuazione della riforma universitaria(che fu sancita successivamente con la

L 341/1990), potevano iscriversi a qualsiasi corso di laurea non solo i diplomati degli istituti di istruzione secondaria di durata quinquennale, ma anche i diplomati degli istituti magistrali e dei licei artistici che avessero frequentato però con esito positivo un corso annuale integrativo.

I corsi annuali integrativi, destinati agli alunni in possesso di maturità magistrale, furono istituiti al Regina Margherita nell’a.s. 1969/70 e comprendevano due indirizzi (giuridico e scientifico) che prevedevano l’italiano, la matematica e la storia come materie fondamentali per entrambi, e le scienze e il diritto come materie alternative.

Su incarico del Provveditore agli studi presi parte alla organizzazione e alla realizzazione dei predetti corsi integrativi e, in qualità di docente, partecipai fino all’anno scolastico 1981/82 ai corsi integrativi ad indirizzo scientifico, avendo cura di preparare le alunne che si iscrissero al corso scientifico ( i corsisti erano prevalentemente di sesso femminile) ad affrontare gli esami più impegnativi che erano previsti al primo anno dei corsi di laurea di tutte le Facoltà scientifiche.

Intanto, col passare del tempo, andavo constatando con soddisfazione che di anno in anno aumentava il numero di studenti che si iscrivevano ai corsi integrativi e, soprattutto, che molte alunne che avevano frequentato i corsi pilota di Biologia e di Chimica sceglievano senza esitazione corsi di laurea ad indirizzo scientifico ( Biologia, Farmacia, Geologia, Scienze naturali, Medicina, Informatica ecc.) e affrontavano i primi esami con sicurezza riportando votazioni decisamente positive.

Finalmente, con il Decreto Interministeriale del 10 Marzo 1997, si dette attuazione alla L. 341/ 1990 che all’ art.3 prevedeva l’istituzione di uno specifico corso di laurea, articolato in due indirizzi, per la formazione degli insegnanti della scuola materna e della scuola elementare. L’art. 1 del predetto decreto prevedeva poi dall’a. s. 1998/99 anche la soppressione dei corsi di Studio ordinari triennali e quadriennali rispettivamente della scuola magistrale e dell’istituto magistrale, e dall’a.s. 2002/03 la soppressione dei corsi annuali integrativi dell’istituto magistrale.Nello stesso articolo si precisava però che, sino all’introduzione del nuovo corso di studi in via ordinamentale, nella scuola magistrale e nell’istituto magistrale potevano continuare a funzionare ad esaurimento i corsi sperimentali quinquennali autonomi e/o riferiti al Progetto Brocca ( D.Lgs. n. 297 del 1994).

Il primo Indirizzo del Progetto Brocca istituito al “Regina Margherita” fu quello linguistico e, successivamente, sia presso gli Istituti Magistrali che presso alcuni Licei, furono attivati prevalentemente gli indirizzi linguistico, socio-psico-pedagogico e scientifico-tecnologico.

Da quanto sopra esposto si evince chiaramenteche l’interesse per le materie scientifiche da parte degli studenti del Regina Margherita affonda le radici nel passato, e precisamente a quando furono istituiti i corsi pilota di Biologia e di Chimica e l’istituto fu dotato di un laboratorio scientifico molto bene attrezzato, laboratorio da me diretto ininterrottamente per tutto il periodo in cui ho prestato servizio presso l’Istituto.

Ripercorrendo gli anni di docenza trascorsi al Regina Margherita, debbo riconoscere che ho amato molto il mio insegnamento anche perchéprofondamente convinta che un’adeguata cultura scientifica e tecnologica siauna componente fondamentale della formazione di tutti i cittadini..

Al fine di realizzare una didattica sempre più rispondente ad una visione unitaria di Scienza e Tecnologia ho assunto, fin dai primi anni di insegnamento, un modello culturale che dava grande importanza al processo di interazione tra momento cognitivo-teorico e momento pratico-sperimentale perché tale interazione è alla base del progredire stesso della Scienza. Inoltre, il predetto modello è capace di far maturare negli studentiatteggiamenti di curiosità e di interesse per la natura e, soprattutto, la consapevolezza che i concetti e le teorie scientifiche non sono definitivi ma al contrarioin continuo sviluppo. Ed è per questo che ho sempre dato grande importanza alle attività laboratoriali che alternavo frequentemente con lezioni teoriche al fine di instaurare gradualmente con le mie alunne un rapporto interattivo di tipo cooperativo.

