Un anno di Piano Nazionale Scuola Digitale

da tuttoscuola.com

Un anno di Piano Nazionale Scuola Digitale
Avviato oltre il 65% delle azioni previste, 500 i milioni investiti. Dal 25 al 30 novembre la Settimana del #PNSD

Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) compie un anno. Lanciato il 27 ottobre 2015, il Piano vede, ad oggi, oltre il 65% delle azioni già avviate e 500 milioni (su 1,1 miliardi di euro stanziati) investiti per lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali, la formazione dei docenti.

In particolare, sono stati stanziati 88,5 milioni di euro per il cablaggio interno di tutte le scuole (6.600 quelle finanziate); 140 milioni per la realizzazione di ambienti digitali per la didattica integrata in oltre 5.500 scuole; 58 milioni per la creazione di laboratori territoriali per l’occupabilità che coniugheranno la didattica laboratoriale con l’innovazione, l’apertura al territorio e al mondo del lavoro; 28 milioni per la realizzazione di 1.800 atelier creativi (per i quali verranno investiti altri 40 milioni nel 2017), ovvero per la creatività digitale, il tinkering, il making e strumenti tecnologici da utilizzare per una didattica più accattivante e innovativa; 7,5 milioni per le biblioteche scolastiche in chiave digitale e aperte al territorio e 5 milioni per la digital social innovation.

È stato inoltre lanciato un bando da 5 milioni per la creazione di 25 curricoli digitali su competenze digitali: la scuola scriverà dal basso percorsi per la didattica innovativa. Infine, è in corso la formazione di oltre 140.000 dipendenti della scuola: 8.300 animatori digitali, 25.000 docenti che costituiranno i “team per l’innovazione” (composti da almeno tre persone per ciascuna scuola a sostegno degli animatori), 7.000 dirigenti scolastici, 18.500 tra Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi, personale amministrativo e tecnico per la scuola primaria e secondaria  e 10 docenti per ciascuna scuola (per un totale di 85.000 insegnanti circa). Altri 150 milioni di euro saranno banditi nelle prossime settimane in preparazione della Settimana del PNSD che si terrà dal 25 al 30 novembre e servirà a coinvolgere le scuole in un percorso condiviso di formazione e di costruzione del prossimo anno di PNSD.

Il Piano Nazionale Scuola Digitale sta facendo della scuola un motore dell’innovazione del Paese. Abbiamo lanciato un anno fa il documento di lavoro e stiamo procedendo velocemente nella sua attuazione per portare il digitale a scuola sotto forma di nuovi spazi educativi, ma anche e soprattutto di nuove competenze e conoscenze e di formazione per i nostri insegnanti”, ha dichiarato il Ministro Stefania Giannini.

Sperimentazione dei quadrienni: la spiegazione del non voto del CSPI

da tuttoscuola.com

Sperimentazione dei quadrienni: la spiegazione del non voto del CSPI

Ha sorpreso la conclusione con un nulla di fatto del dibattito in CSPI sul parere richiesto dal Miur sul decreto per la sperimentazione dei quadrienni.

Per non è stato espresso il richiesto parere? Quale motivo ha portato a far mancare il numero legale, determinando il mancato voto sul parere?

Anp ne ha dato questa spiegazione.

“Seduta difficile quella odierna al CSPI per esprimere il parere richiesto dal Ministero  sul decreto “Piano nazionale di innovazione ordinamentale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado”.

Si è discusso un documento predisposto dall’Ufficio di presidenza del Consiglio Superiore che conteneva proposte di modifica, anche rilevanti, dell’articolato del decreto.

Contro la proposta dell’Ufficio di presidenza si è levata l’opposizione dei componenti delle commissioni, per lo più di area CGIL, che hanno chiesto di rivedere e modificare il testo perché, a loro parere, avrebbe dovuto esprimere una radicale e generale opposizione al decreto.

C’è una componente del CSPI che, anziché esprimere pareri o proposte intorno a quanto sottoposto all’attenzione del Consiglio, si attribuisce compiti che sono propri dell’amministrazione, quando non del legislatore, impostando ogni questione in termini generali e ideologici.

