De Blasio sindaco, New York riparte dalla scuola. E da noi?

da Il Fatto Quotidiano

De Blasio sindaco, New York riparte dalla scuola. E da noi?

di Marina Boscaino

La culla del capitalismo finanziario, uno dei luoghi della discriminazione sociale e la sua cittadinanza offrono una sintomatica lezione di democrazia a tutti coloro che – rinunciando alle proprie radici culturali e al proprio Dna identitario – hanno per decenni rincorso il so(g)nno americano di una società disomogenea, dove vince il più (economicamente) potente.

Il nuovo sindaco di New York è Bill De Blasio, italo americano: impegnato da anni nella lotta contro la povertà, ha ribaltato ogni pronostico, registrando una percentuale di consensi superiore al 70%.

Insomma, nella metropoli del consumismo si può vincere affidandosi ad un programma decisamente non popolare: ” togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Il fatto che il 45% della popolazione di New York sia sotto la soglia della povertà, aveva dichiarato in campagna elettorale il neosindaco “non solo è ingiusto; è inefficiente, perché fa sprecare soldi pubblici”.

Ingiusto. È un aggettivo difficilmente usato dalla politica nostrana. Sa di vecchio, di vetero (comunista, naturalmente), non è sufficientemente “moderno”. Quindi fa parte di un vocabolario che il centrosinistra italiano ha desiderato spasmodicamente abolire – riuscendoci – per cancellare le tracce del proprio (inemendabile, comunque) peccato originale. E alcuni (la maggior parte) hanno applicato il diritto all’oblio ai propri principi in misura così ampia da aver sposato – nel merito e nel metodo – parole d’ordine (produttività, meritocrazia) lontane non solo dalle proprie matrici politico-culturali, ma anche dai mondi a cui vogliono affibbiarle. La scuola, ad esempio.

Invece De Blasio intende ripartire proprio dalla scuola. La principale ricetta contro l’aumento di diseguaglianze e disgregazione sociale è, guarda un po’, proprio questa comunità socio-educativa, sulla quale convogliare risorse economiche ed intellettuali. Esattamente il contrario di quanto da lustri si sta facendo da noi, inseguendo l’idea miope che ciò che non produce immediatamente profitto non sia degno di investimento; tentando di frenare qualsiasi istanza di pensiero divergente in proposito; ritenendo che i destini sociali debbano trovare nella scuola un luogo di conferma e non di emancipazione; diminuendo diritti, tempi, opportunità attraverso tagli draconiani, indiscriminati e soprattutto noncuranti di apprendimento e cittadinanza; privatizzando e affidando al principio di sussidiarietà quello che è l’onere di ogni Stato che abbia a cuore il destino dei propri cittadini.

De Blasio ha capito; e ha avuto il “coraggio” di dire e ripetere, a prescindere dagli interlocutori che aveva davanti, ciò che ha capito: “lo sviluppo economico viene dal sapere; dare un accesso più egualitario al sapere significa aumentare le pari opportunità di riuscita economica e compensare le diseguaglianze che si creano in gran parte a causa dei percorsi di istruzione radicalmente distinti tra ricchi e poveri. Io mi sono battuto per evitare i tagli alla scuola pubblica, mi batto nel mio programma per il doposcuola gratuito e per la scuola materna per tutti, perché l’esclusione comincia dall’infanzia”.

Un anello strategico – quello dell’infanzia – anche negli ordinamenti scolastici italiani. Il bisogno di una scuola dell’infanzia uguale per tutti e accessibile a tutti è stato uno dei motori del referendum di Bologna, che però – nonostante l’esito, o forse proprio per esso – non ha trovato né ascolto e nemmeno un minimo di attenzione da parte del cosiddetto centrosinistra, responsabile in gran parte, attraverso la legge di parità, dell’inadempienza da parte della Repubblica rispetto al compito costituzionale di “istituire scuole di ogni ordine e grado”. Quindi anche scuole dell’infanzia.

I propositi di De Blasio per assolvere ad un compito tanto ambizioso quale la generalizzazione di questo tipo di percorso formativo a New York è semplice: “togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Vedremo cosa riuscirà a fare. Quel che è certo, per il momento, è che il nostro centrosinistra farà volentieri a meno di ispirarsi a quei principi. In questo caso la proverbiale esterofilia da cui sono affetti i nostri patetici epigoni di Kennedy e Obama sarà prudentemente messa a tacere.

I compiti? Si fanno su WhatsApp

da Corriere della Sera

IL SONDAGGIO DI SKUOLA:NET

I compiti? Si fanno su WhatsApp

Chi non è sui social network è escluso dalle attività di classe

Mariolina Iossa

Una volta le mamme erano ben disposte ad organizzare merende didattiche a casa: «Studia con un tuo compagno, così vi date una mano, confrontate gli sforzi». Adesso non c’è più bisogno di pane e nutella sul tavolo della cucina con il compagno bravo, adesso l’aiuto è rimasto ma a distanza, c’è la tecnologia, la parola magica che risolve ogni problema, anche di studio. Se a scuola, nelle aule, e-book e lavagne multimediali faticano ad arrivare, a casa è già da un pezzo che si è detto addio alle enciclopedie, che resistono sugli scaffali della libreria domestica, pur mai aperte, alle telefonate e ai pomeriggi di studio in compagnia.  Oggi, ci racconta un approfondito sondaggio di Skuola.net condotto su un campione di 4 mila e 486 studenti, la scuola è social. Le nuove tecnologie hanno profondamente trasformato se non il modo di studiare in classe (libri, zaini pesanti, quaderni, penne e matite), sicuramente quello di prepararsi a casa per il giorno dopo o per la verifica di latino. Il vocabolario va comprato, questo è chiaro, e tuttavia confrontarsi con i compagni, attraverso il telefonino o il computer è d’obbligo.

LA CLASSE SU FACEBOOK – Due studenti su tre hanno infatti un gruppo-classe su Facebook o WhatsApp, è la prima cosa che si fa quando si passa di grado, dalle elementari alle medie e dalle medie alle superiori. Il gruppo della classe su Whatsapp è imprescindibile. Così ci si conosce anche meglio, e magari oltre a Cicerone ci scappa anche un cinemino al sabato, in tre, in cinque. Fin qui le famiglie hanno pian piano dovuto rassegnarsi, indietro proprio non si torna, ma la cosa ancora più innovativa è scoprire che di questi gruppi social fanno parte anche i professori: per adesso sono solo il 5 per cento su WhatsApp, ci sono ancora tanti insegnanti non pratici mentre per Facebook la percentuale, tutt’altro che insignificante, sale fino al 20 per cento. Sempre più frequentemente i docenti usano Facebook per comunicazioni da registro di classe come quelle relative a date di compiti e verifiche; pratico anche usare il social network per assegnare compiti per le vacanze.  Quanto a loro, ai ragazzi, non ci si pensa proprio ai sistemi più tradizionali: il 50 per cento, quindi uno su due, chiede aiuto sui compiti con WhatsApp e il 20 per cento su Facebook, mentre solo il 5 ormai si vede di persona e appena il 12 per cento finisce per utilizzare il telefono.