Furono progettate e realizzate in quegli anni varie iniziative che tendevano da un lato al rinnovamento della metodologia didattica e, dall’altro, all’individuazione di valide occasioni di aggancio della prassi scolastica con gli aspetti più significativi della realtà culturale, ambientale e sociale. A tal fine, furono organizzati incontri e dibattiti su temi scientifici particolarmente significativi tra gruppi di alunne di corsi diversi e lavori interdisciplinari in collaborazione con docenti di altre discipline (italiano, storia, filosofia, psicologia, fisica, religione, educazione fisica)su argomenti di grande interesse socio-culturale (molte esperienze sono state pubblicate sulla rivista “Didattica delle scienze” dell’Editrice La Scuola)

Ne ricordo alcuni tra i più significativi

1) Evoluzione biologica ed evoluzione culturale;

2) Le basi organiche del comportamento umano: interazione Biologia-Psicologia

3) Il problema dell’aggressività;

4) L’energia e l’uomo;

5) Alla ricerca delle origini della specie umana;

6) Uno studio sperimentale sulle soluzioni in prospettiva storica

Ricordo che un’esperienza particolarmente significativa fu quella riguardante lo studio dello sviluppo embrionale del pulcino all’interno dell’ambiente uovo e finalizzata alla verifica dell’”imprinting” scoperto dal Premio Nobel Konrad Lorenz. Questa ricerca, infatti, offrì spunti significativi di discussione e di approfondimento non solo sul piano bio-psicologico ma anche sul piano etico in quanto proprio l’osservazione continua ed accurata sugli embrioni spinse le alunne a riflettere profondamente sul significato della “vita”.

Si instaurarono inoltre relazioni di lavoro con altri Istituti scolastici.

Per esempio, la problematica ambientale fu affrontata e discussa nella sua globalità e poliedricità con la prof. Ginetti Onorato del Liceo “Tasso” ed i suoi allievi.

Il predetto lavoro , sotto il titolo “Lo studio di un ambiente di montagna: il Terminio”, aveva lo scopo non solo di “vitalizzare” la scuola con “iniezioni” di realtà e di concretezza, ma di promuovere nello stesso tempo accordi di rete con altri istituti per avviare attività didattiche di ricerca, sperimentazione e aggiornamento. Nel predetto lavoro, che fu svolto nell’a.s. 1974/75, fu sperimentata una metodologia basata sull’insegnamento verticale e coordinato delle discipline scientifiche e il conseguente rifiuto di insegnamenti separati e improntati a schemi tradizionali. Si tennero lezioni teoriche e lezioni itineranti, esercitazioni pratiche di laboratorio e discussioni varie con la partecipazione attiva di gruppi di alunni del l’Istituto magistrale e del Liceo Tasso.. Il lavoro fu presentato al Concorso indetto per le scuole secondarie dalla “Società Italiana per il Progresso delle Scienze sul tema “Nuove esperienze di insegnamento delle scienze”, e meritò una menzione speciale “per la molteplicità delle indagini e la completezza dei risultati raggiunti”. Il lavoro fu premiato a Pisa nell’ottobre 1975 durante la LIII Riunione della S.I.P.S. e pubblicato nel volume “Atti della LIII Riunione”.

Negli anni successivi, sempre in collaborazione con i docenti e gli allievi del Liceo “Tasso”, furono sviluppati i seguenti temi:

1) Interpretazione della natura in termini di materia ed energia;

2) Il problema dell’alimentazione ;

3) La sanità della vita”.

Nello sviluppo di queste tematiche, riguardanti problemi non solo scientifici ma anche sociali, politici ed economici, fu attuato il coordinamento delle varie discipline attraverso l’unità del metodo di indagine conseguita mediante l’applicazione di schemi concettuali e strutture logiche intercomunicanti e polivalenti. Si sperimentò, quindi, una interdisciplinarità intesa come approfondimento di temi considerati nella poliedricità dei loro aspetti, al di fuori delle convenzionali ripartizioni del sapere, in modo da conferire il maggior grado possibile di unità ed esattezza al processo ricostruttivo della complessità del reale in termini criticamente organici.

I primi due temi furono approfonditi nell’ambito di due Seminari tenutisi presso il Liceo “Tasso”. e destinati ad alunni di scuola media superiore particolarmente interessati alle discipline scientifiche.Nel primo seminario, tenutosi nell’a. s.1976/77 a livello nazionale e finanziato dalla Regione Campania, furono trattati i temi “ Materia ed Energia. Fonti energetiche integrative:geotermica e solare” .Parteciparono al corso non solo studenti dell’Istituto Magistrale, del Liceo Tasso e di altri Istituti superiori di Salerno, ma anche alunni provenienti da Livorno, Firenze, Cassino, Avellino, Torre del Greco, Nocera Inferiore, Cava de’ Tirreni.

Nel secondo seminario, tenutosi nell’a. s. 1977/78,a carattereregionale e sempre finanziato dalla Regione Campania, fu trattato il tema “Il problema dell’alimentazione”, con l’intervento di valentissimi docenti del settore, quali il prof. Luigi Cioffi, titolare della cattedra di Fisiologia generale dell’Università di Napoli e la prof.ssa Carla Moro, docente di Scienza dell’alimentazione presso la stessa Università. Il predetto lavoro fu presentato al concorso indetto dalla Società Italiana per iI Progresso delle Scienze sul tema “Funzione della scuola nella formazione dei tecnici nel settore dell’alimentazione”. Il lavoro fu premiato a Brescia nell’Ottobre 1977 in occasione del Convegno della S.I.P.S. e pubblicato nel volume degli Atti della LIV Riunione con la seguente motivazione: “Per la mole di lavoro sperimentale svolto con il concorso degli studenti al fine di caratterizzare i principali alimenti e valutarne le peculiarità. L’attività sperimentale, di notevole efficacia didattica, suscita l’interesse degli allievi in un settore generalmente sottovalutato dall’insegnamento tradizionale. Integrano tale attività con una indagine sulle abitudini di un gruppo di studenti”