Nel caso specifico, la volontà era quella di esprimere parere negativo tout court al decreto, chiedendone censura e rinvio, negando le ragioni ed il significato del percorso sperimentale, espressione di quanto previsto e stabilito dal DPR 275/99 all’art.11: “Il Ministro della pubblica istruzione, anche su proposta del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, del Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione, di una o più istituzioni scolastiche, di uno o più Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi, di una o più Regioni o enti locali, promuove, eventualmente sostenendoli con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l’integrazione fra sistemi formativi, i processi di continuità e orientamento. Riconosce altresì progetti di iniziative innovative delle singole istituzioni scolastiche riguardanti gli ordinamenti degli studi quali disciplinati ai sensi dell’articolo 8. Sui progetti esprime il proprio parere il Consiglio nazionale della pubblica istruzione.”

Dunque la sperimentazione e l’autonomia assegnate alle Istituzioni scolastiche per esplorare percorsi innovativi sono da considerare derive pericolose?

Considerare oggi la scuola pubblica non perfettibile ed intangibile nella sua sacralità è una posizione che suscita perplessità, quando non addirittura reazioni giustamente scandalizzate.

I consiglieri presenti oggi erano in numero appena sufficiente (20 su 36) per rendere valida la seduta pertanto, considerata la situazione, il consigliere ANP presente insieme ad altri favorevoli all’approvazione delle proposte contenute nel documento della Presidenza ha ritenuto opportuno abbandonare la seduta impedendo, in mancanza del numero legale, di vedere espresso il parere negativo sostenuto da una minoranza che si trovava, oggi, ad essere una maggioranza risicata.

Il decreto per la sperimentazione dei percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado non avrà, per questa ragione, il parere del CSPI.”

Docente che innamora

DOCENTE CHE INNAMORA di Umberto Tenuta

CANTO 746 DOCENTE SARAI SE INNAMORI

 

Via dalla scuola chi non innamora!

Non basta essere preparati.

Per essere docenti occorre saper innamorare.

Lo studio non è un obbligo.

Lo studio non è una condanna.

Lo studio non è una pena.

Lo studio è amore!

Studium, amor.

O è amore.

O non è studio.

Sarà pure imparare.

Imparaticcio.

Da vomitare dopo le interrogazioni.

Da vomitare dopo gli esami.

Per ritornare analfabeti.

Analfabeti di ritorno.

Analfabeti dopo la laurea.

Analfabeti malgrado le nozioncine appiccicate al cuoio capelluto!

Lo studio è amore.

Amore per sempre.

Amore per tutta la vita.

Amore travolgente.

Passione!

Docente è solo chi appassiona.

Docente è solo chi suscita passioni.

Passioni per le DIECI MUSE:

Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania,Calliope, Digitalia.

Docente non è chi ti ingurgita di saperi.

Docente è chi ti affama di saperi!

“che dopo lo studio avea più fame che pria”!

Giovani innamorati.

La mia Professoressa?

Mi innamora!

Non l’amore di un’ora.

Non l’amore di un trimestre.

Non l’amore di un anno.

L’amore di una vita!

LONGLIFELEARNING.

La mia Professoressa?

Un Amore!

Tutti i miei Canti −ed altro− sono pubblicati in:
http://www.edscuola.it/dida.html
Altri saggi sono pubblicati in
www.rivistadidattica.com
E chi volesse approfondire questa o altra tematica
basta che ricerchi su Internet:
“Umberto Tenuta” − “voce da cercare”

Docente responsabile

DOCENTE RESPONSABILE DI TUTTI GLI ALUNNI NESSUNO ESCLUSO di Umberto Tenuta

CANTO 745

Parafrasando Hellen Key[i], si può affermare che il docente deve vedere in ognuno dei suoi venticinque alunni il figlio del Principe.

 

Madre di tutti.

Matrigna di nessuno.

Nessuno dei venticinque alunni della classe può essere trascurato, e tantomeno discriminato.

Sono tutti alunni tuoi!

Anche quella monellaccia di Nella.

Che forse non è sorella di Erminia?

Che forse non è cugina di Daniele?

Sono tutti figli di donna.

Nessuno escluso!

