24 marzo Domanda Trasferimento

L’art. 2 dell’Ordinanza Ministeriale 24 febbraio 2011, n. 16, fissa al 21 marzo il termine ultimo per la presentazione delle domande di movimento per il personale docente, educativo ed A.T.A.

L’avviso 18 marzo 2011 del gestore del sistema proroga alle ore 14.00 del 24 marzo, per i soli docenti della scuola primaria e secondaria di I e II grado, l’utilizzo delle funzioni on-line.

I termini per le successive operazioni e per la pubblicazione dei movimenti, definiti secondo i criteri previsti dall’art. 14 del C.C.N.I. 2011/2012 siglato in data 22 febbraio 2011, sono i seguenti :

a) personale docente

scuola dell’infanzia

1 – termine ultimo comunicazione al SIDI delle domande

di mobilità e dei posti disponibili………………………………………..3 maggio

2 – pubblicazione dei movimenti………………………….…………..23 maggio

scuola primaria

1 – termine ultimo comunicazione al SIDI delle domande

di mobilità e dei posti disponibili………………………………………….9 aprile

2 – pubblicazione dei movimenti………………………………..……..5 maggio

scuola secondaria di I grado

1 – termine ultimo comunicazione al SIDI delle domande

di mobilità e dei posti disponibili………………………………..19 maggio

2 – pubblicazione  dei movimenti ……………………………………..14 giugno

scuola secondaria di II grado

1 – termine ultimo comunicazione al SIDI delle domande

di mobilità e dei posti disponibili………………………………….10 giugno

2 – pubblicazione  dei movimenti……………………………………….…5 luglio

b) personale educativo

1 – termine ultimo comunicazione all’ufficio delle domande

di mobilità dei posti disponibili…………………………………..…….9 giugno

2 – pubblicazione dei movimenti………………………………….……..24 giugno

c) personale A.T.A.

1 – termine ultimo comunicazione al SIDI delle domande

di mobilità e dei posti disponibili……………………………………..27 giugno

2 – pubblicazione dei trasferimenti…………………………….…..…….19 luglio

Il termine ultimo per la presentazione della richiesta di revoca delle domande: dieci giorni prima del termine ultimo per la comunicazione al SIDI o all’ufficio dei posti disponibili.

Nota 24 marzo 2011, Prot. MIURAOODGOS n. 1966

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

– Ufficio II –

 

Ai Direttori Generali

degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

Al Sovrintendente agli Studi per la Regione Autonoma della Valle d’Aosta

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Bolzano

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Trento

All’Intendente Scolastico per le scuole

delle località ladine di Bolzano

All’Intendente Scolastico

per la scuola in lingua tedesca di Bolzano

 

Oggetto: Progetto “L’energia nella scuola”

 

Nel 2009 la Società Italiana di Fisica (SIF) ha avviato, in collaborazione con la Società Chimica Italiana (SCI), il progetto “L’Energia nella scuola”, che contempla la pubblicazione, per le scuole secondarie di secondo grado, di alcuni fascicoli tematici sulle più importanti e promettenti fonti energetiche, le loro potenzialità e i loro problemi.

 

Nel 2010 è stato pubblicato, in 6000 copie, il primo fascicolo della serie “Energia e fissione nucleare”. Nel 2011 è prevista la distribuzione del suddetto fascicolo alle scuole e la pubblicazione dei fascicoli “Futuro delle Fonti Fossili”, “Problemi della CO2” e “Sorgenti fotovoltaiche”.

 

Questa Direzione Generale intende promuovere e diffondere l’iniziativa a tutte le scuole secondarie di secondo grado. Per scaricare gratuitamente il materiale si invita a visitare il sito web della SIF: http://www.sif.it

 

IL DIRIGENTE

F.to Antonio Lo Bello

 

Circolare Ministeriale 23 marzo 2011, n. 22

Prot. n. 1894

 

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

 

 

Ai Direttori Generali degli

Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

 

Al Sovrintendente Scolastico della Provincia di

BOLZANO

 

All’Intendente Scolastico per la scuola in lingua tedesca

BOLZANO

 

All’Intendente Scolastico per la scuola località ladine

BOLZANO

 

Al Dirigente del Dipartimento Istruzione per la Provincia di

TRENTO

 

Al Sovrintendente agli Studi della Valle d’Aosta

AOSTA

 

e, p. c.:

All’Assessore alla P.I. Regione Siciliana

PALERMO

 

All’Assessore alla P.I. Regione autonoma Valle d’Aosta

AOSTA

 

Al Presidente della Giunta Provinciale di

BOLZANO

 

Al Presidente della Giunta Provinciale di

TRENTO

 

All’Associazione Italiana Editori A.I.E.

Corso di Porta Romana, 108

20122 MILANO

 

All’ANARPE

Via XXIV Maggio, 10

50129 FIRENZE

 

All’ALI – Via Nizza, 22

00198 ROMA

 

Oggetto: Adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2011/2012. Chiarimenti per le classi in cui sono presenti alunni non vedenti.

 

La Biblioteca Italiana per i Ciechi “Regina Margherita” di Monza, incaricata della stampa dei libri di testo in formato “braille” per alunni non vedenti e a caratteri ingranditi per alunni ipovedenti, ha rappresentato alcune difficoltà in ordine alla stampa e alla distribuzione dei libri di testo stessi in tempo utile rispetto all’inizio delle lezioni, qualora le relative adozioni dovessero essere deliberate nella prima decade del mese di maggio 2011, come previsto dalla circolare ministeriale n. 18/2011.

Tale termine della prima decade del mese di maggio, pur comprendendo anche le adozioni dei testi scolastici per le classi in cui frequentino alunni non vedenti, è stato, tuttavia, anticipato rispetto al termine fissato per il precedente anno scolastico (seconda decade di maggio), proprio in considerazione dei maggiori tempi tecnici che richiede la stampa dei testi da parte della Biblioteca di Monza, stampa che vede anche il coinvolgimento di altri soggetti istituzionali che determinano un allungamento dei tempi stessi.

Ciò premesso, i dirigenti scolastici avranno cura di anticipare, per quanto possibile, le procedure di adozione, limitatamente alle classi in cui sono presenti alunni non vedenti e per i soli libri di testo per i quali risulterebbe eventualmente possibile procedere ad una nuova adozione.

 

IL DIRETTORE GENERALE

Carmela Palumbo

 

Nota 23 marzo 2011, MIURAOODGOS prot. n. 1897 (GG/5) /R.U./U

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

– Ufficio VII –

 

Ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

 

Al Sovrintendente agli Studi per la Regione Autonoma

della Valle d’Aosta

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Trento

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Bolzano

 

All’Intendente Scolastico per le scuole

delle località ladine di Bolzano

 

All’Intendente Scolastico per le scuole in lingua tedesca

di Bolzano

 

Oggetto: Certamen Hodiernae Latinitatis

 

Il Liceo Scientifico “N. Palmeri” di Termini Imerese indice il Certamen Hodiernae Latinitatis.

 

La competizione prevede due sezioni: “CHL Maius” per gli studenti del triennio degli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore; e il “CHL Minus” per gli alunni delle classi terze delle Scuole Secondarie di I grado che hanno attivato nel POF corsi propedeutici di Latino.

 

I Dirigenti Scolastici delle scuole partecipanti avranno cura di trasmettere al Liceo Scientifico “N. Palmeri” di Termini Imerese le domande di partecipazione degli studenti del proprio istituto entro i termini previsti dal Regolamento.

 

Si allegano il regolamento e le domande di partecipazione.

 

Il Certamen Hodiernae Latinitatis – Sezione Certamen Maius – fa parte delle iniziative riconosciute nel programma nazionale di promozione delle eccellenze riguardanti gli studenti delle scuole secondarie superiori per l’a. s. 2010/2011 (D. M. 27 luglio 2010) www.istruzione.it/web/istruzione/cm77_10.

 

La Sezione Certamen Maius si svolgerà presso i locali del Liceo Scientifico “N. Palmeri” di Termini Imerese l’8 maggio 2011 ed avrà la durata di sei ore, con inizio alle ore 9.00.

 

Il Dirigente

F.to Edvige Mastantuono

———————————

 

 

CHL

Certamen Hodiernae Latinitatis

(inserito dal M.I.U.R tra le iniziative nazionali per la

promozione delle eccellenze con D.M 27.07.2010 )

Lectio transit in mores

(Erasmus Roterodamus)

 

Bando della seconda edizione

 

L’Istituto di Istruzione Superiore “N. Palmeri” di Termini Imerese, in rete con l’Istituto I. Florio di

Palermo e con l’Istituto G. Mazzini di Messina, con il patrocinio del CLE (Centrum Latinitatis

Europae), del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, dell’ Ufficio Scolastico

Regionale per la Sicilia, dell’Assessorato alla Cultura ed all’Istruzione della Città di Termini Imerese, ,

dell’Assessorato alle Politiche dell’Istruzione e l’Assessorato ai Diritti Umani della Provincia

Regionale di Palermo e con la collaborazione scientifica di docenti delle Università degli Studi di

Palermo, di Catania e di Messina, e della Libera Università Kore di Enna,

indice il

Certamen Hodiernae Latinitatis

(certamen@liceopalmeri.it)

Regolamento

Art. 1 – Scopo del Certamen

Il CHL, pur presupponendo le indispensabili competenze grammaticali e semantiche che consentono

la giusta comprensione dei Testi, richiede ai partecipanti l’elaborazione di un saggio breve sul

contributo che la conoscenza della Latinità può offrire alla costruzione di un nuovo Umanesimo,

capace di affrontare responsabilmente le sfide del mondo contemporaneo.

Il tempo intercorso tra noi e gli Antichi non esclude infatti la possibilità di trarre valide indicazioni ‐di

merito e di metodo‐ dalle interpretazioni che il Mondo Latino elaborò, in continuità e simbiosi con la

cultura Greca, sui grandi temi della Scienza, dell’Antropologia, del Diritto e dell’Etica.

Su questi filoni di pensiero, la lezione degli Autori Latini risulta ancora oggi di grande spessore e

suggestione, soprattutto se ci si propone di ri‐conoscere il magistero degli Autori classici sottraendosi

all’ enfasi e ai travisamenti che ne hanno distorto nel tempo il significato e la portata.

Il Certamen Hodiernae Latinitatis vuole essere un invito agli studenti a guardare al passato alla luce dei

problemi e delle difficoltà del presente, nella consapevolezza che ‐‐ come ha scritto Jurgen Habermas ‐

non c’è autentica conoscenza fuori dall’interesse e dalla passione intellettuale per l’inesauribile

vastità e problematicità dell’esperienza.

La competizione prevede due sezioni: “CHL Maius” per gli studenti del triennio degli Istituti di

Istruzione Secondaria Superiore; e il “CHL Minus” per gli alunni delle classi terze delle Scuole

Secondarie di I grado che hanno attivato nel POF corsi propedeutici di Latino.

Art. 2 – La prova (CHL Maius)

Lo studente dovrà realizzare un saggio breve, nel quale rielaborerà un tema proposto dalla

riflessione di uno o più autori latini su una tematica di argomento o scientifico o antropologico, o

giuridico, o etico, alla luce degli apporti di testi di Autori antichi e di studiosi e pensatori anche

contemporanei.

I testi scelti saranno contenuti in un apposito dossier, prodotto dalla Commissione, presentati in lingua

originale, accompagnati da una breve introduzione e da alcune note esplicative. A testi di particolare

lunghezza e complessità sarà affiancata la traduzione in lingua italiana. La traduzione dei testi in lingua

originale non è espressamente richiesta e servirà ai partecipanti per ricavare elementi e dati necessari

all’elaborazione del saggio. I candidati dovranno infatti richiamare in modo esplicito e convincente ‐

dal punto di vista dei significati e delle argomentazioni – i testi in lingua latina.

Art. 3 – Il tema del Certamen Maius 2011

Il tema dell’edizione 2011 è il seguente:

“… iustitiam cole et pietatem, quae cum magna in parentibus et propinquis,

tum in patria maxima est”. (Cicerone, Somnium Scipionis)

La formazione politica del cittadino tra virtù private ed etica pubblica.

Art 4 – Destinatari

Il Certamen è riservato agli studenti frequentanti il triennio dei Licei Classici, Scientifici,

Linguistici, delle Scienze Sociali e della Comunicazione e del Liceo Europeo presenti nel territorio

nazionale. Gli studenti partecipanti dovranno aver riportato, nello scrutinio finale dell’anno

precedente a quello in corso, una votazione non inferiore ai 7/10 nella lingua e letteratura latina.

Sono inoltre ammessi a partecipare gli studenti provenienti da scuole di Paesi della UE nelle quali sia

previsto lo studio del Latino e che abbiano riportato nella valutazione finale dei due anni precedenti,

relativamente alla Lingua e Letteratura Latina, un esito equivalente, in percentuale, ad almeno 7/10.

Questi studenti possono redigere il saggio breve, oltre che in italiano, in lingua inglese o francese.

Art. 5 – Condizioni e modalità di partecipazione

Ogni scuola potrà partecipare con un numero di studenti non superiore a dieci, fatte salve le condizioni

di cui al comma 2 dell’articolo precedente.

Alla competizione saranno ammesse di norma 20 scuole, salvo che il numero di partecipanti per scuola non

consenta di accettare ulteriori istanze. Per l’iscrizione si procederà in stretto ordine di arrivo delle domande,

secondo i criteri illustrati nei commi seguenti.

Le domande, redatte secondo il modello dell’ allegato 1, dovranno essere vistate dal Dirigente scolastico (per le

scuole paritarie, dal Coordinatore didattico), che certificherà in tal modo il possesso, da parte degli studenti, dei

requisiti di ammissione. Per gli studenti minorenni è richiesta la presenza di un docente accompagnatore.

Tutte le domande dovranno pervenire, con lettera raccomandata o tramite posta elettronica certificata (PEC)

inviata a cura della scuola di appartenenza degli studenti, al Dirigente del Liceo Scientifico Statale “N. Palmeri”,

piazza Sansone, 90018 Termini Imerese (PA), entro e non oltre il 21 marzo 2011. Le domande pervenute oltre

tale data saranno accettate solo in presenza di disponibilità di posti.

Le domande potranno essere anche anticipate via fax al n. 091.8114178 o via posta elettronica all’indirizzo:

certamen@liceopalmeri.it. La regolarità dell’iscrizione sarà comunque garantita dal modulo pervenuto alla

segreteria organizzativa in originale.

A garanzia del rispetto dei termini di iscrizione farà fede il timbro postale.

Art. 6 – Tempi e modalità di svolgimento delle prove

La prova, della durata di sei ore, si svolgerà l’ 8 maggio 2011, con inizio alle ore 9,00 nei locali del

Liceo Scientifico Statale “N. Palmeri”, o in altri locali adeguati al numero dei partecipanti.

Gli studenti dovranno presentarsi presso il suddetto Liceo alle ore 8,00 muniti di un documento di identità. Sarà

concesso l’uso del vocabolario di Latino e del vocabolario di Italiano. Agli studenti dei Paesi della UE sarà

concessa la consultazione dei vocabolari della lingua di appartenenza. Per gli elaborati saranno utilizzati appositi

fogli vidimati dalla Commissione. Al termine della prova ogni concorrente consegnerà il proprio elaborato, non

firmato e privo di segni di riconoscimento, in una busta chiusa, contenente un’altra busta dove saranno inclusi

gli estremi per la sua individuazione.

Entrambe le buste saranno fornite all’inizio della prova. Le buste, contenenti gli estremi per

l’individuazione dei concorrenti, saranno aperte dalla Commissione giudicatrice al termine della revisione di

tutti gli elaborati e dell’assegnazione di tutti i punteggi, in modo da attribuire i punteggii ai nomi dei rispettivo

concorrente.

Art. 7 – La Commissione

La Commissione giudicatrice del Certamen è così composta

Presidente : un docente di Letteratura Latina proveniente da una delle Università della Sicilia.

Commissari: almeno tre docenti di Lingua e Letteratura Latina provenienti da Licei o da Istituti Statali

nel cui ordinamento è previsto l’insegnamento della Lingua e Letteratura Latina. Sono esclusi i di

docenti dell’IISS N. Palmeri .

Sulla base della tematica annuale indicata per la prova, potrà essere integrato nella Commissione, un

altro membro, con funzioni di consulenza specifica, proveniente dalle istituzioni accademiche siciliane,

dal mondo della cultura o dal mondo della scuola.

Per la valutazione delle performances degli alunni della 3^ classe della secondaria di I grado, la

Commissione sarà integrata con la presenza di un dirigente scolastico e di un docente dello stesso

grado di Scuola

La composizione della Commissione sarà resa nota nel sito www.liceopalmeri.it entro la data del 30

marzo 2011.

Art. 8 – Comitato Scientifico

Orazio Aiello, docente di Lingua e Letteratura Latina, I. I. S.S. “N. Palmeri”, Termini Imerese

Antonio Cannizzaro, dirigente scolastico in quiescenza,, Palermo

Iole Remigia Catanese docente di Lingua e Letteratura Latina, I. I. S.S. “N. Palmeri”

Fausto Clemente, dirigente scolastico, I. I. S. S. “N. Palmeri”,

Salvatore Curreri, docente di Diritto Pubblico L. U. Kore di Enna

Antonio La Spina, docente di Sociologia Univ. degli studi di Palermo

Antonietta Luppino, docente di Lingua e Letteratura Latina, I. I. S.S. “N. Palmeri

Rosa Marchese, docente di lingua Latina, Univ . degli studi di Palermo

Sebastiano Pulvirenti, Ispettore Tecnico MIUR, Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia

Art. 9 – Comitato organizzativo

Prof. Fausto Clemente, Dirigente scolastico IISS Palmeri

Prof.ssa Grazia Murabito, Dirigente scolastico SMS G.Mazzini ‐ Messina

Prof.ssa Lucia Lo Cicero Dirigente scolastico SMS I. Florio – Palermo

Rag. Leopoldo Guarneri , Direttore SGA.

Sig.ra Angela Amenta ( amministrazione )

Art. 10 – Premi individuali e Premio speciale all’Istituzione scolastica

La graduatoria completa del concorso sarà pubblicata sul sito www.liceopalmeri.it e in quello

dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, www.istruzionesicilia.it, I nominativi dei primi dieci classificati

saranno inoltre riportati su uno dei quotidiani editi in Sicilia ( Giornale di Sicilia – La Sicilia – Repubblica ed. di

Palermo)

La cerimonia di premiazione dei vincitori si svolgerà entro il mese di novembre dell’anno solare 2011.

Sono istituiti le borse di studio e i premi di seguito elencati:

Sette borse di studio in denaro:

1° classificato: borsa di studio di euro 600,00

2° classificato: borsa di studio di euro 400,00

3° classificato: borsa di studio di euro 250,00

dal 4°al 7°classificato: euro 150,00

Quattro Premi e riconoscimenti

8° ‐10° premio : libri, CD, DVD

Premio e Menzione speciale della Commissione: Libri, CD, DVD:

alla scuola che vedrà il maggior numero di alunni nella graduatoria dei primi 20 classificati.

Per l’attribuzione del Premio e della Menzione si procederà sommando i numeri corrispondenti alla

posizione rispettiva degli alunni in graduatoria, cominciando da 20 punti per la prima posizione e

finendo con 1 punto per la ventesima posizione.

Attestati

A tutti i concorrenti, fino alla 20^ posizione, sarà rilasciato un attestato di partecipazione, che potrà essere

inserito nel curriculum personale di ciascuno ai fini del credito formativo.

La Scuola e il docente di Latino del vincitore del 1° premio riceveranno una targa ricordo.

Le borse, i premi e i riconoscimenti sono offerti dalla Scuola organizzatrice, con il meritorio contributo degli

sponsors della Competizione. L’elenco dei soggetti, pubblici e/o privati, che alla data di pubblicazione del

presente bando hanno assicurato il loro sostegno è il seguente:

UNICREDIT Group

Lions International ‐ Termini Im. Host

Lions International ‐ Termini Himera Cerere

F.I.D.A.P.A. – Termini Imerese

De Agostini‐ Scuola ‐ Novara

Siculiana srl – Servizi Scuola ‐ Palermo

Farmacia Curreri – Termini Imerese

Campagna Group – Mondialpol Security – Termini Imerese

Cascino SpA – Termini Imerese

Art. 11 – Sezione speciale riservata agli alunni delle scuole secondarie di I grado (CHL

Minus)

Il CHL riserva una sezione speciale agli alunni della classe 3^ della Scuola secondaria di primo grado.

Condizione necessaria per la partecipazione è l’inserimento dello studio della lingua e civiltà latine nel POF

d’Istituto.

L’argomento suggerito agli alunni delle scuole secondarie di primo grado attiene alla stessa tematica, ma è

formulato nel modo seguente:

Praticare la giustizia e il rispetto degli altri per crescere in una società più giusta,

pacifica,democratica.

Gli alunni partecipanti affronteranno la problematica connessa al tema con la sensibilità che è loro propria e nel

modo in cui essa si pone ai nostri giorni, ma con gli opportuni riferimenti a quanto emerge dai testi

specificamente proposti nel dossier “CHL Minus”, pubblicato sul sito della scuola in allegato al presente bando.

La partecipazione è aperta a singoli alunni o a gruppi ( anche di interclasse ) non superiori a sei unità.

Agli alunni partecipanti è consentito trattare la tematica annuale attraverso le seguenti modalità espressive:

– Racconto breve (max due cartelle di 40 righe ciascuna)

– Composizione libera ( max due cartelle di 60 righe ciascuna)

– Prodotto grafico / pittorico, su supporto di formato non superiore a cm. 45 x 50. Rimane libera la scelta

del materiale del supporto (carta, tela, legno, metallo, etc) e della tecnica (matita, china, acrilico,

tempera, olio, mista, etc)

– Prodotto multimediale

– Spot pubblicitario sul tema, nell’ottica di “pubblicità‐progresso”

Le domande di partecipazione dovranno pervenire entro il 15 aprile 2011 con le stesse modalità di cui al

precedente art. 4, utilizzando il modulo allegato. 2. I prodotti dovranno pervenire alla Segreteria Organizzativa,

pena esclusione, entro 30 aprile 2011.

Art. 12 –Premi della Sezione riservata agli alunni delle Scuole Secondaria di primo

grado

La graduatoria dei vincitori sarà unica, a prescindere dalla tipologia del prodotto presentato dai concorrenti

1^ premio: Euro 250

2^ premio: Euro 150

3^ premio Euro 100

Alla scuola dell’alunno vincitore del Primo premio, sarà donato un pacco libri per la biblioteca della scuola.

A tutti i concorrenti sarà rilasciato un attestato di partecipazione.

Tutte le scuole iscritte alla competizione riceveranno una targa a ricordo della manifestazione‐

===================================================================================

Con pubblico ringraziamento agli sponsor della Manifestazione:

Termini Imerese Termini

HOST HIMERA

CERERE

Farmacia Curreri

Termini Imerese

 

———————–

 

IL PACCHETTO CHL 2011

Ospitalità

– Le spese di viaggio e soggiorno sono a carico dei partecipanti.

– Per il pernottamento dei partecipanti la notte del 7 maggio, è prevista la sistemazione in camera

doppia o tripla nella struttura alberghiera Hotel Dolcestate**** (quattro stelle,

www.hoteldolcestate.com) al prezzo speciale convenzionato di € 33,00 con inclusa la prima

colazione. Questa opzione riguarda anche i docenti accompagnatori, i quali, con un supplemento

di € 20,00 potranno usufruire di una camera singola fino ad esaurimento della disponibilità.

– A scelta dei partecipanti è naturalmente possibile la sistemazione in altri alberghi della città e del

territorio a prezzo non convenzionato. È indispensabile che l’opzione scelta sia chiaramente

indicata nel modulo di iscrizione.

– Per coloro che arrivassero in città nella mattinata di sabato 9 aprile si propone, nel pomeriggio, la

visita guidata del Museo Civico, dei luoghi e monumenti più significativi della città e, se

rientrante nei tempi previsti, degli scavi e dell’Antiquarium dell’antica colonia greca di

Himera. La visita guidata inizierà alle ore 15:00.

– L’8 maggio l’Istituto Palmeri, con la collaborazione degli Sponsor, offrirà agli studenti

partecipanti uno spuntino nella sede stessa della prova, in modo che possano rifocillarsi senza

interrompere la performance in corso.

► Come arrivare a Termini Imerese:

 Provenendo da Palermo, imboccare la A19 direzione Messina-Catania fino allo svincolo di Termini

Imerese

 Provenendo dall’Aeroporto Internazionale Falcone e Borsellino, imboccare la A29 in direzione Palermo

e, senza entrare in città, percorrere la circonvallazione sino all’imbocco della A19. Procedere quindi

come sopra.

 Per chi proviene da Messina o Catania, imboccare rispettivamente la A20 o la A19 in direzione Palermo

fino allo svincolo di Termini Imerese

► Come arrivare alla sede del Liceo Palmeri.

Dallo svincolo di Termini Imerese, percorrere tutta la bretella e giungere alla via Falcone e Borsellino.

Seguire quindi le indicazioni per l’Ospedale Salvatore Cimino: la Scuola si trova esattamente di fronte

all’area ospedaliera.

► Come arrivare in albergo

Provenendo dalla A19 (Palermo),dalla A20 (Messina) o dalla A29(Catania), uscire allo svincolo

Campofelice- Buonfornello, proseguire lungo la SS 113 in direzione Campofelice di Roccella e, subito

dopo il primo cavalcavia,imboccare il sottopassaggio sulla dx e proseguire per c.ca 30 m. in direzione

Palermo. Informazioni più dettagliate sul sito www.hoteldolcestate.com)

►Per la prenotazione all’hotel Dolcestate si può contattare la struttura, a partire dal 18 marzo 2011,

ai seguenti recapiti:

Tel. : 0921.933002 – 933959 / FAX : 0921.428999 / e-mail: info@hoteldolcestate.com

L’albergo si trova a 20 minuti di strada da Termini Imerese, tra il sito archeologico dell’antica Himera e il

Parco Regionale delle Madonne. Per i trasferimenti in e dalla struttura la mattina della prova, sarà predisposto

un servizio navetta gratuito.

►Per maggiori informazioni e chiarimenti sul Certamen Hodiernae Latinitatis, rivolgersi ai recapiti della

segreteria organizzativa al tel. 091.8144145 o ai docenti del coordinamento organizzativo di seguito indicati.

Prof. O. Aiello, e-mail – laureous@libero.it

Prof.ssa A. Luppino, e-mail – antonietta.luppino@alice.it.

Prof.ssa A. Messina, e-mail – antome.1@hotmail.it

.

I.I.S.S. Nicolò Palmeri, piazza G. Sansone 12, 90018 Termini Imerese (PA) –

Fax: 091.8114178

Posta elettronica certificata: liceopalmeri@pec.it

e-mail: certamen@liceopalmeri.it – preside@liceopalmeri.it

Sito WEB : www.liceopalmeri.it

 

———————

 

CHL – ALLEGATO 1

DOMANDA DI PARTECIPAZIONE al CERTAMEN HODIERNAE LATINITATIS

Sezione Licei e Scuole Secondarie di 2^ grado

(da spedire per posta prioritaria o alla casella PEC)

Al Dirigente Scolastico

I.I.S.S. Nicolò Palmeri

Piazza Giovanni Sansone 12

90018 Termini Imerese

Il/la sottoscritt ………………………………………… docente di………………………………………….

presso il Liceo/Isti. Superiore ………………………….…………………… .…Cod. Mecc. …………………..

di………………………………………………..via/piazza …………………………………………………nc….

CAP ………… tel..…….…………………fax………………………e-mail ……………………………………

comunica che n…………. studenti iscritti a questo Liceo/o a questo Istituto, di cui si precisano di

seguito le generalità, intendono partecipare alla I^ edizione del Certamen Hodiernae Latinitatis.

N ognome e nome classe e

sez.

data di

nascita

altro

A tal fine il/la sottoscritto/a dichiara di essere a conoscenza e di accettare tutte le norme e le condizioni

contenute nel Regolamento e nel Bando della 2^ edizione del CHL

Data…………………………….. Firma…………………………………

Ai sensi della legge n. 196/2003, il sottoscritto autorizza il trattamento dei propri dati ed immagini personali per

tutte le attività inerenti la manifestazione. Si impegna inoltre a consegnare all’Amministrazione Scolastica dell’IISS

8

N. Palmeri analoga autorizzazione dei partecipanti, se maggiorenni, o dei rispettivi genitori, nel caso di minore

età.

Firma ___________________________

DOCENTE Accompagnatore

N. tel

e-mail :

Visto per autorizzazione del Dirigente Scolastico

………………………………….. IL DIRIGENTE SCOLASTICO

(data) (timbro e firma)

 

———————–

 

Scheda Notizie (da compilare nel caso si provenga da fuori Termini Imerese e si intenda soggiornare, la notte tra il

e il aprile 2011, presso la struttura alberghiera convenzionata (v. Pacchetto CHL))

– Il nostro arrivo a Termini Imerese è previsto

□ nella mattinata □ nel pomeriggio

□ Gli studenti della nostra scuola saranno accompagnati dal Prof. /Prof.ssa

………………………………………………………………………………………….

□ Gli studenti

……………………………………… ……………………………………..

……………………………………… ……………………………………..

saranno accompagnati dai genitori ( o da altri che eserciti la potestà parentale)

□ Abbiamo prenotato (o intendiamo prenotare entro e non oltre il 30 marzo 2010) presso la

struttura alberghiera convenzionata con la scuola.

□ Abbiamo prenotato il pernottamento del presso l’hotel ………………………………………

……………………………………………………………………………………………………….

□ All’arrivo, ci recheremo direttamente in albergo

□ Preferiamo incontrarci prima con voi a scuola

□ Intendiamo partecipare all’escursione pomeridiana a Termini e dintorni (appuntamento ore ore

15,00, atrio del Liceo)

Altro…………………………………………………………………………………………………..

Firma del docente responsabile

……………………………………………

Timbro

della

Scuola

 

———————–

 

CHL – ALLEGATO 2

DOMANDA DI PARTECIPAZIONE al CERTAMEN HODIERNAE LATINITATIS

Sezione Scuola Secondaria di 1^ grado

Al Dirigente Scolastico

I.I.S.S. Nicolò Palmeri

Piazza Giovanni Sansone 12

90018 Termini Imerese

Il/la sottoscritt ………………………………………… docente di………………………………………….

presso la Scuola Media (statale- paritaria) ………………………….…………………… ……………………….

di………………………………………………..via/piazza …………………………………………………nc….

CAP ………… tel..…….…………………fax………………………e-mail ……………………………………

comunica che n………….alunni, di cui si precisano di seguito le generalità, intendono partecipare alla

I^ edizione del Certamen Hodiernae Latinitatis . Si impegnano a presentare a codesto Istituto, entro e

non oltre l’8 aprile 2011, i loro elaborati nelle forme e con le modalità indicate all’art.11 del Bando.

N Cognome e nome classe e

sez.

data di

nascita

altro

A tal fine il/la sottoscritto/a dichiara :

– Che lo studio del latino è previsto nel POF d’Istituto.

– Di essere a conoscenza e di accettare tutte le norme e le condizioni contenute nel Regolamento e nel

Bando della I^ edizione del CHL

 

Data…………………………….. Firma…………………………………

Ai sensi della legge n. 196/2003, il sottoscritto autorizza il trattamento dei propri dati ed immagini personali per

tutte le attività inerenti la manifestazione. Si impegna inoltre a consegnare all’Amministrazione Scolastica dell’IISS

N. Palmeri analoga autorizzazione dei partecipanti, se maggiorenni, o dei rispettivi genitori, nel caso di minore

età.

Firma ___________________________

Visto per autorizzazione del Dirigente Scolastico

………………………………….. IL DIRIGENTE SCOLASTICO

(data) (timbro e firma)

________________________

Timbro

della

Scuola

 

——————–

 

Testi per il concorso degli alunni della Scuola Secondaria di primo grado

Premessa

L’uomo, per sua natura, come dice l’antico filosofo Aristotele, è “un animale sociale”. Tale

fatto innegabile comporta che egli viva all’interno di una rete di relazioni, via via sempre più

ampia, che si identifica, in primo luogo, con l’ambito familiare, quindi con il gruppo dei pari

all’interno delle istituzioni educative quali la scuola, poi con la società. In ciascuno di questi

contesti l’uomo è titolare di diritti e doveri che gli consentono di rapportarsi agli altri in modo

ordinato ed armonioso. I testi selezionati per voi vogliono condurvi a riflettere sul complesso

dei doveri che ci legano agli altri. Ci è sembrato opportuno muovere da un ambito a voi

familiare, quello scolastico, con i due brani dell’Institutio oratoria di Quintiliano che illuminano

i rapporti tra alunni e docenti nelle reciproche responsabilità. Le Sententiae di Publilio Siro

suggeriscono alcune norme di interesse sociale, soprattutto nell’ambito giudiziario e

patrimoniale. Da parte loro, le Fabulae di Fedro ci danno uno spaccato delle ingiustizie

perpetrate dai potenti a danno dei deboli. Cicerone, invece, nel brano delle Ad familiares, si

consegna a noi in una veste insolita da quella dell’uomo di stato cui siamo abituati, quella del

marito e padre affettuoso, sollecito del bene dei propri cari lontani. Nel testo tratto dal De

officiis il richiamo è alla responsabilità dell’uomo politico che deve preoccuparsi in primo

luogo del bene comune sacrificando ad esso l’interesse personale. In Seneca, poi, è forte il

richiamo all’importanza dell’azione, non disgiunta, però, dalla pratica quotidiana della virtù.