LIBRI IN RIBASSO  – La classica telefonata è ormai desueta: «Hai chiamato qualcuno per chiedere dei compiti che hai dimenticato di segnare?», chiede il genitore impaziente. «Gliel’ho scritto sul gruppo della classe», è la sempre più ovvia risposta. Il libro resta quello cartaceo, sia chiaro, e bisogna aggiungere purtroppo, tanto che l’86 per cento degli studenti non ne ha ancora acquistato neppure uno, solo il 7 per cento ne ha comprati almeno tre. Eppure, una volta a casa, il 90 per cento accende il web per svolgere gli esercizi.  La maggior parte dei ragazzi ha anche un gruppo Facebook , come già accennato, che condivide con i propri compagni di classe. Più di 4 studenti su 5 vi si ritrovano il pomeriggio per studiare insieme o scambiarsi informazioni sui compiti. C’è chi si spinge fino a a fotografare con il telefonino l’esercizio di matematica o di grammatica eseguito per «passarlo» ai compagni postandolo su Fb,k a volte senza neppure preoccuparsi se c’è qualche professore a leggere. «Tranqui ma’, copio da Facebook», è la frase che si sente più spesso nei pomeriggi di studio (?), e che fa inorridire i genitori. E infatti, per finire prima, si studia in gruppo su Facebook, uno fa matematica, il secondo geometria, un altro latino. Proprio come ci si divide i libri da portare in classe per non stramazzare al suolo sotto il peso degli zaini, così ci si aiuta reciprocamente per alleggerire il carico di studio pomeridiano. Lo fa senza problemi il 41 per cento, mentre oltre il 42 per cento non «copia», si scambia informazioni e appuntamenti.

FENOMENO WIKIPEDIA – Niente social network, invece, per fare sega a scuola, quella resta un’attività per pochi alla volta, pochissimi, roba da massoneria segreta. Il sondaggio di Skuola.net evidenzia dunque una profonda frattura tra come si studia in aula e come si studia a casa: è vero che mancano le risorse per digitalizzare le aule ma in qualche modo pure si dovrà fare per stare al passo con i giovani 2.0. Il 66 per cento di loro, una volta a casa, utilizza il proprio pc, fisso o portatile che sia, per studiare ed approfondire gli argomenti toccati in classe. E se i professori si sono fatti furbi e vietano il copia e incolla da Wikipedia, resta la necessità di forzare le tappe visto che le enciclopedie giacciono inutilizzate da qualche annetto ormai. Studiare, oggi, si può anche sull’autobus che porta alla palestra: un 18 per cento di studenti lo fa con lo smartphone alla mano e un 6 per cento con un tablet. Sono pochissimi quelli che non ancora non rinunciano alle enciclopedie, ai dizionari e ad altri libri in carta, sono appena il 9 per cento, una manciata di adolescenti ormai in via di estinzione.