Nel quadro delle iniziative sperimentali programmate per l’a. s. 1978/79, realizzai con le mie alunne e con la partecipazione dei docenti di matematica, disegno ed educazione fisica del mio corso, un lavoro dal titolo “ Salute e ambiente:una proposta educativa nell’ambito dell’insegnamento delle Scienze” in cui venivano trattati e sviluppati gli aspetti culturali più significativi di educazione alimentare, sanitaria ed ambientale. Lo scopo era quello di tendere alla presa di coscienza di determinate problematiche ed alla acquisizione di atteggiamenti comportamentali corretti.

Il lavoro si componeva essenzialmente di tre parti: 1) la prima parte riguardava l’itinerario didattico seguito con le alunne delle classi terze nell’ambito del programma di Biologia finalizzato all’educazione sanitaria ed ambientale;

2) la seconda parte trattava dei problemi sociali che erano stati approfonditi in orario scolastico ed extrascolastico sotto la guida di docenti esperti e qualificati

(i problemi del fumo, dell’abuso dei farmaci, della carie, del sangue, dell’alcool);.

3) la terza parte riguardava un Ciclo di conversazioni sul tema”Alimenti, igiene, salute” autorizzato dal Provveditore agli studi e tenuto, in turni pomeridiani, da gruppi di alunne dell’Istituto Magistrale in nove quinte classi della scuola elementare “M. Mari” di Salerno (periodo 27 Marzo- 7 Aprile 1979).

Il lavoro di cui sopra fu presentato al concorso indetto dalla Società Italiana per il Progresso delle Scienze sul tema”Le scienze per la qualità della vita” ed ottenne il primo premio con la seguente motivazione:”Per l’attività svolta su salute e ambiente con la collaborazione tra docenti di scuole di diverso ordine e grado e le allieve di un Istituto magistrale. Notevole la mole dell’indagine e la capacità di coordinamento”. La premiazione avvenne in occasione della LV Riunione della SIPS tenutasi a Torino nel settembre 1979 e il lavoro fu pubblicato nel volume degliAtti della LV Riunione..

 

Dopo aver ripercorso sommariamente, ma molto intensamente, i vari momenti dell’esperienza vissuta come docente al “Regina Margherita” e ricordando persone, ambienti, attività ecc., riconosco di aver tratto da essa un grande profitto sia per l’esempio di umanità, competenza professionale e disponibilità a collaborare di molti miei colleghi, sia per l’entusiasmo, l’interesse e l’ impegno serio e responsabile dimostratodalle mie alunne. Con esse, infatti, ho avuto l’opportunitàdi esperimentare strategie didattiche innovative e l’uso di metodi e strumenti di lavoro particolarmente efficaci, quali l’approccio sperimentale, la didattica per progetti, l’uso sistematico del laboratorio, la costituzione di relazioni con altre scuole. Ed è per questo che, nell’esercizio della funzione svolta successivamente in qualità di Ispettore Tecnico nell’ambito della formazione dei docenti, ho fatto sempre riferimento alle molteplici e svariate esperienze realizzate con le mie care alunne dell’Istituto Magistrale “Regina Margherita” di Salerno.

 

1) Gli Atti delle Riunioni LIII, LIV e LV della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (S.I.P.S.) sono reperibili presso la Biblioteca del “Regina Margherita”.

Perché l’apprendimento cooperativo

Perché l’apprendimento cooperativo

di Rosa Maria Cannavale e Maria Rita Natella

Negli ultimi anni si è passati da una famiglia con un televisore a più televisori per una famiglia; da un computer per famiglia a una famiglia in cui ogni membro ne possiede uno.

Inoltre, si è passati dalla famiglia patriarcale alla famiglia allargata.

Si sta tutti insieme eppure si è sempre più soli. Ognuno si rinchiude nel proprio mondo, spesso virtuale, limitando al minimo le espressioni e le interazioni con il resto del mondo.

Prevale l’io – individualista .

Gli amici virtuali non si contano più. Amici virtuali, appunto, ma saranno veramente persone con le quali condividere opportunità e problematiche?

Ecco perché siamo convinte che oggi, ancor più di ieri, è importante avere l’opportunità di affrontare insieme le problematiche legate all’educazione, alla valorizzazione personale, all’apprendimento e alla motivazione.

Il Cooperative Learning[1], come lo definisce Artz e Newman, sono piccoli gruppi di studenti che lavorano in squadre, per eseguire un compito o raggiungere un obbiettivo comune risolvere un problema[2]. Il gruppo è il luogo della comunicazione, degli scambi e delle relazioni significative di un insieme di individui che agiscono in una realtà condivisa. Ci si motiva all’azione, si offrono occasioni di imitazione, si rinforzano i risultati raggiunti, si favorisce la partecipazione e l’integrazione delle competenze in un’ottica di cooperazione.