Chiudono il dossier due testi sull’amicizia, il primo di Cicerone, il secondo di Virgilio; anche

l’amicizia, infatti, esige il rispetto di alcune “regole” perché possa divenire rapporto leale e

disinteressato in vista della crescita comune.

 

CHL

Certamen Hodiernae Latinitatis

Lectio transit in mores

(Erasmus Roterodamus)

DOSSIER DI TESTI

Quintiliano, Institutio oratoria 2, 9

(I doveri degli alunni):

Dopo aver parlato tanto dei doveri dei

maestri, voglio dire ai discepoli

soltanto questo, di amare i maestri

non meno dei loro studi e di ritenerli

genitori non dei corpi ma delle menti.

Questo rispetto gioverà molto allo

studio, perché, così, li ascolteranno

volentieri e crederanno alle loro

parole e desidereranno essere simili a

loro; allora, lieti e contenti si

Quintiliano, Institutio oratoria 2, 9

(I doveri degli alunni):

Plura de officiis docentium locutus

discipulos id unum interim moneo, ut

praeceptores suos non minus quam ipsa

studia ament et parentes esse non quidem

corporum, sed mentium credant. Multum

haec pietas conferet studio; nam ita et

libenter audient et dictis credent et esse

similes concupiscent, in ipsos denique

coetus scholarum laeti alacres conuenient,

emendati non irascentur, laudati

12

recheranno a scuola; se verranno

ripresi, non si adireranno, se, invece,

saranno lodati, proveranno piacere e

si adopereranno perché siano molto

amati. Infatti, come dovere del

maestro è insegnare, così dovere dei

discepoli è mostrarsi docili; del resto,

nessuna cosa è sufficiente senza

l’altra. Come la natura dell’uomo

deriva da ambedue i genitori e invano

spargerai i semi se non li alimenterà il

solco preparato in precedenza, così

l’eloquenza non può crescere se non

con lo sforzo concorde di chi dà e di

chi riceve.

gaudebunt, ut sint carissimi studio

merebuntur. Nam ut illorum officium est

docere, sic horum praebere se dociles:

alioqui neutrum sine altero sufficit; et

sicut hominis ortus ex utroque

gignentium confertur, et frustra sparseris

semina nisi illa praemollitus fouerit

sulcus, ita eloquentia coalescere nequit

nisi sociata tradentis accipientisque

concordia.

Quintiliano, Institutio oratoria 2, 4-8

(I doveri degli insegnanti):

Nei confronti dei suoi discepoli, il

docente, anzitutto, assuma i

sentimenti di un padre, e sia convinto

di prendere il posto di quanti gli

affidano i figli. Egli non abbia vizi e

non li ammetta negli altri. La sua

serietà non diventi cupa e la sua

affabilità non sia sguaiata, affinché, a

causa della prima, non gli venga

antipatia e, a causa della seconda,

scarso rispetto. Parli spesso di ciò che

è onesto e di ciò che è bene: infatti,

quanto più spesso ammonirà, tanto

più raramente punirà. Si adiri il

meno possibile, ma non finga di non

vedere i difetti da correggere, sia

semplice nelle spiegazioni, resistente

alla fatica, assiduo ma non eccessivo.

Risponda volentieri a chi gli fa

domande, di sua iniziativa interroghi

chi non gliene pone. Nel lodare le

esercitazioni degli allievi non sia né

troppo stretto né troppo largo, poiché

il primo atteggiamento rende noioso

lo studio, il secondo genera eccessiva

sicurezza. Quando corregge gli errori

non si mostri aspro e offenda il meno

possibile, perché il fatto che alcuni

biasimino i ragazzi quasi come se

provassero astio verso di loro ne

allontana molti dal proposito di

studiare.

Quintiliano, Institutio oratoria 2, 4-8

(I doveri degli insegnanti):

Sumat igitur ante omnia parentis erga

discipulos suos animum, ac succedere

se in eorum locum, a quibus sibi liberi

tradantur, existimet. Ipse nec habeat

vitia nec ferat. Non austeritas eius

tristis, non dissoluta sit comitas, ne

inde odium hinc contemptus oriatur.

Plurimus ei de honesto ac bono sermo

sit; nam quo saepius monuerit, hoc

rarius castigabit. Minime iracundus,

nec tamen eorum, quae emendanda

erunt, dissimulator, simplex in

docendo, patiens laboris, assiduus

potius quam immodicus.

Interrogantibus libenter respondeat,

non interrogantes percontetur ultro.

In laudandis discipulorum dictionibus

nec malignus nec effusus, quia res

altera taedium laboris, altera

securitatem parit. In emendando, quae

corrigenda erunt, non acerbus

minimeque contumeliosus; nam id

quidem multos a proposito studendi

fugat, quod quidam sic obiurgant

quasi oderint.

13

Publilio Siro, Sententiae:

Avere una buona reputazione

equivale ad avere un altro

patrimonio!

Giustamente perde i suoi soldi il

colpevole che dà soldi al giudice!

Sbaglia due volte chi favorisce un

colpevole!

Anche quelli che la commettono

odiano l’ingiustizia!

È una frode accettare ciò che non

puoi restituire!

Publilio Siro, Sententiae:

Bene audire alterum patrimonium est.

Bene perdit nummos, iudici cum dat

nocens.

Bis peccas, cum peccanti obsequium

accommodas.

Et qui fecerunt, oderunt iniuriam.

Fraus est accipere, quod non possis

reddere.

Cicerone, Ad familiares 14, 4 (I doveri

familiari):

Vi scrivo meno di quanto potrei,

perché, se ogni istante è miserabile

per me, quando poi scrivo a voi o

leggo le vostre lettere, allora mi

struggo in lacrime, da non poter

resistere. Oh, se avessi amato meno la

vita! Non avrei certamente visto

alcuno o molti mali nella vita stessa.

Se, dunque, la fortuna mi ha

risparmiato per qualche speranza di

ricuperare prima o poi un poco di

felicità, il mio errore non è stato

grande; ma se queste sventure sono

definitive, desidero vederti al più

presto, o vita mia, e fra le tue braccia

morire, dal momento che né gli dei,

da te onorati con molta devozione, né

Cicerone, Ad familiares 14, 4 (I

doveri familiari):

Ego minus saepe do ad vos litteras,

quam possum, propterea quod cum

omnia mihi tempora sunt misera,

tum vero, cum aut scribo ad vos aut

vestras lego, conficior lacrimis sic,

ut ferre non possim. Quod utinam

minus vitae cupidi fuissemus! certe

nihil aut non multum in vita mali

vidissemus. Quod si nos ad aliquam

alicuius commodi aliquando

recuperandi spem fortuna reservavit,

minus est erratum a nobis; si haec

mala fixa sunt, ego vero te quam

primum, mea vita, cupio videre et in

tuo complexu emori, quoniam neque

di, quos tu castissime coluisti, neque

14

gli uomini, da me sempre serviti, ci

hanno contraccambiati. Sono rimasto

a Brindisi, presso Marco Lenio Flacco,

tredici giorni. Egli, persona ottima,

trascurò, per salvarmi, il rischio di

perdere i beni e la vita, e non si lasciò

dissuadere dalla pena che una legge

molto ingiusta commina, dal

compiere cioè i sacri doveri

dell’ospitalità e dell’amicizia. Magari

un giorno possa io contraccambiargli

il beneficio! La riconoscenza sarà

comunque eterna. Partii da Brindisi il

30 aprile, diretto a Cizico attraverso la

Macedonia. Sono un uomo rovinato,

un uomo abbattuto! Come potrei

chiederti di raggiungermi, donna

malata e stremata nelle forze fisiche e

morali? Non te lo chiederò? Rimarrò

dunque senza di te? Penso di fare

così: se esistono speranze di un mio

ritorno, rafforzale e datti da fare in

questo senso; se, come temo, la partita

è chiusa, cerca di raggiungermi a

qualsiasi costo. Questo solo sappi

bene: se ti avrò con me, non mi

sembrerà di aver perso tutto. Ma che

avverrà della mia piccola Tullia?

Decidete ormai voi, io non so che fare.

In ogni caso, è certo che quella

poverina deve tener conto sia del suo

matrimonio che della sua

reputazione. E poi, che farà il mio

Cicerone? Vorrei fosse sempre sulle

mie ginocchia, fra le mie braccia. Non

posso scrivere oltre, a questo punto;

me lo impedisce lo sconforto. Cosa tu

faccia lo ignoro, non so se possiedi

qualcosa o, come temo, sia stata

spogliata di tutto. Pisone, come scrivi,

spero sarà sempre dei nostri. […] Ora,

infelice, quando più riceverò una tua

lettera? Chi me la porterà? L’avrei

aspettata a Brindisi, se non l’avessero

permesso i marinai, mentre non

vollero lasciarsi sfuggire il bel tempo.

[…] Cerca, come puoi, di star sana e

sappi che io mi turbo più per la tua

infelicità che per la mia. Terenzia mia,

fedelissima e ottima moglie, e mia

carissima figliola, e tu, speranza mia

superstite, Cicerone, state bene.

Da Brindisi il 30 aprile.

homines, quibus ego semper servivi,

nobis gratiam rettulerunt. Nos

Brundisii apud M. Laenium

Flaccum dies XIII fuimus, virum

optimum, qui periculum fortunarum

et capitis sui prae mea salute

neglexit neque legis improbissimae

poena deductus est, quo minus

hospitii et amicitiae ius officiumque

praestaret: huic utinam aliquando

gratiam referre possimus! habebimus

quidem semper. Brundisio profecti

sumus a. d. II K. Mai.: per

Macedoniam Cyzicum petebamus. O

me perditum! O afflictum! Quid

enim? Rogem te, ut venias?

Mulierem aegram, et corpore et

animo confectam. Non rogem? Sine

te igitur sim? Opinor, sic agam: si

est spes nostri reditus, eam

confirmes et rem adiuves; sin, ut ego

metuo, transactum est, quoquo modo

potes ad me fac venias. Unum hoc

scito: si te habebo, non mihi videbor

plane perisse. Sed quid Tulliola mea

fiet? iam id vos videte: mihi deest

consilium. Sed certe, quoquo modo

se res habebit, illius misellae et

matrimonio et famae serviendum est.

Quid? Cicero meus quid aget? iste

vero sit in sinu semper et complexu

meo. Non queo plura iam scribere:

impedit maeror. Tu quid egeris,

nescio: utrum aliquid teneas an,

quod metuo, plane sis spoliata.

Pisonem, ut scribis, spero fore

semper nostrum. […] Nunc miser

quando tuas iam litteras accipiam?

quis ad me perferet? quas ego

exspectassem Brundisii, si esset

licitum per nautas, qui tempestatem

praetermittere noluerunt. […] Cura,

quoad potes, ut valeas et sic

existimes, me vehementius tua

miseria quam mea commoveri. Mea

Terentia, fidissima atque optima

uxor, et mea carissima filiola et spes

reliqua nostra, Cicero, valete. Pr. K.

Mai. Brundisio.

15

Seneca, De otio 4-5:

Immaginiamoci due tipi di Stato, uno

immenso e veramente tale, nel senso

che abbracci dèi e popoli diversi, e in

cui lo sguardo nostro non si fermi su

questo o su quell’angolino, ma ne

misuri i confini seguendo il corso del

sole; l’altro assai più piccolo e

specifico, in cui siamo nati per sorte e

(intendo dire Atene, Cartagine, o

qualunque altra città), che non sia

comune a tutti gli uomini ma solo ad

una parte di essi. Ebbene, c’è chi si

adopera per entrambi gli Stati, per

quello più grande e per quello più

piccolo, chi solo per uno dei due. Il

più grande possiamo servirlo anche

conducendo vita ritirata, dedita alla

meditazione, anzi, non so come si

potrebbe farlo meglio che in questo

caso, a condizione, però, che ci si

dedichi allo studio della virtù […].

Chi guarda a tutto questo rende un

servizio a Dio: testimonia infatti

l’opera sua. Noi diciamo che il sommo

bene è vivere secondo natura e la

nostra natura ha due facce, una

rivolta alla contemplazione, l’altra,

invece, all’azione.

Seneca, De otio 4-5.

Duas res publicas animo

complectamur, alteram magnam et

uere publicam qua di atque homines

continentur, in qua non ad hunc

angulum respicimus aut ad illum sed

terminos ciuitatis nostrae cum sole

metimur, alteram cui nos adscripsit

condicio nascendi; haec aut

Atheniensium erit aut

Carthaginiensium aut alterius

alicuius urbis quae non ad omnis

pertineat homines sed ad certos.

Quidam eodem tempore utrique rei

publicae dant operam, maiori

minorique, quidam tantum minori,

quidam tantum maiori. 2. Huic

maiori rei publicae et in otio deseruire

possumus, immo uero nescio an in

otio melius, ut quaeramus quid sit

uirtus, una pluresne sint, natura an

ars bonos uiros faciat; unum sit hoc

quod maria terrasque et mari ac terris

inserta complectitur, an multa

eiusmodi corpora deus sparserit;

continua sit omnis et plena materia

ex qua cuncta gignuntur, an diducta

et solidis inane permixtum; quae sit

dei sedes, opus suum spectet an

tractet, utrumne extrinsecus illi

circumfusus sit an toti inditus;

inmortalis sit mundus an inter

caduca et ad tempus nata

numerandus. Haec qui contemplatur,

quid deo praestat? ne tanta eius opera

sine teste sint. Solemus dicere

summum bonum esse secundum

naturam uiuere: natura nos ad

utrumque genuit, et contemplationi

rerum et actioni.

Cicerone, De amicitia 45-47:

Alcuni che, a quanto sento dire,

vennero considerati sapienti in Grecia,

hanno sostenuto tesi a mio giudizio

paradossali (ma non esiste argomento

su cui non cavillino). Una parte

afferma che non dobbiamo ricercare

Cicerone, De amicitia 45-47:

Nam quibusdam, quos audio sapientes

habitos in Graecia, placuisse opinor

mirabilia quaedam (sed nihil est quod

illi non persequantur argutiis): partim

fugiendas esse nimias amicitias, ne

necesse sit unum sollicitum esse pro

16

troppe amicizie, per evitare che uno

solo si tormenti per molti; a ciascuno

bastano e avanzano i propri problemi

e farsi carico di quelli altrui è una

bella noia. La cosa migliore, secondo

loro, è allentare più che si può le

briglie dell’amicizia, tirandole o

lasciandole andare a proprio piacere;

essenziale per vivere bene è la

tranquillità, di cui l’animo non può

godere se, per così dire, fosse uno solo

a sopportare il travaglio per tutti.

Altri, invece, a quanto si dice,

sostengono una tesi ancora più

disumana; l’ho brevemente accennata

poco fa: le amicizie andrebbero

ricercate in vista di protezione e

appoggi, e non per un sentimento di

affetto e stima; insomma, quanto

meno uno è deciso e forte, tanto più

aspira all’amicizia; ecco perché le

donnicciole più degli uomini

chiedono la protezione dell’amicizia, i

poveri più dei ricchi e gli sventurati

più di chi è considerato felice. Ma che

bella saggezza! È come se privasse

l’universo del sole chi priva la vita

dell’amicizia: e niente di più bello,

niente di più gradito dell’amicizia

abbiamo ricevuto dagli dèi immortali.

Allora, che cos’è mai questa

tranquillità, in apparenza seducente,

ma in realtà da ripudiare per molti

aspetti? No, non ha senso rifiutarsi di

intraprendere una cosa o un’azione

onesta, oppure abbandonarla dopo

averla intrapresa, per evitare noie. Ma

se fuggiamo le preoccupazioni,

dobbiamo fuggire la virtù che,

all’inevitabile prezzo di qualche

apprensione, ci porta a disprezzare e

odiare il suo contrario, come fa la

bontà con la cattiveria, la temperanza

con le passioni, il coraggio con

l’ignavia. Ecco perché si vedono

soprattutto i giusti soffrire per le

ingiustizie, i coraggiosi per la viltà, i

moderati per gli eccessi. E’ proprio di

un animo ben educato, quindi,

rallegrarsi per il bene e affliggersi per

il male.

pluribus; satis superque esse sibi

suarum cuique rerum, alienis nimis

implicari molestum esse;

commodissimum esse quam laxissimas

habenas habere amicitiae, quas vel

adducas, cum velis, vel remittas; caput

enim esse ad beate vivendum

securitatem, qua frui non possit

animus, si tamquam parturiat unus

pro pluribus. Alios autem dicere aiunt

multo etiam inhumanius (quem locum

breviter paulo ante perstrinxi)

praesidii adiumentique causa, non

benevolentiae neque caritatis,

amicitias esse expetendas; itaque, ut

quisque minimum firmitatis haberet

minimumque virium, ita amicitias

appetere maxime; ex eo fieri ut

mulierculae magis amicitiarum

praesidia quaerant quam viri et inopes

quam opulenti et calamitosi quam ii

qui putentur beati. O praeclaram

sapientiam! Solem enim e mundo

tollere videntur, qui amicitiam e vita

tollunt, qua nihil a dis immortalibus

melius habemus, nihil iucundius.

Quae est enim ista securitas? Specie

quidem blanda sed reapse multis locis

repudianda. Neque enim est

consentaneum ullam honestam rem

actionemve, ne sollicitus sis, aut non

suscipere aut susceptam deponere.

Quod si curam fugimus, virtus

fugienda est, quae necesse est cum

aliqua cura res sibi contrarias

aspernetur atque oderit, ut bonitas

malitiam, temperantia libidinem,

ignaviam fortitudo; itaque videas

rebus iniustis iustos maxime dolere,

imbellibus fortes, flagitiosis modestos.

Ergo hoc proprium est animi bene

constituti, et laetari bonis rebus et

dolere contrariis.

Cicerone, De officiis 1, 85:

Cicerone, De officiis 1, 85:

17

In generale, quelli che si dispongono a

governare lo Stato, tengano ben

presenti questi due precetti di

Platone: primo, curare l’utile dei

cittadini in modo da adeguare ad esso

ogni loro azione, dimentichi e

incuranti dei propri interessi;

secondo, provvedere a tutto

l’organismo dello Stato, affinché,

mentre ne curano una parte, non

trascurino le altre. Come la tutela di

un pupillo, così il governo dello Stato

deve esercitarsi a vantaggio non dei

governanti, ma dei governati. D’altra

parte, quelli che provvedono a una

parte dei cittadini e ne trascurano

un’altra, introducono nello Stato il più

funesto dei malanni: la discordia e la

sedizione; avviene, pertanto, che

alcuni appaiono amici del popolo,

altri fautori degli ottimati; ben pochi

sono devoti al bene di tutti. Di qui

nacquero in Atene grandi discordie;

di qui scoppiarono nella nostra

repubblica, non solo sedizioni, ma

anche rovinose guerre civili; mali,

questi, che un cittadino austero e

forte, degno di primeggiare nello

Stato, fuggirà con orrore:

consacrandosi interamente allo Stato,

senza cercar per sé né ricchezze né

potenza, egli lo custodirà e lo

proteggerà tutto quanto, in modo da

provvedere al bene di tutti i cittadini.

Omnino qui rei publicae praefuturi

sunt duo Platonis praecepta teneant:

unum, ut utilitatem civium sic

tueantur, ut quaecumque agunt, ad

eam referant obliti commodorum

suorum, alterum, ut totum corpus rei

publicae curent, ne, dum partem

aliquam tuentur, reliquas deserant. Ut

enim tutela, sic procuratio rei publicae

ad eorum utilitatem, qui commissi

sunt, non ad eorum, quibus commissa

est, gerenda est. Qui autem parti

civium consulunt, partem neglegunt,

rem perniciosissimam in civitatem

inducunt, seditionem atque

discordiam; ex quo evenit, ut alii

populares, alii studiosi optimi

cuiusque videantur, pauci

universorum. Hinc apud Athenienses

magnae discordiae, in nostra re

publica non solum seditiones, sed

etiam pestifera bella civilia; quae

gravis et fortis civis et in re publica

dignus principatu fugiet atque oderit

tradetque se totum rei publicae neque

opes aut potentiam consectabitur

totamque eam sic tuebitur, ut

omnibus consulat.

Fedro, Fabulae 1, 1:

Il lupo e l’agnello

Il lupo e l’agnello erano giunti allo

stesso ruscello, spinti dalla sete. Di

sopra stava il lupo, molto più in

basso l’agnello. Allora quel disonesto,

incitato dalla gola insaziabile, inventò

un pretesto di lite. ‘Perché’ disse ‘hai

reso torbida l’acqua: sto bevendo?’

‘l’agnello replicò timoroso: ‘Come

posso, fare ciò che dici, o lupo?

L’acqua da te corre alla mia bocca’.

Quello, sconfitto dall’evidenza:

‘Sei mesi fa’ affermò ‘hai parlato male

di me’. Rispose l’agnello ‘Non ero

Fedro, Fabulae 1, 1:

Lupus et agnus

Ad rivum eundem lupus et agnus

venerant, / siti compulsi. Superior

stabat lupus, 7longeque inferior

agnus. Tunc fauce improba / latro

incitatus iurgii causam intulit; / ‘Cur’

inquit ‘turbulentam fecisti mihi /

aquam bibenti?’ Laniger contra

timens / ‘Qui possum, quaeso, facere

quod quereris, lupe?/ A te decurrit ad

meos haustus liquor’./ Repulsus ille

veritatis viribus / ‘Ante hos sex

menses male’ ait ‘dixisti mihi’. /

18

ancora nato’. Quello disse ‘Allora è

stato tuo padre, per Ercole, a parlare

male di me’; E, così, afferrandolo lo

sbrana dandogli ingiusta morte.

Questa favola è scritta per quegli

uomini che opprimono gli innocenti

con finte cause.

Respondit agnus ‘Equidem natus non

eram’./ ‘Pater hercle tuus’ ille inquit

‘male dixit mihi’;/ atque ita correptum

lacerat iniusta nece./ Haec propter

illos scripta est homines fabula /qui

fictis causis innocentes opprimunt.

Fedro, Fabulae 1, 5:

Il cane e la capra, la pecora e il leone

Non è mai prudente un’alleanza con

un potente: questa favoletta conferma

il mio pensiero. Una vacca, una capra

e una pecora mite si allearono con un

leone nei boschi. Avendo questi

catturato un cervo molto grande,

dopo aver fatto le parti, il leone così

prese la parola: “Io prendo la prima

parte perché mi chiamo leone, mi

darete la seconda poiché sono forte,

poi, perché valgo di più, la terza

toccherà a me; finirà male chi

prenderà la quarta”. Così il malvagio,

da solo, portò via tutta quanta la

preda.

Fedro, Fabulae 1, 5:

Canis et capella, ovis et leo

Numquam est fidelis cum potente

societas./ Testatur haec fabella

propositum meum./ Vacca et capella et

patiens ovis iniuriae/ socii fuere cum

leone in saltibus./ Hi cum cepissent

cervum vasti corporis,/ sic est locutus

partibus factis leo:/ ‘Ego primam tollo

nomine hoc quia rex cluo;/ secundam,

quia sum consors, tribuetis mihi;/

tum, quia plus valeo, me sequetur

tertia;/ malo adficietur si quis quartam

tetigerit’./ Sic totam praedam sola

improbitas abstulit.

Virgilio, Eneide, IX vv. :

Niso, valorosissimo, figlio di Irtaco,

che l’Ida, ricco di selvaggina, aveva

inviato come compagno di Enea, era

veloce nel lancio e nelle frecce leggere.

Egli custodiva una porta insieme

all’amico Eurialo, il più bello tra i

compagni di Enea, soldato troiano

che, ancora ragazzo, portava nelle

guance i segni della prima giovinezza.

Essi erano profondamente legati ed

insieme si lanciavano nel

combattimento; insieme erano custodi

della porta. Niso disse: “Gli dei forse

infondono coraggio nei cuori, Eurialo,

o per ciascuno è un dio l’oggetto del

proprio desiderio? Il cuore mi spinge

allo scontro o a tentare da tempo una

grande impresa e non è contento

dell’inattività. Vedi come sono

Virgilio, Eneide, IX vv. :

Nisus erat portae custos, acerrimus

armis, / Hyrtacides, comitem Aeneae

quem miserat Ida/ uenatrix iaculo

celerem leuibusque sagittis,/ et iuxta

comes Euryalus, quo pulchrior alter/

non fuit Aeneadum Troiana neque

induit arma,/ ora puer prima signans

intonsa iuuenta./ his amor unus erat

pariterque in bella ruebant;/ tum

quoque communi portam statione

tenebant./ Nisus ait: ‘dine hunc

ardorem mentibus addunt,/ Euryale,

an sua cuique deus fit dira cupido? /

aut pugnam aut aliquid iamdudum

inuadere magnum/ mens agitat mihi,

nec placida contenta quiete est./ ernis

quae Rutulos habeat fiducia rerum:/

lumina rara micant, somno uinoque

19

fiduciosi i Rutuli: le luci brillano rare,

essi, vinti dal sonno e dal vino

riposano, attorno è silenzio. Ora

capisci perché io esiti e quali pensieri

io abbia nell’animo. Tutti, popolo ed

anziani, chiedono che si richiami

Enea, e che si inviino uomini capaci di

riportare una certa vittoria. Se

promettono quello che richiedo per te,

a me basta la fama dell’impresa; spero

di trovare sotto quella altura la via

alle mura ed ai bastioni di Pallanteo”.

Eurialo si meravigliò, colpito dal

grande amore per la gloria e subito

così risponde all’amico impetuoso:

“Non mi vuoi come compagno nel

pericolo, Niso? Permetterò che tu

vada da solo ad affrontare così grandi

pericoli? Non così mi educò il padre,

Ofelte guerriero che mi ha allevato in

mezzo al terrore per gli Argolici e alle

preoccupazioni per Troia, né con te

feci tali imprese seguendo il

magnanimo Enea e il destino: io ho un

cuore che disprezza la vita e che crede

che per l’onore cui aspiri valga

morire”. Niso rispose: “Non dubitavo

affatto di te né mi sarebbe possibile;

così il gran Giove, o chiunque guardi

queste cose con occhi giusti, consenta

che io ritorni sano e salvo da te. Ma

(vedi che situazione ci incalzi) se il

destino o un dio ci portasse alla

sfortuna, vorrei che tu sopravvivessi:

la tua età (è) più degna di vivere.

Almeno saresti tu a seppellire me

colpito in uno scontro o riscattato con

denaro, o se la Fortuna lo vieterà,

celebrerai tu il mio funerale e mi darai

l’onore del sepolcro. Vorrei non

essere io causa di così grande dolore

alla tua misera madre, che, sola tra

tutte le madri dei giovani troiani, osò

seguirti e non volle rimanere presso la

città fondata dal grande Aceste.” Ma

Eurialo rispose: “Inutili sono i tuoi

pretesti e non ho cambiato idea.

Affrettiamoci”, disse.

soluti/ procubuere, silent late loca.

percipe porro/ quid dubitem et quae

nunc animo sententia surgat./ Aenean

acciri omnes, populusque patresque,/

exposcunt, mittique uiros qui certa

reportent./ si tibi quae posco

promittunt (nam mihi facti/ fama sat

est), tumulo uideor reperire sub illo /

posse uiam ad muros et moenia

Pallantea.’/ obstipuit magno laudum

percussus amore/ Euryalus, simul his

ardentem adfatur amicum:/ ‘mene

igitur socium summis adiungere

rebus,/ Nise, fugis? solum te in tanta

pericula mittam? / non ita me genitor,

bellis adsuetus Opheltes,/ Argolicum

terrorem inter Troiaeque labores/

sublatum erudiit, nec tecum talia

gessi/ magnanimum Aenean et fata

extrema secutus:/ est hic, est animus

lucis contemptor et istum / qui uita

bene credat emi, quo tendis,

honorem.’/Nisus ad haec: ‘equidem de

te nil tale uerebar,/ nec fas; non ita me

referat tibi magnus ouantem/ Iuppiter

aut quicumque oculis haec aspicit

aequis./ sed si quis (quae multa uides

discrimine tali)/ si quis in aduersum

rapiat casusue deusue,/ te superesse

uelim, tua uita dignior aetas./ sit qui

me raptum pugna pretioue

redemptum/ mandet humo, solita aut

si qua id Fortuna uetabit,/ absenti

ferat inferias decoretque sepulcro. /

neu matri miserae tanti sim causa

doloris,/ quae te sola, puer, multis e

matribus ausa/ persequitur, magni nec

moenia curat Acestae.’/ ille autem:

‘causas nequiquam nectis inanis/ nec

mea iam mutata loco sententia cedit. /

acceleremus’ ait, […]

Nota 23 marzo 2011, Prot. MIURAOODGOS n. 1890

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

– Ufficio II –

 

Ai Direttori Generali

degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

 

Al Sovrintendente agli Studi per la Regione

Autonoma della Valle d’Aosta

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Bolzano

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Trento

 

All’Intendente Scolastico per le scuole

delle località ladine di Bolzano

 

All’Intendente Scolastico

per la scuola in lingua tedesca

di Bolzano

 

Oggetto: Concorso “U4energy”

 

La Commissione Europea promuove “U4energy”, un concorso, lanciato e promosso da European Schoolnet, volto a sensibilizzare gli studenti sul tema del risparmio energetico.

 

Il concorso è aperto a insegnanti e studenti dei 31 paesi europei (27 stati membri dell’Unione Europea, più Norvegia, Croazia, Islanda e Liechtenstein) e premierà le migliori pratiche di efficienza energetica nelle scuole.

 

E’ già possibile aderire all’iniziativa inviando le proprie attività scolastiche sul consumo energetico e avere la possibilità di vincere premi ed ottenere riconoscimenti a livello europeo. Tre sono le categorie di concorso:

 

* Categoria A: Provvedimenti per il risparmio energetico a scuola.

 

* Categoria B: Azioni pedagogiche per sensibilizzare circa importanza dell’educazione al risparmio energetico.

 

* Categoria C: Le migliori idee e azioni per una campagna di sensibilizzazione.

 

“U4energy” rappresenta quindi un’importante opportunità per insegnanti e ragazzi per contribuire alla costruzione di un futuro più efficiente e anche per dimostrare come risparmio energetico e tutela dell’ambiente possano essere attività divertenti.

 

Il termine per aderire è il 16 maggio 2011.

 

Sul sito internet “U4energy” (www.u4energy.eu) è possibile iscriversi e reperire ulteriori informazioni sull’iniziativa.

 

IL DIRIGENTE

Antonio Lo Bello

 

———————–

 

U4energy, l’importanza dell’educazione al risparmio energetico

 

Un Concorso per le scuole di tutta Europa che premierà le migliori pratiche di efficienza energetica.

U4energy è un nuovo concorso, lanciato dalla Commissione Europea e promosso da European Schoolnet, volto a sensibilizzare sul tema del risparmio energetico. Il concorso è aperto a insegnanti e studenti dei 31 paesi europei (27 stati membri dell’Unione Europea, più Norvegia, Croazia, Islanda e Liechtenstein) e premierà le migliori pratiche di efficienza energetica nelle scuole. E’ già possibile aderire all’iniziativa inviando le proprie attività scolastiche sul consumo energetico e avere la possibilità di vincere premi ed ottenere riconoscimenti a livello europeo. Tre sono le categorie di concorso: Categoria A: Provvedimenti per il risparmio energetico a scuola. Categoria B: Azioni pedagogiche per sensibilizzare circa importanza dell’educazione al risparmio energetico. Categoria C: Le migliori idee e azioni per una campagna di sensibilizzazione.

Sottolineano l’importanza di queste tematiche come motore dello sviluppo sostenibile le parole del Commissario europeo per l’Energia Günther Oettinger, pronunciate lo scorso settembre in occasione dell’apertura ufficiale del concorso: “Sono certo che attraverso il loro impegno, il loro spirito innovativo e la loro creatività, studenti e insegnanti renderanno U4energy un’ottima piattaforma per condividere capacità e conoscenze nel campo dell’educazione e dell’uso intelligente dell’energia in tutta Europa”. U4energy rappresenta quindi un’importante opportunità per insegnanti e ragazzi per contribuire alla costruzione di un futuro più efficiente e anche per dimostrare come risparmio energetico e tutela dell’ambiente possano essere attività divertenti. Il termine per aderire è il 16 maggio 2011. Sul sito internet U4energy (www.u4energy.eu) è possibile iscriversi e reperire ulteriori informazioni sull’iniziativa.

Nota 22 marzo 2011, Prot. AOODGPFB 0001670

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per la programmazione la gestione delle risorse umane finanziarie e strumentali

Direzione Generale per la politica finanziaria e per il bilancio

 

Alle Istituzioni Scolastiche di ogni ordine e grado

Agli UU.SS.RR.

LORO SEDI

 

Oggetto: Pagamento attività alternative all’insegnamento della religione cattolica

 

Si trasmette in allegato, per conoscenza e per il seguito di competenza, la nota prot. n. 26482/2011 con la quale il MEF – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – I.G.O.P. ha fornito il parere concordato con la scrivente in merito al pagamento delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica.

 

IL DIRETTORE GENERALE

Marco Ugo Filisetti

Nota MEF 7 marzo 2011, Prot. n. 26482

Sentenza Corte Costituzionale 21 marzo 2011, n. 92

SENTENZA N. 92

 

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori: (…)

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi per conflitti di attribuzione tra enti sorti a seguito degli articoli 2, commi 4 e 6, 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana e Piemonte, notificati il 10 e il 16 settembre 2009, depositati in cancelleria il 16 ed il 24 settembre 2009 ed iscritti ai nn. 6 e 8 del registro conflitti tra enti 2009.