I perché del principio di scolarizzazione e le prospettive negate

da Tecnica della Scuola

I perché del principio di scolarizzazione e le prospettive negate
Pubblichiamo, a firma di Bianca Fasano, una sorta di piccolo saggio sui trascorsi storici della nostra scuola: la sua funzione, gli obiettivi, le risposte, ma anche il suo mutarsi con un futuro nebuloso
Di anno in anno, più di sempre, a noi insegnanti sembra di comprendere che molti dei nostri allievi non vengano con piacere a scuola. Forse è un gentile eufemismo: non vorrebbero venirci per niente, neanche più per trascorrere del tempo assieme ai loro simili, che possono incontrare altrove, laddove “altrove” può anche significare il variegato mondo del Web. Verrebbe fatto di pensarlo anche ascoltando l’urlo di consenso che sale dalla strada, quando, sotto scuola, l’ennesimo evento di spargimento di creolina li “costringe” ad allontanarsi. Fatti salvi ovviamente coloro che contrastano tale asserzione. E in Campania abbondano anche i veri e propri atti di vandalismo: San Sebastiano al Vesuvio 2 ottobre: allagamento nel liceo scientifico “S. Di Giacomo”.14 ottobre, nuova irruzione nella struttura di Via Falconi e nuovo allagamento con lo sperato (e disperato) blocco delle lezioni. 30 ottobre, nella scuola primaria “Pertini” di Via Falconi (non si può pensare certo ad allievi), ignoti appiccano, il fuoco ad un armadietto pieno di libri ed i pompieri domano rapidamente le fiamme. Cosa che purtroppo non accade il primo novembre, alla scuola primaria “E. Toti” di Via Principessa Margherita: due aule semidistrutte, ingenti danni all’impianto elettrico e il timore che l’incendio distruggesse l’intero Edificio. Eppure la necessità della scolarizzazione viene da lontano ed ha avuto un percorso complesso e difficile, in un mondo dove ai giovani non era permesso di esserlo. Basti ricordare che fino alla metà del sec. XIX i tre quarti circa della manodopera impiegata nelle fabbriche tessili inglesi erano donne e ragazzi fra i dieci e i diciotto anni. Per anni, ed occorrerebbe forse ricordarlo ai nostri giovani, l’infanzia non è esistita: -“Egli era davvero malvagio contro chi lo maltrattava, torvo, ringhioso e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincattucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel pane di otto giorni, come facevano le bestie sue pari; e ciascuno gli diceva la sua motteggiandolo, e gli tirava dei sassi, finché il soprastante lo rimandava a lavorare con una pedata”.[ – Non è senza ragione gli scrittori dell’epoca ponevano in luce la sofferenza di questi ragazzi privati dell’infanzia e la feroce indifferenza degli adulti nei loro confronti. In Italia, con la creazione delle prime Scolette e Custodie, non c’era l’intervento del Governo o di un non esistente “ministero per l’istruzione”, ma di privati ed enti religiosi che assolvevano il compito di ridurre l’altissimo tasso di analfabetismo e di consentire alle madri operaie di andare al lavoro, non lasciando incustoditi i figli. Pessima la qualità dell’istruzione e dell’igienicità dei luoghi in cui questa era impartita. I Brefotrofi accoglievano i bambini del popolo e i bambini abbandonati. Che erano troppi. Giungiamo alla metà dell’ottocento, con la comparsa dei primi pedagogisti, per cominciare a concretare l’idea di una struttura che fosse indirizzata all’insegnamento ed alla cultura, più che alla custodia ed alla sorveglianza Nasce con loro anche una maggiore attenzione nei confronti del bambino, tenendo presente la necessità della sua educazione, cercando, probabilmente, di accentuare l’utilizzo di strutture nate ad hoc anche allo scopo di diminuire i casi di abbandono e morte infantile (cosa che non è risolta completamente neanche oggi). In Italia, alla fine del 700, il primo problema era nel far comprendere alle famiglie poverissime che un loro figlio non doveva più essere inteso come forza lavoro utile alla famiglia stessa, ma come individuo che, acculturandosi, avrebbe potuto raggiungere l’emancipazione sociale ed economica. Occorrerebbe ricordare ai nostri giovani che questo problema, per una parte del mondo “civile” e globalizzato odierno, come ben sappiamo, non è per nulla risolto: “La povertà aumenta il rischio che i bambini siano coinvolti nel lavoro” – denuncia Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro Secondo le stime ILO (International Labour Organization). 215 milioni di piccoli “INVISIBILI”, a livello internazionale, di cui ben 115 milioni svolgono attività pericolose, soprattutto nell’agricoltura. Di questi quarantuno milioni sono femmine e settantaquattro milioni maschi. E’ cosa certa che molti di questi bambini lavorino in condizioni disumane. Mentre i nostri ragazzi urlano di gioia nel non entrare a scuola. Tornando in Italia agli inizi dell’ottocento, si cominciò a comprendere che la scuola dovesse essere gratuita, ma anche obbligatoria. Dice in tal senso il Genovesi : -“ vi è qui un circolo vizioso: senza scuola non acquista fondamento il concetto di infanzia e senza quest’ultimo concetto non sembra aver senso la scuola. Comunque stiano le cose è certo che in situazioni economiche drammatiche ed assolutamente precarie, il togliere delle braccia lavorative da una famiglia è un momento di ulteriore crisi insopportabile.”- Problema che esiste ancora oggi dove la mappa del lavoro e dello sfruttamento minorile si evidenzia chiaramente sia nel Mezzogiorno sia nel Nord-est. Più presente, ovviamente nei casi in situazioni di degrado familiare e sociale, sommandosi a carenze infrastrutturali che permettono maggiore criminalità organizzata, alti tassi di disoccupazione e povertà. Non è dunque cambiato molto dai tempi che lamentava il Genovesi e la cosa dovrebbe quantomeno sorprendere. Fatto sta che a fronte della poca o molta voglia di studiare da parte di alcuni ragazzi, si pone la necessità economica delle famiglie (lavoro giovanile), o, cosa ancora peggiore, la possibilità dei ragazzini di entrare a far parte di una manovalanza illegale (di ogni possibile tipologia, compresa quella sessuale). Al primo censimento post-unitario del 1861, fu rilevata una media di analfabetismo del 75%, dato tanto più drammatico quanto più si andava a sud e più diffuso tra la popolazione di sesso femminile. Ma tornando ad oggi, Vittoria Gallina (docente dell’Università la Sapienza di Roma e Roma3) asserisce: «Parliamo di casi di analfabetismo funzionale, o di illetteratismo, nei casi di persone che hanno avuto occasione di sperimentare un percorso scolastico, anche molto breve ma hanno comunque una modalità estremamente ridotta di usare gli strumenti appresi». E scopriamo che si tratta dei ¾ della popolazione studiata, suddivisi in un 5% di popolazione che pur avendo frequentato la scuola presenta fenomeni gravi di regressione culturale al limite dell’analfabetismo, e una massa, circa il 70% della popolazione, che ha competenze estremamente limitate. Ai primi del 900 dobbiamo ricordare che l’inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia di Francesco Saverio Nitti (1910) rilevò un cambiamento: -“Vi era in passato una grande indifferenza da parte delle classi borghesi per la diffusione dell’alfabeto: era in molti comuni una vera diffidenza. Ora tutto ciò è mutato, sopra tutto coll’emigrazione. Se ancora i galantuomini sono spesso diffidenti o indifferenti, è spesso il popolo che reclama una migliore istruzione […]. Molti contadini, invece di dolersi delle sofferenze materiali che li affliggono, si dolevano della poca istruzione […] si dolevano che le scuole andassero male o per incuria del municipio, o per deficienza di locali, o per colpa del personale insegnante […]. Molto progresso vi è rispetto alla frequenza delle scuole elementari ed alla coscienza di esigere questo servizio dal municipio. Ciò si deve […] all’emigrazione. Gli emigrati scrivono dall’America alle loro mogli di mandare i figli a scuola. Si deve a questo se le aule scolastiche sono oggi affollate ed insufficienti, in molti comuni, a contenere gli alunni.”- Condiviso da Gaetano Salvemini, in un’inchiesta affine svolta in Calabria:- “il desiderio dell’istruzione si è manifestato ovunque ardentissimo da dieci anni a questa parte per effetto dell’emigrazione negli Stati Uniti.”- Trovo davvero che vi sia qualcosa su cui meditare: 1) la globalizzazione non ha reso a tutti i bambini del mondo una reale possibilità di vivere la propria infanzia. 2) Ai primi del 900 gli italiani sembravano avere compreso, soprattutto nelle classi meno abbienti, che la cultura poteva fare la differenza tra una speranza più certa in un domani economicamente e socialmente valido e la negazione di questa. 3) i giovani non vedono la scuola, la cultura scolastica, il successivo iter universitario (i possibili dottorati di ricerca, laddove possano trovarvi spazio), come una realtà di miglioramento sociale economico. Non sembrano rendersi conto di essere dei fortunati, rispetto ai tanti bambini che non possono recarsi a scuola serenamente e non credono più che cultura e alternative di vita migliori camminino di pari passo. Una ben triste considerazioni da farsi ad oltre 100 anni da quei difficili tempi delle migrazione italiana.

Paritarie, la “crociata” del PdL continua

da Tecnica della Scuola

Paritarie, la “crociata” del PdL continua
di A.G.
Elena Centemero, responsabile nazionale della scuola: questi istituti continuano ad essere considerati dal governo, e in particolare dalla ministra Carrozza, una parte residuale del nostro sistema scolastico. Dito puntato su DL 104 e legge di stabilità.
Il Pdl continua la sua “crociata” a favore delle scuole paritarie. Stavolta a lamentarsi per la poca attenzione da parte del Governo verso questo genere di istituti è stata Elena Centemero, deputato del Pdl e responsabile nazionale della scuola per lo stesso raggruppamento politico.
Secondo Centemero, “le scuole paritarie continuano ad essere considerate dal governo, e in particolare dalla ministra Carrozza, una parte residuale del nostro sistema scolastico. Lo avevamo già capito in occasione del Dl Scuola, un provvedimento in cui non era riservata una sola riga al sistema integrato di istruzione pubblica e nel quale si voleva introdurre una serie di misure punitive nei confronti degli istituti paritari, scongiurate grazie all’impegno del PdL”.
Centemero si scagli anche con il provvedimento contabile nazionale più importante da qui alla fine dell’anno. “Ora – prosegue la deputata PdL – la legge di stabilità interviene con un taglio drastico sugli stanziamenti per le paritarie nel 2014, ostacolando di fatto non solo la possibilità di una seria programmazione dell’attività didattica ma anche la loro stessa sopravvivenza. Tutto ciò, mentre le spese del Ministero dell’Istruzione – anche quelle che sarebbe possibile e giusto ridurre – vengono escluse dalle nuove misure di spending review. Come dire: la moltiplicazione delle sedi e degli uffici così come gli sprechi vanno tutelati, mentre la pluralità dell’offerta formativa e la libertà di scelta educativa delle famiglie no”, conclude Centemero.