Non bisogna però confondere il Cooperative Learning con il normale lavoro di gruppo.

L’apprendimento cooperativo si basa sul coinvolgimento attivo delle persone ( ragazzi, studenti, adulti) in lavori di gruppo e sul successo di tutti i membri del gruppo; sulla positiva interdipendenza; sulla responsabilità individuale; sull’interazione faccia a faccia; sull’uso appropriato delle abilità e, non da ultimo, sulla valutazione del lavoro.

Con il Cooperative Learning, anche se a noi piace chiamarlo apprendimento cooperativo, viene incentivata le responsabilità individuale per il perseguimento degli obiettivi comuni, viene favorito l’emergere della responsabilità nei confronti degli altri componenti, e non l’individualismo competitivo, il senso di amicizia e di aiuto reciproco, di responsabilità sociale e di appartenenza al gruppo, il “ noi – gruppo” .

Nel senso psicosociale, un gruppo non è solo l’insieme di più individui che si trovano in uno stesso ambiente, ma è dato dal sentimento di appartenenza a quel gruppo che circola fra i componenti. è solo la circolazione di questo sentimento fra i membri del gruppo che qualifica quel determnato insieme di persone come tale. è  importante che l’insegnante abbia, non solo uno scopo da raggiungere col gruppo, ma che ne conosca anche il suo funzionamento per poterne superare, all’occorrenza, le difficoltà.

L’apprendimento cooperativo deve prevedere incentivi alla cooperazione e una responsabilità individuale del comportamento socialmente corretto durante il lavoro.

Come spiegato da Vygotskij ,1934, nel gruppo che coopera per un apprendimento attivo gli alunni possono confrontarsi e fornirsi assistenza l’un l’altro. E’ proprio questa ricerca di emulazione che favorisce l’interiorizzazione delle funzioni cognitive che si sta cercando di fare propria.

Apprendere in modo cooperativo significa aiutarsi reciprocamente, spiegarsi le varie strategie da usare, usare un linguaggio tra pari.

Negli ultimi quindici anni l’apprendimento cooperativo è diventato un importante approccio metodologico; gli studenti ottengono risultati scolastici migliori, livelli di autostima più alti, maggiori competenze sociali e acquisizione più approfondita di contenuti e abilità.

E, come dicevamo all’inizio, in una società sempre più frenetica dove, pur avendo 1000 amici virtuali, pur vivendo in famiglie allargate, pur avendo a disposizione televisori e computer, pur potendosi collegare in un istante con l’altra parte del mondo, stanno aumentando in modo allarmante i suicidi tra i giovani sotto i 30 anni abbandonati da una famiglia che non sa più ascoltare ne comprendere il malessere quotidiano dei propri figli lasciandoli pericolosamente nella loro più profonda solitudine.

Ed è proprio in questo momento, ne siamo convinte, che i nostri ragazzi hanno bisogno di cooperare, di aiutarsi, di condividere, o più semplicemente di parlare, di risolvere insieme, in gruppo, e non da soli l’obbiettivo che si sono prefissati.