 

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui uno fuori termine;

 

udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

 

uditi gli avvocati Nicoletta Gervasi per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.— Con ricorso notificato il 10 settembre 2009 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 16 settembre, la Regione Toscana ha promosso conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), con riguardo agli articoli 2, commi 4 e 6, 3, comma 1, per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione e con i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.

 

2.— La Regione Toscana, preliminarmente, richiama il contenuto delle disposizioni oggetto del conflitto.

 

L’art. 2, comma 4, stabilisce «l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso».

 

L’art. 2, comma 6, prevede che «le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico. L’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamenti di sezioni».

 

L’art. 3, comma 1, infine, dispone che «l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del I ciclo devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».

 

3.— La ricorrente sottolinea che il d.P.R. in questione è stato adottato in attuazione dell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Tale comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nelle lettere f-bis) ed f-ter), con la sentenza di questa Corte n. 200 del 2009.

 

In particolare, le suddette lettere f-bis) ed f-ter) prevedevano, rispettivamente, che i regolamenti di attuazione avrebbero dovuto attenersi ai seguenti criteri:

 

definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa (lettera f-bis);

 

nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti (lettera f-ter).

 

4.— La ricorrente Regione Toscana ritiene che le norme del citato d.P.R., in ordine alle quali ha promosso conflitto, intervengano illegittimamente in ambiti di competenza regionale (programmazione scolastica e iniziative per ridurre il disagio degli utenti di zone svantaggiate) e diano attuazione alle disposizioni sopra richiamate, di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, ponendosi, dunque, in contrasto con la citata sentenza n. 200 del 2009.

 

5.— In particolare, la difesa regionale assume che l’art. 2, comma 4, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.

 

Tali disposizioni, infatti, interverrebbero su profili organizzativi della rete scolastica, rientranti nella potestà legislativa delle Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

 

Le stesse norme, per un verso, esulerebbero dall’ambito delle norme generali sull’istruzione o dei principi fondamentali della materia, per altro verso, non esprimerebbero esigenze di carattere unitario che potrebbero legittimare l’intervento statale.

 

Con le disposizioni censurate, le Regioni verrebbero, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo − che rappresenta senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e dell’organizzazione della rete scolastica.

 

Ciò anche in considerazione del fatto che la sussistenza di competenze in capo alle Regioni sull’organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli istituti andrebbe ricondotta agli artt. 138, comma 1, lettere a), b), c), e 143, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

 

Sarebbe palese, quindi, la violazione dell’art. 117 Cost., poiché le norme impugnate disciplinano aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni.

 

Né potrebbe essere invocato l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dal momento che le disposizioni in esame non fissano standard minimi di prestazioni scolastiche.

 

Afferma, quindi, la ricorrente che le suddette disposizioni del d.P.R. n. 89 del 2009 sarebbero da ricondurre alle previsioni delle lettere f-bis) ed f-ter) del comma 4 dell’art. 64 del d.l. n. 112 del 2008, oggetto di pronuncia di incostituzionalità con la già citata sentenza n. 200 del 2009.

 

In ragione di quanto sopra, le disposizioni del d.P.R. medesimo, intervenendo in materia di organizzazione e di dimensionamento della rete scolastica, sarebbero in contrasto con l’art. 117 Cost. sotto due profili: il primo, perché lo Stato disciplina funzioni regionali (in violazione, quindi, dell’art. 117, terzo comma, Cost.); il secondo, perché tale disciplina è dettata con regolamento (in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.).

 

Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali poiché, attenendo ad ambiti di competenza regionale, il regolamento nel quale sono state inserite avrebbe dovuto contenere, con riferimento all’istituzione di nuove scuole, la previsione dell’intesa con le Regioni interessate, mentre, nell’un caso (art. 2, comma 4), si richiamano genericamente forme di collaborazione con gli enti territoriali per l’istituzione delle scuole dell’infanzia; nell’altro (art. 3, comma 1), addirittura, non si prevede alcun ruolo delle Regioni nella istituzione e nel funzionamento delle scuole del Primo ciclo.

 

Le norme in questione, quindi, invaderebbero le competenze delle Regioni anche per violazione dell’art. 118 Cost. e del principio della leale collaborazione e non si giustificherebbero neppure alla luce del principio di sussidiarietà.

 

6.— Anche in merito all’art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 89 del 2009 la ricorrente ravvisa la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., e del principio di leale collaborazione.

 

Tale disposizione, in quanto avrebbe la finalità di prevenire e/o ridurre il disagio per quell’utenza che si trova in zone più svantaggiate del territorio, riguarderebbe un profilo di competenza concorrente regionale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, che non può formare oggetto di normativa regolamentare statale.

 

Anche in ordine a detta questione, la Regione richiama, a sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza n. 200 del 2009.

 

Mancherebbe, anche in questa ipotesi, la previsione di idonee forme di concertazione con le Regioni, violandosi, in tal modo, gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.

 

7.— In data 21 ottobre 2010 si è costituito, fuori termine, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

 

8.— Con ricorso notificato il 16 settembre 2009 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 24 settembre, anche la Regione Piemonte ha impugnato l’art. 2, commi 4 e 6, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, assumendone il contrasto con gli artt. 117 (commi terzo e sesto) e 118 Cost., e con i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di leale collaborazione.

 

8.1.— Ad avviso della ricorrente, che prospetta censure analoghe a quelle formulate dalla Regione Toscana, le disposizioni in esame interverrebbero su profili organizzativi della rete scolastica di competenza delle Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., come affermato dalla Corte con la sentenza n. 200 del 2009.

 

8.2.— In particolare, con riguardo all’art. 2, comma 4, e all’art. 3, comma 1, è dedotta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

 

Nelle disposizioni citate manca ogni riferimento ai compiti delle Regioni. Queste vengono, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo − che rappresenta senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e dell’organizzazione della rete scolastica.

 

Le norme del d.P.R n. 89 del 2009 disciplinerebbero aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni.

 

L’assetto organizzativo del sistema scolastico non potrebbe essere ricondotto alle norme generali sull’istruzione e, pertanto, non potrebbe essere oggetto di regolamento statale, poiché, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., il potere regolamentare dello Stato esiste solo nelle materie di sua potestà legislativa esclusiva.

 

Le norme impugnate sarebbero da ricondurre, sostanzialmente, alle previsioni dell’art. 64, comma 4, dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 200 del 2009.

 

In particolare, con riguardo a tale norma, la Corte ha affermato principi riferibili anche alle disposizioni del regolamento ora censurate.

 

Infatti, le norme in esame, dettate con regolamento e pertanto in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., intervengono in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

 

Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali, poiché non prevedono alcun ruolo delle Regioni, ledendo così l’art. 118 Cost. ed il principio della leale collaborazione.

 

9.— In data 22 ottobre 2010 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la inammissibilità e la non fondatezza del ricorso.

 

9.1.— Le disposizioni regolamentari impugnate costituirebbero diretta attuazione di norme generali in materia di istruzione, di competenza esclusiva dello Stato (artt. 33, 34 e 117, secondo comma, Cost.), contenute nella legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), la cui attuazione è avvenuta con i relativi decreti legislativi delegati e con l’art. 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.

 

Peraltro, tale ultima norma è stata ritenuta, quanto alle disposizioni di principio in essa contenute, costituzionalmente legittima (citata sentenza n. 200 del 2009), poiché esse costituiscono norme generali sull’istruzione.

 

Sempre nella sentenza sopra richiamata, precisa l’Avvocatura dello Stato, un distinto titolo di legittimazione dello Stato a disciplinare la materia, è ravvisato nella competenza legislativa esclusiva relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

 

Quindi, alla luce dei principi enunciati nella citata sentenza, non vi sarebbe alcun dubbio che le disposizioni del d.P.R. n. 89 del 2009, impugnate dalla Regione, rientrino tra le norme generali sull’istruzione scolastica e tra i livelli essenziali delle prestazioni in materia di organizzazione scolastica e di utilizzazione del personale dirigente e docente della scuola; norme rientranti, dunque, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, per l’attuazione delle quali sussiste la potestà statale di emanare i relativi regolamenti (art. 117, secondo comma, lettere n ed m, e sesto comma).

 

9.2.— Per quanto concerne, in particolare, l’articolo 2, relativo alla scuola dell’infanzia, il testo dello stesso confermerebbe, quale riferimento di base, la disciplina che regola il settore della scuola dell’infanzia, richiamando integralmente il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), attuativo della riforma introdotta dalla citata legge n. 53 del 2003. Tale riferimento di base viene integrato dalle nuove disposizioni, conformi alle indicazioni fissate dall’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.

 

La disposizione contenuta nel comma 4, della cui legittimità costituzionale la Regione Toscana dubita, riguarda la generalizzazione del servizio reso dalle scuole dell’infanzia e prevede che l’amministrazione scolastica periferica metta in atto intese con gli enti locali, secondo una logica collaborativa e programmatoria che include anche il sistema delle scuole paritarie.

 

La disposizione contestata, di cui al comma 6, prevede poi che le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, site in comuni prive di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni e che l’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati d’intesa e in collaborazione tra le istituzioni scolastiche e i comuni interessati e non può dar luogo a sdoppiamenti di sezioni.

 

L’articolo 3, anch’esso oggetto di impugnativa, concernente il Primo ciclo di istruzione, si limiterebbe a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto previsto, in materia, dal decreto legislativo n. 59 del 2004, contenente norme generali sull’istruzione, specificandone le finalità generali e la durata complessiva, e confermando la necessità di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e gli enti locali.

 

Pertanto, quest’ultima deve essere considerata una norma programmatica, che riguarda il sistema scolastico complessivo del Primo ciclo; essa, dunque, non attiene alla determinazione della rete scolastica o alla programmazione della stessa. Tenuto conto del riparto delle competenze tra Stato e Regioni delineato dalla Corte con la sentenza n. 200 del 2009, risulterebbe evidente che la disposizione dell’art. 2, comma 4, stabilisce alcuni principi generali, nel prevedere l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia, di indirizzo alla programmazione della rete scolastica regionale, la cui disciplina compete alle singole Regioni per il rispettivo territorio.

 

9.3.— La difesa dello Stato aggiunge che la riprova che non sono state toccate competenze regionali sarebbe data dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), con il quale è stata data attuazione all’articolo 64, comma 4-quinquies, del citato d.l. n. 112 del 2008.

 

Sarebbe, pertanto, da escludere che, mediante le norme regolamentari contestate dalla ricorrente, sia stata data attuazione all’articolo 64, comma 4, lettera f-bis), del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato incostituzionale. Tale norma, comunque, ancor prima della declaratoria di incostituzionalità, era da ritenersi implicitamente abrogata per effetto di quanto previsto dall’articolo 64, comma 4-quinquies, già citato.

 

9.4.— Anche la previsione del comma 6 del medesimo articolo 2, in ordine alla possibilità di accoglienza di bambini di età compresa tra i due e i tre anni nelle sezioni di scuola dell’infanzia in specifiche realtà territoriali, non potrebbe considerarsi lesiva delle attribuzioni regionali e del principio di leale collaborazione.

 

Tale disposizione non appare, infatti, preordinata ad ovviare a disagi derivanti dalla chiusura di istituzioni scolastiche e, quindi, il richiamo all’articolo 64, comma 4, lettera f-ter), sarebbe inconferente.

 

La norma si riferisce ad un servizio aggiuntivo che si vuole garantire e per la cui erogazione è necessario disporre del relativo organico sulla base del quale, poi, esso potrà essere dimensionato.

 

9.5.— Le disposizioni in questione sarebbero, altresì, rivolte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, di esclusiva potestà legislativa dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.

 

Non sembra, infatti, dubbio che la normativa in esame sia intesa a prevedere che agli utenti del servizio scolastico venga garantito un adeguato livello di fruizione delle prestazioni formative sulla base di standard uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale. La stessa normativa non esclude la possibilità che le singole Regioni, nell’ambito della loro competenza concorrente in materia, possano migliorare i livelli delle prestazioni adeguandoli alle esigenze peculiari del territorio.

 

9.6.— Analoghe considerazioni sono prospettate dalla difesa dello Stato in ordine all’articolo 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, che non comporterebbe lesioni alle attribuzioni proprie delle Regioni, posto che non introduce alcuna nuova disciplina in un ambito ad esse riservato e non mette in alcun modo in discussione la spettanza alle medesime delle funzioni inerenti al dimensionamento della rete scolastica, ma si limita a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2004, relativo al Primo ciclo di istruzione, confermando la necessità di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e gli enti locali per l’istituzione e il funzionamento di scuole che devono rispondere a criteri di qualità e di efficienza.

 

Invero, il riferimento a tali criteri non costituirebbe altro che una esplicitazione del principio fondamentale di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.

 

Considerato in diritto

 

1.— Con distinti ricorsi la Regione Toscana e la Regione Piemonte hanno promosso conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in ordine all’articolo 2, commi 4 e 6, e all’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), deducendo la lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni, in ragione della violazione dagli articoli 117 e 118 della Costituzione, nonché dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.

 

2.— Le ricorrenti, prospettando censure sostanzialmente identiche, deducono, nel complesso, che le disposizioni del d.P.R. in questione invaderebbero ambiti di esclusiva competenza regionale (programmazione scolastica e iniziative per ridurre il disagio degli utenti delle zone svantaggiate), dando attuazione a disposizioni legislative dichiarate costituzionalmente illegittime con la sentenza di questa Corte n. 200 del 2009.

 

In particolare, l’art. 2, comma 4, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, interverrebbero in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, così ledendo l’art. 117 Cost. sotto un duplice profilo: da un lato, lo Stato disciplinerebbe funzioni regionali, in contrasto con il citato art. 117, terzo comma, Cost.; dall’altro, tale disciplina sarebbe introdotta con regolamento, in violazione del sesto comma dell’art. 117 Cost. Le disposizioni in questione contrasterebbero, altresì, con l’art. 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione, attesa la mancata previsione della necessaria intesa con le Regioni interessate, nonché con il principio di sussidiarietà.

 

A sua volta, l’art. 2, comma 6, del citato d.P.R. n. 89 del 2009, in quanto avrebbe la finalità di prevenire e/o ridurre il disagio per quell’utenza che si trova nelle zone più svantaggiate del territorio, riguarderebbe un profilo di competenza concorrente regionale, così ledendo l’art. 117, commi terzo e sesto, nonché l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, mancando la previsione di idonee forme di concertazione con le Regioni.

 

3.— In ragione dell’oggetto comune, i due ricorsi devono essere riuniti ai fini di una trattazione congiunta.

 

4.— La questione promossa con i suddetti ricorsi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni deve essere risolta alla luce della pronuncia resa da questa Corte (citata sentenza n. 200 del 2009) sulla legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; pronuncia di cui, all’evidenza, non si è tenuto conto nell’adozione del regolamento governativo di delegificazione emanato, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), con il d.P.R. n. 89 del 2009, recante − tra le altre − le censurate disposizioni di cui all’art. 2, commi 4 e 6, e all’art. 3, comma 1, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 luglio 2009, n. 162.

 

5.— Questa Corte, con la citata sentenza, nel pronunciarsi sulla questione di fondo concernente la distinzione tra le norme generali sull’istruzione, riservate in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, comma secondo, lettera n), Cost., e i principi fondamentali della materia istruzione, rientrante questa nella competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., ha affermato, testualmente, che rientrano tra le norme generali sull’istruzione «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali».

 

Sono, invece, espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale».

 

6.— Per stabilire, dunque, se, con le impugnate norme regolamentari, lo Stato abbia effettivamente invaso una sfera di competenza legislativa regionale, occorre partire dalle suindicate affermazioni di fondo, fatte da questa Corte, osservando, in particolare, che, nella stessa sentenza, si è precisata la non spettanza allo Stato dell’adozione di disposizioni regolamentari, ancorché contenute in un regolamento di delegificazione, che fossero esorbitanti dall’ambito della competenza legislativa esclusiva in tema di determinazione delle norme generali sull’istruzione; ciò in applicazione, in particolare, di quanto previsto dall’art. 117, sesto comma, Cost.

 

Sulla base delle indicate premesse, la Corte, con la citata pronuncia, ha, in particolare, dichiarato l’illegittimità costituzionale, proprio con riferimento a quanto previsto dall’art. 117, commi secondo, lettera n), terzo e sesto, Cost., delle disposizioni contenute nelle lettere f-bis) ed f-ter) del citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008, aggiunte dalla relativa legge di conversione. Le disposizioni recate dalle lettere f-bis) ed f-ter) sono state ritenute estranee all’area della materia rientrante nella locuzione norme generali sull’istruzione.

 

Da quanto innanzi, deriva che devono essere ritenute esorbitanti dall’ambito della competenza esclusiva statale in tema di norme generali sull’istruzione e lesive della potestà legislativa concorrente della Regione in materia di istruzione pubblica, le disposizioni del regolamento governativo che, in qualche modo, possono essere considerate dipendenti, derivanti o comunque connesse a quelle dichiarate incostituzionali con la citata sentenza n. 200 del 2009.

 

7.— Passando all’esame delle singole disposizioni oggetto dei conflitti, viene, innanzitutto, in rilievo quella contenuta nell’art. 2, comma 4, del citato regolamento governativo, di cui le ricorrenti assumono la illegittimità.

 

La censura è fondata.

 

Il suddetto comma, con riferimento alla “Scuola dell’infanzia”, dispone che «l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso».

 

7.1.— Orbene, la istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento della rete scolastica sul territorio; attribuzione che la sentenza n. 200 del 2009 ha riconosciuto spettare al legislatore regionale, in quanto non riconducibile, nel contesto generale del citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008, all’ambito delle norme generali sull’istruzione. Ciò comporta che, con la disposizione inserita nel predetto comma 4 dell’art. 2 del regolamento governativo, lo Stato ha invaso la competenza delle ricorrenti sul punto specifico di adattamento della rete scolastica alle esigenze socio-economiche di ciascun territorio regionale, «che ben possono e devono essere apprezzate» in ciascuna Regione, con la precisazione che non possono, al riguardo, «venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica» (citata sentenza n. 200 del 2009). In tale contesto, anche la finalità di assicurare la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico complessivo, cui il medesimo comma 4 fa espresso riferimento, è funzionale al dimensionamento della rete.

 

Né, d’altra parte, in senso contrario può essere addotta la circostanza – prospettata dalla difesa dello Stato − che analoghe disposizioni sono contenute nel d.P.R. 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).

 

Da un sommario esame di tale regolamento governativo può evincersi che la disciplina in esso prevista è, in larga misura, estranea al dimensionamento della rete scolastica sul territorio, come conferma la circostanza che la maggior parte delle sue disposizioni è finalizzata ad un razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, investendo, in sostanza, il tema della didattica, piuttosto che quello sopra indicato relativo al dimensionamento della rete scolastica. Comunque, il suddetto regolamento non ha formato oggetto di impugnazione, né può essere invocato in questa sede perché sia ritenuta immune dai vizi denunciati la disposizione oggetto di censura con i ricorsi in esame.

 

7.2.— Infine, la norma regolamentare ora impugnata non può essere ascritta all’area dei principi fondamentali della materia concorrente della istruzione, in quanto la fonte regolamentare, anche in forza di quanto previsto dall’art. 117, sesto comma, Cost., sarebbe comunque inidonea a porre detti principi. Ed inoltre (ma ciò si osserva solo ad abundantiam) risulterebbe violato, in modo palese, il principio di leale collaborazione per la mancata previsione di ogni forma di coinvolgimento regionale nella adozione delle relative misure di riordinamento della rete.

 

8.— Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto attiene alla disposizione contenuta nel comma 6 del medesimo art. 2 del regolamento governativo.

 

La relativa censura, pertanto, è fondata.

 

Detto comma prevede che «le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico». Il suddetto comma prosegue disponendo che «l’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamento di sezioni».

 

8.1.— Al riguardo, deve essere rilevato che, come si è già innanzi precisato, questa Corte, con la sentenza n. 200 del 2009, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 4, lettera f-ter), del d.l. n. 112 del 2008, in quanto demandava all’allora emanando regolamento governativo di prevedere, «nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni», «specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti».

 

A fondamento della suindicata declaratoria di illegittimità costituzionale questa Corte ha affermato che «la disposizione contenuta in tale lettera opera una estensione allo Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante l’attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, in quanto quello della chiusura o dell’accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali».

 

A ciò la Corte ha significatamente aggiunto che è in facoltà delle Regioni e degli enti locali «prevedere misure volte a ridurre, nei casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l’impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio e con riguardo alle necessità dell’utenza delle singole realtà locali».

 

8.2.— Orbene, l’impugnata disposizione del regolamento governativo, approvato con il d.P.R. n. 89 del 2009, non può essere considerata attuazione delle norme generali sull’istruzione, di specifica competenza legislativa esclusiva dello Stato, contenute nel citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008. Le misure previste dal comma in questione del suddetto regolamento sono chiaramente volte ad eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio scolastico nei piccoli comuni, con una valutazione che non può prescindere dalle particolari condizioni in cui versano le comunità locali di ridotte dimensioni, perché insediate in territori montani o in piccole isole ovvero comunque in comuni di dimensioni tali da essere privi di strutture educative per la prima infanzia. Si tratta, dunque, di misure specificamente volte a ridurre il disagio degli utenti del servizio scolastico in un settore, quale quello delle scuole per l’infanzia, in cui esso può assumere una notevole importanza proprio con riferimento alle peculiari esigenze di «bambini di età compresa tra i due e i tre anni».

 

È, dunque, del tutto ovvio che spetta alle Regioni, nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente in materia di istruzione pubblica, non disgiunta (è bene aggiungere) da rilevanti aspetti di competenza regionale, di carattere esclusivo, in tema di servizi sociali, l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari utenti del servizio scolastico.

 

8.3.— Né è senza significato, d’altronde, che, come già rilevato dalla sentenza n. 200 del 2009, le Regioni, anche prima del d.l. n. 112 del 2008 e della stessa riformulazione dell’art. 117 Cost. ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), erano titolari di competenze attinenti alla programmazione della rete scolastica e alla attribuzione di contributi alle scuole non statali. Ciò in base, fondamentalmente, a quanto, a suo tempo, previsto dall’art. 138 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e delle altre disposizioni legislative richiamate dalla stessa citata sentenza n. 200 del 2009.

 

8.4.— Anche con riferimento alla contestata disposizione regolamentare deve essere ribadito quanto prima osservato con riguardo al precedente comma 4, e cioè che le prescrizioni contenute nel riportato comma 6 non possono essere considerate espressione di principi fondamentali della materia concorrente della istruzione, per la inidoneità della fonte regolamentare a fissare detti principi e, in ipotesi, per la violazione, comunque, dell’art. 117, comma sesto, Cost., oltre che per la radicale mancanza di ogni forma di coinvolgimento regionale, in violazione del canone della leale collaborazione tra istituzioni.

 

9.— La difesa dello Stato, con riferimento ad entrambe le questioni relative ai commi 4 e 6 dell’art. 2 del regolamento, ha richiamato, da un lato, l’art. 118, primo comma, Cost., osservando che i suddetti commi, oggetto dell’impugnazione regionale, troverebbero fondamento anche nella attrazione in sussidiarietà, da parte dello Stato, della competenza a provvedere in materia, e, dall’altro, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., osservando che le misure previste dai medesimi commi sarebbero ascrivibili alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

 

Entrambe le deduzioni, da esaminare congiuntamente con riferimento ai due commi oggetto di contestazione da parte delle ricorrenti, non possono essere condivise.

 

Sotto il primo profilo, quello relativo cioè alla chiamata in sussidiarietà, è sufficiente osservare che, a prescindere da ogni altra e diversa considerazione ostativa e comunque dalla questione concernente la utilizzabilità a tale fine della fonte regolamentare, la allocazione al superiore livello statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite in un ambito che involge indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303 del 2003, alla quale ha fatto seguito una giurisprudenza costante; da ultimo sentenza n. 16 del 2010).

 

Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che per la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 282 del 2002) si è in presenza di una normazione attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi; fattispecie questa che certamente esula dallo spettro di applicazione delle norme regolamentari in ordine alle quali sono stati proposti i ricorsi, ora in esame, per conflitto di attribuzioni.

 

10.— Infine, quanto alla impugnazione dell’art. 3, comma 1, del regolamento governativo de quo, la cui rubrica è “Primo ciclo di istruzione”, occorre rilevare che, secondo detto comma, l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo «devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».

 

Le ricorrenti denunciano l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione sulla base dei medesimi parametri sopra richiamati.

 

10.1.— La censura non è fondata.

 

Deve essere, innanzitutto, rilevato che la citata disposizione regolamentare, nella sua prima parte, si limita, in realtà, ad una mera affermazione di principio relativamente ad una generale ed ineludibile esigenza, qual è quella relativa alla fondamentale necessità che anche l’istituzione e il funzionamento delle scuole statali del Primo ciclo (come, del resto, per tutti gli ordini di scuole) rispondano a criteri di qualità ed efficienza del servizio scolastico.

 

Sotto questo aspetto, la disposizione censurata, essendo priva di un reale contenuto precettivo, non sarebbe idonea, per sé sola considerata, a recare alcun vulnus alle competenze regionali in materia di istruzione.

 

Nella sua seconda parte, però, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 3 contiene una prescrizione, la quale ha, invece, un suo specifico contenuto precettivo.

 

Essa precisa che l’obiettivo della qualità ed efficienza del servizio scolastico nel Primo ciclo deve essere perseguito «nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».

 

Considerata nel suo complesso, la disposizione impugnata, inserita nel citato comma 1 dell’art. 3 del regolamento governativo di delegificazione, può essere ricondotta, per il suo contenuto sostanziale, all’attuazione di disposizioni che questa Corte ha riconosciuto come ascrivibili alla materia delle norme generali sull’istruzione, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.). Ciò in quanto essa tende concretamente a dare attuazione a disposizioni, d’ordine appunto generale, e come tali operanti in tutto il territorio nazionale, contenute nell’art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008 e qualificate, con la citata sentenza n. 200 del 2009, come norme generali sull’istruzione.

 

Infatti, proprio per l’espresso riferimento alle esigenze specifiche della «qualificazione dell’offerta formativa», la disposizione impugnata concorre − per quanto attiene particolarmente al Primo ciclo dell’istruzione, che per sua natura riveste un fondamentale rilievo nella formazione delle nuove generazioni di scolari al loro primo contatto con il mondo della scuola − a delineare quel sistema nazionale dell’istruzione, il quale necessariamente deve essere caratterizzato da elementi di unitarietà ed uniformità su tutto il territorio nazionale.

 

A ciò va aggiunto che la disposizione del comma 1 in questione, specificamente per il suo riferimento ai «criteri di qualità ed efficienza del servizio» scolastico del Primo ciclo dell’istruzione, ai fini del miglioramento dell’offerta formativa, non è in contrasto, ma anzi ne rappresenta il necessario presupposto, con quanto previsto dal d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, recante la «Definizione delle misure generali relative alla scuola dell’infanzia e al Primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53».

 

Quanto, infine, ai profili attinenti alla leale collaborazione, con riguardo alle deduzione delle ricorrenti circa la illegittimità della mancata previsione nella norma censurata di un coinvolgimento regionale, deve osservarsi che, vertendosi in materia di competenza statale esclusiva, non sussisteva per lo Stato alcun obbligo a tale riguardo. Nondimeno, la norma regolamentare in esame si è data carico del coinvolgimento delle istituzioni locali e ha corrispondentemente previsto che la qualificazione dell’offerta formativa deve svolgersi comunque «nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati», eventualmente tra loro consorziati; con ciò prevedendo, appunto, un meccanismo di leale collaborazione con le istituzioni locali rappresentative degli interessi delle comunità territoriali e soddisfacendo la relativa esigenza di coordinamento interistituzionale.

 

11.— Alla luce, pertanto, delle considerazioni innanzi svolte, in parziale accoglimento dei due ricorsi regionali indicati in epigrafe, deve essere dichiarato che non spettava allo Stato emanare le disposizioni regolamentari contenute nell’art. 2, commi 4 e 6, del d.P.R. n. 89 del 2009. Di tali disposizioni deve essere disposto l’annullamento.

 

12.— I due ricorsi devono essere, invece, respinti nella parte in cui censurano l’art. 3, comma 1, del medesimo regolamento governativo con la conseguenza che deve essere dichiarato che spettava allo Stato l’adozione della citata disposizione contenuta nel medesimo d.P.R. n. 89 del 2009.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

a) dichiara che non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime, nei termini stabiliti dall’art. 2, commi 4 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), e per l’effetto annulla l’articolo 2, commi 4 e 6, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009;

 

b) dichiara che spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo, nei termini stabiliti dall’art. 3, comma 1, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2011.

 

Presidente

 

Redattore

 

Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2011.

 

Il Cancelliere

 

 

21 marzo Consulta su Riordino Scuola Infanzia e Primo Ciclo

Con Sentenza n. 92, depositata il 21 marzo 2011, la Corte Costituzionale:

a) dichiara che non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime, nei termini stabiliti dall’art. 2, commi 4 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), e per l’effetto annulla l’articolo 2, commi 4 e 6, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009;

b) dichiara che spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo, nei termini stabiliti dall’art. 3, comma 1, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009.

Nota 21 marzo 2011, Prot. N. AOODGPER.2287

Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca

Dipartimento per l’istruzione

Direzione generale per il personale scolastico

Ufficio IX

 

Ai Direttori degli UUSSRR

LORO SEDI

 

Oggetto: CONTENZIOSO SERIALE AVVERSO D.M. 42/2009.

 

Con riferimento ad eventuali richieste del commissario ad acta relative all’esecuzione delle ordinanze cautelari del TAR Lazio di cui al contenzioso in oggetto, si ritiene di non doversi procedere ai richiesti inserimenti in graduatoria.

Si fa, infatti, presente che le cause innanzi al TAR Lazio in cui è stato disposto il commissariamento sono state sospese e quindi, si rende necessario attendere le determinazioni dell’autorità nuovamente adita dai diretti interessati.

In particolare, il TAR Lazio che, ad avviso della scrivente, dichiarerà il proprio difetto di giurisdizione, uniformandosi ad analoghe sentenze, considerato che il medesimo non possiede più il potere di amministrare la giustizia in materia di graduatorie, secondo il recente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, ovvero il giudice ordinario, in virtù dell’istituto della translatio iudicii, previsto dalla legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69.

 

Il Direttore Generale

F.to Luciano Chiappetta

Nota 21 marzo 2011, Prot. MIURAOODGOS n. 1809

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

– Ufficio II –

 

 

Ai Direttori Generali

degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

 

Al Sovrintendente agli Studi

per la Regione Autonoma della Valle d’Aosta

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Bolzano

 

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Trento

 

All’Intendente Scolastico per le scuole

delle località ladine di Bolzano

 

All’Intendente Scolastico

per la scuola in lingua tedesca di Bolzano

 

Oggetto: 1° Certamen Platonicum

 

IL 1° Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Platone” di Palazzolo A. (SR) indice il 1° Certamen Platonicum.

Il Certamen si articolerà in due sezioni:

 

1. Sezione classica: gara di versione dal greco di un brano tratto da un’opera di Platone, corredata di un commento critico – filologico, riservata agli alunni delle ultime classi dei Licei Classici nazionali;

2. Sezione filosofica: gara di stesura di un elaborato su una tematica presente nelle opere di Platone, riservata agli alunni delle classi quarte e quinte dei Licei Classici, Scientifici, Pedagogici, Linguistici e Artistici nazionali.

 

Il Certamen è inserito, con Decreto Ministeriale del 27 luglio 2010, nel programma nazionale di promozione delle eccellenze degli studenti delle scuole di istruzione secondaria superiore.

 

Ogni scuola potrà partecipare a ciascuna o ad una delle due sezioni con non più di due alunni, accompagnati da un docente o dal Dirigente Scolastico.

 

Tutte le informazioni relative al Certamen saranno reperibili sul sito dell’Istituto:

www. liceoclassicoplatone.it.

Scadenza per la presentazione della domanda di ammissione: 31/03/2011.

 

Le domande potranno essere inviate al seguente recapito:

1° Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Platone”

Piazza Umberto, 11 – 96010 Palazzolo A.

Tel . 0931 881879 ( centralino )

Fax 0931 882544

E – mail: sris01900@istruzione.it

 

IL DIRIGENTE

F.to Antonio Lo Bello

————————————–

1° Istituto d’ Istruzione Secondaria Superiore

“ Platone ”

Palazzolo Acreide – (SR)

LICEO AD INDIRIZZO : CLASSICO, LINGUISTICO E SOCIO-PSICO-PEDAGOGICO – LICEO ARTISTICO ASSOCIATO

Piazza Umberto I , n. 11 – Presidenza 0931/883050 -Centralino 0931/881879 – Tel./Fax 0931/881100 – N. Verde 800 648999

Sito web:www.liceoplatone.it E-Mail:liceo.pal.acreide@interbusiness.it / sris01900p@istruzione.it Codice Meccanografico SRIS01900P Codice Fiscale 80002170894

BANDO E REGOLAMENTO DEL

1° “CERTAMEN PLATONICUM”

I EDIZIONE

Anno scolastico 2010/2011

______________________

B a n d o

IL 1° Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Platone” di Palazzolo A. ( SR ) indice il

1° Certamen Platonicum.