D.L. istruzione, il Pdl si mette di traverso: inaccettabile blindarlo!

da Tecnica della Scuola

D.L. istruzione, il Pdl si mette di traverso: inaccettabile blindarlo!
di Alessandro Giuliani
Il sen. Renato Schifani: il mio gruppo ha grossi problemi di coscienza e politici ad approvare il provvedimento. E’ inaccettabile: se dovesse riaccadere ci riterremo liberi di poter votare in serenità senza che ciò possa costituire oltraggio al patto di coalizione. Parole dure, che mettono a repentaglio la conversione in legge del decreto. E i tempi per “ricucire” sono strettissimi.
A poche ore dalla votazione finale dell’Aula del Senato del decreto legge scuola n. 104, le crepe della maggioranza parlamentare potrebbero mandare all’aria la conversione in legge del provvedimento. Mentre dal centro-sinistra giungono messaggi di distensione e di ottimismo, dal Partito delle Libertà arrivano parole di tutt’altro tenore. Il senatore Renato Schifani, presidente dell’Aula di Palazzo Madama nell’ultimo Governo Berlusconi, ha testualmente detto che il Pdl “ha grossi problemi politici ad approvare” il dl scuola per la contrazione dei tempi di esame al Senato.
“C’è grande malessere sulla impossibilità di emendare il testo”, ha continuato Schifani. Per poi aggiungere: “E’ inaccettabile essere privati della possibilità di votare e discutere”, afferma il capogruppo Pdl Renato Schifani nell’Aula del Senato, dove è iniziata la discussione generale sul decreto scuola. “Le Camere devono avere pari dignità” nel poter esaminare i provvedimenti. E invece il decreto scuola arriva al Senato ‘blindato’, per essere approvato in tempi stretti. Perciò, spiega Schifani, “il mio gruppo ha grossi problemi di coscienza e politici ad approvare questo provvedimento. E’ inaccettabile, non si può più ripetere. Ove dovesse tornare a ripetersi, il mio gruppo si riterrà libero di poter votare in serenità senza che ciò possa costituire oltraggio al patto di coalizione. Nel Pdl – afferma il capogruppo – c’è grande malessere per la impossibilità di emendare questo provvedimento”.
Al Pdl, in pratica, non è andata già la decisione di rendere immodificabile il testo approvato alla Camera l’ultimo giorno di ottobre. Viene considerata un’ingerenza. Probabilmente perché più di qualche senatore avrebbe voluto apportare modifiche al provvedimento. Ma, d’altra parte, anche un emendamento avrebbe determinato un pericoloso ritorno del decreto alla Camera.
Nelle prossime ore si capirà se le minacce di Schifani si tradurranno in un’opera di ostruzione verso il provvedimento. Che, visti i tempi ristrettissimi, si tradurrebbe in un sicuro decadimento del discusso decreto legge 104.

“Dovete tornare” e la scuola richiama i prof in pensione

da Tecnica della Scuola

“Dovete tornare” e la scuola richiama i prof in pensione
di Pasquale Almirante
Una storia dell’assurdo, alla Beckett, accade a Treviso dove almeno otto docenti, con quarant’anni di anzianità e in già pensione, vengono richiamati a scuola dal Miur: ci siamo sbagliati, al lavoro
È sembrata loro, racconta il Corriere del Veneto, ad una prima lettura della comunicazione del Miur una sorta burla di grottesco sapore, ma poi leggendo meglio e confrontando protocolli e firme hanno capito che la missiva era seria, fin troppo seria, anzi raccapricciante. E così almeno otto docenti sono stati improvvisamente catapultati, come in un incubo, dalla sospirata quiete della pensione, all’usato quarantennale lavoro. «Una comunicazione che mi ha cambiato la vita – spiega il trevigiano R.R., uno dei professori beffati – qui si è giocato con la vita delle persone», per cui è stato giocoforza rivolgersi agli avvocati che stanno verificando la sussistenza degli estremi giuridici per chiedere l’annullamento del provvedimento o per valutare un eventuale risarcimento dei danni. «A dire il vero la cessazione di servizio partiva dal primo settembre – continua l’insegnante – ma quella telefonata mi ha cambiato la vita: nonostante il ritardo ero comunque felice di dar seguito alle passioni che avevo dovuto mettere in secondo piano. Ho terminato la mia ultima lezione e ho salutato tutti». Venti giorni dopo però il contrordine: «Prof, c’è stato un errore. Deve tornare a scuola». L’avviso è perentorio: «si comunica che la cessazione di servizio è da considerarsi annullata». Ma cosa è successo esattamente? Il prof fa parte di quella schiera di docenti della “Quota 96”, nati cioè nel 1952 ma incappati senza volerlo nelle maglie ossessive della Legge Fornero che posticipa di 5 anni il diritto, acquisito al 31 agosto del 2012, alla pensione. «Sul punto (della Legge Fornero) è stata portata avanti una class action – precisa il prof – ma non sappiamo ancora quale potrà essere l’esito dell’azione legale contro il ministero». Nel frattempo scatta la norma che «se ci sono esuberi in una classe di concorso e avendo acquisito i quarant’anni di lavoro, questi esuberi possono andare in pensione». Ed ecco spiegarsi il quid. Su questa norma la scuola manda in quiescenza questi incolpevoli docenti, ma poi il 20 ottobre arriva l’amara rettifica. «Scusate, ci siamo sbagliati, l’esubero non è proficuamente utilizzabile». Un esubero bluff in poche parole e che in ogni caso discrimina e divide e che non rende giustizia, non solo a questi insegnanti veneti due volte beffati, ma anche a tutti gli altri in possesso di uguali requisiti ma non “esuberanti”. «Siamo stati trattati come sacchi di patate – si sfoga ancora l’insegnante trevigiano – è ingiusto quello che ci è capitato dopo così tanti anni di servizio. Inammissibile venire trattati con tanta superficialità su aspetti della vita così importanti». Il Corriere del Veneto precisa che l’insegnante invierà una lettera al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza per informarla di quanto accaduto. «Mi sembra doveroso far sapere cosa succede in questo Paese – continua – senza contare che la beffa potrebbe rivelarsi molto lunga. Se la class action contro la legge Fornero non porterà i risultati sperati, dovrò restare in servizio fino al 2017». Altri tre anni, se tutto va bene. «Possono sempre intervenire nuove normative – chiude il prof beffato – un mio collega che ha rifiutato il pensionamento per insegnare un ulteriore anno, per sopravvenute leggi si è visto rinviare la cessazione di servizio di altri cinque anni. Vista l’instabilità dei nostri governi, non posso quindi sapere quanto questo “errore” mi costerà in termini di anni di lavoro, se cioè nell’agosto 2017 potrò andare in pensione o se un nuovo cavillo di una nuova normativa confezionata da un nuovo ministro stravolgerà ancora la mia vita».