[1] In merito al Cooperative learning l, cfr: Artz A.F., Newman C.M, Cooperative learning, “Matematics Teacher”, 1990, n. 83, pp. 448 449; Ausubel D.P, Educazione e processi cognitivi, Milano, Angeli, 1978: Bandura A., Autoefficacia, Erickson, Trento, 2000; Bernardini A., Un anno a Pietralata, Firenze, La Nuova Italia. 1976; Bruner, J.S., La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988; Cohen E.,  Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività, Erickson, Trento; COMOGLIO, M., Che cos’è il Cooperative Learning, in: “Orientamenti Pedagogici” , Anno XLIII, n. 2, 1999, pp. 259-293; Comoglio M., Apprendimento cooperativo ed insegnamento reciproco: strategie per favorire l’apprendimento e l’interazione sociale, in Vianello R. e Cornoldi C. (a cura di), Metacognizione, disturbi di apprendimento ed handicap, Edizioni Junior, Bergamo, 1996, pp. 77-107; Comoglio M.,  Il cooperative learning. Strategie di sperimentazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1998; Comoglio M. e Cardoso M.A.,  Insegnare e apprendere in gruppo. Il cooperative learning, LAS, Roma, 1996; Comoglio M.,  Educare insegnando. Apprendere e applicare il cooperative learning, LAS, Roma; Cornoldi, C.,  , Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna, 1995; De Beni M., Prosocialità e altruismo, Trento, Erickson, 1998; Demetrio, D., (a cura di) , Per una didattica dell’intelligenza. Il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo, Franco Angeli, Milano, 1995; Dewey J., Il mio credo pedagogico, trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1954; Dixon Krauss, L., Vygotskij nella classe, Erickson, Trento, 2000; Doise W., Mugny G.,  La costruzione sociale dell’intelligenza, Il Mulino, Bologna, 1982; Dweck, C. S., Teorie del Sé, Erickson, Trento, 2000; Farmer T. W., Rifiuto dei pari e comportamenti problema: comprendere l’aggressività negli studenti con difficoltà, in Difficoltà di apprendimento, vol 7, n. 1, ottobre 2001, pp 23 53; Feuerstein R., Rand Y., Hoffman M.B., Miller R., Instrumental Enrichment; An Intervention for Cognitive Modifiability, University Park Press, Baltimore., 1980; Freinet C., Le mie tecniche, Firenze, La Nuova Italia, 1969; Freire P., L’educazione come pratica di libertà, Milano, Mondadori, 1975; Freire P., Pedagogia degli oppressi, Milano, Mondadori, 1980; Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Milano, Feltrinelli, 1987; Ianes, D.,  a cura di , Metacognizione e insegnamento, Erickson, Trento, 1996; Lodi M.  , Insieme. Giornale di una quinta elementare, Torino, Einaudi  1974; Loos S.,  99 giochi cooperativi, Edizione Gruppo Abele, Torino, 1998; Mercer C.D., Jordan L., Miller S.P.  , L’insegnamento della matematica secondol’approccio costruttivista, 1995, in Difficoltà d’Apprendimento, vol.1 n.2, Erickson, Trento, pp. 153 169; Pask, Gordon  . Conversation, Cognition and Learning: A Cybernetic Theory and Methodology, Elsevier, Amsterdam, 1975; Perrenoud, Philippe,  La fabrication de l’excellente scolaire : du curriculum aux pratiques d’evaluation: vers une analyse de la reussite, de l’echec et des inegalites comme realites construites par le systeme scolaire, Librairie Droz, Geneve, 1984; Perret Clermon A., Grossen M., Schubauer Leoni ML.,  La construction dell’intelligence dans l’interaction sociale, Peter Lang, Bern; Polito M.,  Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento, 2000; Pontecorvo C., Ajello A.M., Zucchermaglio C., Discutendo si impara, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1991; Postmann R.,  Anche i cattivi giocano, La Meridiana, Bari, 1999; Rosenthal R. e Jacobson L, Pigmalione in classe, Milano, Angeli, 1984; Schon, Donald A., Il professionista riflessivo : per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Bari, 1993; Sharan Y. e Sharan S., Gli alunni fanno ricerca, L’apprendimento in gruppi cooperativi, Erickson, Trento, 1998; Slavin R.E., Using Student Team Learning,  3a edizione , Baltimore, 1986;  MD, Center for Research on Elementary and Middle Schools, John Hopkins University, Sullivan Palincsar A. e Brown A.L., Comprensione della lettura: insegnamento delle abilità di pensiero in un contesto di problem solving in gruppo, “Insegnare all’handicappato”, vol.3 n. 2, 1989 pp. 103-114; Topping K.,  Tutoring, Erickson, Trento, 1997; Tressoldi P.E. , Apprendimento cooperativo e insegnamento reciproco: strategie per favorire un apprendimento attivo e indipendente e l’educazione delle relazioni interpersonali, in Vianello R. e Cornoldi C.; (a cura di), Metacognizione, disturbi di apprendimento ed handicap, Edizioni Junior, Bergamo, 1996, pp. 108 115; Trombetta C. e Rosiello L., La ricerca azione, Trento, Erickson, 2000; Vianello R. e Tortello M. (a cura di),  Esperienze di apprendimento cooperat vo, Junior, Bergamo, 2000; Vygotskij, L. S., Pensiero e linguaggio, Giunti, Firenze, 1966.

Siti internet

Portale Erickson http://www.erickson.it newsgroup e materiali da scaricare.

Iprase di Trento http://www.bdp.it/~tnir0006/, nella sezione “Metodi di insegnamento”, sono presenti anche UD.

Scintille.it: http://www.scintille.it/ , articoli e UD.

Nel libro di M. Polito (2000)  è raccolta una vasta bibliografia su questi temi. Rimandiamo ad essa.

Autori

Silvia Andrich, Psicologa scolastica, Gruppo Erickson  TN , autrice di libri e articoli sulle difficoltà di apprendimento e sull’apprendimento cooperativo − E mail silviaandrich@eplanet.it.

Lidio Miato, Dirigente scolastico, Psicologo del gruppo M.T.  Padova , autore di articoli sull’apprendimento cooperativo e libri di psicopedagogia assieme al gruppo M.T. di Padova. E mail dir.ic.telve@scuole.provincia.tn.it.