Il Certamen si articolerà in due sezioni:

1) Sezione classica : gara di versione dal greco di un brano tratto da un’opera di Platone,

corredata di un commento critico – filologico, riservata agli alunni delle ultime classi dei

Licei Classici nazionali

2) Sezione filosofica : gara di stesura di un elaborato su una tematica ( annualmente scelta ) presente nelle opere di Platone, riservata agli alunni delle classi quarte e quinte dei Licei Classici, Scientifici, Pedagogici, Linguistici e Artistici nazionali.

Il Certamen avrà luogo presso la sede centrale dell’Istituto organizzatore nel mese di maggio.

Ogni scuola potrà partecipare a ciascuna o ad una delle due sezioni con non più di due alunni, accompagnati da un docente o dal Dirigente Scolastico.

Gli alunni partecipanti e i docenti accompagnatori saranno alloggiati presso un hotel cittadino o dei dintorni.

Le spese di viaggio e di soggiorno saranno a carico dei partecipanti.

Per esigenze organizzative il numero massimo degli alunni partecipanti ammessi sarà di 20 per la sezione classica e di 40 per la sezione filosofica : per l’ammissione si terrà conto della data di ricezione delle domande nonché della valutazione riportata nell’anno scolastico precedente.

Saranno previsti premi in denaro ( ove possibile in base alle risorse economiche dell’istituto o alla possibilità di ottenere qualche sponsorizzazione da enti pubblici e/o privati, da associazioni, fondazioni o altro, che credono nel valore della cultura classica ) e/o in libri.

Attestati di partecipazione, valutabili ai fini del credito scolastico, saranno rilasciati ai partecipanti.

Tutte le informazioni relative al Certamen saranno reperibili sul sito dell’Istituto

www. liceoclassicoplatone.it

Le domande potranno essere inviate sia via posta sia via fax o e-mail. Si forniscono, pertanto, le seguenti indicazioni:

 

R e g o l a m e n t o

Art . 1

Il 1° I. I. S. S. “Platone” di Palazzolo A. indice la prima edizione del Certamen Platonicum suddiviso nelle due sezioni classica e filosofica.

Per la Sezione classica, riservata agli studenti delle ultime classi dei Licei Classici nazionali che siano stati promossi negli scrutini dell’anno scolastico precedente con una valutazione in greco non inferiore a 8/10, è prevista la traduzione dal greco in italiano di un passo tratto dalle opere di Platone e la stesura di un breve commento sugli aspetti linguistici e storico – filosofici.

Per la Sezione filosofica, riservata agli studenti delle penultime e ultime classi dei Licei Classici, Scientifici, Pedagogici, Linguistici ed Artistici nazionali che siano stati promossi negli scrutini dell’anno scolastico precedente con una valutazione in filosofia non inferiore a 8/10, è previsto un elaborato, in lingua italiana, su una tematica platoniana annualmente scelta.

Il Certamen è inserito, con Decreto Ministeriale del 27 luglio 2010, nel programma nazionale di promozione delle eccellenze degli studenti delle scuole di istruzione secondaria superiore.

Art. 2

Al Certamen sono ammessi a partecipare non più di due alunni ( per ciascuna o per una delle due sezioni ) per ogni scuola aderente, accompagnati da un docente o dal Dirigente Scolastico.

Art. 3

Le domande di ammissione, redatte sul modulo allegato al bando, controfirmate dal Dirigente Scolastico, dovranno pervenire a questo Istituto per posta ( farà fede la data del timbro postale ), per via fax o e – mail ( farà fede la data di ricezione ) entro e non oltre il 31/03/2011

Art. 4

Gli alunni partecipanti e i docenti accompagnatori saranno alloggiati presso un hotel cittadino o dei dintorni.

Le spese di viaggio e di soggiorno degli alunni e degli accompagnatori saranno a carico dei partecipanti o dell’istituto di provenienza.

Art. 5

Per esigenze di carattere organizzativo il numero dei partecipanti viene limitato a 20 studenti per la sezione classica e a 40 per la sezione filosofica più i relativi accompagnatori.

In caso di numero elevato di richieste di partecipazione, costituiranno elementi di priorità, nella compilazione della graduatoria di ammissione, la data di ricezione delle domande nonché la valutazione riportata nell’anno scolastico precedente.

Art. 6

La prova, della durata di 6 ( sei ) ore, si svolgerà secondo le norme dei concorsi pubblici e avrà luogo presso la sede centrale dell’Istituto ( piazza Umberto, 11 ).

Per la prova di traduzione sarà permesso unicamente l’uso del dizionario greco – italiano.

Per la stesura dell’elaborato sarà consentito esclusivamente l’uso del dizionario di lingua italiana.

I concorrenti dovranno presentarsi muniti di un valido documento di riconoscimento, pena l’esclusione dalla prova.

Art. 7

La prova dovrà essere rigorosamente anonima, pena l’annullamento. I dati personali verranno inseriti in una busta (piccola) sigillata che sarà consegnata a ciascun candidato dall’istituto ospitante insieme ai fogli necessari per lo svolgimento della prova e ad un’altra busta (grande) atta a contenere la busta con i dati e i fogli dell’elaborato. La commissione fornirà, sul momento, eventuali altre indicazioni.

Gli elaborati dovranno essere redatti con penna nera o blu e non presentare segni di riconoscimento di alcun tipo.

E’ tassativamente vietato l’uso del telefonino cellulare e/o di altri mezzi di comunicazione con l’esterno.

Art. 8

L’organizzazione è affidata ad un comitato organizzatore così costituito:

1) il Dirigente pro – tempore dell’istituto

2) un collaboratore scelto dal Dirigente pro – tempore

3) eventuale/i rappresentante/i di enti sponsorizzatori

Per questa 1^ edizione daranno la loro collaborazione (su invito del Dirigente) le proff. Cannata Anna (sez. filosofica) e Inturri Maria Stella (sez. classica), poiché, lo scorso anno scolastico, hanno coadiuvato il Dirigente nell’ideazione e nella presentazione della proposta di gara.

Tale comitato, all’inizio dell’anno scolastico, decide i tempi di svolgimento del Certamen e quanto attenga alla sua realizzazione (servizi vari e quote relative, modalità di adesione e dei versamenti, nonché l’indicazione dei premi per i vincitori delle singole edizioni ).

Procederà, inoltre, a suo insindacabile giudizio, alla compilazione della graduatoria di ammissione secondo i criteri indicati all’art. 5 del presente regolamento.

Per il corrente a. sc. 2010/2011 ha, in prima istanza, stabilito:

– le date di svolgimento delle prove: 03/05/2011 prova di greco sez. classica

04/05/2011 prova di filosofia sez. filosofica

– la quota di iscrizione di € 25,00 per ogni singolo candidato, da versare su c/c postale n.11068962 intestato a Liceo Classico Statale “Platone” Palazzolo Acreide entro e non oltre 15gg. dalla comunicazione ufficiale (tramite posta o fax o, comunque, attraverso pubblicazione dell’elenco degli ammessi sul sito dell’Istituto) di inserimento nella graduatoria di ammissione.

Art. 9

La Commissione giudicatrice del Certamen, per ciascuna sezione, sarà così costituita:

1) un docente, possibilmente di una Università italiana, che fungerà da Presidente; questi nominerà un segretario tra i componenti della commissione

2) due docenti ( specialisti della disciplina ) di Università o di Scuola Media Superiore di 2° grado.

A nessun titolo potranno far parte della commissione insegnanti di Istituti frequentati da alunni partecipanti alla gara.

La Commissione, la mattina stessa di ciascuna prova, sceglierà il brano da tradurre e il tema da trattare.

Nella revisione e nella valutazione degli elaborati della Sezione classica i membri della Commissione terranno conto

– della capacità di comprensione del testo greco

– delle abilità specifiche di resa dei costrutti propri della lingua greca

– del coerente ed adeguato utilizzo degli strumenti espressivi della nostra lingua

Nella revisione e nella valutazione degli elaborati della Sezione filosofica i membri della Commissione terranno conto

– della conoscenza delle opere di Platone

– delle abilità espressive richieste nell’esposizione

– della capacità di analisi e sintesi

La Commissione, dopo aver esaminato gli elaborati e selezionato quelli meritevoli, stilerà, a suo insindacabile giudizio, la graduatoria dei vincitori di ciascuna delle due sezioni del Certamen; i risultati saranno resi noti attraverso il sito dell’Istituto.

A tutti i concorrenti verrà rilasciato un attestato di partecipazione, che potrà essere inserito nel curriculum personale di ciascuno ai fini del credito scolastico e/o di altre agevolazioni.

Art. 10

Per ciascuna sezione saranno assegnati i seguenti premi:

1° premio: € 500,00

2° premio: € 300,00

3° premio: € 200,00

I premi saranno fatti pervenire agli studenti vincitori presso i singoli Istituti di appartenenza.

Dei tempi e delle modalità di un’eventuale cerimonia di premiazione si darà comunicazione in seguito.

Art. 11

L’Istituto si riserva il diritto di modificare i premi in qualsiasi momento in base alle risorse finanziarie che saranno erogate all’Istituto dal MIUR per l’incentivazione delle eccellenze degli studenti di scuola media superiore nonché alle proprie disponibilità finanziarie.

Qualunque notifica relativa ad eventuali variazioni verrà pubblicata sul sito web dell’Istituto e sarà valida dalla data della pubblicazione.

Note.

– Le scuole partecipanti saranno successivamente informate della sistemazione negli alberghi della zona e del programma dettagliato della manifestazione.

– Per ulteriori informazioni rivolgersi al D. S. G. A. dell’Istituto sig.ra Giuseppina Uccello

( numero verde: 800648999 ) oppure alla prof.ssa Cannata ( tel. 0931/875900,

cell. 3382652981; e-mail: annacannata@alice.it ) o alla prof.ssa Inturri ( tel. 0931/875227,

cell. 3381836437; e-mail: inturrimariastella@yahoo.it ) .

Palazzolo A., dicembre 2010

 

IL DIRIGENTE SCOLASTICO

Antonino Sortino

—————————–

MODULO DI PARTECIPAZIONE AL

1° CERTAMEN PLATONICUM

DEL 1° I. I. S. S. “PLATONE” – PALAZZOLO A. (SR)

______________________

 

 

 

 

Al Dirigente Scolastico del

1° I. I. S. S. “Platone”

Piazza Umberto I, 11

96010 Palazzolo Acreide

 

 

 

 

Il /La sottoscritto/a _______________________________________, frequentante nel corrente a. sc.

 

 

_________________ la classe ________________ del ____________________________________

(denominazione dell’istituto )

 

 

C H I E D E

 

 

di partecipare  al “Certamen Platonicum” sez. ____________________.

(classica – filosofica)

 

Dichiara di aver riportato, lo scorso anno scolastico, la valutazione di __________

 

 

in ____________________.

(indicare la materia)

 

 

_______________________ lì _________________________

 

 

 

 

FIRMA DEL CANDIDATO                                           FIRMA DEL DIRIGENTE SCOLASTICO

 

 

( timbro della scuola )

 

 

 

Al Dirigente Scolastico del

1° I. I. S. S.  “Platone”

Piazza Umberto I, 11

96010 Palazzolo Acreide

 

 

Il/La sottoscritto/a ________________________________________________

 

nato/a a _________________________________________________________

 

 

C H I E D E

 

 

di partecipare alla prima edizione del CERTAMEN PLATONICUM sez. _________________

( classica – filosofica )

 

che si terrà g. _____________________ presso il 1° I. I. S. S. “Platone” di Palazzolo Acreide.

 

Ai sensi delle leggi 675/96 e 196/2003 e del Regolamento M. P. I. n. 305 del 7/12/2006 autorizza il

 

trattamento dei propri dati personali per tutte le attività dell’Istituto inerenti il Certamen.

 

 

 

_______________________________

( firma del candidato )

 

 

INDIRIZZO DEL PARTECIPANTE:

 

VIA _____________________________________________________

 

CITTA’ __________________________________

 

TEL. ___________________________

 

Estremi della Scuola di provenienza _____________________________________________

 

 

______________________ lì _____________________________

 

 

VISTO: IL DIRIGENTE SCOLASTICO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

( intestazione dell’Istituto )

 

 

Prot. n. ____________________

 

 

 

 

 

Al Dirigente Scolastico del

1° I. I. S. S.  “Platone”

Piazza Umberto I, 11

96010 Palazzolo Acreide

 

 

Si inviano n. _______ domande di partecipazione alla prima edizione del CERTAMEN

PLATONICUM di Palazzolo Acreide presentate dagli alunni di questo Istituto:

 

 

Cognome e nome

 

Classe di appartenenza Sezione del Certamen prescelta Valutazione riportata nello scorso anno
 

 

     
 

 

     
 

 

     
 

 

     

 

 

Docente accompagnatore: prof. ______________________________________________

 

 

_________________________, lì _______________________________

 

 

 

IL DIRIGENTE SCOLASTICO

 

 

_____________________________

 

Nota 21 marzo 2011, Prot. MIURAOODGOS n. 1810

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

Uff.II

 

Ai Direttori Generali

degli Uffici Scolastici Regionali

LORO SEDI

Al Sovrintendente agli Studi per la Regione Autonoma della Valle d’Aosta

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Bolzano

Al Sovrintendente Scolastico

per la Provincia Autonoma di Trento

All’Intendente Scolastico per le scuole

delle località ladine di Bolzano

All’Intendente Scolastico

per la scuola in lingua tedesca

di Bolzano

 

Oggetto: “Il Maggio dei libri” – Campagna nazionale per la promozione della lettura

 

Il Centro per il libro e la lettura di Roma promuove “Il Maggio dei libri”, la prima edizione di una campagna nazionale che ha l’intento di fissare un appuntamento annuale dedicato al libro in cui concentrare iniziative, manifestazioni, eventi che evidenzino le molteplici valenze del libro e della lettura e delle “case dei libri: biblioteche e librerie”.

La partecipazione alla campagna nazionale da parte delle Istituzioni scolastiche è sostenuta dal Centro del libro e della lettura che fornirà materiali e prodotti per la comunicazione finalizzata a promuovere le diverse proposte.

In allegato il programma con modalità di svolgimento, tempistica e suggerimenti di possibili iniziative. Ulteriori informazioni possono essere richieste all’indirizzo il maggiodeilibri@cepell.it

 

IL DIRIGENTE

Antonio LO BELLO

Allegato

18 marzo Sentenza CEDU su Crocifisso nelle Aule

Il 18 marzo la Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha pronunciato la sentenza definitiva sul caso Lautsi c/Italia (ricorso n. 30814/06), riguardante l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.

Di seguito i comunicati del CdM e della Corte europea dei Diritti Umani:

Esposizione Crocifisso: la Corte europea assolve l’Italia

Il 18 marzo 2011 la Grande Camera della Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha pronunciato la sentenza definitiva (udienza del 30 giugno 2010) sul caso Lautsi c/Italia (ricorso n. 30814/06), in merito al quale lo Stato italiano aveva chiesto il riesame della sentenza di condanna del 3 novembre 2009.

Con 15 voti favorevoli e 2 dissensi, la Grande Camera ha deciso che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del protocollo 1; che non si pone alcuna questione sull’articolo 9 e che relativamente al divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 della Convenzione non vi è luogo a decidere perché si tratta di una norma che va letta in relazione ad altri tipi di violazione.

La prima sentenza della Corte europea e il ricorso del Governo italiano

Secondo la Corte, che il 3 novembre 2009 ha emesso la sentenza, la Convenzione riconosce il diritto di credere in una religione, ma anche di non credere in alcuna religione. Per la Corte, queste considerazioni comportano l’obbligo dello Stato di astenersi da imporre anche indirettamente, credenze, nei luoghi in cui le persone sono a suo carico o nei luoghi in cui queste persone sono particolarmente vulnerabili. Nel parere della Corte, il simbolo del crocifisso ha una pluralità di significati tra cui il senso religioso è predominante.Il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità. La cristianità rappresenta le radici della nostra cultura, quello che oggi siamo. L’esposizione del crocifisso nelle scuole non deve essere vista tanto per il significato religioso quanto in riferimento alla storia e alla tradizione dell’Italia. La presenza del crocifisso in classe rimanda dunque ad un messaggio morale che trascende i valori laici e non lede la libertà di aderire o non aderire ad alcuna religione.

Cultura, tradizione, storia, identità sono queste le parole chiave per spiegare e reinterpretare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo che chiama in causa il governo italiano per l’esposizione del crocifisso nelle scuole.

Contro la sentenza del 3 novembre 2009, il Governo – dopo la decisione presa nel Consiglio dei ministri del 6 novembre – in data 29 gennaio 2010 ha presentato fficialmente ricorso alla Grande Camera.

La Corte europea il 2 marzo ha accolto la domanda di rinvio alla Grande Camera presentata dal Governo e fissato l’udienza al 30 giugno.

Il caso e le motivazioni della sentenza. (Ricorso LAUTSI c/ITALIA n. 30814/06)

La signora Lautsi di origine finlandese ha sostenuto dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo che il simbolo del crocifisso è un affronto alle sue convinzioni e viola il diritto dei suoi figli che non professano la religione cattolica. L’interessato vede nell’esibizione del crocifisso il segno che lo Stato è dalla parte della religione cattolica. Questo significato è ufficialmente accettato nella Chiesa cattolica, che attribuisce al crocifisso un messaggio fondamentale. Pertanto, la preoccupazione del richiedente, secondo la Corte, non è arbitraria.

La presenza del crocifisso può essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, e si sentono educati in un ambiente scolastico caratterizzato da una particolare religione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni studenti di una religione può essere emotivamente inquietante per gli studenti di altre religioni o di coloro che non professano alcuna religione. Questo rischio è particolarmente presente tra gli studenti appartenenti a minoranze religiose.

La Corte non vede come l’esposizione nelle aule delle scuole pubbliche di un simbolo – che è ragionevole associare con il cattolicesimo (la religione di maggioranza in Italia) – potrebbe servire al pluralismo educativo, essenziale per la conservazione di una “società democratica”, come concepito dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

La sentenza della Corte europea si basa sull’interpretazione dell’art.9 della Convenzione (libertà di religione) con l’art. 2 del Protocollo 1 (diritto all’istruzione).

Secondo la Corte è sul diritto fondamentale all’istruzione, che si innesta il diritto dei genitori nel veder rispettate le proprie credenze religiose e filosofiche.

L’articolo 2 del Protocollo n.1 per la Corte mira a salvaguardare la possibilità di pluralismo in materia di istruzione, essenziale per la conservazione della “società democratica”, com’è intesa dalla Convenzione. A causa del potere dello Stato moderno, è soprattutto l’educazione pubblica che ha bisogno di raggiungere questo obiettivo.

Nell’ordinamento italiano l’esposizione del crocifisso, seppur non espressamente menzionata, è regolamentata dal decreto legislativo 297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado). In particolare, in base all’art. 676 intitolato “norme di abrogazione” il quale dispone che “le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”, gli articoli 159 e 190 includono il crocifisso tra gli arredi delle aule. Queste norme si incanalano nel cuneo della tradizione del nostro Paese e sono retaggio di altre più antiche: R.D. 26-4-1928 n. 1297 – Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare e R.D. 30-4-1924 n. 965 – Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media.

Crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane: la Corte non constata violazioni (issued by the Registrar of the Court no. 234 18.03.2011)

Nella sentenza definitiva 1 di Grande Camera, pronunciata oggi nel caso Lautsi e altri c. Italia (ricorso no 30814/06), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due) alla:
Non violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il caso riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.

I fatti principali

I ricorrenti sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1957, 1988 e 1990. La ricorrente, Sig.ra Soile Lautsi e i suoi due figli, Dataico e Sami Albertin, (“il secondo e terzo ricorrente”)2 , sono residenti in Italia. Questi due ultimi ricorrenti erano iscritti nel 2001-2002 presso la scuola pubblica “Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre”, ad Abano Terme. Il crocifisso era affisso nelle aule dell’istituto.
Il 22 aprile 2002, durante una riunione del consiglio d’istituto, il marito della ricorrente sollevò la questione della presenza di simboli religiosi, e del crocifisso in particolare, nelle aule chiedendone la rimozione. In seguito alla decisione del consiglio d’istituto di mantenere i simboli religiosi nelle aule, il 23 luglio 2002 la ricorrente adì il Tribunale amministrativo regionale del Veneto (T.A.R.) denunciando in particolare la violazione del principio di laicità.
Il 30 ottobre 2003, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che nell’ottobre 2002 aveva adottato una direttiva secondo cui i dirigenti scolastici dovevano garantire la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche – si costituì parte civile nella procedura avviata dalla ricorrente il cui ricorso era, a suo avviso, infondato poiché la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche era prevista da due regi decreti del 1924 e 19283.
Nel 2004, la Corte Costituzionale dichiarò l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di cui era stata investita dal T.A.R. in quanto le disposizioni impugnate – cioè, gli articoli rilevanti dei due regi decreti -, di rango regolamentare e non legislativo, non potevano essere sottoposte ad alcun esame di conformità costituzionale.
Il 17 marzo 2005, il T.A.R. rigettò il ricorso della ricorrente, ritenendo che le disposizioni dei regi decreti in questione erano ancora in vigore e che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche non confliggeva con il principio di laicità dello Stato, che faceva “parte del patrimonio giuridico europeo e delle democrazie occidentali”. Più che un simbolo del solo cattolicesimo, il crocifisso fu considerato come simbolo del cristianesimo in generale e come tale rinviava anche ad altre confessioni. Il T.A.R. considerò inoltre che si trattava di un simbolo storico-culturale, dotato di una “valenza identitaria” per il popolo italiano, oltre che un simbolo del sistema di valori che innervano la Carta costituzionale.
Con sentenza del 13 aprile 2006, il Consiglio di Stato, adito dalla ricorrente, confermò che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche trovava la sua base legale nei regi decreti del 1924 e 1928 e che, tenuto conto del significato che bisognava attribuirgli, era compatibile con il principio di laicità. In quanto veicolo di valori civili che caratterizzano la civilizzazione italiana – tolleranza, tutela dei diritti della persona, autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, solidarietà, rigetto di ogni discriminazione – il crocifisso nelle aule poteva, in una prospettiva “laica”, avere una funzione altamente educativa.

Doglianze, procedura e composizione della Corte

Invocando gli articoli 2 del Protocollo no 1 (Diritto all’istruzione) e 9 della Convenzione (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), i ricorrenti si lamentavano della presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata dal secondo e terzo ricorrente.
Invocando l’articolo 14 (divieto di discriminazione), i ricorrenti ritenevano che, per il fatto di non essere cattolici, avevano subito un trattamento discriminatorio rispetto ai genitori cattolici e ai loro figli.
Il ricorso è stato introdotto davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il 27 luglio 2006. Nella sentenza di Camera del 3 novembre 2009, la Corte ha concluso che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 (diritto all’istruzione) esaminato congiuntamente all’articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione). Il 28 gennaio 2010, il Governo italiano ha chiesto il rinvio del caso davanti alla Grande Camera, secondo l’articolo 43 della Convenzione (rinvio dinnanzi alla Grande Camera) e il 1o marzo 2010, il collegio della Grande Camera ha accettato questa richiesta. Un’udienza di Grande Camera si è tenuta il 30 giugno 2010 a Strasburgo.
A norma dell’articolo 36 § 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’articolo 44 § 2 del Regolamento della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, sono stati autorizzati a intervenire nella procedura scritta4:
– trentatré membri del Parlamento europeo intervenuti congiuntamente.
– le organizzazioni seguenti non-governative: Greek Helsinki Monitor5; Associazione nazionale del libero Pensiero; European Centre for Law and Justice; Eurojuris; intervenuti congiuntamente: Commission internationale de juristes, Interights e Human Rights Watch; intervenuti congiuntamente: Zentralkomitee der deutschen Katholiken, Semaines sociales de France e Associazioni cristiane Lavoratori italiani.
– i Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione russa, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania e della Repubblica di San Marino.
I Governi di Armenia, Bulgaria, Cipro, Federazione russa, Grecia, Lituania, Malta e Repubblica di San Marino sono stati inoltre autorizzati a intervenire congiuntamente nella procedura orale.
La sentenza è stata resa dalla Grande Camera di 17 giudici, composta da:
Jean-Paul Costa (Francia), presidente,
Christos Rozakis (Grecia),
Nicolas Bratza (Regno Unito),
Peer Lorenzen (Danimarca),
Josep Casadevall (Andorra),
Giovanni Bonello (Malta),
Nina Vajić (Croazia),
Rait Maruste (Estonia),
Anatoly Kovler (Russia),
Sverre Erik Jebens (Norvegia),
Päivi Hirvelä (Finlandia),
Giorgio Malinverni (Svizzera),
George Nicolaou (Cipro),
Ann Power (Irlanda),
Zdravka Kalaydjieva (Bulgaria),
Mihai Poalelungi (Moldavia),
Guido Raimondi (Italia), giudici,
Oltre che da Erik Fribergh, cancelliere.

Decisione della Corte

Articolo 2 del Protocollo no 1
Dalla giurisprudenza della Corte6 emerge che l’obbligo degli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguarda solo il contenuto dell’istruzione e le modalità in cui viene essa dispensata: tale obbligo compete loro nell’“esercizio” dell’insieme delle “funzioni” che gli Stati si assumono in materia di educazione e d’insegnamento. Ciò comprende l’allestimento degli ambienti scolastici qualora il diritto interno preveda che questa funzione incomba alle autorità pubbliche. Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche attiene alle funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Questa disposizione attribuisce allo Stato l’obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.
Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni. Inoltre, pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1.
Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principî e i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule scolastiche. Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che, se da una parte la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. In relazione al secondo punto, rilevando che il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso e che la Corte Costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne.
Di fatto gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità nel conciliare l’esercizio delle funzioni che competono loro in materia di educazione e d’insegnamento con il rispetto del diritto dei genitori di garantire tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche. La Corte deve quindi di regola rispettare le scelte degli Stati contraenti in questo campo, compreso lo spazio che questi intendono consacrare alla religione, sempre che tali scelte non conducano a una qualche forma d’indottrinamento. In quest’ottica, la scelta di apporre il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rientra in principio nell’ambito del margine di discrezionalità dello Stato, a maggior ragione in assenza di un consenso europeo7. Tuttavia questo margine di discrezionalità si accompagna a un controllo della Corte, la quale deve garantire che questa scelta non conduca a una qualche forma di indottrinamento.
A tal proposito la Corte constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato convenuto e a dimostrare una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2 del Protocollo no 18. Quanto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che ha già stabilito che, in merito al ruolo preponderante di una religione nella storia di un Paese, il fatto che, nel programma scolastico le sia accordato uno spazio maggiore rispetto alle altre religioni non costituisce di per sé un’opera d’indottrinamento. La Corte sottolinea altresì che un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose.
La Corte ritiene inoltre che gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati alla luce di quanto segue: tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole…); non sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni, non credenti o detentori di convinzioni filosofiche che non si riferiscano a una religione. La Corte nota inoltre che i ricorrenti non si lamentano del fatto che la presenza del crocifisso in classe abbia implicato delle pratiche di insegnamento volte al proselitismo o che i figli della ricorrente siano stati confrontati a un insegnamento condizionato da tale presenza. Infine la Corte osserva che il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e di orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto.
La Corte conclude dunque che, decidendo di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai figli della ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche; di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1 quanto alla ricorrente. La Corte considera inoltre che nessuna questione distinta sussiste per quanto riguarda l’articolo 9.
La Corte addiviene alla stessa conclusione per quanto concerne il secondo e terzo ricorrente.

Articolo 14

Nella sua sentenza di Camera la Corte ha ritenuto che, tenuto conto delle sue conclusioni in merito alla violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 1, non c’era motivo di esaminare il caso dal punto di vista dell’articolo 14.
Dopo aver ricordato che l’articolo 14 non ha esistenza propria ma ha valenza esclusivamente in relazione al il godimento dei diritti e alle libertà garantiti dalle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli, la Grande Camera stabilisce che, anche ad ammettere che i ricorrenti vogliano lamentarsi di una discriminazione nel godimento dei diritti garantiti dagli articoli 9 della Convenzione e 2 del Protocollo no 1, non si pone nessuna questione separata da quelle già decise nell’ambito dell’articolo 2 del Protocollo no 1. Non vi è dunque motivo di esaminare questa parte del ricorso.

Opinioni separate

I Giudici Bonello, Power e Rozakis hanno espresso ognuno un’opinione concordante. Il Giudice Malinverni ha espresso un’opinione dissenziente, condivisa dalla Giudice Kalaydjieva.
Il testo di queste opinioni è allegato alla sentenza.
La sentenza esiste in inglese e francese.

Note:

1 Le sentenze della Grande Camera sono definitive (articolo 44 della Convenzione).
Tutte le sentenze definitive sono trasmesse al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ne controlla l’esecuzione. Per maggiori informazioni sulla procedura d’esecuzione, consultare il sito Internet: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/execution
2 Nel suo ricorso, la ricorrente indica agire a suo nome e per conto dei suoi figli allora minori, Dataico e Sami Albertin. Divenuti nel frattempo maggiorenni, questi ultimi hanno confermato la loro volontà di proseguire il ricorso.
3 Articolo 118 del regio decreto n° 965 del 30 aprile 1924 (Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media) e articolo 119 del regio decreto n° 1297 del 26 aprile 1928 (Regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare).
4 Osservazioni dei terzi intervenuti : v. §§ 47 a 56 della sentenza
5 Già terzo intervenuto davanti alla Camera
6 Sentenze Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen c. Danemark del 7 dicembre 1976 (§ 50), Valsamis c. Grecia del 18 dicembre 1996 (§ 27), Hasan et Eylem Zengin c. Turchia dell’8 ottobre 2007 (§ 49) e Folgerø e altri c. Norvegia, sentenza della Grande camera del 29 juin 2007 (§ 84).
7 v. i §§ 26 à 28 della sentenza.
8 Folgerø e altri c. Norvegia (sentenza della Grande camera del 29 juin 2007), Hasan et Eylem Zengin c. Turchia (sentenza dell’8 ottobre 2007) 4

Sentenza CEDU 18 marzo 2011

 

 

GRANDE CHAMBRE

AFFAIRE LAUTSI ET AUTRES c. ITALIE

(Requête no 30814/06)

ARRÊT

 

 

 

STRASBOURG

 

18 mars 2011

 

 

Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.


En l’affaire Lautsi et autres c. Italie,

La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :

Jean-Paul Costa, président,
Christos Rozakis,
Nicolas Bratza,
Peer Lorenzen,
Josep Casadevall,
Giovanni Bonello,

Nina Vajić,
Rait Maruste,
Anatoly Kovler,
Sverre Erik Jebens,
Päivi Hirvelä,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou,
Ann Power,
Zdravka Kalaydjieva,

Mihai Poalelungi,
Guido Raimondi, juges,
et d’Erik Fribergh, greffier,

Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 30 juin 2010 et 16 février 2011,

Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :

PROCÉDURE

1.  A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 30814/06) dirigée contre la République italienne et dont une ressortissante de cet Etat, Mme Soile Lautsi (« la requérante »), a saisi la Cour le 27 juillet 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Dans sa requête, elle indique agir en son nom ainsi qu’au nom de ses enfants alors mineurs, Dataico et Sami Albertin. Devenus entre-temps majeurs, ces derniers ont confirmé vouloir demeurer requérants (« les deuxième et troisième requérants »).

2.  Les requérants sont représentés par Me N. Paoletti, avocat à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par ses coagents adjoints, M. N. Lettieri et Mme P. Accardo.

3.  La requête a été attribuée à la deuxième section de la Cour (article 52 § 1 du règlement). Le 1er juillet 2008, une chambre de ladite section, composée des juges dont le nom suit : Françoise Tulkens, Antonella Mularoni, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó et Işıl Karakaş, a décidé de communiquer la requête au Gouvernement ; se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3 de la Convention, elle a également décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.

4.  Le 3 novembre 2009, une chambre de cette même section, composée des juges dont le nom suit : Françoise Tulkens, présidente, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó et Işıl Karakaş, a déclaré la requête recevable et a conclu à l’unanimité à la violation de l’article 2 du Protocole no 1 examiné conjointement avec l’article 9 de la Convention, et au non-lieu à examen du grief tiré de l’article 14 de la Convention.

5.  Le 28 janvier 2010, le Gouvernement a demandé le renvoi de l’affaire devant la Grande chambre en vertu des articles 43 de la Convention et 73 du règlement de la Cour. Le 1er mars 2010, un collège de la Grande Chambre a fait droit à cette demande.

6.  La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 26 §§ 4 et 5 de la Convention et 24 du règlement.

7.  Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé des observations écrites complémentaires sur le fond de l’affaire.

8.  Se sont vus accorder l’autorisation d’intervenir dans la procédure écrite (article 36 § 2 de la Convention et article 44 § 2 du règlement), trente-trois membres du Parlement européen agissant collectivement, l’organisation non-gouvernementale Greek Helsinki Monitor, déjà intervenante devant la chambre, l’organisation non gouvernementale Associazione nazionale del libero Pensiero, l’organisation non gouvernementale European Centre for Law and Justice, l’organisation non gouvernementale Eurojuris, les organisations non gouvernementales commission internationale de juristes, Interights et Human Rights Watch, agissant collectivement, les organisations non-gouvernementales Zentralkomitee der deutschen Katholiken, Semaines sociales de France, Associazioni cristiane Lavoratori italiani, agissant collectivement, ainsi que les gouvernements de l’Arménie, de la Bulgarie, de Chypre, de la Fédération de Russie, de la Grèce, de la Lituanie, de Malte, de Monaco, de la Roumanie et de la République de Saint-Marin. Les gouvernements de l’Arménie, de la Bulgarie, de Chypre, de la Fédération de Russie, de la Grèce, de la Lituanie, de Malte, et de la République de Saint-Marin ont en outre été autorisés à intervenir collectivement dans la procédure orale.