Il cyber-bullismo peggio della droga e delle molestie

da Tecnica della Scuola

Il cyber-bullismo peggio della droga e delle molestie
di P.A.
Un adolescente su tre diffonde su Internet notizie false e offensive sui coetanei. Uno su cinque ha ricevuto l’invito a far parte di un gruppo per prendere di mira qualcuno. Il 14 per cento è stato vittima di un messaggio minaccioso o offensivo
Nelle chat cresce il rischio del cyberbullismo, a parere dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, e i segnali ci sono tutti. Lo racconta La Stampa che cita un’indagine condotta da Ipsos.  Qui si rivela che il 4 per cento degli intervistati piemontesi ha addirittura scoperto su Internet una propria immagine imbarazzante postata senza permesso. Il 9 per cento dei ragazzi intervistati, infine, si è visto «rubare» una mail riservata o fatta leggere con fiducia, e ritrovata poi su un profilo pubblico. «Il dato più sconcertante – spiegano gli esperti dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte – riguarda i pericoli percepiti dai ragazzi: il 72 per cento dei giovanissimi riconosce oggi nel cyberbullismo la più grande minaccia da cui difendersi. E questa «aggressione», che può giungere in ogni momento e in qualunque luogo attraverso i nuovi mezzi tecnologici, viene ritenuta più pericolosa della droga (55%), del rischio di subire una molestia da un adulto (44%), o della possibilità di contrarre una malattia sessualmente trasmessa (24%)». Nel tritacarne delle chat si diventa vittime soprattutto perché considerati «diversi» per l’aspetto fisico (67%), per l’orientamento sessuale (56%) o perché di un’altra nazionalità (43%). Discriminazione, omofobia e razzismo si diffondono più rapidamente di un tempo. «Il cyberbullismo accomuna ragazzi e ragazze, gli studenti delle diverse tipologie di scuola secondaria, italiani e stranieri». Un fenomeno «particolarmente evidente nel passaggio dalla scuola media a quella di secondo grado». Per 38 ragazzi su cento il bullismo che passa attraverso chat come WhatsApp e social network come Facebook arriva a compromettere il rendimento scolastico, nel 65 per cento dei casi – rivela un’indagine di Save the Children – porta all’isolamento distruggendo la volontà di aggregazione della «vittima», fino ai casi più gravi che arrivano a veri e propri disturbi psicologici.

Gli studenti in piazza il 15 novembre: per l’istruzione pubblica

da Tecnica della Scuola

Gli studenti in piazza il 15 novembre: per l’istruzione pubblica
di P.A.
E’ venuto il momento di invertire la marcia, dicono gli studenti. Il Ministro deve aprire un confronto per ridiscutere e superare questo sistema totalmente iniquo
Questa stagione di tagli e “riforme” è coincisa in Italia, dice un comunicato degli studenti, con l’insorgere della crisi che ha sprofondato milioni di famiglie in un tragico disagio economico e sociale contribuendo all’espulsione di migliaia di giovani dai percorsi d’istruzione, ormai riservati ai pochi che possono permetterselo. In questo quadro l’Italia resta penultima in Europa per numero di giovani laureati, la disoccupazione giovanile è superiore al 40% e il numero dei NEET nella fascia 15-29 anni, che non studiano, non lavorano e non si formano, ha ampliamente superato i 2 milioni. Gli studenti in protesta dichiarano che “l’istruzione, da fondamentale strumento di mobilità sociale, viene trasformata in privilegio, a causa delle scelte dei governi che in questi anni si sono succeduti.” Dice Lista Gulliver Sinistra Universitaria: “Chiediamo con questa protesta investimenti che permettano il libero accesso al mondo dell’istruzione: in modo da dare a tutti la possibilità di studiare, combattendo così il crescente abbandono scolastico e azzerando i costi che ogni anno siamo costretti a pagare per poter accedere ad un diritto che la nostra Costituzione ci garantisce e definisce come gratuito. Vogliamo un reale rifinanziamento dell’università, cui corrisponda la reintroduzione di un vero limite alla contribuzione studentesca, aggirato con le norme della spending review, e l’abbassamento delle tasse universitarie: basta scaricare i costi sugli studenti!” “Chiediamo con questa protesta un reale rifinanziamento del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, che permetta alle Regioni la copertura del 100% degli idonei.” “Vogliamo che gli investimenti in istruzione e ricerca non siano considerati ai fini del calcolo del rapporto deficit/PIL, e quindi liberati dal giogo del patto di bilancio: fermiamo l’austerity della conoscenza!”

Le 24 ore a settimana dietro l’angolo?

da Tecnica della Scuola

Le 24 ore a settimana dietro l’angolo?
di Pasquale Almirante
Siccome nel nostro Paese da qualche anno nessuna certezza è certa e siccome la politica ama giocare pesante e a mosca cieca, da qualche parte si sibila il ritorno, “catellon catelloni”, delle 24 ore settimanali
Unicobas e l’associazione Professione insegnate mormorano che, a causa del mancato senso di “appartenenza” tra i docenti dei vari ordini di scuola, sarebbe gioco facile da parte del Governo non solo dividerli ulteriormente, ma anche spingerli a robusti contrasti.  Il motivo, col pericolo paventato, sarebbero le famigerate 24 ore a settimana per la cui implementazione favorevoli sarebbero gli insegnanti della scuola dell’ infanzia e primaria, considerato che già ne svolgono fino a 26, contrari tutti gli altri. E che ci sarebbe in aria, ma forse più che nell’aria, di imporre l’aumento dell’orario di lavoro da 18 a 24 ore, nelle secondaria di primo e di secondo grado, si percepirebbe dal fatto che l’attuale governo vorrebbe già nel 2014 riaprire la parte normativa del contratto, all’interno del quale inserire proprio questa sorta di salasso lavorativo, facendo leva sia sulla divisione dei docenti (elementari e medie) e sia su quella del sindacato. Se d’altra parte, si borbotta, all’epoca del ministro Profumo non se ne fece nulla, fu per causa dell’imminente tornata elettorale, oggi questo timore non ci sarebbe, per cui nulla impedirebbe che si aprano le cataratte: dell’ignominia o meno, spetterà all’unità di tutti i prof definirle. Tuttavia, aggiungiamo, il problema che giornalmente viene messo in primo piano riguarda quel famigerato debito pubblico, insieme alle enormi spese dello Stato che stanno superando gli 80 miliardi di euro annui e che da anni si dice devono essere ridimensionate. Dove tagliare? Considerato che la Difesa (aerei, navi, elicotteri e personale), ministeri e costi della politica sono intoccabili e che sulla sanità c’è ormai poco da raschiare, nell’angolo è rimasta la scuola, già vessata è vero, e anche troppo, ma portatrice comunque di ulteriori risparmi, e apparentemente senza colpo ferire, considerato che ci si allineerebbe all’Europa che è Entità politica a convenienza e alla bisogna di una efficace demagogia. E come allora? Alzando il numero di ore settimanali ai docenti della secondaria di primo e secondo grado, oppure accorciando di un anno, da 5 a 4, il corso di studi delle superiori. Se poi la valle di Josafat dei precari si ingolfasse a dismisura, se anche docenti di ruoli andassero a ramengo e se i ragazzi perdessero ore importanti di formazione sono questioni che non intaccherebbero minimamente l’olimpica stabilità della “Grosse Koalition”. Vedremo.