Mario Polito, Psicologo e pedagogista, Gruppo Erickson  TN , autore di vari libri sul metodo di studio, motivazione, memoria. Ultimo suo libro: Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson  2000 − Home page www.mariopolito.it- E mail: info@mariopolito.it, mario_polito@libero.it. – Telefono e fax 0424.460101

[2] In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D’URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNCKER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988. Per la problematica dell’ermeneutica, cfr: GENNARI M., Interpretare l’educazione. Pedagogia, semiotica, ermeneutica, La Scuola, Brescia, 1992; MALAVASI P., Tra ermeneutica e pedagogia, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

 

Umanesimo, formazione scientifica e integrale dell’uomo

Umanesimo, formazione scientifica e integrale dell’uomo       

di Anna Marra Barone

 

“La società diventa sempre più esigente in fatto di qualità e di livello di preparazione culturale dei giovani. La loro formazione dovrà, pertanto essere il più generale possibile e flessibile e dovrà fondare sull’unitò del sapere”

 

Quali sono le coordinate culturali che costituiscono il quadro di riferimento per lo sviluppo di un progetto educativo di base? Qual è la funzione delle discipline di studio e, in particolare, delle discipline scientifiche? Che cosa insegnare ai giovani, oggi?

Sono domande queste che i docenti, quali responsabili della formazione dei giovani, dovrebbero porsi continuamente soprattutto perché i problemi della società cambiano incessantemente e, di conseguenza, vengono a modificarsi di continuo i termini stessi del problema educativo.

Le risposte al riguardo possono essere varie, ma tutte dovrebbero esprimere questo concetto fondamentale: i docenti, in quanto educatori, hanno il dovere di fornire  attraverso le scienze, la storia, la filosofia, la letteratura e tutte le altre forme di conoscenza, gli strumenti per comprendere il mondo ed il significato di una realtà che si va facendo sempre più complessa ed in cui gli aspetti naturali, alle cui manifestazioni la vita dell’uomo è intimamente legata, sono sempre più soverchiati da quelli artificiali. I problemi della società, è vero, cambiano continuamente, ma gli educatori, con la loro sensibilità, dovrebbero essere sempre pronti a cogliere il significato di questi cambiamenti e preparare il giovane ad affrontarli, mirando allo sviluppo di quella «autonomia di giudizio» e quella «capacità di scelte consapevoli» che dovrebbero costituire gli obiettivi educativi di tutte le discipline.

 

      Le discipline, strumento per uno sviluppo unitario

«Nella loro differenziata specificità» viene detto nei programmi della scuola media del ’79,  e senza dubbio ancor valido ai nostri giorni, «le discipline sono strumenti ed occasione per uno sviluppo unitario ma articolato e ricco di funzioni, di conoscenze, capacità ed orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili ed in grado di compiere scelte». E ancora più avanti: «I vari insegnamenti esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alla realtà, di conquista, sistemazione e trasformazione di essa, e a tal fine utilizzano specifici linguaggi che convergono verso un unico obiettivo educativo: lo sviluppo della persona nella quale si realizza l’unità del sapere».

Finalità educativa della scuola è dunque la formazione integrale dell’uomo, attraverso lo sviluppo della sua personalità in tutte le direzioni (intellettive, creative, operative, religiose, sociali, affettive, ecc.).In un tale progetto educativo la scienza o le scienze (quest’ultima espressione riflette meglio lo sviluppo attuale della ricerca scientifica), al pari della poesia, dell’arte, della musica, della filosofia ecc., è una componente essenziale della formazione dell’uomo, in quanto espressione della sua esigenza di conoscere la natura nella sua genesi e nel suo sviluppo, in una tensione conoscitiva che comprende momenti speculativi e momenti operativi.

La scienza, dunque, intesa come modo peculiare di organizzarsi come sapere, come struttura di conoscenze,  come interpretazione di aspetti particolari della realtà, rientra a pieno titolo nell’unica cultura umanistica che è quella dell’uomo globale e che ricompone nell’unità del sapere tutte le dimensioni del suo essere.

Non si tratta di creare “un ponte”  tra cultura umanistica (intesa nella concezione tradizionale) e cultura scientifica, ma di promuovere un «nuovo umanesimo», avente le caratteristiche della globalità e della integ-ralità, in cui le discipline tradizionalmente umanistiche e le discipline scientifiche siano viste come aspetti conoscitivi complementari di una unica realtà (in questa visione, la contrapposizione tra le due culture viene superata in nome dell’unità dell’uomo).

Come afferma il prof. Dalla Porta, ordinario di astrofisica teorica alla Scùola internazionale Superiore di studi avanzati di Trieste, le due conoscenze, quella scientifica e quella metafisica, pur operando con metodi diversi su realtà diverse, possono trovare la loro integrazione nella ragione dell’uomo: quindi è dentro l’uomo che si deve ricercare l’unificazione delle due modalità conoscitive, «esperienze interne» ed «esperienze esterne».

L’obiettivo di un discorso educativo appare quindi ben delineato: il problema della formazione dell’uomo diventa il problema della sua formazione integrale, in una visione complessiva dell’uomo in cui tutte le dimensioni abbiano la loro specifica rilevanza e quindi sia loro riconosciuto un ruolo fondamentale per la maturazione dell’uomo adulto.

Oggi, poi, si sente più che mai l’esigenza di recuperare il senso dell’unità del sapere perché si è ormai consapevoli che la scienza e la tecnica in questi ultimi 50 anni sono giunte ad una svolta tale da mettere in serio pericolo la libertà dell’uomo e la sua stessa esistenza.