9.  Une audience s’est déroulée en public au Palais des droits de l’Homme, à Strasbourg, le 30 juin 2010 (article 59 § 3 du règlement).
Ont comparu :

 

–        pour le gouvernement défendeur

MM.  Nicola LETTIERI,                                                           co-agent,

Giuseppe ALBENZIO,                                                 conseiller ;

 

–        pour les requérants

Me Nicolò PAOLETTI,                                                            conseil,

Me Natalia PAOLETTI,

Mme Claudia SARTORI,                                                     conseillers ;

 

–        pour les gouvernements de l’Arménie, de la Bulgarie, de Chypre, de la Fédération de Russie, de la Grèce, de la Lituanie, de Malte, et de la République de Saint-Marin, tiers intervenants :

 

MM. Joseph WEILER, professeur à la faculté de droit de

l’université de New York,                                                   conseil,

Stepan KARTASHYAN, représentant permanent adjoint de

l’Arménie auprès de Conseil de l’Europe ;

Andrey TEHOV, ambassadeur, représentant permanent de la

Bulgarie auprès du Conseil de l’Europe ;

Yannis MICHILIDES, représentant permanent adjoint de

Chypre auprès du Conseil de l’Europe ;

Mme Vasileia PELEKOU, adjointe au représentant permanent de

la Grèce auprès du Conseil de l’Europe ;

MM. Darius ŠIMAITIS, représentant permanent adjoint de la Lituanie                               auprès du Conseil de l’Europe ;

Joseph LICARI, ambassadeur, représentant permanent de Malte

auprès du Conseil de l’Europe ;

Georgy MATYUSHKIN, agent du gouvernement de la Fédération de Russie ;

Me Guido BELLATTI CECCIOLI, co-agent du gouvernement de

la République de Saint-Marin,                                      conseillers.

 

La Cour a entendu Mes Nicolò Paoletti et Natalia Paoletti, ainsi que MM. Lettieri, Albenzio et Weiler.

EN FAIT

I.  LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE

10.  Nés respectivement en 1957, 1988 et 1990, la requérante et ses deux fils, Dataico et Sami Albertin, également requérants, résident en Italie. Ces derniers étaient scolarisés en 2001-2002 dans l’école publique Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre, à Abano Terme. Un crucifix était accroché dans les salles de classe de l’établissement

11.  Le 22 avril 2002, au cours d’une réunion du conseil d’école, le mari de la requérante souleva le problème de la présence de symboles religieux dans les salles de classe, de crucifix en particulier, et posa la question de leur retrait. Le 27 mai 2002, par dix voix contre deux, avec une abstention, le conseil d’école décida de maintenir les symboles religieux dans les salles de classe.

12.  Le 23 juillet 2002, la requérante saisit le tribunal administratif de Vénétie de cette décision, dénonçant une violation du principe de laïcité – elle se fondait à cet égard sur les articles 3 (principe d’égalité) et 19 (liberté religieuse) de la Constitution italienne et sur l’article 9 de la Convention – ainsi que du principe d’impartialité de l’administration publique (article 97 de la Constitution).

13.  Le 3 octobre 2002, le ministre de l’Instruction, de l’Université et de la Recherche prit une directive (no 2666) aux termes de laquelle les services compétents de son ministère devaient prendre les dispositions nécessaires afin, notamment, que les responsables scolaires assurent la présence de crucifix dans les salles de classe (paragraphe 24 ci-dessous).

Le 30 octobre 2003, ledit ministre se constitua partie dans la procédure initiée par la requérante. Il concluait au défaut de fondement de la requête, arguant de ce que la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques se fondait sur l’article 118 du décret royal no 965 du 30 avril 1924 (règlement intérieur des établissements d’instruction moyenne) et l’article 119 du décret royal no 1297 du 26 avril 1928 (approbation du règlement général des services d’enseignement primaire ; paragraphe 19 ci-dessous).

14.  Par une ordonnance du 14 janvier 2004, le tribunal administratif saisit la Cour constitutionnelle de la question de la constitutionnalité, au regard du principe de laïcité de l’Etat et des articles 2, 3, 7, 8, 19 et 20 de la Constitution, des articles 159 et 190 du décret-loi no 297 du 16 avril 1994 (portant approbation du texte unique des dispositions législatives en vigueur en matière d’instruction et relatives aux écoles), dans leurs « spécifications » résultant des articles 118 et 119 des décrets royaux susmentionnés, ainsi que de l’article 676 dudit décret-loi.

Les articles 159 et 190 du décret-loi mettent la fourniture et le financement du mobilier scolaire des écoles primaires et moyennes à la charge des communes, tandis que l’article 119 du décret de 1928 inclut le crucifix sur la liste des meubles devant équiper les salles de classe, et l’article 118 du décret de 1924 spécifie que chaque classe doit être pourvue du portrait du roi et d’un crucifix. Quant à l’article 676 du décret-loi, il précise que les dispositions non comprises dans le texte unique restent en vigueur, « à l’exception des dispositions contraires ou incompatibles avec le texte unique, qui sont abrogées ».

Par une ordonnance du 15 décembre 2004 (no 389), la Cour constitutionnelle déclara la question de constitutionnalité manifestement irrecevable, au motif qu’elle visait en réalité des textes qui, n’ayant pas rang de loi mais rang réglementaire (les articles 118 et 119 susmentionnés), ne pouvaient être l’objet d’un contrôle de constitutionnalité.

15.  Le 17 mars 2005, le tribunal administratif rejeta le recours. Après avoir conclu que l’article 118 du décret royal du 30 avril 1924 et l’article 119 du décret royal du 26 avril 1928 étaient encore en vigueur et souligné que « le principe de laïcité de l’Etat fait désormais partie du patrimoine juridique européen et des démocraties occidentales », il jugea que la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques, eu égard à la signification qu’il convenait de lui donner, ne se heurtait pas audit principe. Il estima notamment que, si le crucifix était indéniablement un symbole religieux, il s’agissait d’un symbole du christianisme en général, plutôt que du seul catholicisme, de sorte qu’il renvoyait à d’autres confessions. Il considéra ensuite qu’il s’agissait de surcroît d’un symbole historico-culturel, pourvu à ce titre d’une « valeur identitaire » pour le peuple italien en ce qu’il « représente d’une certaine manière le parcours historique et culturel caractéristique de [l’Italie] et en général de l’Europe toute entière, et qu’il en constitue une bonne synthèse ». Il retint en outre que le crucifix devait aussi être considéré comme un symbole d’un système de valeurs qui innervent la charte constitutionnelle italienne. Son jugement est ainsi motivé :

« (…) 11.1. A ce stade, force est de constater, même en étant conscient de s’engager sur un chemin impraticable et parfois glissant, que le christianisme, ainsi que le judaïsme son grand-frère – du moins depuis Moïse et certainement dans l’interprétation talmudique –, ont placé au centre de leur foi la tolérance vis-à-vis d’autrui et la protection de la dignité humaine.

Singulièrement, le christianisme – par référence également au bien connu et souvent incompris « Donnez à César ce qui est à César, et à … » –, avec sa forte accentuation du précepte de l’amour pour le prochain, et plus encore par l’explicite prédominance donnée à la charité sur la foi elle-même, contient en substance ces idées de tolérance, d’égalité et de liberté qui sont à la base de l’Etat laïque moderne, et de l’Etat italien en particulier.

11.2. Regarder au-delà des apparences permet de discerner un fil qui relie entre eux la révolution chrétienne d’il y a deux mille ans, l’affirmation en Europe de l’habeas corpus, les éléments charnière du mouvement des Lumières (qui pourtant, historiquement, s’est vivement opposé à la religion), c’est-à-dire la liberté et la dignité de tout homme, la déclaration des droits de l’homme, et enfin l’Etat laïque moderne. Tous les phénomènes historiques mentionnés reposent de manière significative – quoique certainement non exclusive – sur la conception chrétienne du monde. Il a été observé avec finesse que la devise bien connue de « liberté, égalité, fraternité » peut aisément être partagée par un chrétien, fût-ce avec une claire accentuation du troisième terme.

En conclusion, il ne semble pas hasardeux d’affirmer que, à travers les parcours tortueux et accidentés de l’histoire européenne, la laïcité de l’Etat moderne a été durement conquise, et ce aussi – bien sûr pas uniquement – avec la référence plus ou moins consciente aux valeurs fondatrices du christianisme. Cela explique qu’en Europe et en Italie de nombreux juristes de foi chrétienne aient figuré parmi les plus ardents défenseurs de l’Etat laïque. (…)

11.5. Le lien entre christianisme et liberté implique une cohérence historique logique non immédiatement perceptible – à l’image d’un fleuve karstique qui n’aurait été exploré qu’à une époque récente, précisément parce qu’en grande partie souterrain –, et ce aussi parce que dans le parcours tourmenté des rapports entre les Etats et les Eglises d’Europe on voit bien plus facilement les nombreuses tentatives de ces dernières pour interférer dans les questions d’Etat, et vice-versa, tout comme ont été assez fréquents l’abandon des idéaux chrétiens pourtant proclamés, pour des raisons de pouvoir, et les oppositions quelquefois violentes entre gouvernements et autorités religieuses.

11.6. Par ailleurs, si l’on adopte une optique prospective, dans le noyau central et constant de la foi chrétienne, malgré l’inquisition, l’antisémitisme et les croisades, on peut aisément identifier les principes de dignité humaine, de tolérance, de liberté y compris religieuse, et donc, en dernière analyse, le fondement de l’Etat laïque.

11.7. En regardant bien l’histoire, donc en prenant de la hauteur et non en restant au fond de la vallée, on discerne une perceptible affinité (mais non une identité) entre le « noyau dur » du christianisme qui, faisant primer la charité par rapport à tout autre aspect, y compris la foi, met l’accent sur l’acceptation de la différence, et le « noyau dur » de la Constitution républicaine, qui consiste en la valorisation solidaire de la liberté de chacun et donc en la garantie juridique du respect d’autrui. L’harmonie demeure même si, autour de ces noyaux – tous deux centrés sur la dignité humaine –, se sont avec le temps incrustés de nombreux éléments, quelques-uns si épais qu’ils dissimulent les noyaux, en particulier celui du christianisme. (…)

11.9. On peut donc soutenir que, dans la réalité sociale actuelle, le crucifix est à considérer non seulement comme un symbole d’une évolution historique et culturelle, et donc de l’identité de notre peuple, mais aussi en tant que symbole d’un système de valeurs – liberté, égalité, dignité humaine et tolérance religieuse, et donc également laïcité de l’Etat –, principes qui innervent notre charte constitutionnelle.

En d’autres termes, les principes constitutionnels de liberté possèdent de nombreuses racines, parmi lesquelles figure indéniablement le christianisme, dans son essence même. Il serait donc légèrement paradoxal d’exclure un signe chrétien d’une structure publique au nom de la laïcité, dont l’une des sources lointaines est précisément la religion chrétienne.

12.1. Ce tribunal n’ignore certes pas que l’on a par le passé attribué au symbole du crucifix d’autres valeurs comme, à l’époque du Statut Albertin, celle du signe du catholicisme entendu comme religion de l’Etat, utilisé donc pour christianiser un pouvoir et consolider une autorité.

Ce tribunal sait bien, par ailleurs, qu’aujourd’hui encore on peut donner différentes interprétations au symbole de la croix, et avant tout une interprétation strictement religieuse renvoyant au christianisme en général et au catholicisme en particulier. Il est également conscient que certains élèves fréquentant l’école publique pourraient librement et légitimement attribuer à la croix des valeurs encore différentes, comme le signe d’une inacceptable préférence pour une religion par rapport à d’autres, ou d’une atteinte à la liberté individuelle et donc à la laïcité de l’Etat, à la limite d’une référence au césaropapisme ou à l’inquisition, voire d’un bon gratuit de catéchisme tacitement distribué même aux non-croyants en un lieu qui ne s’y prête pas, ou enfin d’une propagande subliminale en faveur des confessions chrétiennes. Si ces points de vue sont tous respectables, ils sont au fond dénués de pertinence en l’espèce. (…)

12.6. Il faut souligner que le symbole du crucifix ainsi entendu revêt aujourd’hui, par ses références aux valeurs de tolérance, une portée particulière dans la considération que l’école publique italienne est actuellement fréquentée par de nombreux élèves extracommunautaires, auxquels il est relativement important de transmettre les principes d’ouverture à la diversité et de refus de tout intégrisme – religieux ou laïque – qui imprègnent notre système. Notre époque est marquée par une rencontre bouillonnante avec d’autres cultures, et pour éviter que cette rencontre ne se transforme en heurt, il est indispensable de réaffirmer même symboliquement notre identité, d’autant plus que celle-ci se caractérise précisément par les valeurs de respect de la dignité de tout être humain et d’universalisme solidaire. (…)

13.2. En fait, les symboles religieux en général impliquent un mécanisme logique d’exclusion ; en effet, le point de départ de toute foi religieuse est précisément la croyance en une entité supérieure, raison pour laquelle les adhérents, ou les fidèles, se trouvent par définition et conviction dans le vrai. En conséquence et de manière inévitable, l’attitude de celui qui croit face à celui qui ne croit pas, et qui donc s’oppose implicitement à l’être suprême, est une attitude d’exclusion. (…)

13.3. Le mécanisme logique d’exclusion de l’infidèle est inhérent à toute conviction religieuse, même si les intéressés n’en sont pas conscients, la seule exception étant le christianisme – là où il est bien compris, ce qui bien sûr n’a pas toujours été et n’est pas toujours le cas, pas même grâce à celui qui se proclame chrétien –, pour lequel la foi même en l’omniscient est secondaire par rapport à la charité, c’est-à-dire au respect du prochain. Il s’ensuit que le rejet d’un non-croyant par un chrétien implique la négation radicale du christianisme lui-même, une abjuration substantielle ; mais cela ne vaut pas pour les autres fois religieuses, pour lesquelles pareille attitude reviendra, au pire, à violer un important précepte.

13.4. La croix, symbole du christianisme, ne peut donc exclure quiconque sans se nier elle-même ; elle constitue même en un certain sens le signe universel de l’acceptation et du respect de tout être humain en tant que tel, indépendamment de toute croyance, religieuse ou non, pouvant être la sienne.

14.1. Il n’est guère besoin d’ajouter que la croix en classe, correctement comprise, fait abstraction des libres convictions de chacun, n’exclut personne et bien sûr n’impose et ne prescrit rien à quiconque, mais implique simplement, au cœur des finalités de l’éducation et de l’enseignement de l’école publique, une réflexion – nécessairement guidée par les enseignants – sur l’histoire italienne et sur les valeurs communes de notre société juridiquement retranscrites dans la Constitution, parmi lesquelles, en premier lieu, la laïcité de l’Etat. (…) »

16.  Saisi par la requérante, le Conseil d’Etat confirma que la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques trouvait son fondement légal dans l’article 118 du décret royal du 30 avril 1924 et l’article 119 du décret royal du 26 avril 1928 et, eu égard à la signification qu’il fallait lui donner, était compatible avec le principe de laïcité. Sur ce point, il jugea en particulier qu’en Italie, le crucifix symbolisait l’origine religieuse des valeurs (la tolérance, le respect mutuel, la valorisation de la personne, l’affirmation de ses droits, la considération pour sa liberté, l’autonomie de la conscience morale face à l’autorité, la solidarité humaine, le refus de toute discrimination) qui caractérisent la civilisation italienne. En ce sens, exposé dans les salles de classes, le crucifix pouvait remplir – même dans une perspective « laïque » distincte de la perspective religieuse qui lui est propre – une fonction symbolique hautement éducative, indépendamment de la religion professée par les élèves. Selon le Conseil d’Etat,  il faut y voir un symbole capable de refléter les sources remarquables des valeurs civiles susmentionnées, valeurs qui définissent la laïcité dans l’ordre juridique actuel de l’Etat.

Daté du 13 avril 2006, l’arrêt (no 556) est ainsi motivé :

« (…) la Cour constitutionnelle a plusieurs fois reconnu dans la laïcité un principe suprême de notre ordre constitutionnel, capable de résoudre certaines questions de légitimité constitutionnelle (parmi de nombreux arrêts, voir ceux qui portent sur les normes relatives au caractère obligatoire de l’enseignement religieux à l’école ou à la compétence juridictionnelle quant aux affaires concernant la validité du lien matrimonial contracté selon le droit canonique et consigné dans les registres de l’état civil).

Il s’agit d’un principe qui n’est pas proclamé en termes exprès dans notre charte fondamentale, d’un principe qui, empli de résonances idéologiques et d’une histoire controversée, revêt néanmoins une importance juridique qui peut se déduire des normes fondamentales de notre système. En réalité, la Cour tire ce principe spécifiquement des articles 2, 3, 7, 8, 19 et 20 de la Constitution.

Ce principe utilise un symbole linguistique (« laïcité ») qui indique de manière abrégée certains aspects significatifs des dispositions susmentionnées, dont les contenus établissent les conditions d’usage selon lesquelles ce symbole doit s’entendre et fonctionne. Si ces conditions spécifiques d’usage n’étaient pas établies, le principe de « laïcité » demeurerait confiné aux conflits idéologiques et pourrait difficilement être utilisé dans le cadre juridique.

De ce cadre, les conditions d’usage sont bien sûr déterminées par référence aux traditions culturelles et aux coutumes de chaque peuple, pour autant que ces traditions et coutumes se reflètent dans l’ordre juridique. Or celui-ci diffère d’une nation à l’autre. (…)

Dans le cadre de cette instance juridictionnelle et du problème dont elle est saisie, à savoir la légitimité de l’exposition du crucifix dans les salles de classe, prévue par les autorités compétentes en application de normes réglementaires, il s’agit concrètement et plus simplement de vérifier si cette prescription porte ou non atteinte au contenu des normes fondamentales de notre ordre constitutionnel, qui donnent une forme et une substance au principe de « laïcité » qui caractérise aujourd’hui l’Etat italien et auquel le juge suprême des lois s’est plusieurs fois référé.

De toute évidence, le crucifix est en lui-même un symbole qui peut revêtir diverses significations et servir à des fins diverses, avant tout pour le lieu où il a été placé.

Dans un lieu de culte, le crucifix est justement et exclusivement un « symbole religieux », puisqu’il vise à susciter une adhésion respectueuse envers le fondateur de la religion chrétienne.

Dans un cadre non religieux comme l’école, laquelle est destinée à l’éducation des jeunes, le crucifix peut encore revêtir pour les croyants les valeurs religieuses susmentionnées, mais, pour les croyants comme pour les non-croyants, son exposition se trouve justifiée et possède une signification non discriminatoire du point de vue religieux s’il est capable de représenter et d’évoquer de manière synthétique et immédiatement perceptible et prévisible (comme tout symbole) des valeurs civilement importantes, en particulier les valeurs qui sous-tendent et inspirent notre ordre constitutionnel, fondement de notre vie civile. En ce sens, le crucifix peut remplir – même dans une perspective « laïque » distincte de la perspective religieuse qui lui est propre – une fonction symbolique hautement éducative, indépendamment de la religion professée par les élèves.

Or il est évident qu’en Italie le crucifix est capable d’exprimer, du point de vue symbolique justement mais de manière adéquate, l’origine religieuse des valeurs que sont la tolérance, le respect mutuel, la valorisation de la personne, l’affirmation de ses droits, la considération pour sa liberté, l’autonomie de la conscience morale face à l’autorité, la solidarité humaine, le refus de toute discrimination, qui caractérisent la civilisation italienne.

Ces valeurs, qui ont imprégné des traditions, un mode de vie, la culture du peuple italien, sont à la base et ressortent des normes fondamentales de notre charte fondamentale – contenues dans les « Principes fondamentaux » et la première partie – et singulièrement de celles qui ont été rappelées par la Cour constitutionnelle et qui délimitent la laïcité propre à l’Etat italien.

La référence, au travers du crucifix, à l’origine religieuse de ces valeurs et à leur pleine et entière correspondance avec les enseignements chrétiens met donc en évidence les sources transcendantes desdites valeurs, ce sans remettre en cause, voire en confirmant, l’autonomie (mais non l’opposition, implicite dans une interprétation idéologique de la laïcité qui ne trouve aucun pendant dans notre charte fondamentale) de l’ordre temporel face à l’ordre spirituel, et sans rien enlever à leur « laïcité » particulière, adaptée au contexte culturel propre à l’ordre fondamental de l’Etat italien et manifesté par lui. Ces valeurs sont donc vécues dans la société civile de manière autonome (de fait non contradictoire) à l’égard de la société religieuse, de sorte qu’elles peuvent être consacrées « laïquement » par tous, indépendamment de l’adhésion à la confession qui les a inspirées et défendues.

Comme à tout symbole, on peut imposer ou attribuer au crucifix des significations diverses et contrastées ; on peut même en nier la valeur symbolique pour en faire un simple bibelot qui aura tout au plus une valeur artistique. On ne saurait toutefois concevoir un crucifix exposé dans une salle de classe comme un bibelot, un objet de décoration, ni davantage comme un objet du culte. Il faut plutôt le concevoir comme un symbole capable de refléter les sources remarquables des valeurs civiles rappelées ci-dessus, des valeurs qui définissent la laïcité dans l’ordre juridique actuel de l’Etat. (…) »

II.  L’EVOLUTION DU DROIT ET DE LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS

17.  L’obligation d’accrocher un crucifix dans les salles de classe des écoles primaires était prévue par l’article 140 du décret royal no 4336 du 15 septembre 1860 du royaume de Piémont-Sardaigne, pris en application de la loi no 3725 du 13 novembre 1859 aux termes de laquelle « chaque école devra[it] sans faute être pourvue (…) d’un crucifix » (article 140).

En 1861, année de naissance de l’Etat italien, le Statut du Royaume de Piémont-Sardaigne de 1848 devint la Charte constitutionnelle du royaume d’Italie ; il énonçait notamment que « la religion catholique apostolique et romaine [était] la seule religion de l’Etat [et que] les autres cultes existants [étaient] tolérés en conformité avec la loi ».

18.  La prise de Rome par l’armée italienne, le 20 septembre 1870, à la suite de laquelle Rome fut annexée et proclamée capitale du nouveau Royaume d’Italie, provoqua une crise des relations entre l’Etat et l’Eglise catholique. Par la loi no 214 du 13 mai 1871, l’Etat italien réglementa unilatéralement les relations avec l’Eglise et accorda au pape un certain nombre de privilèges pour le déroulement régulier de l’activité religieuse. Selon les requérants, l’exposition de crucifix dans les établissements scolaires tomba petit à petit en désuétude.

19.  Lors de la période fasciste, l’Etat prit une série de mesures visant à faire respecter l’obligation d’exposer le crucifix dans les salles de classe.

Ainsi, notamment, le ministère de l’Instruction publique prit, le 22 novembre 1922, une circulaire (no 68) ainsi libellée : « (…) ces dernières années, dans beaucoup d’écoles primaires du Royaume l’image du Christ et le portrait du Roi ont été enlevés. Cela constitue une violation manifeste et non tolérable d’une disposition réglementaire et surtout une atteinte à la religion dominante de l’Etat ainsi qu’à l’unité de la Nation. Nous intimons alors à toutes les administrations municipales du Royaume l’ordre de rétablir dans les écoles qui en sont dépourvues les deux symboles sacrés de la foi et du sentiment national. »

Le 30 avril 1924 fut adopté le décret royal no 965 du 30 avril 1924 portant règlement intérieur des établissements d’instruction moyenne (ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media), dont l’article 118 est ainsi libellé :

« Chaque établissement scolaire doit avoir le drapeau national, chaque salle de classe l’image du crucifix et le portrait du roi. »

Quant au décret royal no 1297 du 26 avril 1928, portant approbation du règlement général des services d’enseignement primaire (approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), il précise en son article 119 que le crucifix figure parmi les « équipements et matériels nécessaires aux salles de classe des écoles ».

20.  Les Pactes du Latran, signés le 11 février 1929, marquèrent la « Conciliation » de l’Etat italien et de l’Eglise catholique. Le catholicisme fut confirmé comme la religion officielle de l’Etat italien, l’article 1er du traité étant ainsi libellé :

« L’Italie reconnaît et réaffirme le principe consacré par l’article 1er du Statut Albertin du Royaume du 4 mars 1848, selon lequel la religion catholique, apostolique et romaine est la seule religion de l’Etat. »

21.  En 1948, l’Etat italien adopta sa Constitution républicaine, dont l’article 7 établit que « l’Etat et l’Église catholique sont, chacun dans son ordre, indépendants et souverains[, que] leurs rapports sont réglementés par les pactes du Latran[, et que] les modifications des pactes, acceptées par les deux parties, n’exigent pas de procédure de révision constitutionnelle ». Par ailleurs, l’article 8 énonce que « toutes les confessions religieuses sont également libres devant la loi[, que] les confessions religieuses autres que la confession catholique ont le droit de s’organiser selon leurs propres statuts, en tant qu’ils ne s’opposent pas à l’ordre juridique italien[, et que] leurs rapports avec l’Etat sont fixés par la loi sur la base d’ententes avec leurs représentants respectifs ».

22.  Le protocole additionnel au nouveau concordat, du 18 février 1984, ratifié par la loi no 121 du 25 mars 1985, énonce que le principe posé par les pactes du Latran selon lequel la religion catholique est la seule religion de l’Etat n’est plus en vigueur.

23.  Dans un arrêt du 12 avril 1989 (no 203), rendu dans le contexte de l’examen de la question du caractère non obligatoire de l’enseignement de la religion catholique dans les écoles publiques, la Cour constitutionnelle a conclu que le principe de laïcité a valeur constitutionnelle, précisant qu’il implique non que l’Etat soit indifférent face aux religions mais qu’il garantisse la sauvegarde de la liberté de religion dans le pluralisme confessionnel et culturel.

Saisie en la présente espèce de la question de la conformité à ce principe de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques, la Cour constitutionnelle s’est déclarée incompétente eu égard à la nature réglementaire des textes prescrivant cette présence (ordonnance du 15 décembre 2004, no 389 ; paragraphe 14 ci-dessus). Conduit à examiner cette question, le Conseil d’Etat a jugé que, vu la signification qu’il y avait lieu de lui donner, la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques était compatible avec le principe de laïcité (arrêt du 13 février 2006, no 556 ; paragraphe 16 ci-dessus).

Dans une affaire distincte, la Cour de cassation avait conclu à l’inverse du Conseil d’Etat dans le contexte d’une procédure pénale dirigée contre une personne poursuivie pour avoir refusé d’assumer la charge de scrutateur dans un bureau de vote au motif qu’un crucifix s’y trouvait. Dans son arrêt du 1er mars 2000 (no 439), elle a en effet jugé que cette présence portait atteinte aux principes de laïcité et d’impartialité de l’Etat ainsi qu’au principe de liberté de conscience de ceux qui ne se reconnaissent pas dans ce symbole. Elle a rejeté expressément la thèse selon laquelle l’exposition du crucifix trouverait sa justification dans ce qu’il serait le symbole d’une « civilisation entière ou de la conscience éthique collective » et – la Cour de cassation citait là les termes utilisés par le Conseil d’Etat dans un avis du 27 avril 1988 (no 63) – symboliserait ainsi une « valeur universelle, indépendante d’une confession religieuse spécifique ».

24.  Le 3 octobre 2002, le ministre de l’Instruction, de l’Université et de la Recherche a adopté la directive (no 2666) suivante :

« (…) Le ministre

(…) Considérant que la présence de crucifix dans les salles de classe trouve son fondement dans les normes en vigueur, qu’elle ne viole ni le pluralisme religieux ni les objectifs de formation pluriculturelle de l’École italienne et qu’elle ne saurait être considérée comme une limitation de la liberté de conscience garantie par la Constitution puisqu’elle n’évoque pas une confession spécifique mais constitue uniquement une expression de la civilisation et de la culture chrétienne et qu’elle fait donc partie du patrimoine universel de l’humanité ;

Ayant évalué l’opportunité, dans le respect des différentes appartenances, convictions et croyances, que tout établissement scolaire, dans le cadre de sa propre autonomie et sur décision de ses organes collégiaux compétents, rende disponible un local spécial réservé, hors de toute obligation et horaires de service, au recueillement et à la méditation des membres de la communauté scolaire qui le désirent ;

Prend la directive suivante :

Le service compétent du ministère (…) prendra les dispositions nécessaires pour que :

1) les responsables scolaires assurent la présence de crucifix dans les salles de classe ;

2) Tous les établissements scolaires, dans le cadre de leur propre autonomie et sur décision des membres de leurs organes collégiaux, mettent à disposition un local spécial à réserver, hors de toute obligation et horaires de service, au recueillement et à la méditation des membres de la communauté scolaire qui le désirent (…) »
25.  Les articles 19, 33 et 34 de la Constitution sont ainsi libellés :

Article 19

« Tout individu a le droit de professer librement sa foi religieuse sous quelque forme que ce soit, individuelle ou collective, d’en faire propagande et d’en exercer le culte en privé ou en public, à condition qu’il ne s’agisse pas de rites contraires aux bonnes mœurs. »

Article 33

« L’art et la science sont libres ainsi que leur enseignement.

La République fixe les règles générales concernant l’instruction et crée des écoles publiques pour tous les ordres et tous les degrés. (…) »

Article 34

« L’enseignement est ouvert à tous.

L’instruction de base, dispensée durant au moins huit ans, est obligatoire et gratuite. (…) »

III.  APERÇU DU DROIT ET DE LA PRATIQUE AU SEIN DES ETATS MEMBRES DU CONSEIL DE L’EUROPE S’AGISSANT DE LA PRESENCE DE SYMBOLES RELIGIEUX DANS LES ECOLES PUBLIQUES

26.  Dans une très nette majorité des Etats membres du Conseil de l’Europe, la question de la présence de symboles religieux dans les écoles publiques ne fait pas l’objet d’une réglementation spécifique.

27.  La présence de symboles religieux dans les écoles publiques n’est expressément interdite que dans un petit nombre d’Etats membres : en ex-République yougoslave de Macédoine, en France (sauf en Alsace et en Moselle) et en Géorgie.

Elle n’est expressément prévue – outre en Italie – que dans quelques Etats membres : en Autriche, dans certains Länder d’Allemagne et communes suisses, et en Pologne. Il y a lieu néanmoins de relever que l’on trouve de tels symboles dans les écoles publiques de certains des Etats membres où la question n’est pas spécifiquement réglementée tels que l’Espagne, la Grèce, l’Irlande, Malte, Saint-Marin et la Roumanie.

28.  Les hautes juridictions d’un certain nombre d’Etats membres ont été amenées à examiner la question.

En Suisse, le Tribunal fédéral a jugé une ordonnance communale prévoyant la présence d’un crucifix dans les salles de classes des écoles primaires incompatible avec les exigences de la neutralité confessionnelle consacrée par la Constitution fédérale, sans toutefois condamner cette présence en d’autres lieux dans les établissements scolaires (26 septembre 1990 ; ATF 116 1a 252).

En Allemagne, la Cour constitutionnelle fédérale a jugé une ordonnance bavaroise similaire contraire au principe de neutralité de l’Etat et difficilement compatible avec la liberté de religion des enfants ne se reconnaissant pas dans la religion catholique (16 mai 1995 ; BVerfGE 93,1). Le Parlement bavarois a pris ensuite une nouvelle ordonnance maintenant cette mesure mais prévoyant la possibilité pour les parents d’invoquer leurs convictions religieuses ou laïques pour contester la présence de crucifix dans les salles de classes fréquentées par leurs enfants, et mettant en place un mécanisme destiné le cas échéant à trouver un compromis ou une solution individualisée.

En Pologne, saisie par l’Ombudsman de l’ordonnance du ministre de l’Éducation du 14 avril 1992 prévoyant notamment la possibilité d’exposer des crucifix dans les salles de classe des écoles publiques, la Cour constitutionnelle a conclu que cette mesure était compatible avec la liberté de conscience et de religion et le principe de la séparation de l’Eglise et de l’Etat garantis par l’article 82 de la Constitution dès lors qu’elle ne faisait pas une obligation de cette exposition (20 avril 1993 ; no U 12/32).

En Roumanie, la Cour suprême a annulé une décision du Conseil national pour la lutte contre la discrimination du 21 novembre 2006 qui recommandait au ministère de l’Education de réglementer la question de la présence de symboles religieux dans les établissements publics d’enseignement et, en particulier, de n’autoriser l’exposition de tels symboles que durant les cours de religion ou dans les salles destinées à l’enseignement religieux. La haute juridiction a notamment considéré que la décision d’afficher de tels symboles dans les établissements d’enseignement devait appartenir à la communauté formée par les professeurs, les élèves et les parents de ces derniers (11 juin 2008 ; no 2393).

En Espagne, statuant dans le cadre d’une procédure initiée par une association militant pour une école laïque qui avait vainement requis le retrait des symboles religieux des établissements scolaires, le tribunal supérieur de justice de Castille-et-León a jugé que lesdits établissements devaient procéder à ce retrait en cas de demande explicite des parents d’un élève (14 décembre 2009 ; no 3250).