Supplenze su sostegno e domande di messa a disposizione

da Tecnica della Scuola

Supplenze su sostegno e domande di messa a disposizione
di L.L.
Il Ministero chiarisce che i dirigenti scolastici possono nominare il personale specializzato sul sostegno, ma non incluso nelle graduatorie di istituto di nessuna provincia, solo dopo aver accertato l’assoluta mancanza di personale specializzato inserito nelle graduatorie di istituto dell’intera provincia
A chiarimento della nota prot. n. 9416 del 18 settembre 2013, cui aveva fatto seguito un’ulteriore nota di precisazione, il Miur è nuovamente tornato sulla questione della messa a disposizione di docenti specializzati sul sostegno.
Con la nota prot. n. AOOODGPER 11729 del 5 novembre 2013 il Ministero, con riferimento ad alcune incertezze interpretative riscontrate nell’applicazione della nota in riferimento, chiarisce che i dirigenti scolastici possono procedere alle nomine di personale specializzato sul sostegno, ma non incluso nelle graduatorie di istituto di nessuna provincia, solo dopo aver accertato l’assoluta mancanza di personale specializzato inserito nelle graduatorie di istituto dell’intera provincia.

DISAL: DL 104 inefficace su 3 emergenze

da tuttoscuola.com

DISAL: DL 104 inefficace su 3 emergenze

La scuola deve affrontare almeno tre emergenze a cui il decreto 104 risponde in modo inefficace. Lo sostiene Roberto Pellegatta, responsabile delle Relazioni europee e istituzionali dell’associazione dei dirigenti scolastici Disal, in una dichiarazione rilasciata all’agenzia Dire. “E’ un testo che si occupa del bonus maturità, del  fumo e di tanti altri piccoli particolari che non affrontano però la crisi della scuola, una crisi formativa e culturale che dipende dalle istituzioni”.

Per Pellegatta, preside dell’Istituto professionale ‘G. Meroni’ di Lissone, la prima urgenza è di tipo “istituzionale-normativo e investe il rapporto scuola-lavoro, con la necessaria valorizzazione professionale e l’esigenza di realizzare più attività pratiche all’interno degli istituti”. In secondo luogo “abbiamo un’emergenza di carattere sociale, legata al tema dell’autonomia scolastica che dopo 18 anni dalla legge si è concretizzata in un maggiore statalismo lontano dal rispondere ai bisogni veri di docenti, presidi e famiglie”. In terzo luogo, aggiunge l’esponente della Disal, “il riordino delle superiori e delle medie“.

La scuola avrebbe anche bisogno, a suo giudizio, di concorsi, che non arrivano, e di una preparazione più adeguata. Invece nel nostro Paese “si procede al solito modo, all’italiana: la scuola cammina grazie alla buona volontà di molti che fanno il loro dovere con passione. C’è tanta buona Volontà – sottolinea Pellegatta- ma questo non può diventare un sistema”.

Pellegatta conclude la sua analisi parlando dei suoi colleghi presidi: “Il fallimento del concorso per dirigenti scolastici in questi ultimi quattro anni ha messo in difficoltà la realizzazione di una vita seria della scuola, poichè ogni anno migliaia di istituti si trovano a cambiare dirigente. La scuola ha bisogno di stabilità, cura e tempo. È come il terreno di un contadino, se tutti gli anni cambia il contadino quel terreno non produrrà piu’ niente. Non a caso le parole cultura e coltura si somigliano, perchè l’istruzione non è solo spirito, è fatta anche di una materialità che deve favorire appunto la disponibilità dello spirito. La politica su questo ha delle responsabilità molto serie”.

DL 104: salvataggio CNPI mancato

da tuttoscuola.com

DL 104: salvataggio CNPI mancato

Tre settimane fa Tuttoscuola auspicava un emendamento governativo al DL 104, allora in fase di conversione alla Camera, per porre rimedio alla sentenza del TAR Lazio (n. 8843 del 3 ottobre 2013) che aveva “resuscitato” il Consiglio superiore della pubblica istruzione istituito 14 anni fa e mai messo in opera.

La sentenza del TAR era conseguente alla mancata proroga del CNPI, ma il ritorno di un organo collegiale ormai fuori contesto istituzionale rischia(va) di essere una soluzione negativa.

I 60 giorni imposti dalla sentenza per avviare le procedure di attivazione del Consiglio Superiore richiedevano un immediato intervento legislativo per evitare conseguenze pressoché disastrose.

“Si potrebbe intervenire – dicevamo allora – con un emendamento governativo sul decreto legge 104, attualmente in fase di conversione alla Camera, nel rispetto dei requisiti di urgenza e di straordinarietà proprie del decreto.”

“Innanzitutto si dovrebbe togliere di mezzo il decreto legislativo 233/1999 – continuava la proposta di Tuttoscuola – che aveva previsto l’improbabile Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che, se attuato oggi, provocherebbe confusione, contraddizione e disorientamento istituzionale. In che modo? Abrogandolo, facendo, però, attenzione alle norme transitorie in esso contenute.

Considerato che non è possibile prorogare sic et simpliciter il CNPI, organo già decaduto da quasi un anno, si dovrebbe prevedere un recupero delle sue funzioni già esercitate fino al dicembre scorso, affidandole in via transitoria (per un anno o due?) allo stesso CNPI nella struttura esistente a tutto il 2012, in una specie di ufficio-stralcio.

Infine, come terzo intervento emendativo, dovrebbe essere previsto nella fase transitoria con legge ordinaria la riforma degli organi collegiali della scuola dell’autonomia.

Si può fare? Se sì – concludeva la proposta di Tuttoscuola – occorre procedere di corsa utilizzando il decreto legge 104”.

Da quel che sappiamo, il ministero ci ha provato, ma i tempi troppo stretti per introdurre un emendamento del genere hanno reso impossibile qualsiasi intervento durante la fase di dibattito alla Camera.

È ora impensabile che si tenti una modifica al Senato, visti i tempi strettissimi (entro lunedì 11 novembre) per la definiva conversione in legge del DL 104.