Nel momento attuale, un ricongiungimento della scienza con l’etica appare inevitabile se l’uomo non vuole andare incontro alla completa distruzione di se stesso.

 

La crisi del pianeta Terra e i problemi del futuro

La scienza, si sa, nel suo continuo processo di ricerca, ha sempre cercato di perseguire anche il fine di migliorare l’esistenza degli uomini, che hanno dovuto sempre lottare per procacciarsi i beni necessari per sopravvivere, mettendoli in condizione di lavorare di meno e produrre di più. E accaduto però che tutto ciò che veniva considerato «il necessario» per vivere è stato a poco a poco sostituito da quantità sempre crescenti di «superfluo» e la vita stessa dell’uomo, con il passare del tempo, ha assunto aspetti del tutto particolari per effetto soprattutto dell’enorme sviluppo industriale e tecnologico, che ha messo a disposizione dell’uomo un numero sempre crescente di beni e di servizi. E così, per effetto dello stesso sviluppo scientifico e tecnologico, gli uomini hanno finito per identificare il miglioramento della vita con l’uso sempre più accelerato di beni e di servizi, proposti ed assunti come simbolo di prestigio sociale, consolidando quella tendenza, rafforzata dalla pubblicità e dalle moderne tecniche di persuasione di massa, che prende il nome di «consumismo ».

Ben presto, però, sono subentrate perplessità e preoccupazioni per il futuro. Da un lato, si è avvertito da più parti il profondo stato di insoddisfazione psichica che le varie forme di benessere materiale lasciavano nello spirito, ed un diffuso malessere sociale di cui è testimonianza il crescente disordine nella vita collettiva ed il diffondersi della solitudine. Dall’altro, si è constatata la comparsa di nuove e forse ben più gravi forme di sofferenze fisiche, le cosiddette «malattie del benessere», e la comparsa di fenomeni capaci di alterare, in maniera irreversibile, l’equilibrio della natura. E proprio negli anni ‘80 si sono susseguiti eventi che hanno fatto percepire a tutti lo stato di profonda crisi che ha colpito il nostro pianeta, al quale la rivista «Time» ha dedicato la prima copertina dell’89. La tragedia di Chernobvl, per esempio, ci ha posti di fronte agli effetti di una radioattività proiettata nella vita quotidiana e le varie ricerche di ingegneria genetica hanno fatto nascere in noi la paura delle manipolazioni che potrebbero dare vita in laboratorio a dei veri e propri «mostri».

Ma l’allarme più forte ci viene dal grave stato di salute del pianeta terra; il buco nella fascia di ozono, l’effetto serra, la sovrappopolazione, l’erosione genetica che avanza con le foreste bruciate, l’accumulo dei rifiuti tossici, le città invivibili per lo smog ed il traffico stressante, i mari eutrofizzati, le acque inquinate non solo dagli scarichi industriali ma dalla stessa agricoltura e dall’allevamento del bestiame. Sono questi ed altri i gravi problemi di fronte ai quali si trova il giovane oggi e si troverà ancora di più quello di domani in una società che, per giunta, diventa sempre più esigente in fatto di qualità e di livello di preparazione culturale dei giovani, in quanto se è vero che le macchine possono ormai assorbire completamente il lavoro dell’uomo, è altrettanto vero che la macchina non potrà mai sostituire la sua intelligenza nel lavoro di programmazione e di trasformazione sempre più accelerata dei processi tecnologici. In una tale prospettiva, l’uomo in futuro sarà costretto a cambiare lavoro  più volte nella sua vita e dovrà studiare ed aggiornarsi continuamente in un processo di educazione permanente. La sua formazione culturale, pertanto, dovrà essere quanto più generale e flessibile possibile, a causa anche dell’enorme proliferazione delle scienze, che rende sempre più difficile definire la cultura in termini di contenuti, e dovrà fondarsi sull’unità del sapere, senza distinzione tra cultura umanistica e cultura scientifica in quanto cultura dell’uomo «globale>.

Pertanto, le istituzioni educative, e tra queste in primo luogo la scuola, devono necessariamente porsi in una prospettiva di mutamento per porre le basi di un nuovo modo di essere, di vivere, di comportarsi. «Non è possibile» afferma il Mialaret «fare unicamente affidamento sulle conoscenze possedute da un individuo: è meglio basarsi sul suo modo di affrontare i problemi, sulle sue possibilità di progresso e di adattamento» . Non si può pensare di dare tutto, ma occorre dare quei «contenuti irrinunciabili» che sono essenziali per capire la realtà in cui si vive. Non bisogna preoccuparsi della quantità di informazioni da dare allo studente, ma piuttosto della qualità e significatività di esse. Ai tini della costruzione organica e sequenziale di conoscenze future; non conta tanto il tipo e la natura delle conoscenze acquisite (leggi, enunciati, teorie ecc.) quanto piuttosto il processo mentale che ha dato luogo ad esse o ad analoghe strutture concettuali che hanno poi contribuito allo sviluppo della scienza stessa. «Conoscere è un processo, non un prodotto» afferma Bruner “istruire qualcuno, per esempio, in fisica, chimica, biologia, non significa trasmettergli una serie di dati già acquisiti, ma piuttosto insegnargli a partecipare al processo che ha reso possibile lo sviluppo della fisica, della chimica, della biologia”.

