IL GIUDICE DEL LAVORO RICONOSCE LA PEREQUAZIONE INTERNA AI DIRIGENTI SCOLASTICI VINCITORI DEL CONCORSO ORDINARIO: SIAMO ANCORA VENDITORI DI FUMO?
Ieri, ovvero giusto un anno fa, il giudice del lavoro di Brindisi, pronunciando in primo grado, ebbe a respingere, con due stringatissime sentenze in fotocopia, le richieste di perequazione interna e di perequazione esterna avanzate da un gruppo di dirigenti scolastici, con stravaganti (e spicciative) motivazioni tautologiche, quali l’esistenza di un apposito (aborto di) contratto nazionale della quinta area della dirigenza scolastica e vincoli di legge in termini di risorse finanziarie contingentate ex ante a fungere da sbarramento insormontabile.
Nel mentre i sindacati di comparto, resi rappresentativi dall’autolesionismo di «datori di lavoro» adusi a rilasciare, per misteri che ci restano inesplicabili, doppie e triple deleghe a chi naturaliter coltiva gli interessi, tipicamente impiegatizi, della ben più cospicua massa dei «lavoratori» (indistintamente, docenti e personale ATA), ebbero almeno il buon gusto di tacere, l’autoqualificatosi «sindacato più autorevole e rappresentativo della dirigenza scolastica» sottolineò con  malcelata soddisfazione la – presunta – débâcle della DIR-PRESIDI-SCUOLA, già impegnata a promuovere consimili ricorsi di massa in tutt’Italia a tutela del decoro della categoria; per ciò bollata come «venditrice di fumo» nell’illudere «i tanti colleghi che hanno ceduto il loro cervello all’ammasso della demagogia e della superficialità , vittime di improvvisati esperti di diritto, spregiudicati e furbastri dirigenti di un sedicente sindacato di presidi». E, facendosi forte di un parere pro-veritate commissionato ad un illustre giuslavorista e profumatamente pagato, infine sentenziava ai sempre più depressi colleghi (propri iscritti e non) che perequazione interna ed equiparazione retributiva con la restante dirigenza pubblica potevano trovare soluzione con il contratto e non affidandosi al giudice, trattandosi di materie «non suscettibili, per difetto di giurisdizione e per incompetenza, di essere affrontate e risolte da un giudice del lavoro»!!!
Per inciso, il contratto risolutivo non poteva essere quello ultimo firmato, insieme agli ex odiati confederali, in semiclandestinità nella torrida estate del 2010: che sanciva tra i dirigenti scolastici l’assurdità di ben quattro distinte retribuzioni a fronte della medesima funzione; che in luogo di realizzare la dichiarata equiparazione esterna ne allargava la forbice; che, in un allegato codicillo, la predetta equiparazione era rinviata «al prossimo rinnovo contrattuale» – e sono quattro! – e, beninteso, «nel rispetto delle autonome determinazioni del comitato di settore … nell’ulteriore esame delle connesse problematiche … e la definizione delle opportune soluzioni nella direzione del riallineamento retributivo»: sublime presa per i fondelli di una categoria ritenuta formata da minorati mentali. Ché, di questo passo, forse l’obiettivo potrebbe essere centrato a fine millennio!
Oggi, ovvero il 30 novembre u.s., una coraggiosa sentenza del Tribunale di Roma – sezione lavoro, rifuggendo da inconferenti formalismi e lasciandosi guidare da criteri sostanzialistici, ha integralmente accolto le ragioni di (per ora) 36 ricorrenti dirigenti scolastici «ordinaristi», di vedersi riconosciuta la retribuzione individuale di anzianità maturata nella carriera di provenienza, alla pari di tutti i dirigenti pubblici ed in particolare degli ex direttori didattici e presidi transitati nella dirigenza previo un indolore e sbrigativo corso di formazione, e dei c.d. ex presidi incaricati immessi nei ruoli dirigenziali in esito ad una non proprio cruenta corsia preferenziale loro riservata.