Occorre, quindi, pensare ad un intervento specifico (e urgente) che colmi il vuoto lasciato dal CNPI ed eviti la costituzione di un organo collegiale fuori sistema.

Nutra-Scienza per Horizon 2020

Nutra-Scienza per Horizon 2020
Bio-Economia e Innovazione Agro-Alimentare
CON IL PATROCINIO DI
un working space per supportare la partecipazione ai bandi Horizon 2014-15
13 dicembre 2013, ore 9:30÷13:00
c/o CNR, via Madonna del Piano 10, Sesto Fiorentino

L’iniziativa Nutra-Scienza per Horizon 2020 mira a sviluppare nuove prospettive di
ricerca e innovazione con riferimento ai bandi 2014-15 di Horizon 2020 per la Societal Challenge 2:
“Food Security, Sustainable Agriculture, Marine and Maritime Research and the Bioeconomy”.
Lo scopo dell’incontro è condividere tematiche e obiettivi su cui aggregare “cluster di competenze
scientifiche e tecnologiche” capaci di co-organizzarsi per partecipare con successo a proposte sulla qualità e
sicurezza in agricoltura e nell’agroalimentare rispondenti ai bandi 2014-15 della Societal Challenge 2, che
saranno pubblicati l’11 dicembre 2013. Il workshop intende, infatti, far convergere l’attenzione e gli interessi
su un numero ridotto di argomenti, esplorandone le opportunità per promuovere partnership europee di
eccellenza. Il risultato atteso dell’evento è la costituzione di alcuni Interactive Working Group (IWG) che
costituiranno l’elemento organizzativo per la concretizzazione di progetti e partecipazioni ai bandi.
Egocreanet Onlus di R&S, con sede presso l’Incubatore Universitario Fiorentino, si candida a collaborare, in
piena cooperazione con tutti i soggetti coinvolti negli IWG, ad un ruolo di sostegno delle attività di
progettazione, supportandoli nelle fasi di impostazione complessiva dei progetti: raccolta idee progettuali,
ricerca dei partner per i progetti individuati, diffusione delle idee progettuali, supporto all’organizzazione del
working plan e business plan, mantenimento delle relazioni con i partner e la Commissione. Tali attività
saranno realizzate cercando anche la più efficace sinergia con i servizi della rete Enterprise Europe Network
(attraverso Eurosportello) e con gli uffici interessati della Regione Toscana.
DRAFT PROGRAM
9.30 Saluti delle autorità – Gianni Salvadori, Assessore Agricoltura Regione Toscana o suo delegato
9.45 Presentazione della giornata – Antonio Raschi, presidente Area Ricerca CNR Firenze
10.00 Relazione introduttiva – Francesco Loreto, Direttore DISBA – CNR Roma
10.30 Segnalazioni relative al Work Programme 2014-15 del Societal Challenge 2 – REDINN, Bruxelles
alcuni topic SFS-2-2014/2015: Sustainable crop production SFS 4 – 2014: Olive oil authentication
suggeriti: SFS 16 – 2014: Proteins of the future SFS 17 – 2015: Tackling malnutrition in the elderly
11.00 Round table: proposte dei partecipanti relative al loro interesse su specifici bandi. Intervengono:
Roberto Barale, Prorettore Ricerca, Dip Biologia, Università di Pisa
Maria Daglia, Dip Scienze del Farmaco, Università di Pavia,
Diana Di Gioia, Dip Scienze Agrarie, Università di Bologna
Francesca Gambineri, Laboratori Archa srl
Manuela Giovannetti, Dip. Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, Università di Pisa
Lisa Granchi, Dip Biotecnologie Agrarie, Università di Firenze
Maria Minunni, Dip Chimica, Università di Firenze
Stefano Predieri, IBIMET – CNR Bologna
Pierluigi Rivieccio, Consorzio Technapolis, Napoli
… altri relatori da individuare
12.15 Intervento sull’impegno di Egocrenet e collaboratori di REDINN
12.30 Dibattito
13.00 Conclusioni e attivazione Interactive Working Group

PS: LA RIUNIONE PUÒ EVENTUALMENTE PROTRARSI NEL POMERIGGIO

La partecipazione è gratuita previa iscrizione per e-mail indirizzata a:
Paolo Manzelli <pmanzelli.lre@gmail.com>

QUANTUM-BRAIN : l’ ORGANIZZAZZIONE PROBABILISTICA della PERCEZIONE

QUANTUM-BRAIN : l’ ORGANIZZAZZIONE PROBABILISTICA della PERCEZIONE

Paolo Manzelli egocreanet2013@gmail.com

 

Rudolf Arnheim nel suo libro “Il pensiero visivo” scrive:

“..le operazioni cognitive chiamate pensiero non sono privilegio dei processi mentali posti al di sopra e al di là della percezione, bensì gli ingredienti essenziali della percezione stessa”.In realtà si tratta di un unico procedimento probabilistico di decodifica nel quale la percezione e il pensiero interagiscono agendo entrambi sulla probabilita’ quantistica : pertanto i nostri pensieri influenzano quanto vediamo e viceversa.

Ogni immagine visiva in evidenza come la percezione del rapporto delle informazioni relative alla figura e sfondo vengano a a caratterizzarsi per tramite le probabilita di “coesistenza e separabilita”, che permettono di mettere a fuoco e porre attenzione ad una immagine percettiva.

Se infatti non esistesse nessuna forma di contrasto tra le probabilita’ di informazione di grandezza forma e colore, la figura risulterebbe del tutto impercettibile. Della non facile distinzione della probailita di percezione sulla figura rispetto allo sfondo trae agevolazione il “mimetismo”.

Alcuni rapporti equivalenti tra le probabilita di informazione tra figura e sfondo generano illusioni ottiche . Inoltre nella dinamica della percezione il cervello crea ovvero annulla i contorni della figura per permettere la stabilita percettiva delle informazioni dinamiche provenienti da varie angolature e varie situazioni dinamiche.

Il nostro cervello “scommette” sulla probabilita’ che le cose stiano in un certo modo e quindi produce scenari percettivi che creano il crash dell’incertezza nella previsione di cio che percepiamo a volta facendoci cadere nella trappola delle illusioni ottiche.

 

Le probabilita’ illusorie non sono solo quelle ottiche ma vi sono anche quelle uditive, tattili, olfattive e, e purtroppo dobbiamo considerare attentamente le illusioni di ordine cognitivo che ci allontanano dalla realta’.

 

Con la Teoria del Quantum Brain, sappiamo che il cervello pertanto non vede ma “prevede” scenari probabilistici sulla base di una innata tendenza alla preveggenza del futuro ,

Questa concettualita’ che e stata il punto di forza della scienza di tutti i tempi , ha trovato un suo limite nella contemporanea permanenza della concezione meccanicistica della scienza accademica contemporanea , che pertanto e’ rimasta intrappolata in una illusione cognitiva basata sul riduzionismo “meccanico” .