Tutti candidati alla condizione umana.

Tutti destinati ad essere uomini.

Tutti destinati al successo formativo.

Tutti hanno diritto alla piena, integrale, originale, massimale formazione della loro personalità.

Col tuo aiuto.

Col tuo impegno.

Col tuo massimale sostegno.

Non ci sono, non ci possono essere, non ci debbono essere figli e figliastri.

Saresti una docente snaturata.

Una docente snaturata.

Una docente licenziata.

Sì, saresti immediatamente licenziata.

Licenziata!

Nella BUONASCUOLA non c’è posto per i docenti incapaci.

Incapaci di educare tutti i loro alunni.

Incapaci di far diventare capaci tutti i loro alunni.

Incapaci di garantire il successo formativo a tutti i loro alunni.

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[i] KEY H., Il secolo dei fanciulli, Fratelli Bocca, Torino, 1902.

 

Scuole-polo per la Formazione

Come previsto dalla Nota 15 settembre 2016, AOODPIT 2915, gli Uffici scolastici regionali devono comunicare al MIUR, entro il 30 ottobre 2016, le scuole-polo per la formazione, individuate da ogni rete di ambito territoriale, alle quali saranno attribuite le risorse finanziarie per la formazione per un triennio, a partire dall’EF 2016.

Le scuole-polo dovranno garantire possibilmente i seguenti requisiti:

  1. favorire una progettazione didattica delle scuole della rete anche su azioni trasversali di formazione per più gradi scolastici, ferma restando la possibilità di costituire reti di scopo;
  2. essere disponibili a raccordarsi con l’ufficio scolastico regionale per armonizzare le azioni formative in coerenza con le priorità indicate nel Piano Nazionale per la Formazione;
  3. ricercare e sviluppare accordi di partenariato con i diversi enti e soggetti deI territorio, al fine di garantire un costante incremento della qualità delle iniziative formative realizzate per i docenti dell’ambito territoriale.

Albo signanda lapillo

Albo signanda lapillo

di Maurizio Tiriticco

Gli Antichi Romani erano soliti contrassegnare con una pietra bianca un avvenimento positivo e con una pietra nera un avvenimento negativo, infausto. Ma vengo al dunque. Com’è noto, tra la Giannini e Renzi non corre buon sangue e sembra che il Presidente del Consiglio dei Ministri non veda l’ora per… per cui, basterebbe solo un piccolo “errore” della nostra ministra, bollato con la pietra nera, e la Giannini salterebbe. Ebbene, voglio dare una mano a Renzi e così sollecitare sorrisi di gioia – non parlo di risa, perché non si sa chi le succederebbe – di insegnanti e studenti! E veniamo al piccolo errore che la Giannini ha già commesso, che poi piccolo non è affatto! Però, occorre riandare lontano nel tempo!

Parliamo di un esame che tutti si ostinano a chiamare ancora di maturità, quando invece non lo è più, o meglio non dovrebbe più esserlo!!! Infatti, è dal 1996 – sono passati quasi venti anni… venti!!! – che con la legge 425 del 1997 abbiamo abrogato la legge precedente (L. 119/1969) che regolava l’esame – quello sì – di maturità. Tant’è che la legge di riforma non parla affatto di maturità; infatti in epigrafe così recita: “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”. La maturità, quindi, non esiste più! Ma l’innovazione più importante e innovatrice della riforma la riscontriamo soprattutto nell’articolo sei, in cui leggiamo: CERTIFICAZIONI – Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle COMPETENZE, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Oggi, con un linguaggio più “maturo” e più diretto, parleremmo di CERTIFICAZIONE delle COMPETENZE. Ma queste vengono certificate? No! Oggi, giostriamo con i punteggi come ieri giostravamo con i voti! Ma la modifica sostanziale dell’esame non viene detta… perché, di fatto, non c’è. E – lo ripeto – sono passati quasi vent’anni!