Richiamandosi ai fondamentali,  ravvisati assorbenti, principi costituzionali (scolpiti, segnatamente, negli articoli 3, 36 e 97) e dopo aver rimarcato che da sempre nella scuola è esistito un riconoscimento dell’anzianità maturata nella carriera di provenienza, sia nel pregresso regime pubblicistico che nell’attuale assetto privatistico, il giudice ha statuito che non può di certo costituire ostacolo il fatto che i contratti nazionali non la prevedono in modo specifico per chi – paradossalmente – ha avuto la sola sfortuna di vincere il più selettivo dei concorsi di accesso alla dirigenza pubblica: una premiazione del merito all’incontrario!
Sicché – prosegue il giudice – è ben possibile «estrapolare per stretta analogia la disciplina dai principi generali dell’ordinamento … e dal sistema concernente il trattamento economico dei dirigenti scolatici tutti appartenenti all’Area V MIUR». Insomma, a parità di funzione parità di trattamento economico. Quindi, disapplicabilità di un apposito contratto che, in luogo di configurarsi, in concreto, naturale strumento di tutela, si è trasformato in strumento di discriminazione interna della categoria, e  – aggiungiamo e ribadiamo – ha dilatato la sperequazione con la restante «generica» dirigenza pubblica, inclusi gli ancor più «specifici» dirigenti tecnici del MIUR sol perché collocati contrattualmente nell’Area I (comprendente i dirigenti di tutte le amministrazioni statali), nel mentre loro sventurati colleghi, surrettiziamente astretti nel comparto scuola (divina invenzione, tutta italica), sono stati recintati in una riserva indiana per preservare le dirigenze «vere» da qualsivoglia rischio di contagio.
La sentenza de quo – attenendosi strettamente al petitum, ovvero alla corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato – è circoscritta al riconoscimento della sola perequazione interna. Ma è incontrovertibile che i principi estrapolati dal magistrato del lavoro capitolino – che poi si compendiano nel principio di ragionevolezza – potranno e dovranno essere fatti valere in sede di perequazione esterna con i dirigenti di pari seconda fascia ed appartenenti al medesimo datore di lavoro, il MIUR: i predetti dirigenti amministrativi e dirigenti tecnici, i quali ultimi poi non sono, stricto iure, neanche dirigenti, bensì attributari di mere posizioni dirigenziali.
I criteri sostanzialistici che improntano i principi costituzionali dianzi richiamati, unitamente ai principi comunitari in materia di tutela del lavoro e di divieto di irragionevoli discriminazioni di posizioni lavorative nella sostanza equivalenti (quindi scrutinabili nel merito dal giudice, a prescindere da interposte qualificazioni formali) renderanno di palmare evidenza come il complesso dei poteri-funzioni-responsabilità intestato ai dirigenti scolastici – rinvenibile da un’allegazione comparata di irrefutabili dati normativi – sia più che equivalente con poteri-funzioni responsabilità facenti capo ai parigrado dirigenti amministrativi e dirigenti tecnici.
Certamente, la DIR-PRESIDI-SCUOLA è consapevole che l’ineludibile via contenziosa sarà irta di ostacoli, a cominciare dal sicuro appello da parte del MIUR, non costituitosi e restato contumace in primo grado, di una sentenza idonea a sortire effetti esplosivi, a macchia d’olio, in lungo e in largo lo stivale. E resta determinata, nell’ipotesi che siano infruttuosamente esauriti i gradi di giudizio interni, ad investire della questione la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Per intanto non disdegnerebbe, anzi auspicherebbe, l’ipotetica azione dei sindacati di comparto, che pure hanno sottoscritto il contratto da impugnare, a rinforzo della menzionata via giudiziaria: con quale coerenza poco importa, importando invece l’oggettivo interesse della categoria e, non meno, la sincera perseveranza nel sostenerlo sino in fondo.
E sarebbe non meno interessante conoscere ora le determinazioni del «sindacato più autorevole e rappresentativo della dirigenza scolastica»: restare prudenzialmente silente o sposare, ad adivandum, l’azione contrastiva dell’Amministrazione datrice di lavoro e, quindi, controparte dei dirigenti scolastici? Perché  ci sarebbe una logica in questa follia.