 

La vera essenza della scienza

Nonostante l’enorme rilevanza che la scienza e la tecnica hanno nella società odierna, lo sviluppo economico, le condizioni sociali, il livello di vita quotidiana ecc., la scienza ha ancora una scarsissima risonanza sul piano culturale e questo perché nella cultura dominante regna ancora una falsa immagine della scienza, che a volte viene concepita come una specie di <magia nera> o come una «forza» che esiste ed agisce al di fuori dell’uomo. «Perché la valorizzazione culturale della scienza possa effettuarsi > afferma il prof. Evandro Agazzi, ordinario di filosofia delle scienze presso l’Università di Genova e di Friburgo, «è necessario che l’attenzione dell’uomo contemporaneo si sposti dai contenuti della scienza (i quali lo hanno fin troppo abbagliato e sedotto in quanto conoscenze “efficaci” capaci di cambiare il volto della natura ed il tenore della vita di ognuno) alla struttura noetica della scienza, ossia al suo modo peculiare di organizzarsi come tipo di sapere. In tal modo, non solo avverrebbe un naturale riaccostamento tra le scienze e le altre forme del sapere, ma si avrebbe, per un verso, una maturazione in senso schiettamente culturale della scienza, attraverso un’opera di meditazione riflessa sulle sue stesse strutture, e per un altro verso si realizzerebbe un autentico arricchimento della nostra Cultura, attraverso l’assorbimento in essa di alcune consapevolezze circa i modi ed i limiti dì un conoscere rigoroso, che sono ormai da tempo maturate in seno alle scienze formali e sperimentali, e che non paiono, invece, adeguatamente riflesse nei rimanenti settori del mondo  della cultura» .

«La scienza non è un corpo di informazioni sul mondo> afferma Scwab «ma un modo di apprendere di più sul mondo… e con il gusto della creatività» .

La totale assenza di questa immagine della scienza non solo ha contribuito a creare una frattura tra scienza e umanesimo, ma ha fatto sì che si sia prodotto anche un enorme divario tra la scienza come è e la scienza come viene insegnata (le conclusioni della ricerca scientifica, infatti, vengono sempre presentate nella scuola, a tutti i livelli, come fatti già verificati).

«La conoscenza scientifica» afferma ancora Scwab «deve essere impartita alla luce dell’indagine che l’ha prodotta’> . «Ai fini della scienza i fatti non possono essere più trattati come dati a sé stanti» in quanto dipendono dalle ipotesi che organizzano e controllano le operazioni di chi è impegnato nel processo di conoscenza. «La conoscenza scientifica si fonda non sui fatti, ma sui fatti selezionati e la selezione di questi si fonda sul principio concettuale che dirige la ricerca> (in questo senso la teoria viene prima dei fatti).

Inoltre, la conoscenza acquisita mediante una indagine non è sempre conoscenza dei fatti, ma interpretazione di essi alla luce sempre della concezione teorica che guida l’indagine stessa. Sotto il profilo pedagogico. emerge la necessità da un lato che la scienza venga insegnata come scienza, ponendo una maggiore attenzione alle problematiche di ordine metodologico ed epistemologico, dall’altro, che le discipline umanistiche non trascurino la trattazione dei temi di riflessione proposti dalla ricerca scientifica.

«Accogliendo alcuni modi di pensare tipici della mentalità scientifica» afferma ancora il prof. Agazzi «non solo si faciliterà la comprensione del mondo della Scienza da parte della cultura, ma si offrirà al mondo della Cultura un mezzo per ovviare a certi limiti di formazione intellettuale che oggi si riflettono assai spesso in sterilità della cultura: alludiamo con ciò a quella persistente attitudine “retorica” o “dialettica” che presume di risolvere i problemi in base ai semplici dibattiti sulle idee, o in forza delle sole stringenti argomentazioni, avendo ben scarsa sensibilità circa il fatto che le premesse delle argomentazioni siano ben fondate o che le loro conseguenze siano in sufficiente accordo con i fatti» .

Compito fondamentale dunque della scuola  è quello di educare gli alunni ad una «mentalità scientifica» perchè solo così essa assolverà al suo compito umanistico che è quello della formazione integrale dell’uomo. La necessità di una migliore educazione scientifica è stata più volte sottolineata anche  in occasione dei Premi Nobel in cui si è voluto ribadire  che l’educazione dovrebbe considerare soprattutto  le relazioni tra la scienza ed altri modi di riferirsi alla realtà, quali quelli propri delle attività umanistiche, artistiche e religiose perché solo così la scienza può contribuire in modo impareggiabile all’analisi delle diverse possibilità future che si prospettano all’uomo.