EN DROIT

I.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 2 DU PROTOCOLE No 1 ET DE L’ARTICLE 9 DE LA CONVENTION

29.  Les requérants se plaignent du fait que des crucifix étaient accrochés dans les salles de classe de l’école publique où étaient scolarisés les deuxième et troisième requérants. Ils y voient une violation du droit à l’instruction, que l’article 2 du Protocole no 2 garantit en ces termes :

« Nul ne peut se voir refuser le droit à l’instruction. L’Etat, dans l’exercice des fonctions qu’il assumera dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement, respectera le droit des parents d’assurer cette éducation et cet enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques. »

Ils déduisent également de ces faits une méconnaissance de leur droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion consacré par l’article 9 de la Convention, lequel est ainsi libellé :

« 1.  Toute personne a droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion ; ce droit implique la liberté de changer de religion ou de conviction, ainsi que la liberté de manifester sa religion ou sa conviction individuellement ou collectivement, en public ou en privé, par le culte, l’enseignement, les pratiques et l’accomplissement des rites.

2.  La liberté de manifester sa religion ou ses convictions ne peut faire l’objet d’autres restrictions que celles qui, prévues par la loi, constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité publique, à la protection de l’ordre, de la santé ou de la morale publiques, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »

A.  L’arrêt de la chambre

30.  Dans son arrêt du 3 novembre 2009, la chambre conclut à une violation de l’article 2 du Protocole no 1 examiné conjointement avec l’article 9 de la Convention.

31.  Tout d’abord, la chambre déduit des principes relatifs à l’interprétation de l’article 2 du Protocole no 1 qui se dégagent de la jurisprudence de la Cour, une obligation pour l’Etat de s’abstenir d’imposer, même indirectement, des croyances, dans les lieux où les personnes sont dépendantes de lui ou dans les endroits où elles sont particulièrement vulnérables, soulignant que la scolarisation des enfants représente un secteur particulièrement sensible à cet égard.

Ensuite, elle retient que, parmi la pluralité de significations que le crucifix peut avoir, la signification religieuse est prédominante. Elle considère en conséquence que la présence obligatoire et ostentatoire du crucifix dans les salles de classes était de nature non seulement à heurter les convictions laïques de la requérante dont les enfants étaient alors scolarisés dans une école publique, mais aussi à perturber émotionnellement les élèves professant une autre religion que la religion chrétienne ou ne professant aucune religion. Sur ce tout dernier point, la chambre souligne que la liberté de religion « négative » n’est pas limitée à l’absence de services religieux ou d’enseignement religieux : elle s’étend aux pratiques et aux symboles exprimant, en particulier ou en général, une croyance, une religion ou l’athéisme. Elle ajoute que ce « droit négatif » mérite une protection particulière si c’est l’Etat qui exprime une croyance et si la personne est placée dans une situation dont elle ne peut se dégager ou seulement au prix d’efforts et d’un sacrifice disproportionnés.

Selon la chambre, l’Etat est tenu à la neutralité confessionnelle dans le cadre de l’éducation publique, où la présence aux cours est requise sans considération de religion et qui doit chercher à inculquer aux élèves une pensée critique. Elle ajoute ne pas voir comment l’exposition, dans des salles de classe des écoles publiques, d’un symbole qu’il est raisonnable d’associer à la religion majoritaire en Italie, pourrait servir le pluralisme éducatif qui est essentiel à la préservation d’une « société démocratique » telle que la conçoit la Convention.

32.  La chambre conclut que « l’exposition obligatoire d’un symbole d’une confession donnée dans l’exercice de la fonction publique relativement à des situations spécifiques relevant du contrôle gouvernemental, en particulier dans les salles de classe, restreint le droit des parents d’éduquer leurs enfants selon leurs convictions ainsi que le droit des enfants scolarisés de croire ou de ne pas croire ». D’après elle, cette mesure emporte violation de ces droits car « les restrictions sont incompatibles avec le devoir incombant à l’Etat de respecter la neutralité dans l’exercice de la fonction publique, en particulier dans le domaine de l’éducation » (§ 57 de l’arrêt).

B.  Les thèses des parties

1.  Le Gouvernement

33.  Le Gouvernement ne soulève aucune exception d’irrecevabilité.

34. Il regrette que la chambre n’ait pas disposé d’une étude de droit comparé portant sur les relations entre l’Etat et les religions et sur la question de l’exposition de symboles religieux dans les écoles publiques. Selon lui, elle s’est de la sorte privée d’un élément essentiel, dès lors qu’une telle étude aurait démontré qu’il n’y a pas d’approche commune en Europe en ces domaines, et aurait conduit en conséquence au constat que les Etats membres disposent d’une marge d’appréciation particulièrement importante ; ainsi, l’arrêt de chambre omet de prendre cette marge d’appréciation en considération, éludant de la sorte un aspect fondamental de la problématique.

35.  Il reproche aussi à l’arrêt de la chambre de déduire du concept de «  neutralité » confessionnelle un principe d’exclusion de toute relation entre l’Etat et une religion donnée, alors que la neutralité suppose une prise en compte de toutes les religions par l’autorité publique. L’arrêt reposerait ainsi sur une confusion entre « neutralité » (un « concept inclusif ») et « laïcité » (un « concept exclusif »). De plus, selon le Gouvernement, la neutralité implique que les Etats s’abstiennent de promouvoir non seulement une religion donnée mais aussi l’athéisme, le « laïcisme » étatique n’étant pas moins problématique que le prosélytisme étatique. L’arrêt de la chambre reposerait ainsi sur un malentendu, et aboutirait à favoriser une approche areligieuse ou antireligieuse dont la requérante, membre de l’union des athées et agnostiques rationalistes, serait militante.

36.  Le Gouvernement poursuit en soulignant qu’il faut tenir compte du fait qu’un même symbole peut être interprété différemment d’une personne à l’autre. Il en irait ainsi en particulier de la « croix », qui pourrait être perçue non seulement comme un symbole religieux, mais aussi comme un symbole culturel et identitaire, celui des principes et valeurs qui fondent la démocratie et la civilisation occidentale ; ainsi figure-t-elle sur les drapeaux de plusieurs pays européens. Le Gouvernement ajoute que, quelle que soit sa force évocatrice, une « image » est un symbole « passif », dont l’impact sur les individus n’est pas comparable à celui d’un « comportement actif » ; or nul ne prétend en l’espèce que le contenu de l’enseignement dispensé en Italie est influencé par la présence de crucifix dans les salles de classes.

Il précise que cette présence est l’expression d’une « particularité nationale », caractérisée notamment par des rapports étroits entre l’Etat, le peuple et le catholicisme, qui s’expliquent par l’évolution historique, culturelle et territoriale de l’Italie ainsi que par un enracinement profond et ancien des valeurs du catholicisme. Maintenir les crucifix en ces lieux revient donc à préserver une tradition séculaire. Selon lui, le droit des parents au respect de leur « culture familiale » ne doit porter atteinte ni à celui de la communauté de transmettre sa culture ni à celui des enfants de la découvrir. De plus, en se contentant d’un « risque potentiel » de perturbation émotionnelle pour conclure à une violation des droits à l’instruction et à la liberté de pensée, de conscience et religion, la chambre aurait considérablement élargi le champ d’application de ceux-ci.

37.  Renvoyant notamment à l’arrêt Otto-Preminger-Institut c. Autriche du 20 septembre 1994 (série A no 295-A), le Gouvernement souligne que, s’il y a lieu de prendre en compte le fait que la religion catholique est celle d’une très grande majorité d’Italiens, ce n’est pas pour en tirer une circonstance aggravante comme l’a fait la chambre. La Cour se devrait au contraire de reconnaître et protéger les traditions nationales ainsi que le sentiment populaire dominant, et de laisser à chaque Etat le soin d’équilibrer les intérêts qui s’opposent. Il résulterait d’ailleurs de la jurisprudence de la Cour que des programmes scolaires ou des dispositions qui consacrent une prépondérance de la religion majoritaire ne caractérisent pas en eux-mêmes une influence indue de l’Etat ou une tentative d’endoctrinement, et que la Cour doit respecter les traditions et principes constitutionnels relatifs aux rapports entre l’Etat et les religions – dont en l’espèce l’approche particulière de la laïcité qui prévaut en Italie – et prendre en compte le contexte de chaque Etat.

38.  Estimant par ailleurs que la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 ne vaut que pour les programmes scolaires, il critique l’arrêt de la chambre en ce qu’il conclut à une violation sans indiquer en quoi la seule présence d’un crucifix dans les salles de classe fréquentées par les enfants de la requérante était de nature à réduire substantiellement ses possibilités de les éduquer selon ses convictions, indiquant pour seul motif que les élèves se sentiraient éduqués dans un environnement scolaire marqué par une religion donnée. Il ajoute que ce motif est erroné à l’aune de la jurisprudence de la Cour, dont il ressort notamment, d’une part que la Convention ne fait obstacle ni à ce que les Etats membres aient une religion d’Etat, ni à ce qu’ils montrent une préférence pour une religion donnée, ni à ce qu’ils fournissent aux élèves un enseignement religieux plus poussé s’agissant de la religion dominante et, d’autre part, qu’il faut prendre en compte le fait que l’influence éducative des parents est autrement plus grande que celle de l’école.

39.  D’après le Gouvernement, la présence du crucifix dans les salles de classe contribue légitimement à faire comprendre aux enfants la communauté nationale dans laquelle ils ont vocation à s’intégrer. Une « influence environnementale » serait d’autant plus improbable que les enfants bénéficient en Italie d’un enseignement permettant le développement d’un sens critique à l’égard de la question religieuse, dans une atmosphère sereine et préservée de toute forme de prosélytisme. De plus, ajoute-t-il, l’Italie opte pour une approche bienveillante à l’égard des religions minoritaires dans le milieu scolaire : le droit positif admet le port du voile islamique et d’autres tenues ou symboles à connotation religieuse ; le début et la fin du ramadan sont souvent fêtés dans les écoles ; l’enseignement religieux est admis pour toutes les confessions reconnues ; les besoins des élèves appartenant à des confessions minoritaires sont pris en compte, les enfants juifs ayant par exemple le droit de ne pas passer d’examens le samedi.

40.  Enfin, le Gouvernement met l’accent sur la nécessité de prendre en compte le droit des parents qui souhaitent que les crucifix soient maintenus dans les salles de classe. Telle serait la volonté de la majorité en Italie ; telle serait aussi celle démocratiquement exprimée en l’espèce par presque tous les membres du conseil d’école. Procéder au retrait des crucifix des salles de classe dans de telles circonstances caractériserait un « abus de position minoritaire ». Cela serait en outre en contradiction avec le devoir de l’Etat d’aider les individus à satisfaire leurs besoins religieux.

2.   Les requérants

41.  Les requérants soutiennent que l’exposition de crucifix dans les salles de classe de l’école publique que les deuxième et troisième d’entre eux fréquentaient constitue une ingérence illégitime dans leur droit à la liberté de pensée et de conscience, et viole le principe de pluralisme éducatif dans la mesure où elle est l’expression d’une préférence de l’Etat pour une religion donnée dans un lieu où se forment les consciences. Ce faisant, l’Etat méconnaîtrait en outre son obligation de protéger tout particulièrement les mineurs contre toute forme de propagande ou d’endoctrinement. De plus, selon les requérants, l’environnement éducatif étant marqué de la sorte par un symbole de la religion dominante, l’exposition de crucifix dénoncée méconnaît le droit des deuxième et troisième requérants à recevoir une éducation ouverte et pluraliste visant au développement d’une capacité de jugement critique. Enfin, la requérante étant favorable à la laïcité, cela violerait son droit à ce que ses enfants soient éduqués conformément à ses propres convictions philosophiques.

42.  Selon les requérants, le crucifix est sans l’ombre d’un doute un symbole religieux, et vouloir lui attribuer une valeur culturelle tient d’une tentative de défense ultime et inutile. Rien dans le système juridique italien ne permettrait d’avantage d’affirmer qu’il s’agit d’un symbole d’identité nationale : d’après la Constitution, c’est le drapeau qui symbolise cette identité.

De plus, comme l’a souligné la Cour constitutionnelle fédérale allemande dans son arrêt du 16 mai 1995 (paragraphe 28 ci-dessus), en donnant au crucifix une signification profane, on s’éloignerait de sa signification d’origine et on contribuerait à sa désacralisation. Quant à n’y voir qu’un simple « symbole passif », ce serait nier le fait que comme tous les symboles – et plus que tous les autres –, il matérialise une réalité cognitive, intuitive et émotionnelle qui dépasse ce qui est immédiatement perceptible. La Cour constitutionnelle fédérale allemande en aurait d’ailleurs fait le constat, en retenant dans l’arrêt précité que la présence de crucifix dans les salles de classe a un caractère évocateur en ce qu’elle représente le contenu de la foi qu’elle symbolise et sert à lui faire de la « publicité ». Enfin, les requérants rappellent que, dans la décision Dahlab c. Suisse du 15 février 2001 (no 42393/98, CEDH 2001-V), la Cour a noté la force particulière que les symboles religieux prennent en milieu scolaire.

43.  Les requérants soulignent que tout Etat démocratique se doit de garantir la liberté de conscience, le pluralisme, une égalité de traitement des croyances, et la laïcité des institutions. Ils précisent que le principe de laïcité implique avant tout la neutralité de l’Etat, lequel doit se distancier de la sphère religieuse et adopter une attitude identique à l’égard de toutes les orientations religieuses. Autrement dit, la neutralité oblige l’Etat à mettre en place un espace neutre, dans le cadre duquel chacun peut librement vivre ses convictions. En imposant les symboles religieux que sont les crucifix dans les salles de classe, l’Etat italien ferait le contraire.

44.  L’approche que défendent les requérants se distinguerait donc clairement de l’athéisme d’Etat, qui revient à nier la liberté de religion en imposant autoritairement une vision laïque. Vue en termes d’impartialité et de neutralité de l’Etat, la laïcité est à l’inverse un instrument permettant d’affirmer la liberté de conscience religieuse et philosophique de tous.

45.  Les requérants ajoutent qu’il est indispensable de protéger plus particulièrement les croyances et convictions minoritaires, afin de préserver leurs tenants d’un « despotisme de la majorité ». Cela aussi plaiderait en faveur du retrait des crucifix des salles de classes.

46.  En conclusion, les requérants soulignent que si, comme le prétend le Gouvernement, retirer les crucifix des salles de classe des écoles publiques porterait atteinte à l’identité culturelle italienne, les y maintenir est incompatible avec les fondements de la pensée politique occidentale, les principes de l’Etat libéral et d’une démocratie pluraliste et ouverte, et le respect des droits et libertés individuels consacrés par la Constitution italienne comme par la Convention.

C.  Les observations des tiers intervenants

1. Les gouvernements de l’Arménie, de la Bulgarie, de Chypre, de la Fédération de Russie, de la Grèce, de la Lituanie, de Malte, et de la République de Saint-Marin

47.  Dans les observations communes qu’ils ont présentées à l’audience, les gouvernements de l’Arménie, de la Bulgarie, de Chypre, de la Fédération de Russie, de la Grèce, de la Lituanie, de Malte, et de la République de Saint-Marin ont indiqué que, selon eux, le raisonnement de la chambre repose sur une compréhension erronée du concept de « neutralité », qu’elle aurait confondu avec celui de « laïcité ». Ils ont souligné à cet égard que les rapports entre l’Etat et l’Eglise sont réglés de manière variable d’un pays européen à l’autre, et que plus de la moitié de la population européenne vit dans un pays non laïque. Ils ont ajouté qu’inévitablement, des symboles de l’Etat sont présents dans les lieux où l’éducation publique est dispensée, et que nombre de ces symboles ont une origine religieuse, la croix – qui serait autant un symbole national que religieux – n’en étant que l’exemple le plus visible. Selon eux, dans les Etats européens non laïques, la présence de symboles religieux dans l’espace public est largement tolérée par les adeptes de la laïcité, comme faisant partie de l’identité nationale ; il ne faudrait pas que des Etats aient à renoncer à un élément de leur identité culturelle simplement parce qu’il a une origine religieuse. Le raisonnement suivi par la chambre ne serait pas l’expression du pluralisme qui innerve le système de la Convention, mais celle des valeurs de l’Etat laïque ; l’appliquer à l’ensemble de l’Europe reviendrait à « américaniser » celle-ci dans la mesure où s’imposeraient à tous une seule et même règle et une rigide séparation de l’Eglise et de l’Etat.

D’après eux, opter pour la laïcité est un point de vue politique, respectable certes, mais pas neutre ; ainsi, dans la sphère de l’éducation, un Etat qui soutient le laïc par opposition au religieux n’est pas neutre. Pareillement, retirer des crucifix de salles de classes où ils ont toujours été ne serait pas sans conséquences éducatives. En réalité, que l’option retenue par les Etats soit d’admettre ou non la présence de crucifix dans les salles de classe, ce qui importerait serait la place que les programmes et l’enseignement scolaires font à la tolérance et au pluralisme.

Les gouvernements intervenants n’excluent pas qu’il puisse se trouver des situations où les choix d’un Etat dans ce domaine seraient inacceptables. Il appartiendrait toutefois aux individus d’en faire la démonstration, et la Cour ne devrait intervenir que dans les cas extrêmes.

2. Le gouvernement de la Principauté de Monaco

48.  Le gouvernement intervenant déclare partager le point de vue du gouvernement défendeur selon lequel, placé dans les écoles, le crucifix est un « symbole passif », que l’on trouve sur les armoiries ou drapeaux de nombreux Etats et qui en l’espèce témoigne d’une identité nationale enracinée dans l’histoire. De plus, indivisible, le principe de neutralité de l’Etat obligerait les autorités à s’abstenir d’imposer un symbole religieux là où il n’y en a jamais eu comme de le retirer là où il y en a toujours eu.

3. Le gouvernement de la Roumanie

49.  Le gouvernement intervenant estime que la chambre n’a pas suffisamment tenu compte de la large marge d’appréciation dont les Etats contractants disposent lorsque des questions sensibles sont en jeu et qu’il n’y a pas de consensus à l’échelle européenne. Il rappelle que la jurisprudence de la Cour reconnaît en particulier auxdits Etats une importante marge d’appréciation dans le domaine du port de symboles religieux dans les établissements publics d’enseignement ; il considère qu’il doit en aller de même pour l’exposition de symboles religieux dans de tels lieux. Il souligne en outre que l’arrêt de la chambre repose sur le postulat que l’exposition de symboles religieux dans les écoles publiques enfreint les articles 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1, ce qui contredit le principe de neutralité dès lors que cela oblige, le cas échéant, les Etats contractants à intervenir pour retirer lesdits symboles. Selon lui, ce principe est mieux servi lorsque les décisions de ce type sont prises par la communauté formée par les professeurs, les élèves et les parents. En tout état de cause, dès lors qu’elle n’est pas associée à des obligations particulières relatives à la religion, la présence de crucifix dans les salles de classe ne toucherait pas suffisamment les sentiments religieux des uns ou des autres pour qu’il y ait violation des dispositions évoquées ci-dessus.

4.  L’organisation non gouvernementale Greek Helsinki Monitor

50.  Selon l’organisation intervenante, on ne peut voir dans le crucifix autre chose qu’un symbole religieux, de sorte que son exposition dans les salles de classe des écoles publiques peut être perçue comme un message institutionnel en faveur d’une religion donnée. Elle rappelle en particulier que la Cour a retenu dans l’affaire Folgerø que la participation des élèves à des activités religieuses peut avoir une influence sur eux, et considère qu’il en va de même lorsqu’ils suivent leur scolarité dans des salles où sont exposés des symboles religieux. Elle attire en outre l’attention de la Cour sur le fait que des enfants ou parents à qui cela pose problème pourraient renoncer à protester par peur de représailles.

5. L’organisation non gouvernementale Associazione nazionale del libero Pensiero

51.  L’organisation intervenante, qui estime que la présence de symboles religieux dans les salles de classe des écoles publiques n’est pas compatible avec les articles 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1, soutient que les restrictions imposées aux droits des requérants n’étaient pas « prévues par la loi » au sens de la jurisprudence de la Cour. Elle souligne à cet égard que l’exposition de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques est prescrite non par la loi mais par des textes règlementaires adoptés durant la période fasciste. Elle ajoute que ces textes ont en tout état de causé été implicitement abrogés par la Constitution de 1947 et la loi de 1985 ratifiant les accords de modification des pactes du Latran de 1929. Elle précise que la chambre criminelle de la Cour de cassation en a ainsi jugé dans un arrêt du 1er mars 2000 (no 4273) relatif au cas similaire de l’exposition de crucifix dans les bureaux de vote, approche qu’elle a réitérée dans un arrêt du 17 février 2009 relatif à l’exposition de crucifix dans les salles d’audience des tribunaux (sans toutefois se prononcer au fond). Il y a donc une divergence de jurisprudence entre le Conseil d’Etat – qui, à l’inverse, juge les textes réglementaires dont il est question applicables – et la Cour de cassation, ce qui affecte le principe de la sécurité juridique, pilier de l’Etat de droit. Or, la Cour constitutionnelle s’étant jugée incompétente, il n’y a pas en Italie de mécanisme permettant de régler ce problème.

6. L’organisation non gouvernementale European Centre for Law and Justice

52.  L’organisation intervenante estime que la chambre a mal répondu à la question que pose l’affaire, qui est celle de savoir si les droits que tire la requérante de la Convention ont en l’espèce été violés du seul fait de la présence de crucifix dans les salles de classe. Selon elle, une réponse négative s’impose. D’une part parce que le « for externe » des enfants de la requérante n’a pas été forcé puisqu’ils n’ont été ni contraints d’agir contre leur conscience ni empêchés d’agir selon leur conscience. D’autre part, parce que leur « for interne » ainsi que le droit de la requérante d’assurer leur éducation conformément à ses convictions philosophiques n’ont pas été violés dès lors que les premiers n’ont été ni contraints de croire ni empêchés de ne pas croire ; ils n’ont pas été endoctrinés ni n’ont subi de prosélytisme intempestif. Elle considère que la chambre a commis une erreur en jugeant que la volonté d’un Etat d’apposer des crucifix dans les salles de classe est contraire à la Convention (alors que telle n’était pas la question qui lui était soumise) : ce faisant, la chambre a créé « une nouvelle obligation, relative non pas aux droits de la requérante, mais à la nature de « l’environnement éducatif » ». D’après l’organisation intervenante, c’est parce qu’elle a été incapable d’établir que les « fors interne ou externe » des enfants de la requérante ont été violés du fait de la présence de crucifix dans les salles de classe que la chambre a créé cette obligation nouvelle de sécularisation complète de l’environnement éducatif, outrepassant ainsi le champ de la requête et les limites de ses compétences.

7.  L’organisation non gouvernementale Eurojuris

53.  L’organisation intervenante marque son accord avec les conclusions de la chambre. Après avoir rappelé le droit positif italien pertinent – et notamment souligné la valeur constitutionnelle du principe de laïcité –, elle renvoie à la jurisprudence de la Cour en ce qu’il en ressort en particulier que l’école ne doit pas être le théâtre du prosélytisme ou de la prédication ; elle se réfère également aux affaires dans lesquelles la Cour a examiné la question du port du voile islamique en des lieux destinés à l’éducation. Elle souligne ensuite que la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques italiennes est prescrite non par la loi, mais par des règlements hérités de la période fasciste qui reflètent une conception confessionnelle de l’Etat aujourd’hui incompatible avec le principe de laïcité consacré par le droit constitutionnel positif. Elle s’inscrit en faux contre le raisonnement suivi en l’espèce par le juge administratif italien, selon lequel la prescription de la présence du crucifix dans les salles de classe des écoles publiques est néanmoins compatible avec ce principe dès lors qu’il symbolise des valeurs laïques. Selon elle, d’une part, il s’agit d’un symbole religieux, dans lequel ceux qui ne s’identifient pas au christianisme ne se reconnaissent pas. D’autre part, en prescrivant son exposition dans les salles de classe des écoles publiques, l’Etat confère une dimension particulière à une religion donnée, au détriment du pluralisme.

8.  Les organisations non gouvernementales Commission internationale de juristes, Interights et Human Rights Watch

54. Les organisations intervenantes estiment que la prescription de l’exposition dans les salles de classe des écoles publiques de symboles religieux tels que le crucifix est incompatible avec le principe de neutralité et les droits que les article 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1 garantissent aux élèves et à leurs parents. Selon elles, d’une part, le pluralisme éducatif est un principe consacré, mis en exergue non seulement par la jurisprudence de la Cour mais aussi par la jurisprudence de plusieurs juridictions suprêmes et par divers textes internationaux. D’autre part, l’on doit déduire de la jurisprudence de la Cour un devoir de neutralité et d’impartialité de l’Etat à l’égard des croyances religieuses lorsqu’il fournit des services publics, dont l’éducation. Elles précisent que ce principe d’impartialité est reconnu non seulement par les Cours constitutionnelles italienne, espagnole et allemande mais aussi, notamment, par le Conseil d’Etat français et le Tribunal fédéral suisse. Elles ajoutent que, comme en ont jugé plusieurs hautes juridictions, la neutralité de l’Etat à l’égard des religions s’impose d’autant plus en milieu scolaire que, tenus d’assister aux cours, les enfants sont sans défense face à l’endoctrinement lorsque l’école en est le théâtre. Elles rappellent ensuite que la Cour a jugé que, si la Convention n’empêche pas les Etats de répandre par l’enseignement ou l’éducation des informations ou connaissances ayant un caractère religieux ou philosophique, ils doivent s’assurer que cela se fait d’une manière objective, critique et pluraliste, exempte d’endoctrinement ; elles soulignent que cela vaut pour toutes les fonctions qu’ils assument dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement, y compris lorsqu’il s’agit de l’organisation de l’environnement scolaire.

9. Les organisations non gouvernementales Zentralkomitee der deutschen Katholiken, Semaines sociales de France et Associazioni cristiane Lavoratori italiani

55.  Les organisations intervenantes déclarent partager le point de vue de la chambre selon lequel, si le crucifix a plusieurs significations, il est avant tout le symbole central de la chrétienté. Elles ajoutent toutefois être en désaccord avec sa conclusion, et ne pas voir en quoi la présence de crucifix dans les salles de classe pourrait être « perturbant émotionnellement » pour les élèves ou affecter le développement de leur esprit critique. Selon elles, cette présence ne peut à elle seule être assimilée à un message religieux ou philosophique : il s’agit plutôt d’une manière passive de transmettre des valeurs morales de base. Il faudrait dès lors considérer que la question se rattache aux compétences des Etats en matière de définition des programmes scolaires ; or les parents doivent accepter que certains aspects de l’enseignement public puissent ne pas être complètement en phase avec leurs convictions. Elles ajoutent que l’on ne peut déduire de la seule décision d’un Etat d’exposer des crucifix dans les salles de classe des écoles publiques qu’il poursuit un but d’endoctrinement prohibé par l’article 2 du Protocole no 1. Elles soulignent qu’il faut faire en l’espèce la balance entre les droits et intérêts des croyants et non-croyants, entre les droits fondamentaux des individus et les intérêts légitimes de la société, et entre l’édiction de normes en matière de droits fondamentaux et la préservation de la diversité européenne. D’après elles, la Cour doit dans ce contexte reconnaître une large marge d’appréciation aux Etats dès lors que l’organisation des rapports entre l’Etat et la religion varie d’un pays à l’autre et que cette organisation – en particulier s’agissant de la place de la religion dans les écoles publiques – a ses racines dans l’histoire, la tradition et la culture de chacun.

10.           Trente-trois membres du Parlement européen agissant collectivement

56.  Les intervenants soulignent que la Cour n’est pas une Cour constitutionnelle et qu’elle doit respecter le principe de subsidiarité et reconnaître une marge d’appréciation particulièrement importante aux Etats contractants non seulement lorsqu’il s’agit de définir les relations entre l’Etat et la religion mais aussi lorsqu’ils exercent leurs fonctions dans le domaine de l’instruction et de l’éducation. D’après eux, en prenant une décision dont l’effet serait d’obliger le retrait des symboles religieux des écoles publiques, la Grande Chambre enverrait un message idéologique radical. Ils ajoutent qu’il ressort de la jurisprudence de la Cour qu’un Etat qui, pour des raisons liées à son histoire ou à sa tradition, montre une préférence pour une religion donnée, n’outrepasse pas cette marge. Ainsi, selon eux, l’exposition de crucifix dans des édifices publics ne se heurte pas à la Convention, et il ne faut pas voir dans la présence de symboles religieux dans l’espace public une forme d’endoctrinement mais l’expression d’une unité et d’une identité culturelles. Ils ajoutent que dans ce contexte spécifique, les symboles religieux ont une dimension laïque et ne doivent donc pas être supprimés.

D.  L’appréciation de la Cour

57.  En premier lieu, la Cour précise que la seule question dont elle se trouve saisie est celle de la compatibilité, eu égard aux circonstances de la cause, de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques italiennes avec les exigences des articles 2 du Protocole no 1 et 9 de la Convention.

Ainsi, en l’espèce, d’une part, elle n’est pas appelée à examiner la question de la présence de crucifix dans d’autres lieux que les écoles publiques. D’autre part, il ne lui appartient pas de se prononcer sur la compatibilité de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques avec le principe de laïcité tel qu’il se trouve consacré en droit italien.

58.  En second lieu, la Cour souligne que les partisans de la laïcité sont en mesure de se prévaloir de vues atteignant le « degré de force, de sérieux, de cohérence et d’importance » requis pour qu’il s’agisse de « convictions » au sens des articles 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1 (arrêt Campbell et Cosans c. Royaume-Uni, du 25 février 1982, série A no 48, § 36). Plus précisément, il faut voir là des « convictions philosophiques » au sens de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1, dès lors qu’elles méritent « respect « dans une société démocratique » », ne sont pas incompatibles avec la dignité de la personne et ne vont pas à l’encontre du droit fondamental de l’enfant à l’instruction (ibidem).

1.  Le cas de la requérante

a)  Principes généraux

59.  La Cour rappelle qu’en matière d’éducation et d’enseignement, l’article 2 du Protocole no 1 est en principe lex specialis par rapport à l’article 9 de la Convention. Il en va du moins ainsi lorsque, comme en l’espèce, est en jeu l’obligation des Etats contractants – que pose la seconde phrase dudit article 2 – de respecter, dans le cadre de l’exercice des fonctions qu’ils assument dans ce domaine, le droit des parents d’assurer cette éducation et cet enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques (arrêt Folgerø et autres c. Norvège [GC] du 29 juin 2007, no 15472/02, CEDH 2007-VIII, § 84).

Il convient donc d’examiner le grief dont il est question principalement sous l’angle de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 (voir aussi Appel-Irrgang et autres c. Allemagne (déc.), no 45216/07, 6 octobre 2009, CEDH 2009-..).

60.  Il faut néanmoins lire cette disposition à la lumière non seulement de la première phrase du même article, mais aussi, notamment, de l’article 9 de la Convention (voir, par exemple, l’arrêt Folgerø précité, § 84), qui garantit la liberté de pensée, de conscience et de religion, dont celle de ne pas adhérer à une religion, et qui met à la charge des Etats contractants un « devoir de neutralité et d’impartialité ».

A cet égard, il convient de rappeler que les Etats ont pour mission de garantir, en restant neutres et impartiaux, l’exercice des diverses religions, cultes et croyances. Leur rôle est de contribuer à assurer l’ordre public, la paix religieuse et la tolérance dans une société démocratique, notamment entre groupes opposés (voir, par exemple, l’arrêt Leyla Şahin c. Turquie [GC] du 10 novembre 2005, no 44774/98, CEDH 2005-XI, § 107). Cela concerne les relations entre croyants et non-croyants comme les relations entre les adeptes des diverses religions, cultes et croyances.

61.   Le mot « respecter », auquel renvoie l’article 2 du Protocole no 1, signifie plus que reconnaître ou prendre en considération ; en sus d’un engagement plutôt négatif, ce verbe implique à la charge de l’Etat une certaine obligation positive (arrêt Campbell et Cosans précité, § 37).

Cela étant, les exigences de la notion de « respect », que l’on retrouve aussi dans l’article 8 de la Convention varient beaucoup d’un cas à l’autre, vu la diversité des pratiques suivies et des conditions existant dans les Etats contractants. Elle implique ainsi que lesdits Etats jouissent d’une large marge d’appréciation pour déterminer, en fonction des besoins et ressources de la communauté et des individus, les mesures à prendre afin d’assurer l’observation de la Convention. Dans le contexte de l’article 2 du Protocole no 1, cette notion signifie en particulier que cette disposition ne saurait s’interpréter comme permettant aux parents d’exiger de l’Etat qu’il organise un enseignement donné (voir Bulski c. Pologne (déc.), nos 46254/99 et 31888/02).

62.  Il convient également de rappeler la jurisprudence de la Cour relative à la place de la religion dans les programmes scolaires (voir essentiellement les arrêts Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen c. Danemark, du 7 décembre 1976, série A no 23, §§ 50-53, Folgerø, précité, § 84, et Hasan et Eylem Zengin c. Turquie, du 9 octobre 2007, no 1448/04, CEDH 2007-XI, §§ 51-52).

Selon cette jurisprudence, la définition et l’aménagement du programme des études relèvent de la compétence des Etats contractants. Il n’appartient pas, en principe, à la Cour de se prononcer sur ces questions, dès lors que la solution à leur donner peut légitimement varier selon les pays et les époques.