Il testo della legge è noto. Ma è opportuno sottolineare che un fattore fondamentale del riordino – oltre alla tipologia delle prove – consisteva – e dovrebbe consistere – nella sostituzione dei tradizionali voti decimali con i punteggi. Il che avrebbe dovuto rivoluzionare i criteri valutativi di sempre, ma… quando si legge sulla OM relativa agli esami di ogni anno (si veda l’articolo 20 dell’ultima OM del 19 aprile 2019) che la Commissione “dispone di 15 punti massimi per la valutazione di ciascuna prova scritta per un totale di 45 punti; a ciascuna delle prove scritte giudicata sufficiente non può essere attribuito un punteggio inferiore a 10”, emerge un dubbio grosso così! Non si può pensare in voti e tradurli in punteggi! Sono il diavolo e l’acqua santa! Il fatto è che un conto è valutare con i voti tradizionali, altro conto è misurare adottando punteggi. Si tratta di mondi diversi, di operazioni diverse che impongono approcci valutativi diversi! E non si possono assolutamente né comparare né confondere! Quali contributo viene dal Miur per gli insegnanti in materia di valutazione, se lo stesso Miur cade in errori così grossolani?

E ancora! All’articolo 6 della legge di riforma leggiamo: “A conclusione dell’esame di Stato è assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che è il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte e al colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato”. La parola voto in tutta la legge viene citata una sola volta e riguarda solo l’attribuzione, da parte della commissione, del voto finale, che conclude la valutazione – o meglio la misurazione – in punteggi delle prove scritte e del colloquio. Va ribadito che – per norma – si tratta di un colloquio che è altra cosa rispetto ai consueti esami orali relativi a ciascuna delle singole discipline di studio. In effetti, si tratta di un colloquio che deve essere multidisciplinare, come si recita in tutte le ordinanze che di anno in anno disciplinano modi e tempi dell’esame. E’ bene ricordare che anche l’ultima OM del 19 aprile 2016, prot. N. 252, tra l’altro così recita: Il colloquio “si svolge su temi di interesse multidisciplinare”. Ma i nostri commissari, nonostante sia trascorso quasi un ventennio dalla riforma dell’esame, continuano a insistere sugli esami per disciplina, se non per materia (che è cosa ancora molto più scolastica) anche se alcune rarae aves probabilmente esistono. Il che accade perché predisporre, condurre, gestire un colloquio è molto difficile per moltissimi dei nostri insegnanti che, in effetti, sono scarsamente soliti colloquiare, ma soliti, invece a interrogare! Basterebbe una leggina di una riga: “Nella scuola italiana le interrogazioni sono abrogate!” Che festa per gli studenti! Che dramma per i nostri insegnanti, soliti alla tripletta di sempre: spiegazione, compito, interrogazione.

Potrei andare avanti per ore – o per caratteri – ma è venuto il momento in cui casca l’asino, o meglio potrebbe cadere la nostra ineffabile e sempre sorridente ministra! Che asina non è affatto! La ministra è di buona volontà e vorrebbe metter mano all’esame cosiddetto di maturità e da tempo, ma poi è sempre stoppata dal suo Presidente del Consiglio dei Ministri che non sembra avere fretta, anche se – con il suo linguaggio un po’ aziendalistico – riconosce che per questo tipo di esame sarebbe opportuno andare a qualche significativo ritocco, onde evitare – penso – una definitiva rottamazione.

Quest’estate – non ricordo esattamente quando – il Ministro Gianni nel corso di una videochat in diretta con la TV di Skuola.net, aveva parlato della necessità di metter mano all’esame di Stato: “La maturità in Italia valorizza ancora le conoscenze. E’ indubbio che, però, abbia bisogno di un tagliando. Lo stiamo facendo; l’anno prossimo ci saranno delle sorprese. Per dare agli studenti un esame più aggiornato, che apra verso il futuro sia esso all’università o nel mondo del lavoro”. In effetti, nella legge 107/15 si evince la necessità di un adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti, nonché degli esami di Stato. Ma ciò che più spaventa è che un ministro Miur parli ancora di maturità, ribadendo un concetto che nella testa di tanti, purtroppo, esiste ancora e che è duro a morire. Il che, dopotutto, non deve stupire più di tanto! Infatti, abbiamo cassato un esame centrato sulla MATURITA’ di un candidato, ma ancora non abbiamo individuato, descritto e definito quali sono le COMPETENZE finali che bisogna certificare. Ma allora che esame è? Mah!!!