 

Potremo creativamente superare questo storicamente obsoleto  riduzionismo cognitivo della accademia ,  potenziando la creativita’ concettuale ed la innovazione operativa con il progetto QUARTE-CREATIVE EUROPE 2014 /15 , sviluppando nuove modalita’ di pensiero quantistico e valorizzando espressione artistica quantistica con la utilizzazione delle emergenti tecnologie di comunicazione della Realta Aumentata.

 

Questa strategia cognitiva promossa dal programma QUARTE/ di EGOCREANET ci rendera capaci di definire una nuova visione prospettica dello sviluppo concettualmente “olistico” , determinante per un futuro migliore e piu’ cosciente.

Sulla base queste considerazioni sulla “Quantum Brain Theory”  , produrremo un Progetto del titolo: “Augmented Quantum Brain Reality” con ARXLAB ed EGOCREANET, aperto ad un esteso Partenariato.

 

BIBLIO ON LINE :

Animated ANIMADED ILLUSIONS: http://www.moillusions.com/

Optical Illusions : http://michaelbach.de/ot/

Quantum Brain and Nanosynapses :

http://www.nanopaprika.eu/forum/topics/quantum-brain-and-nano-synapses

SPERIMENTAZIONI LOMBARDE: MENO SCUOLA = PIÙ D-ISTRUZIONE

SPERIMENTAZIONI LOMBARDE: MENO SCUOLA = PIÙ D-ISTRUZIONE

Tra annunci e proclami di cambiamento anche la ministra Carrozza mostra adesso il volto della continuità con i precedenti ministri dell’istruzione che hanno propagandato epocali riforme poi rivelatesi meschini tentativi di ridurre la spesa e tagliare ulteriori risorse alla scuola nascondendosi dietro il dogma “l’Europa ci chiede di…” e recitando il mantra neo-liberista ‘“occorre agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro ed essere più competitivi…”. La novità del giorno è l’approvazione della sperimentazione di un corso di studi superiore di 4 anni invece di 5 che avrà tre scuole paritarie private come protagoniste: il Liceo Carli (Brescia), il collegio San Carlo (Milano),  l’istituto Olga Fiorini (Busto Arsizio). Si tratta di un taglio netto di un anno di scuola o piuttosto verranno rivisti i programmi ministeriali? La sperimentazione sembra volta ad avviare una “nuova metodologia fondata sulla didattica per competenze, laboratoriale e integrata” a detta del Dirigente del Liceo Carli. Ma è davvero possibile accorciare il percorso di studi di un anno facendo raggiungere ai nostri allievi quelle abilità e quelle conoscenze che sono prerequisiti, per esempio, per l’accesso all’università? Già il ministro Profumo,  nel suo atto di indirizzo finale, aveva indicato come una priorità quella di ridurre i percorsi di studio motivandone le ragioni con un presunto adeguamento dei corsi di istruzione italiani agli standard europei. Ma è davvero così? La metà degli altri paesi europei prevede il termine della scuola superiore a 18 anni, la metà non tutti1. Si afferma che l”Italia dovrebbe uniformarsi all’Europa, ma chiediamoci: vi è uniformità con gli altri paesi europei anche per quanto riguarda la crescita economica, lo stato sociale, la dispersione e il rischio di abbandono scolastico, le opportunità di lavoro e il sostegno al reddito?
Eliminare un anno dal percorso di studi equivale a un risparmio pari a 1.380.000 milioni di euro, che il Ministro Profumo sosteneva all’epoca utili per potenziare la didattica, investimenti di cui oggi già non si parla più… Questo è l’ennesimo tentativo di tagliare la scuola statale? No, peggio! Questo è il viatico attraverso il quale, con tutta probabilità, passerà l’organico funzionale a reti di scuole. Lo stesso sottosegretario Marco Rossi Doria propose qualche tempo fa di gestire attraverso l’organico funzionale a reti di scuole proprio gli eventuali docenti soprannumerari che sarebbero rimasti senza cattedra fissa una volta ridotto il percorso di studi di un anno. Organico funzionale che inciderebbe in questo modo sulle sostituzioni dei docenti, sui posti liberati dai pensionamenti e soprattutto sui posti che ogni anno rimangono a disposizione dei docenti precari. E, infine, dove è finita la proposta abbinata a questa sperimentazione circa l’innalzamento dell’obbligo scolastico? Sì, perché il ministro Profumo motivava la necessità di ridurre il percorso di studi come intervento per “obbligare” tutti gli studenti a conseguire il diploma contrastando in questo modo la dispersione scolastica che nel nostro paese si attesta (dati ISTAT del 2012) al 18,2%. Siamo certi che la dispersione scolastica si possa contrastare con una riduzione dei tempi mantenendo adeguata la formazione e l’istruzione di base e non piuttosto con un serio programma di investimenti che consenta di ben orientare gli studenti, di lavorare al meglio, non in classi pollaio iper affollate, magari senza precarietà e maggiore continuità didattica?
Già in passato in Lombardia sono state avviate raffazzonate sperimentazioni che nulla avevano di costituzionale e che a seguito delle forti mobilitazioni dei lavoratori sono finite in un buco nell’acqua. Basti ricordare l’esperienza della chiamata diretta dei dirigenti scolastici che doveva aggirare il meccanismo delle graduatorie ad esaurimento e che in breve tempo è stata dichiarata incostituzionale.
Come mai si sceglie questo territorio come teatro di queste sperimentazioni? Forse perché sul territorio lombardo si assiste a strani passaggi istituzionali come quello che vede oggi l’ex Direttore dell’USR Giuseppe Colosio nuovo collaboratore della Fondazione AIB, un ente che gestisce il Liceo Internazionale per l’Impresa Guido Carli (uno dei tre istituti lombardi in cui avverrà la sperimentazione annunciata). E cosa ne pensa il governo? Le larghe intese PD-PDL si trovano d’accordo su questa sperimentazione così come fu qualche tempo fa per la riforma degli organi collegiali sostenuta dalle onorevoli Aprea e Ghizzoni. Cosa li mette d’accordo? L’idea che sia opportuno un ingresso precoce nel mondo del lavoro; l’idea che conoscenza e cultura siano unicamente finalizzati all’acquisizione delle competenze necessarie per divenire lavoratori piuttosto che cittadini adeguatamente preparati; l’assoluta assenza di considerazione delle conseguenze di cosa comporterebbe la riduzione del percorso di studi nel sistema scolastico e nell’apprendimento dei nostri studenti. Del resto nella scuola della misurazione quantitativa e dei test Invalsi l’apprendimento non è critico, non è logico, ma è banalizzato e ridotto a nozionismo e se continuiamo a pensare ai percorsi scolastici in questo modo difficilmente riusciremo a contrastare la dispersione e l’abbandono scolastico.