En particulier, la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 n’empêche pas les Etats de répandre par l’enseignement ou l’éducation des informations ou connaissances ayant, directement ou non, un caractère religieux ou philosophique ; elle n’autorise même pas les parents à s’opposer à l’intégration de pareil enseignement ou éducation dans le programme scolaire.

En revanche, dès lors qu’elle vise à sauvegarder la possibilité d’un pluralisme éducatif, elle implique que l’Etat, en s’acquittant de ses fonctions en matière d’éducation et d’enseignement, veille à ce que les informations ou connaissances figurant au programme soient diffusées de manière objective, critique et pluraliste, permettant aux élèves de développer un sens critique à l’égard notamment du fait religieux dans une atmosphère sereine, préservée de tout prosélytisme. Elle lui interdit de poursuivre un but d’endoctrinement qui pourrait être considéré comme ne respectant pas les convictions religieuses et philosophiques des parents. Là se situe pour les Etats la limite à ne pas dépasser (arrêts précités dans ce même paragraphe, §§ 53, 84h) et 52 respectivement).

b)  Appréciation des faits de la cause à la lumière de ces principes

63.  La Cour ne partage pas la thèse du Gouvernement selon laquelle l’obligation pesant sur les Etats contractants en vertu de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 porte uniquement sur le contenu des programmes scolaires, de sorte que la question de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques sort de son champ d’application.

Il est vrai que nombre d’affaires dans le contexte desquelles la Cour s’est penchée sur cette disposition concernaient le contenu ou la mise en œuvre de programmes scolaires. Il n’en reste pas moins que, comme la Cour l’a d’ailleurs déjà mis en exergue, l’obligation des Etats contractants de respecter les convictions religieuses et philosophiques des parents ne vaut pas seulement pour le contenu de l’instruction et la manière de la dispenser : elle s’impose à eux « dans l’ exercice » de l’ensemble des « fonctions » – selon les termes de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 – qu’ils assument en matière d’éducation et d’enseignement (voir essentiellement les arrêts Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen, précité, § 50, Valsamis c. Grèce, du 18 décembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-VI, § 27, et Hasan et Eylem Zengin, précité, § 49, et Folgerø, précité, § 84). Cela inclut sans nul doute l’aménagement de l’environnement scolaire lorsque le droit interne prévoit que cette fonction incombe aux autorités publiques.

Or c’est dans un tel cadre que s’inscrit la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques italiennes (voir les articles 118 du décret royal no 965 du 30 avril 1924, 119 du décret royal no 1297 du 26 avril 1928, et 159 et 190 du décret-loi no 297 du 16 avril 1994 ; paragraphes 14 et 19 ci-dessus).

64.  D’un point de vue général, la Cour estime que lorsque l’aménagement de l’environnement scolaire relève de la compétence d’autorités publiques, il faut voir là une fonction assumée par l’Etat dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement, au sens de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1.

65.  Il en résulte que la décision relative à la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques relève des fonctions assumées par l’Etat défendeur dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement et tombe de ce fait sous l’empire de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1. On se trouve dès lors dans un domaine où entre en jeu l’obligation de l’Etat de respecter le droit des parents d’assurer l’éducation et l’enseignement de leurs enfants conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques.

66.  Ensuite, la Cour considère que le crucifix est avant tout un symbole religieux. Les juridictions internes l’ont pareillement relevé et, du reste, le Gouvernement ne le conteste pas. Que la symbolique religieuse épuise, ou non, la signification du crucifix n’est pas décisif à ce stade du raisonnement.

Il n’y a pas devant la Cour d’éléments attestant l’éventuelle influence que l’exposition sur des murs de salles de classe d’un symbole religieux pourrait avoir sur les élèves ; on ne saurait donc raisonnablement affirmer qu’elle a ou non un effet sur de jeunes personnes, dont les convictions ne sont pas encore fixées.

On peut néanmoins comprendre que la requérante puisse voir dans l’exposition d’un crucifix dans les salles de classe de l’école publique où ses enfants étaient scolarisés un manque de respect par l’Etat de son droit d’assurer l’éducation et l’enseignement de ceux-ci conformément à ses convictions philosophiques. Cependant, la perception subjective de la requérante ne saurait à elle seule suffire à caractériser une violation de l’article 2 du Protocole no 1.

67.  Le Gouvernement explique quant à lui que la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques, qui est le fruit de l’évolution historique de l’Italie, ce qui lui donne une connotation non seulement culturelle mais aussi identitaire, correspond aujourd’hui à une tradition qu’il juge important de perpétuer. Il ajoute qu’au-delà de sa signification religieuse, le crucifix symbolise les principes et valeurs qui fondent la démocratie et la civilisation occidentale, sa présence dans les salles de classe étant justifiable à ce titre.

68.  Selon la Cour, la décision de perpétuer ou non une tradition relève en principe de la marge d’appréciation de l’Etat défendeur. La Cour se doit d’ailleurs de prendre en compte le fait que l’Europe est caractérisée par une grande diversité entre les Etats qui la composent, notamment sur le plan de l’évolution culturelle et historique. Elle souligne toutefois que l’évocation d’une tradition ne saurait exonérer un Etat contractant de son obligation de respecter les droits et libertés consacrés par la Convention et ses Protocoles.

Quant au point de vue du Gouvernement relatif à la signification du crucifix, la Cour constate que le Conseil d’Etat et la Cour de cassation ont à cet égard des positions divergentes et que la Cour constitutionnelle ne s’est pas prononcée (paragraphes 16 et 23 ci-dessus). Or il n’appartient pas à la Cour de prendre position sur un débat entre les juridictions internes.

69.  Il reste que les Etats contractants jouissent d’une marge d’appréciation lorsqu’il s’agit de concilier l’exercice des fonctions qu’ils assument dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement et le respect du droit des parents d’assurer cette éducation et cet enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques (paragraphes 61-62 ci-dessus).

Cela vaut pour l’aménagement de l’environnement scolaire comme pour la définition et l’aménagement des programmes (ce que la Cour a déjà souligné : voir essentiellement, précités, les arrêts Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen, §§ 50-53, Folgerø, § 84, et Zengin, §§ 51-52 ; paragraphe 62 ci-dessus). La Cour se doit donc en principe de respecter les choix des Etats contractants dans ces domaines, y compris quant à la place qu’ils donnent à la religion, dans la mesure toutefois où ces choix ne conduisent pas à une forme d’endoctrinement (ibidem).

70.  La Cour en déduit en l’espèce que le choix de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques relève en principe de la marge d’appréciation de l’Etat défendeur. La circonstance qu’il n’y a pas de consensus européen sur la question de la présence de symboles religieux dans les écoles publiques (paragraphes 26-28 ci-dessus) conforte au demeurant cette approche.

Cette marge d’appréciation va toutefois de pair avec un contrôle européen (voir, par exemple, mutatis mutandis, l’arrêt Leyla Şahin précité, § 110), la tâche de la Cour consistant en l’occurrence à s’assurer que la limite mentionnée au paragraphe 69 ci-dessus n’a pas été transgressée.

71.  A cet égard, il est vrai qu’en prescrivant la présence du crucifix dans les salles de classe des écoles publiques – lequel, qu’on lui reconnaisse ou non en sus une valeur symbolique laïque, renvoie indubitablement au christianisme –, la réglementation donne à la religion majoritaire du pays une visibilité prépondérante dans l’environnement scolaire.

Cela ne suffit toutefois pas en soi pour caractériser une démarche d’endoctrinement de la part de l’Etat défendeur et pour établir un manquement aux prescriptions de l’article 2 du Protocole no 1.

La Cour renvoie sur ce point, mutatis mutandis, à ses arrêts Folgerø et Zengin précités. Dans l’affaire Folgerø, dans laquelle elle a été amenée à examiner le contenu du programme d’un cours de « christianisme, religion et philosophie » (« KRL »), elle a en effet retenu que le fait que ce programme accorde une plus large part à la connaissance du christianisme qu’à celle des autres religions et philosophies ne saurait passer en soi pour une entorse aux principes de pluralisme et d’objectivité susceptible de s’analyser en un endoctrinement. Elle a précisé que, vu la place qu’occupe le christianisme dans l’histoire et la tradition de l’Etat défendeur – la Norvège –, cette question relevait de la marge d’appréciation dont jouissait celui-ci pour définir et aménager le programme des études (arrêt précité, § 89). Elle est parvenue à une conclusion similaire dans le contexte du cours de « culture religieuse et connaissance morale » dispensé dans les écoles de Turquie dont le programme accordait une plus large part à la connaissance de l’Islam, au motif que la religion musulmane est majoritairement pratiquée en Turquie, nonobstant le caractère laïc de cet Etat (arrêt Zengin précité, § 63).

72.  De plus, le crucifix apposé sur un mur est un symbole essentiellement passif, et cet aspect a de l’importance aux yeux de la Cour, eu égard en particulier au principe de neutralité (paragraphe 60 ci-dessus). On ne saurait notamment lui attribuer une influence sur les élèves comparable à celle que peut avoir un discours didactique ou la participation à des activités religieuses (voir sur ces points les arrêts Folgerø et Zengin précités, § 94 et § 64, respectivement).

73.  La Cour observe que, dans son arrêt du 3 novembre 2009, la chambre a, à l’inverse, retenu la thèse selon laquelle l’exposition de crucifix dans les salles de classe aurait un impact notable sur les deuxième et troisième requérants, âgés de onze et treize ans à l’époque des faits. Selon la chambre, dans le contexte de l’éducation publique, le crucifix, qu’il est impossible de ne pas remarquer dans les salles de classe, est nécessairement perçu comme partie intégrante du milieu scolaire et peut dès lors être considéré comme un « signe extérieur fort » au sens de la décision Dahlab précitée (voir les paragraphes 54 et 55 de l’arrêt).

La Grande Chambre ne partage pas cette approche. Elle estime en effet que l’on ne peut se fonder sur cette décision en l’espèce, les circonstances des deux affaires étant tout à fait différentes.

Elle rappelle en effet que l’affaire Dahlab concernait l’interdiction faite à une institutrice de porter le foulard islamique dans le cadre de son activité d’enseignement, laquelle interdiction était motivée par la nécessité de préserver les sentiments religieux des élèves et de leurs parents et d’appliquer le principe de neutralité confessionnelle de l’école consacré en droit interne. Après avoir relevé que les autorités avaient dûment mis en balance les intérêts en présence, la Cour a jugé, au vu en particulier du bas âge des enfants dont la requérante avait la charge, que lesdites autorités n’avaient pas outrepassé leur marge d’appréciation.

74.  En outre, les effets de la visibilité accrue que la présence de crucifix donne au christianisme dans l’espace scolaire méritent d’être encore relativisés au vu des éléments suivants. D’une part, cette présence n’est pas associée à un enseignement obligatoire du christianisme (voir les éléments de droit comparé exposés dans l’arrêt Zengin précité, § 33). D’autre part, selon les indications du Gouvernement, l’Italie ouvre parallèlement l’espace scolaire à d’autres religions. Le Gouvernement indique ainsi notamment que le port par les élèves du voile islamique et d’autres symboles et tenues vestimentaires à connotation religieuse n’est pas prohibé, des aménagements sont prévus pour faciliter la conciliation de la scolarisation et des pratiques religieuses non majoritaires, le début et la fin du Ramadan sont « souvent fêtés » dans les écoles et un enseignement religieux facultatif peut être mis en place dans les établissement pour « toutes confessions religieuses reconnues » (paragraphe 39 ci-dessus). Par ailleurs, rien n’indique que les autorités se montrent intolérantes à l’égard des élèves adeptes d’autres religions, non croyants ou tenants de convictions philosophiques qui ne se rattachent pas à une religion.

De plus, les requérants ne prétendent pas que la présence du crucifix dans les salles de classe a incité au développement de pratiques d’enseignement présentant une connotation prosélyte, ni ne soutiennent que les deuxième et troisième d’entre eux se sont trouvés confrontés à un enseignant qui, dans l’exercice de ses fonctions, se serait appuyé tendancieusement sur cette présence.

75.  Enfin, la Cour observe que la requérante a conservé entier son droit, en sa qualité de parent, d’éclairer et conseiller ses enfants, d’exercer envers eux ses fonctions naturelles d’éducateur, et de les orienter dans une direction conforme à ses propres convictions philosophiques (voir, notamment, précités, les arrêts Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen et Valsamis, §§ 54 et 31 respectivement).

76.  Il résulte de ce qui précède qu’en décidant de maintenir les crucifix dans les salles de classe de l’école publique fréquentées par les enfants de la requérante, les autorités ont agi dans les limites de la marge d’appréciation dont dispose l’Etat défendeur dans le cadre de son obligation de respecter, dans l’exercice des fonctions qu’il assume dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement, le droit des parents d’assurer cette éducation et cet enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques.

77.  La Cour en déduit qu’il n’y pas eu violation de l’article 2 du Protocole no 1 dans le chef de la requérante. Elle considère par ailleurs qu’aucune question distincte ne se pose en l’espèce sur le terrain de l’article 9 de la Convention.

2.  Le cas des deuxième et troisième requérants

78.  La Cour considère que, lue comme il se doit à la lumière de l’article 9 de la Convention et de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1, la première phrase de cette disposition garantit aux élèves un droit à l’instruction dans le respect de leur droit de croire ou de ne pas croire. Elle conçoit en conséquence que des élèves tenants de la laïcité voient dans la présence de crucifix dans les salles de classe de l’école publique où ils sont scolarisés un manquement aux droits qu’ils tirent de ces dispositions.

Elle estime cependant que, pour les raisons indiquées dans le cadre de l’examen du cas de la requérante, il n’y a pas eu violation de l’article 2 du Protocole no 1 dans le chef des deuxième et troisième requérants. Elle considère par ailleurs qu’aucune question distincte ne se pose en l’espèce sur le terrain de l’article 9 de la Convention.

II.  SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION

79.  Les requérants estiment que, les deuxième et troisième d’entre eux ayant été exposés aux crucifix qui se trouvaient dans les salles de classes de l’école publique dans laquelle ils étaient scolarisés, ils ont tous trois, dès lors qu’ils ne sont pas catholiques, subi une différence de traitement discriminatoire par rapport aux parents catholiques et à leurs enfants. Soulignant que « les principes consacrés par les articles 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1 sont renforcés par les dispositions de l’article 14 de la Convention », ils dénoncent une violation de ce dernier article, aux termes duquel :

« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »

80.  La chambre a jugé qu’eu égard aux circonstances de l’affaire et au raisonnement qui l’avait conduite à constater une violation de l’article 2 du Protocole no 1 combiné avec l’article 9 de la Convention, il n’y avait pas lieu d’examiner l’affaire de surcroît sous l’angle de l’article 14, pris isolément ou combiné avec ces dispositions.

81.  La Cour, qui relève que ce grief est fort peu étayé, rappelle que l’article 14 de la Convention n’a pas d’existence indépendante puisqu’il vaut uniquement pour la jouissance des droits et libertés garantis par les autres clauses normatives de la Convention et des Protocoles.

A supposer que les requérants entendent dénoncer une discrimination dans la jouissance des droits garantis par les articles 9 de la Convention et 2 du Protocole no 1 résultant du fait qu’ils ne se reconnaissent pas dans la religion catholique et que les deuxième et troisième d’entre eux ont été exposés aux crucifix qui se trouvaient dans les salles de classes de l’école publique dans laquelle ils étaient scolarisés, la Cour ne voit là aucune question distincte de celles qu’elle a déjà tranchées sur le terrain de l’article 2 du Protocole no 1. Il n’y a donc pas lieu d’examiner cette partie de la requête.

PAR CES MOTIFS, LA COUR,

1.  Dit, par quinze voix contre deux, qu’il n’y a pas eu violation de l’article 2 du Protocole no 1 et qu’aucune question distincte ne se pose sur le terrain de l’article 9 de la Convention ;

 

2.  Dit, à l’unanimité, qu’il n’y a pas lieu d’examiner le grief tiré de l’article 14 de la Convention.
Fait en français et en anglais, puis prononcé en audience publique au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 18 mars 2011.

Erik Fribergh                                                                     Jean-Paul Costa
Greffier                                                                               Président

Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé des opinions suivantes :

a)      Opinion concordante du juge Rozakis à laquelle se joint la juge Vajić ;

b)      Opinion concordante du juge Bonello ;

c)      Opinion concordante de la juge Power ;

d)     Opinion dissidente du juge Malinverni à laquelle se joint la juge Kalaydjieva.

J.-P.C.
E.F.

 

OPINION CONCORDANTE DU JUGE ROZAKIS, À LAQUELLE SE RALLIE LA JUGE VAJIĆ

(Traduction)

La principale question à résoudre en l’espèce est l’effet de l’application du critère de proportionnalité aux faits de l’espèce. La proportionnalité entre, d’un côté, le droit des parents d’assurer l’éducation et l’enseignement de leurs enfants conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques et, de l’autre, le droit ou l’intérêt d’une très large part – à tout le moins – de la société à exposer des symboles religieux manifestant une religion ou une conviction. Les deux valeurs concurrentes qui se trouvent en jeu dans cette affaire sont donc simultanément protégées par la Convention : par le biais de l’article 2 du Protocole no 1 (lex specialis), lu à la lumière de l’article 9 de la Convention, pour ce qui concerne les parents ; par le biais de l’article 9 s’agissant des droits de la société.

Pour ce qui est tout d’abord du droit des parents, l’arrêt de la Cour souligne que le mot « respecter » figurant dans la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 « signifie plus que reconnaître ou prendre en considération ; en sus d’un engagement plutôt négatif, ce verbe implique à la charge de l’Etat une certaine obligation positive » (paragraphe 61 de l’arrêt). Toutefois, le respect dû aux parents, même sous la forme d’une obligation positive « n’empêche pas les Etats de répandre par l’enseignement ou l’éducation des informations ou connaissances ayant, directement ou non, un caractère religieux ou philosophique ; [il] n’autorise même pas les parents à s’opposer à l’intégration de pareil enseignement ou éducation dans le programme scolaire » (paragraphe 62 de l’arrêt).

Cette dernière référence à la jurisprudence fondée sur la Convention mérite je crois d’être analysée plus avant. Incontestablement, l’article 2 du Protocole no 1 consacre le droit fondamental à l’éducation, un droit individuel sacro-saint – pouvant sans doute aussi être considéré comme un droit social – qui semble progresser constamment dans nos sociétés européennes. Cependant, si le droit à l’éducation est l’une des pierres angulaires de la protection de l’individu par la Convention, on ne peut à mon avis en dire autant et avec la même vigueur du droit subordonné des parents d’assurer l’éducation de leurs enfants conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques. Les choses sont ici bien différentes, et ce pour un certain nombre de raisons :

i)  Ce droit, bien que lié au droit à l’éducation, ne revient pas directement au destinataire essentiel du droit, c’est-à-dire au destinataire de l’éducation, celui qui a le droit d’être éduqué. Il concerne les parents – dont le droit direct à l’éducation n’est pas en jeu dans les circonstances de l’espèce – et se limite à un seul aspect de l’éducation, à savoir leurs convictions religieuses et philosophiques.

ii)  Il existe certes un lien évident entre l’éducation que reçoivent les enfants au sein de l’école et les idées et opinions religieuses et philosophiques – découlant des convictions – qui prévalent dans le cercle familial, un lien qui requiert une certaine harmonisation de ces questions entre le milieu scolaire et le cercle domestique ; cependant, l’Europe a évolué de façon spectaculaire, dans ce domaine comme dans d’autres, depuis l’adoption du Protocole no 1. De nos jours, la plupart d’entre nous vivent dans des sociétés multiculturelles et multiethniques au sein des Etats nationaux – caractéristique aujourd’hui commune à ces sociétés –, et les enfants qui évoluent dans cet environnement sont chaque jour au contact d’idées et d’opinions allant au-delà de celles qui proviennent de l’école et de leurs parents. Les relations humaines hors du foyer parental et les moyens modernes de communication contribuent sans nul doute à ce phénomène. En conséquence, les enfants prennent l’habitude d’accueillir toute une variété d’idées et d’opinions, souvent conflictuelles, et l’influence de l’école tout comme celle des parents en la matière est aujourd’hui relativement réduite.

iii)  La composition de nos sociétés ayant changé, l’Etat a de plus en plus de mal à pourvoir aux besoins individuels des parents dans le domaine de l’éducation. J’irai jusqu’à dire que sa principale préoccupation – et il s’agit d’une préoccupation fondée – devrait être d’offrir aux enfants une éducation garantissant leur pleine et entière intégration au sein de la société où ils vivent, et de les préparer le mieux possible à répondre de manière effective aux attentes de cette société vis-à-vis de ses membres. Si cette caractéristique de l’éducation n’a rien de nouveau – elle est immémoriale –, elle a récemment pris une importance plus marquée en raison des particularités de notre époque et de la composition des sociétés actuelles. Là encore, les fonctions de l’Etat se sont largement déplacées, glissant des préoccupations des parents aux préoccupations de l’ensemble de la société, et restreignant ainsi la capacité des parents à déterminer, en dehors du foyer familial, le type d’éducation à dispenser à leurs enfants.

En conclusion, il me semble que, contrairement à d’autres garanties consacrées par la Convention pour lesquelles la jurisprudence fondée sur celle-ci a étendu le champ de la protection – il en est ainsi du droit à l’éducation –, le droit des parents au regard de la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 ne paraît pas de façon réaliste gagner en poids dans la mise en balance aux fins de l’examen de la proportionnalité.

A l’autre extrémité, représentant l’autre membre de l’équation de proportionnalité, se trouve le droit de la société, illustré par les mesures des autorités pour le maintien des crucifix sur les murs des écoles publiques, de manifester ses convictions religieuses (majoritaires). Ce droit, dans les circonstances de l’espèce, l’emporte-t-il sur le droit des parents d’éduquer leurs enfants conformément à leur religion et – plus spécifiquement, dans cette affaire – à leurs convictions philosophiques ?

Pour répondre, il faut interpréter la jurisprudence fondée sur la Convention et l’appliquer aux circonstances particulières de l’espèce. La première question à résoudre est celle d’un consensus européen. Existe-t-il en la matière un quelconque consensus européen – permettant, imposant ou interdisant l’exposition de symboles religieux chrétiens dans les écoles publiques – qui devrait déterminer la position de la Cour dans ce domaine ?

La réponse ressort clairement de l’arrêt même de la Cour, en sa partie qui donne un aperçu du droit et de la pratique au sein des Etats membres du Conseil de l’Europe s’agissant de la présence de symboles religieux dans les écoles publiques (paragraphes 26 et suivants) : parmi les Etats européens, il n’existe pas de consensus interdisant la présence de tels symboles religieux, que peu d’Etats interdisent expressément. Bien sûr, on observe une tendance croissante à proscrire – surtout par le biais de décisions de hautes juridictions nationales – la possibilité d’exposer des crucifix dans les écoles publiques ; cependant, le nombre d’Etats ayant adopté des mesures interdisant l’exposition de crucifix dans les lieux publics et l’étendue de l’activité judiciaire interne en la matière ne permettent pas à la Cour de présumer qu’il existe un consensus contre pareille exposition. Cela vaut tout particulièrement si l’on tient compte du fait qu’il y a en Europe un certain nombre d’Etats où la religion chrétienne demeure la religion officielle ou prédominante, et également, comme je viens de le souligner, du fait que certains Etats autorisent clairement, par leur droit ou leur pratique, l’exposition de crucifix dans les lieux publics.

Pendant que nous parlons de consensus, il convient de rappeler que la Cour est une juridiction, et non un organe parlementaire. Chaque fois qu’elle entreprend d’apprécier les limites de la protection accordée par la Convention, la Cour prend soigneusement en compte le degré de protection existant au niveau des Etats européens ; elle a bien sûr la possibilité d’élever cette protection à un niveau supérieur à celui accordé par tel ou tel Etat défendeur, mais à condition toutefois que de solides indications attestent qu’un grand nombre d’autres Etats européens ont déjà adopté ce degré de protection, ou qu’il y ait une tendance manifeste à élever le niveau de protection. Ce principe ne saurait s’appliquer de manière positive en l’espèce, même si, c’est vrai, une tendance s’est amorcée en faveur de l’interdiction de l’exposition de symboles religieux dans les institutions publiques.

Puisqu’en la matière la pratique demeure hétérogène parmi les Etats européens, les seules orientations qui puissent aider la Cour à ménager un juste équilibre entre les droits en jeu émanent de sa jurisprudence antérieure. Les mots clés qui ressortent de celle-ci sont « neutralité et impartialité ». Comme la Cour le relève dans le présent arrêt, « les Etats ont pour mission de garantir, en restant neutres et impartiaux, l’exercice des diverses religions, cultes et croyances. Leur rôle est de contribuer à assurer l’ordre public, la paix religieuse et la tolérance dans une société démocratique, notamment entre groupes opposés » (paragraphe 60, in fine, de l’arrêt).

Il est indéniable, je crois, que l’exposition de crucifix dans les écoles publiques italiennes relève d’un symbolisme religieux qui a un impact sur l’obligation de neutralité et d’impartialité de l’Etat, même si dans une société européenne moderne les symboles semblent peu à peu perdre le poids très important qu’ils avaient autrefois et si des approches plus pragmatiques et rationalistes définissent aujourd’hui, pour de larges pans de la population, les vraies valeurs sociales et idéologiques.

La question qui se pose donc à ce stade est de savoir non seulement si l’exposition du crucifix porte atteinte à la neutralité et à l’impartialité, ce qui est manifestement le cas, mais aussi si la portée de la transgression justifie un constat de violation de la Convention dans les circonstances de l’espèce. Je conclus ici – non sans quelque hésitation – par la négative, souscrivant ainsi au raisonnement principal de la Cour, et plus particulièrement à son approche concernant le rôle de la religion majoritaire de la société italienne (paragraphe 71 de l’arrêt), le caractère essentiellement passif du symbole, qui ne saurait s’analyser en une forme d’endoctrinement (paragraphe 72 de l’arrêt), et également le contexte éducatif dans lequel s’inscrit la présence de crucifix sur les murs des écoles publiques. Comme le souligne l’arrêt, « [d]’une part, cette présence n’est pas associée à un enseignement obligatoire du christianisme (…). D’autre part, (…) l’Italie ouvre parallèlement l’espace scolaire à d’autres religions. Le Gouvernement indique ainsi notamment que le port par les élèves du voile islamique et d’autres symboles et tenues vestimentaires à connotation religieuse n’est pas prohibé, des aménagements sont prévus pour faciliter la conciliation de la scolarisation et des pratiques religieuses non majoritaires, (…) et un enseignement religieux facultatif peut être mis en place dans les établissements pour « toutes confessions religieuses reconnues » » (paragraphe 74 de l’arrêt). Attestant une tolérance religieuse qui s’exprime par une approche libérale permettant à toutes les confessions de manifester librement leurs convictions religieuses dans les écoles publiques, ces éléments constituent à mes yeux un facteur crucial de « neutralisation » de la portée symbolique de la présence du crucifix dans les écoles publiques.

Je dirai également que cette approche libérale sert le concept même de « neutralité » ; elle est l’autre versant, par exemple, d’une politique interdisant l’exposition de tout symbole religieux dans un lieu public.
OPINION CONCORDANTE DU JUGE BONELLO

(Traduction)

1.1  Une cour des droits de l’homme ne saurait se laisser gagner par un Alzheimer historique. Elle n’a pas le droit de faire fi de la continuité culturelle du parcours d’une nation à travers le temps, ni de négliger ce qui au fil des siècles a contribué à modeler et définir le profil d’un peuple. Aucun tribunal supranational n’a à substituer ses propres modèles éthiques aux qualités que l’histoire a imprimées à l’identité nationale. Une cour des droits de l’homme a pour rôle de protéger les droits fondamentaux, mais sans jamais perdre de vue ceci : « les coutumes ne sont pas des caprices qui passent. Elles évoluent avec le temps, se solidifient à travers l’histoire pour former un ciment culturel. Elles deviennent des symboles extrêmement importants qui définissent l’identité des nations, des tribus, des religions, des individus »[1].

 

1.2  Une cour européenne ne doit pas être invitée à ruiner des siècles de tradition européenne. Aucun tribunal, et certainement pas cette Cour, ne doit voler aux Italiens une partie de leur personnalité culturelle.

 

1.3  Avant de nous rallier à toute croisade tendant à diaboliser le crucifix, je crois qu’il nous faut replacer dans son juste contexte historique la présence de ce symbole au sein des écoles italiennes. Pendant des siècles, pratiquement toute éducation dispensée en Italie a été le fait de l’Eglise, de ses ordres et organisations religieux, et de très peu d’autres entités. Un grand nombre ­– voire la plupart ­– des écoles, collèges, universités et autres instituts d’enseignement d’Italie ont été fondés, financés ou gérés par l’Eglise, ses membres ou ses ramifications. Les grandes étapes de l’histoire ont fait de l’éducation et du christianisme des notions quasiment interchangeables ; dès lors, la présence séculaire du crucifix dans les écoles italiennes n’a pas de quoi choquer ou surprendre. En fait, c’est plutôt son absence qui serait choquante ou surprenante.

 

1.4  Jusqu’à une époque assez récente, l’Etat « laïque » ne s’occupait guère d’éducation, mission essentielle qu’il déléguait, par défaut, aux institutions chrétiennes. Ce n’est que peu à peu que l’Etat a commencé à assumer ses responsabilités s’agissant d’éduquer la population et de lui proposer autre chose que le quasi-monopole religieux sur l’éducation. La présence du crucifix dans les écoles italiennes ne fait que témoigner de cette réalité historique irréfutable et millénaire ; on pourrait presque dire que le crucifix est là depuis que les écoles existent. Et voilà que l’on saisit une juridiction qui se trouve sous une cloche de verre, à mille kilomètres de là, afin que du jour au lendemain elle mette son véto à ce qui a survécu à d’innombrables générations. On invite la Cour à se rendre complice d’un acte majeur de vandalisme culturel. A mon avis, William Faulkner a touché le cœur du problème : le passé n’est jamais mort. En fait, il n’est même pas passé.[2] Que cela nous plaise ou non, les parfums et la puanteur de l’histoire nous accompagnent toujours.

 

1.5  C’est une aberration et un manque d’information que d’affirmer que la présence du crucifix dans les écoles italiennes témoigne d’une mesure fasciste réactionnaire imposée, entre les gorgées d’huile de ricin, par Signor Mussolini. Les circulaires de Mussolini n’ont fait que prendre acte formellement d’une réalité historique antérieure de plusieurs siècles à sa naissance et qui, nonobstant le vitriol anti-crucifix lancé par Mme Lautsi, pourrait lui survivre encore longtemps. La Cour devrait toujours faire preuve de circonspection lorsqu’il s’agit de prendre des libertés avec les libertés des autres peuples, y compris celle de chérir leur propre empreinte culturelle. Quelle qu’elle soit, celle-ci est unique. Les nations ne façonnent pas leur histoire sous l’impulsion du moment.

 

1.6  Le rythme du calendrier scolaire italien témoigne des liens historiques inextricables qui existent en Italie entre l’éducation et la religion, des liens persistants qui ont survécu des siècles durant. Aujourd’hui encore, les écoliers travaillent dur les jours consacrés aux dieux païens (Diane/Lune, Mars, Hercule, Jupiter, Vénus, Saturne) et se reposent le dimanche (domenica, le jour du Seigneur). Le calendrier scolaire imite le calendrier religieux, les jours fériés se calquant sur les fêtes chrétiennes. Pâques, Noël, le carême, carnaval (carnevale, période où la discipline religieuse permettait la consommation de viande), l’Epiphanie, la Pentecôte, l’Assomption, la Fête-Dieu, l’Avent, la Toussaint, le jour des Morts : un cycle annuel qui – c’est flagrant ­– est bien plus dénué de laïcité que n’importe quel crucifix sur n’importe quel mur. Puisse Mme Lautsi s’abstenir de solliciter les services de la Cour, en son propre nom et au nom de la laïcité, aux fins de la suppression du calendrier scolaire italien, cet autre élément du patrimoine culturel chrétien qui a survécu au passage des siècles sans que rien ne prouve qu’il y ait eu atteinte irréparable au progrès de la liberté, de l’émancipation, de la démocratie et de la civilisation.

 

Quels droits ? Liberté de religion et de conscience ?

 

2.1  Les questions soulevées par cette affaire ont été éludées en raison d’un déplorable manque de clarté et de définition. La Convention consacre la protection de la liberté de religion et de conscience (article 9). Rien de moins que cela, évidemment, mais guère plus.

 

2.2  Parallèlement à la liberté de religion, on a vu se constituer dans les sociétés civilisées un catalogue de valeurs remarquables (souvent louables) qui sont apparentées à la liberté de religion tout en étant distinctes de celle-ci : la laïcité, le pluralisme, la séparation de l’Eglise et de l’Etat, la neutralité confessionnelle ou la tolérance religieuse. Toutes ces valeurs représentent des matières premières démocratiques supérieures dans lesquels les Etats contractants sont libres d’investir ou non, ce que beaucoup ont fait. Il ne s’agit toutefois pas de valeurs protégées par la Convention, et c’est une erreur fondamentale que de jongler avec ses concepts dissemblables comme s’ils étaient interchangeables avec la liberté de religion. Hélas, la jurisprudence de la Cour comporte elle aussi des traces de ce débordement qui est tout sauf rigoureux.

 

2.3  La Convention a confié à la Cour la tâche de faire respecter la liberté de religion et de conscience, mais elle ne lui a pas donné le pouvoir de contraindre les Etats à la laïcité ou de les forcer à adopter un régime de neutralité confessionnelle. C’est à chaque Etat d’opter ou non pour la laïcité et de décider si – et, le cas échéant, dans quelle mesure – il entend séparer l’Eglise et la conduite des affaires publiques. Ce que l’Etat ne doit pas faire, c’est priver quiconque de sa liberté de religion et de conscience. Un abîme axiomatique sépare un concept prescriptif des autres concepts, non prescriptifs.

 

2.4  La plupart des arguments formulés par la requérante invitent la Cour à garantir la séparation de l’Eglise et de l’Etat et à assurer le respect d’un régime de laïcité aseptique au sein des écoles italiennes. Or cela, pour dire les choses sans ambages, ne regarde pas la Cour. Celle-ci doit veiller à ce que Mme Lautsi et ses enfants jouissent pleinement de leur droit fondamental à la liberté de religion et de conscience, un point c’est tout.

 

2.5  La Convention s’avère très utile, avec son inventaire détaillé et exhaustif de ce que signifie réellement la liberté de religion et de conscience, et nous ferions bien de garder à l’esprit ces contraintes institutionnelles. Liberté de religion ne veut pas dire laïcité. Liberté de religion ne veut pas dire séparation de l’Eglise et de l’Etat. Liberté de religion ne veut pas dire équidistance en matière religieuse. Toutes ces notions sont certes séduisantes, mais nul n’a à ce jour désigné la Cour afin qu’elle en soit la gardienne. En Europe, la laïcité est facultative ; la liberté de religion ne l’est pas.

 

2.6  La liberté de religion et la liberté de ne pas avoir de religion consistent en fait dans le droit de professer librement toute religion choisie par l’individu, le droit de changer librement de religion, le droit de n’embrasser aucune religion, et le droit de manifester sa religion par les croyances, le culte, l’enseignement et l’observance. Le catalogue de la Convention s’arrête ici, bien en deçà de la défense de l’Etat laïque.

 

2.7  Le rôle plutôt modeste de la Cour reste de déterminer si l’exposition dans les écoles publiques italiennes de ce que certains voient comme un symbole chrétien et d’autres comme un gadget culturel a, de quelque façon que ce soit, porté atteinte au droit fondamental de Mme Lautsi et de ses enfants à la liberté de religion, telle que définie par la Convention elle-même.

 

2.8  Je crois que n’importe qui pourrait, de manière convaincante, s’employer à soutenir que la présence du crucifix dans les écoles publiques italiennes est susceptible de heurter la doctrine de la laïcité et celle de la séparation de l’Eglise et de l’Etat. En même temps, je pense que nul ne pourrait plaider de façon probante que la présence d’un crucifix a, de quelque manière que ce soit, porté atteinte au droit des membres de la famille Lautsi de professer toute religion de leur choix, de changer de religion, de n’avoir aucune religion ou de manifester leurs croyances, le cas échéant, par le culte, l’enseignement et l’observance, ou à leur droit de rejeter carrément tout ce qu’ils pourraient considérer comme un fade objet de superstition.

 

2.9  Avec ou sans crucifix sur le mur d’une salle de classe, les Lautsi ont joui de la liberté de conscience et de religion la plus absolue et la plus illimitée, telle que définie par la Convention. Il est concevable que la présence d’un crucifix dans une salle de classe puisse être perçue comme une trahison de la laïcité et une défaillance injustifiable du régime de séparation de l’Eglise et de l’Etat ; ces doctrines, toutefois, aussi attrayantes et séduisantes soient-elles, ne sont nulle part prescrites par la Convention, et elles ne sont pas non plus des éléments constitutifs nécessaires à la liberté de conscience et à la liberté de religion. C’est aux autorités italiennes, et non à la Cour, qu’il revient de garantir la laïcité si elles estiment que celle-ci fait ou doit faire partie de l’architecture constitutionnelle italienne.

 

2.10  Eu égard aux racines historiques de la présence du crucifix dans les écoles italiennes, retirer celui-ci de là où il se trouve, discrètement et passivement, depuis des siècles n’aurait guère été un signe de neutralité de l’Etat. Le retirer aurait constitué une adhésion positive et agressive à l’agnosticisme ou à la laïcité, et aurait donc été tout sauf un acte neutre. Maintenir un symbole là où il a toujours été n’est pas un acte d’intolérance des croyants ou des traditionalistes culturels. Le déloger serait un acte d’intolérance des agnostiques et des laïcs.

 

2.11  Au fil des siècles, des millions d’enfants Italiens ont été exposés au crucifix dans les écoles. Cela n’a pas fait de l’Italie un Etat confessionnel, ni des Italiens les citoyens d’une théocratie. Les requérants n’ont présenté à la Cour aucun élément montrant que les personnes exposées au crucifix auraient, de quelque manière que ce soit, perdu leur liberté totale de manifester leurs croyances religieuses individuelles et personnelles, ou leur droit de renier toute religion. La présence d’un crucifix dans une salle de classe ne semble avoir entravé aucun Italien dans sa liberté de croire ou de ne pas croire, d’embrasser l’athéisme, l’agnosticisme, l’anticléricalisme, la laïcité, le matérialisme, le relativisme ou l’irréligion doctrinaire, d’abjurer, d’apostasier, ou d’embrasser le crédo ou l’« hérésie » de son choix qui lui paraisse suffisamment attrayant, ce avec la même vigueur et la même verve que d’autres mettent à embrasser librement une confession chrétienne. Si de tels éléments avaient été présentés, j’aurais avec véhémence voté en faveur de la violation de la Convention.

Quels droits ? Le droit à l’instruction ?

 

3.1  L’article 2 du Protocole no 1 garantit le droit des parents à ce que l’enseignement dispensé à leurs enfants soit conforme à leurs propres convictions religieuses et philosophiques. La tâche de la Cour est de contrôler et de garantir le respect de ce droit.

 

3.2  La simple présence silencieuse et passive d’un symbole dans une salle de classe d’une école italienne correspond-elle à un « enseignement » ? Fait-elle obstacle à l’exercice du droit garanti ? J’ai beau chercher, je ne vois pas comment. La Convention interdit spécifiquement et exclusivement tout enseignement scolaire qui ne conviendrait pas aux parents pour des motifs religieux, éthiques ou philosophiques. Le mot clé de cette norme est bien évidemment « enseignement », et je me demande dans quelle mesure la présence muette d’un symbole de la continuité culturelle européenne pourrait s’analyser en un enseignement, au sens de ce mot plutôt dénué d’équivoque.

 

3.3  A mon avis, ce que la Convention interdit, c’est tout endoctrinement, éhonté ou sournois, la confiscation agressive de jeunes esprits, le prosélytisme envahissant, la mise en place par le système éducatif public de tout obstacle à l’aveu de l’athéisme, de l’agnosticisme ou du choix en faveur d’une autre foi. La simple exposition du témoignage silencieux d’un symbole historique, qui fait si incontestablement partie du patrimoine européen, ne constitue nullement un « enseignement », et elle ne porte pas non plus une atteinte sérieuse au droit fondamental des parents à déterminer quelle orientation religieuse, le cas échéant, leurs enfants doivent suivre.

 

3.4  Même en admettant que la simple présence d’un objet muet doive être interprétée comme un « enseignement », les requérants n’ont pas répondu à la question bien plus capitale de la proportionnalité – étroitement liée à l’exercice de droits fondamentaux lorsque ceux-ci sont en conflit avec les droits d’autrui –, autrement dit de la mise en balance qu’il convient de faire entre les différents intérêts concurrents.

 

3.5  L’ensemble des parents des trente élèves qui se trouvent dans une salle de classe italienne jouissent à égalité du droit fondamental, garanti par la Convention, à ce que leurs enfants reçoivent un enseignement conforme à leurs propres convictions religieuses et philosophiques, droit au moins équivalent à celui dont jouissent les enfants Lautsi. Les parents d’un seul élève veulent une instruction « sans crucifix », et les parents des vingt-neuf autres élèves, exerçant leur non moins fondamentale liberté de décision, veulent une instruction « avec crucifix ». Jusqu’à présent, nul n’a avancé aucune raison pour laquelle la volonté des parents d’un seul élève devrait l’emporter et celle des parents des vingt-neuf autres élèves capituler. Les parents de ces vingt-neuf enfants ont un droit fondamental, équivalent par la force et l’intensité, à ce que leurs enfants reçoivent un enseignement conforme à leurs propres convictions religieuses et philosophiques, qu’ils soient favorables au crucifix ou simplement indifférents à celui-ci. Mme Lautsi ne saurait s’arroger l’autorisation d’anéantir le droit de l’ensemble des parents des autres élèves de la classe, qui souhaitent exercer ce droit dont elle demande précisément à la Cour d’empêcher l’exercice par autrui.

 

3.6  La chasse au crucifix encouragée par Mme Lautsi ne peut en aucune façon constituer une mesure permettant d’assurer la neutralité dans une salle de classe. Ce serait faire prévaloir la philosophie « hostile au crucifix » des parents d’un seul élève par rapport à la philosophie « réceptive au crucifix » des parents des vingt-neuf autres élèves. Si les parents d’un seul élève revendiquent le droit de voir éduquer leur enfant en l’absence de crucifix, les parents des vingt-neuf autres élèves doivent bien avoir la possibilité de revendiquer un droit équivalent à la présence du crucifix, que ce soit comme symbole chrétien traditionnel ou simplement comme souvenir culturel.

 

Petit aparté

 

4.1  Tout récemment, la Cour a été appelé à déterminer si une interdiction prononcée par les autorités turques à l’égard de la diffusion du roman Les onze mille verges, de Guillaume Apollinaire, pouvait se justifier dans une société démocratique. Pour estimer que ce roman ne relève pas de la pornographie violente, il faut avoir un souverain mépris pour les principes moraux contemporains[3]. Pourtant, la Cour a vaillamment volé au secours de ce ramassis d’obscénités transcendantales, sous prétexte qu’il faisait partie du patrimoine culturel européen[4].

 

4.2  Il eût été bien étrange, à mon avis, que la Cour défendît et rachetât ce monceau assez médiocre d’obscénités nauséeuses qui circule sous le manteau, en se fondant sur une vague appartenance au « patrimoine européen », et que dans le même temps elle niât la valeur de patrimoine européen à un emblème que des millions d’Européens ont reconnu au fil des siècles comme un symbole intemporel de rédemption par l’amour universel.

 

 

 

 

OPINION CONCORDANTE DU JUGE POWER

(Traduction)

Cette affaire soulève des questions concernant la portée de certaines dispositions de la Convention, et la rectification par la Grande Chambre d’un certain nombre d’erreurs contenues dans l’arrêt de la chambre était à la fois nécessaire et judicieuse. La correction essentielle réside dans le constat que le choix de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques relève en principe de la marge d’appréciation d’un Etat défendeur (paragraphe 70 de l’arrêt). Dans l’exercice de sa fonction de contrôle, la Cour confirme sa jurisprudence antérieure[5] selon laquelle la « visibilité prépondérante » dans l’environnement scolaire qu’un Etat peut conférer à la religion majoritaire du pays ne suffit pas en soi pour indiquer une démarche d’endoctrinement de nature à établir un manquement aux prescriptions de l’article 2 du Protocole no 1 (paragraphe 71 de l’arrêt).

La Grande Chambre rectifie également la conclusion plutôt spéculative de l’arrêt de la chambre (paragraphe 55 de l’arrêt de la chambre) relative au risque « particulièrement présent » que l’exposition d’un crucifix puisse être perturbante émotionnellement pour des élèves de religions minoritaires ou des élèves qui ne professent aucune religion. Eu égard au rôle crucial de la « preuve » dans toute procédure judiciaire, la Grande Chambre relève à juste titre que la Cour ne dispose pas d’éléments attestant une quelconque influence de la présence d’un symbole religieux sur les élèves (paragraphe 66 de l’arrêt). Tout en reconnaissant que l’« on peut (…) comprendre » l’impression qu’a la requérante d’un manque de respect de ses droits, la Grande Chambre confirme que la perception subjective de l’intéressée ne saurait suffire à caractériser une violation de l’article 2 du Protocole no 1. La requérante a peut-être été offensée par la présence de crucifix dans les salles de classe, mais l’existence d’un droit « à ne pas être offensé » n’a jamais été reconnue dans le cadre de la Convention. En infirmant l’arrêt de la chambre, la Grande Chambre ne fait rien d’autre que confirmer une jurisprudence constante (relative notamment à l’article 10) qui reconnaît que la simple « offense » n’est pas une chose contre laquelle un individu peut être immunisé par le droit.

Cependant, l’arrêt de la chambre contenait une autre conclusion fondamentale, et à mon sens erronée, au sujet de laquelle la Grande Chambre ne fait pas de commentaire alors qu’elle méritait selon moi quelques clarifications. La chambre a à juste titre indiqué que l’Etat est tenu à la neutralité confessionnelle dans le cadre de l’éducation publique (paragraphe 56 de l’arrêt de la chambre). Toutefois, elle a ensuite conclu, de façon incorrecte, que ce devoir exige en fait que l’on préfère ou que l’on place une idéologie (ou un ensemble d’idées) au-dessus de tout autre point de vue religieux et/ou philosophique ou de toute autre vision du monde. La neutralité appelle une approche pluraliste, et non laïque, de la part de l’Etat. Elle encourage le respect de toutes les visions du monde et non la préférence pour une seule. A mes yeux, l’arrêt de la chambre était frappant dans son manquement à reconnaître que la laïcité (conviction ou vision du monde préférée par la requérante) est, en soi, une idéologie parmi d’autres. Préférer la laïcité aux autres visions du monde – qu’elles soient religieuses, philosophiques ou autres – n’est pas une option neutre. La Convention exige que l’on respecte les convictions de la requérante pour autant que l’éducation et l’enseignement dispensés à ses enfants sont en jeu. Elle n’exige pas que ces convictions soient l’option préférée et approuvée par rapport à toutes les autres.

Dans son opinion séparée, le juge Bonello souligne que, dans la tradition européenne, l’éducation (et, à mon avis, les valeurs que sont la dignité humaine, la tolérance et le respect de l’individu, sans lesquelles il ne peut à mon sens y avoir aucune base durable à la protection des droits de l’homme) a ses racines, historiquement, notamment dans la tradition chrétienne. Interdire dans les écoles publiques, sans considération des souhaits de la nation, l’exposition d’un symbole représentatif de cette tradition – ou en fait de toute autre tradition religieuse – et exiger que l’Etat poursuive un programme non pas pluraliste mais laïc, risque de nous faire glisser vers le terrain de l’intolérance, notion qui est contraire aux valeurs de la Convention.

Les requérants allèguent la violation de leur droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion. Or je ne vois aucune atteinte à leur liberté de manifester leurs convictions personnelles. Le critère, pour déterminer s’il y a eu violation au regard de l’article 9, n’est pas l’existence d’une « offense » mais celle d’une « coercition »[6]. Cet article ne crée pas un droit à ne pas être offensé par la manifestation des convictions religieuses d’autrui, même lorsque l’Etat confère une « visibilité prépondérante » à ces convictions. L’exposition d’un symbole religieux n’oblige ni ne contraint quiconque à faire ou à s’abstenir de faire une chose. Elle n’exige pas un engagement dans une activité quelconque, même s’il est concevable qu’elle puisse appeler ou stimuler la discussion et l’échange ouvert des points de vue. Elle n’empêche pas un individu de suivre ce que lui dicte sa conscience et n’écarte pas toute possibilité pour lui de manifester ses propres convictions et idées religieuses.

La Grande Chambre estime que la présence du crucifix est pour l’essentiel un symbole passif, et elle considère cet aspect comme revêtant une grande importance compte tenu du principe de neutralité. Je souscris à cet égard à l’avis de la Cour, dès lors que le symbole, par son caractère passif, n’a rien de coercitif. Je dois toutefois admettre qu’en principe les symboles (qu’ils soient religieux, culturels ou autres) sont porteurs de sens. Ils peuvent être silencieux tout en étant parlants, sans nullement impliquer coercition ou endoctrinement. Les éléments non contestés dont dispose la Cour montrent que l’Italie ouvre l’espace scolaire à tout un éventail de religions, et rien n’indique qu’il y ait une intolérance quelconque à l’égard des élèves non croyants ou tenants de convictions philosophiques qui ne se rattachent pas à une religion. Le port du voile islamique est autorisé. Le début et la fin du Ramadan sont « souvent fêtés ». Dans ce contexte de pluralisme et de tolérance religieuse, un symbole chrétien apposé sur le mur d’une salle de classe ne fait que représenter une vision autre et différente du monde. La présentation et prise en compte de différents points de vue fait partie intégrante du processus éducatif. Elle stimule le dialogue. Une éducation réellement pluraliste implique la mise en contact des élèves avec toute une gamme d’idées différentes, y compris des idées qui ne sont pas les leurs propres. Le dialogue devient possible et prend peut-être tout son sens lorsqu’il y a une véritable différence dans les opinions et un échange francs d’idées. Si elle s’accomplit dans un esprit d’ouverture, de curiosité, de tolérance et de respect, cette rencontre peut mener à une meilleure clarté et représentation, car elle favorise le développement de la pensée critique. L’éducation serait amoindrie si les enfants n’étaient pas confrontés à des points de vue différents sur la vie et n’avaient pas, par ce processus, la possibilité d’apprendre l’importance du respect de la diversité.

 

 

 

OPINION DISSIDENTE DU JUGE MALINVERNI, À LAQUELLE SE RALLIE LA JUGE KALAYDJIEVA

1. La Grande Chambre est parvenue à la conclusion qu’il n’y a pas eu violation de l’article 2 du Protocole no 1 au motif que « le choix de la présence de crucifix dans les salles de classe des écoles publiques relève en principe de la marge d’appréciation de l’Etat défendeur » (paragraphe 70 ; voir aussi le paragraphe 69).

J’ai de la peine à suivre cette argumentation. Utile, voire commode, la théorie de la marge d’appréciation est une technique d’un maniement délicat, car l’ampleur de la marge dépend d’un grand nombre de paramètres : droit en cause, gravité de l’atteinte, existence d’un consensus européen, etc. La Cour a ainsi affirmé que « l’ampleur de la marge d’appréciation n’est pas la même pour toutes les affaires mais varie en fonction du contexte (…). Parmi les éléments pertinents figurent la nature du droit conventionnel en jeu, son importance pour l’individu et le genre des activités en cause».[7] La juste application de cette théorie est donc fonction de l’importance respective que l’on attribue à ces différents facteurs. La Cour décrète-t-elle que la marge d’appréciation est étroite, l’arrêt conduira le plus souvent à une violation de la Convention ; considère-t-elle en revanche qu’elle est large, l’Etat défendeur sera le plus souvent « acquitté ».

Dans la présente affaire, c’est en se fondant principalement sur l’absence de consensus européen que la Grande Chambre s’est autorisée à invoquer la théorie de la marge d’appréciation (paragraphe 70). A cet égard, je relève que la présence de symboles religieux dans les écoles publiques n’est expressément prévue, outre l’Italie, que dans un nombre très restreint d’Etats membres du Conseil de l’Europe (Autriche, Pologne, quelques Länder allemands ; paragraphe 27). En revanche, dans la très grande majorité de ces Etats cette question ne fait pas l’objet d’une réglementation spécifique. Il me paraît difficile, dans ces conditions, de tirer de cet état de fait des conclusions sûres quant au consensus européen.

S’agissant de la réglementation relative à cette question, je relève en passant que la présence du crucifix dans les écoles publiques italiennes repose sur une base légale extrêmement faible : un décret royal fort ancien, puisqu’il date de 1860, puis une circulaire fasciste de 1922, et encore des décrets royaux de 1924 et de 1928. Il s’agit donc de textes fort anciens et qui, n’émanant pas du Parlement, sont dépourvus de toute légitimité démocratique.

Ce qui me paraît en revanche plus important c’est que, là où elles ont été appelées à se prononcer sur cette question, les cours suprêmes ou constitutionnelles européennes ont chaque fois et sans exception fait prévaloir le principe de la neutralité confessionnelle de l’Etat : la Cour constitutionnelle allemande, le Tribunal fédéral suisse, la Cour constitutionnelle polonaise et, dans un contexte légèrement différent, la Cour de cassation italienne (paragraphes 28 et 23).

Quoi qu’il en soit, une chose est certaine : la théorie de la marge d’appréciation ne saurait en aucun cas dispenser la Cour d’exercer les fonctions qui lui incombent en vertu de l’article 19 de la Convention, qui est celle d’assurer le respect des engagements résultant pour les Etats de la Convention et de ses Protocoles. Or la seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 crée à la charge des Etats une obligation positive de respecter le droit des parents d’assurer l’éducation de leurs enfants conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques.

Pareille obligation positive découle du verbe « respecter », qui figure à l’article 2 du Protocole no 1. Comme le relève à juste titre la Grande Chambre, « en sus d’un engagement plutôt négatif, ce verbe implique à la charge de l’Etat une certaine obligation positive » (paragraphe 61). Une telle obligation positive peut d’ailleurs se déduire également de l’article 9 de la Convention. Cette disposition peut en effet s’interpréter comme créant à la charge des Etats une obligation positive de créer un climat de tolérance et de respect mutuel au sein de leur population.

Peut-on alors affirmer que les Etats s’acquittent véritablement de cette obligation positive lorsqu’ils prennent principalement en considération les croyances de la majorité ? Par ailleurs, la marge d’appréciation revêt-elle la même ampleur lorsque les autorités nationales sont requises de s’acquitter d’une obligation positive que lorsqu’elles sont simplement tenues par une obligation d’abstention ? Je ne le pense pas. Je suis au contraire d’avis que lorsque les Etats sont tenus par des obligations positives, leur marge d’appréciation s’amenuise.

De toute façon, selon la jurisprudence, la marge d’appréciation va de pair avec un contrôle européen. La tâche de la Cour consiste alors à s’assurer que la limite de la marge d’appréciation n’a pas été dépassée. Dans la présente affaire, tout en reconnaissant qu’en prescrivant la présence du crucifix dans les salles de classe des écoles publiques la réglementation en cause donne à la religion majoritaire une visibilité prépondérante dans l’environnement scolaire, la Grande Chambre a été d’avis que « cela ne suffit toutefois pas en soi pour … établir un manquement aux prescriptions de l’article 2 du Protocole no 1 ». Je ne saurais partager ce point de vue.

 

2. Nous vivons désormais dans une société multiculturelle, dans laquelle la protection effective de la liberté religieuse et du droit à l’éducation requiert une stricte neutralité de l’Etat dans l’enseignement public, lequel doit s’efforcer de favoriser le pluralisme éducatif comme un élément fondamental d’une société démocratique telle que la conçoit la Convention.[8] Le principe de la neutralité de l’Etat a d’ailleurs été expressément reconnu par la Cour constitutionnelle italienne elle-même, pour laquelle il découle du principe fondamental de l’égalité de tous les citoyens et de l’interdiction de toute discrimination que l’Etat doit adopter une attitude d’impartialité à l’égard des croyances religieuses. [9]

La seconde phrase de l’article 2 du Protocole no 1 implique qu’en s’acquittant des fonctions qu’il assume en matière d’éducation et d’enseignement, l’Etat veille à ce que les connaissances soient diffusées de manière objective, critique et pluraliste. L’école doit être un lieu de rencontre de différentes religions et convictions philosophiques, où les élèves peuvent acquérir des connaissances sur leurs pensées et traditions respectives.

 

3. Ces principes sont valables non seulement pour l’élaboration et l’aménagement des programmes scolaires, qui ne sont pas en cause dans la présente affaire, mais également pour l’environnement scolaire. L’article 2 du Protocole no 1 précise bien que l’Etat respectera le droit des parents d’assurer l’éducation et l’enseignement conformément à leurs convictions religieuses et philosophiques dans l’exercice des fonctions (en anglais : any functions) qu’il assumera dans le domaine de l’éducation et de l’enseignement. C’est dire que le principe de la neutralité confessionnelle de l’Etat vaut non seulement pour le contenu de l’enseignement, mais pour l’ensemble du système éducatif. Dans l’affaire Folgerø, la Cour a relevé à juste titre que le devoir qui incombe aux Etats en vertu de cette disposition « est d’application large car il vaut pour le contenu de l’instruction et la manière de la dispenser mais aussi dans l’exercice de l’ensemble des « fonctions » assumées par l’Etat ».[10]

Ce point de vue est également partagé par d’autres instances, tant internes qu’internationales. Ainsi, dans son Observation générale No 1, le Comité des droits de l’enfant a-t-il affirmé que le droit à l’éducation se réfère « non seulement au contenu des programmes scolaires, mais également au processus d’éducation, aux méthodes pédagogiques et au milieu dans lequel l’éducation est dispensée, qu’il s’agisse de la maison, de l’école ou d’un autre cadre ».[11] Et le Comité onusien d’ajouter que « le milieu scolaire lui-même doit (…) être le lieu où s’expriment la liberté et l’esprit de compréhension, de paix, de tolérance, d’égalité entre les sexes et d’amitié entre tous les peuples et groupes ethniques, nationaux et religieux ».[12]

La Cour suprême du Canada a elle aussi relevé que l’environnement dans lequel l’enseignement est dispensé fait partie intégrante d’une éducation libre de toute discrimination : « In order to ensure a discrimination-free educational environment, the school environment must be one where all are treated equally and all are encouraged to fully participate. »[13]

 

4. Les symboles religieux font incontestablement partie de l’environnement scolaire. Comme tels, ils sont donc de nature à contrevenir au devoir de neutralité de l’Etat et à avoir un impact sur la liberté religieuse et le droit à l’éducation. Cela est d’autant plus vrai lorsque le symbole religieux s’impose aux élèves, même contre leur volonté. Comme l’a relevé la Cour constitutionnelle allemande dans son célèbre arrêt : « Certainly, in a society that allows room for differing religious convictions, the individual has no right to be spared from other manifestations of faith, acts of worship or religious symbols. This is however to be distinguished from a situation created by the State where the individual is exposed without possibility of escape to the influence of a particular faith, to the acts through which it is manifested and to the symbols in which it is presented »[14]. Ce point de vue est partagé par d’autres cours suprêmes ou constitutionnelles.

Ainsi, le Tribunal fédéral suisse a-t-il relevé que le devoir de neutralité confessionnelle à laquelle est tenu l’Etat revêt une importance particulière dans les écoles publiques, dès lors que l’enseignement y est obligatoire. Il a ajouté que, garant de la neutralité confessionnelle de l’école, l’Etat ne peut pas manifester, dans le cadre de l’enseignement, son propre attachement à une religion déterminée, qu’elle soit majoritaire ou minoritaire, car il n’est pas exclu que certaines personnes se sentent lésées dans leurs convictions religieuses par la présence constante dans l’école d’un symbole d’une religion à laquelle elles n’appartiennent pas.[15]

 

5. Le crucifix est sans conteste un symbole religieux. Selon le gouvernement défendeur, lorsqu’il se trouve dans l’environnement scolaire, le crucifix serait un symbole de l’origine religieuse de valeurs devenues désormais laïques, telles que la tolérance et le respect mutuel. Il y remplirait ainsi une fonction symbolique hautement éducative, indépendamment de la religion professée par les élèves, car il serait l’expression d’une civilisation entière et de valeurs universelles.

A mon avis, la présence du crucifix dans les salles de classe va bien au-delà de l’usage de symboles dans un contexte historique spécifique. La Cour a d’ailleurs déjà jugé que le caractère traditionnel d’un texte utilisé par des parlementaires pour prêter serment ne privait pas ce dernier de sa nature religieuse.[16] Comme l’a relevé la chambre, la liberté négative de religion n’est pas limitée à l’absence de services religieux ou d’enseignement religieux. Elle s’étend également aux symboles exprimant une croyance ou une religion. Cette liberté négative mérite une protection particulière lorsque c’est l’Etat qui expose un symbole religieux et que les individus sont placés dans une situation dont ils ne peuvent se dégager.[17] Même à admettre que le crucifix puisse avoir une pluralité de significations, la signification religieuse demeure malgré tout prédominante. Dans le contexte de l’éducation publique, il est nécessairement perçu comme une partie intégrante du milieu scolaire et peut même être considéré comme un signe extérieur fort. Je constate d’ailleurs que même la Cour de cassation italienne a rejeté la thèse selon laquelle le crucifix symboliserait une valeur indépendante d’une confession religieuse spécifique (paragraphe 67).

 

6. La présence du crucifix dans les écoles est même de nature à porter plus gravement atteinte à la liberté religieuse et au droit à l’éducation des élèves que les signes vestimentaires religieux que peut porter, par exemple, une enseignante, comme le voile islamique. Dans cette dernière hypothèse, l’enseignante en question peut en effet se prévaloir de sa propre liberté de religion, qui doit également être prise en compte, et que l’Etat doit aussi respecter. Les pouvoirs publics ne sauraient en revanche invoquer un tel droit. Du point de vue de la gravité de l’atteinte au principe de la neutralité confessionnelle de l’Etat, celle-ci est donc moindre lorsque les pouvoirs publics tolèrent le voile à l’école que lorsqu’ils y imposent la présence du crucifix.

 

7. L’impact que peut avoir la présence du crucifix dans les écoles est aussi sans commune mesure avec celui que peut exercer son exposition dans d’autres établissements publics, comme un bureau de vote ou un tribunal. En effet, comme l’a pertinemment relevé la chambre, dans les écoles « le pouvoir contraignant de l’Etat est imposé à des esprits qui manquent encore de la capacité critique leur permettant de prendre de la distance par rapport au message découlant d’un choix préférentiel manifesté par l’Etat » (paragraphe 48 de l’arrêt de la chambre).

 

8. En conclusion, une protection effective des droits garantis par l’article 2 du Protocole no 1 et par l’article 9 de la Convention exige de la part de l’Etat qu’il fasse preuve de la plus stricte neutralité confessionnelle. Celle-ci ne se limite pas aux programmes scolaires, mais s’étend également à « l’environnement scolaire ». L’instruction primaire et secondaire étant obligatoire, l’Etat ne saurait imposer à des élèves, contre leur volonté et sans qu’ils puissent s’y soustraire, le symbole d’une religion dans laquelle ils ne se reconnaissent pas. L’ayant fait, le Gouvernement défendeur a violé l’article 2 du Protocole no 1 et l’article 9 de la Convention.

 


[1] Justin Marozzi, The Man Who Invented History, John Murray, 2009, p. 97.

[2] Requiem pour une nonne, 1951.

[3] Wikipedia qualifie cette œuvre de « roman érotique » dans lequel l’auteur « explore toutes les facettes de la sexualité (…) : sadisme alterne avec masochisme, ondinisme/scatophilie avec vampirisme, pédophilie avec gérontophilie, onanisme avec sexualité de groupe, saphisme avec pédérastie, etc. (…) [Le] roman dégage une impression de « joie infernale » (…) »

[4] Akdaş c. Turquie, no 41056/04, 16 février 2010.

[5] Folgerø et autres c. Norvège [GC], no 15472/02, § 89, CEDH 2007-VIII ; voir également Hasan et Eylem Zengin c. Turquie, no 1448/04, § 63, CEDH 2007-XI.

[6].  Buscarini et autres c. Saint-Marin [GC], no 24645/94, CEDH 1999-I ; voir également Haut Conseil spirituel de la communauté musulmane c. Bulgarie, no 39023/97, 16 décembre 2004.

[7]Buckley c. Royaume-Uni, 25 septembre 1996, § 74, Recueil des arrêts et décisions 1996‑IV.

[8] Manoussakis et autres c. Grèce, 26 septembre 1996, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1996‑IV ; Kokkinakis c. Grèce, 25 mai 1993, § 31, série A no 260‑A.

[9] Cour constitutionnelle italienne, arrêt n° 508/2000.

[10] Folgerø et autres c. Norvège [GC], no 15472/02, § 84, CEDH 2007‑VIII. Les italiques sont de nous.

[11] Comité des droits de l’enfant, Observation générale N° 1, du 4 avril 2001, « Les buts de l’éducation », § 8. Les italiques sont de nous.

[12] Idem, § 19. Les italiques sont de nous.

[13] Cour suprême du Canada, Ross v. New Brunswick School District n° 15, § 100.

[14] Cour constitutionnelle allemande, BVerfGE 93, I I BvR 1097/91, arrêt du 16 mai 1995, § C (II) (1), traduction non officielle.

[15] Tribunal fédéral suisse, ATF 116 Ia 252, Comune di Cadro, arrêt du 26 septembre 1990, cons. 7.

[16] Buscarini et autres c. Saint-Marin [GC], no 24645/94, CEDH 1999‑I

[17] Lautsi c. Italie, no 30814/06, § 55, 3 novembre 2009.

Avviso 18 marzo 2011

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Dipartimento per l’Istruzione

Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e per l’Autonomia Scolastica

– Uff.I –

 

Si ricorda a tutte le istituzioni scolastiche che, con nota prot.aoodgos n.7506 in data 20 ottobre 2010, è stato emanato il bando dell’12° Concorso MIUR/ANCI – Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani, destinato agli alunni delle scuole di ogni ordine e grado, nonchè agli alunni frequentanti corsi IFTS, ovvero agenzie formative specializzate nei corsi post diploma e post laurea ad orientamento moda e calzaturiero, per la premiazione dei migliori progetti ed elaborati su argomenti attinenti la calzatura.

Il termine ultimo per presentare domanda di partecipazione da parte delle scuole è fissato per il giorno 30 maggio 2011.