Mi viene in mente un vecchio detto: tra zuppa e pan bagnato non corre alcuna differenza!

Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e tutela dei diritti

Superando.it del 29-10-2016

Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e tutela dei diritti

di Giampiero Griffo*

Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2015-2030, fissati nel settembre 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, contengono numerosi passaggi in cui si parla esplicitamente dei diritti delle persone con disabilità, toccando temi che riguardano proprio una serie di tradizionali richieste delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie. Pertanto, conoscere bene tale documento, intrecciandolo anche con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, può certamente contribuire all’elaborazione di concrete proposte d’azione, anche a livello italiano.

L’approvazione da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals), avvenuta – come ampiamente riferito anche su queste pagine – il 25 settembre dello scorso anno, all’interno del documento Transforming our World: the 2030 Agenda for Sustainable Development, ha posto in evidenza la necessità di fare un salto di qualità nella definizione delle politiche di sviluppo in tutti i Paesi delle Nazioni Unite. Se infatti le strategie in passato si limitavano a fissare obiettivi senza specifiche relazioni tra di loro (eradicare la povertà; intervenire sui disastri umani e naturali; combattere i cambiamenti climatici; realizzare politiche di sviluppo), oggi invece è cresciuta la consapevolezza che tutti questi elementi critici hanno uno stretto legame tra loro: i disastri colpiscono lo sviluppo e aggravano le condizioni di povertà; lo sviluppo economico deve includere tutti i cittadini, senza lasciare nessuno indietro e prevenire i disastri e ridurre le emissioni di anidride carbonica e così via.
Quel documento impegna inoltre i Governi a includere nelle decisioni sia di politica interna sia di intervento nella cooperazione internazionale gli elementi contenuti negli Obiettivi. Conoscerlo bene, quindi, può aiutare il movimento per i diritti delle persone con disabilità nella sua azione di tutela dei diritti umani, intrecciandolo strettamente alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Come avevamo infatti annotato a suo tempo, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile includono i diritti di tutti i cittadini e in ben sette punti citano esplicitamente le persone con disabilità. Vediamoli da vicino.

Innanzitutto viene sottolineata l’importanza di tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani – tra cui, quindi, anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – e l’impegno degli Stati a rispettare la Carta delle Nazioni Unite, che sottolinea come i Paesi Membri debbano «rispettare, proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti», anche per le persone con disabilità (punto 19).
Allo stesso tempo, il punto 23 afferma che tutte le persone vulnerabili – con citazione esplicita delle persone con disabilità – debbano essere rafforzate nelle loro capacità e nella partecipazione alla società e che gli Stati debbano assumere più forti ed effettive misure per rimuovere ostacoli e resistenze, rafforzando il sostegno ai bisogni speciali anche in situazioni di aiuti umanitari.
E ancora, tutte le persone – e anche quelle con disabilità -, come recita il punto 25, devono «avere accesso a opportunità di apprendimento permanenti che permettano loro di acquisire gli strumenti e le conoscenze necessarie per partecipare pienamente alla vita sociale».

Guardando poi specificamente ai diciassette Obiettivi, all’interno dell’Obiettivo 4 (Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti), il punto 4.5 impegna ad «eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità», mentre il punto 4.a chiede di «costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti dedicati all’apprendimento che siano sicuri, non violenti e inclusivi per tutti».
Successivamente, all’interno dell’Obiettivo 8 (Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti), il punto 8.5 dichiara che entro il 2030 bisogna «garantire un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore».
Anche l’Obiettivo 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni), prevede al punto 10.2 che entro il 2030 si debba «potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, a prescindere da età, genere, disabilità, razza, etnia, origine, religione, stato economico o altro», e l’Obiettivo 11 (Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili) parla al punto 11.2 della necessità di garantire a tutti, entro il 2030, «l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con disabilità e anziani». Il punto 11.7, quindi, sottolinea a propria volta che si dovrà «fornire, entro il 2030, accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e persone con disabilità».
Per quanto poi concerne le cosiddette “Attività sistemiche”, nell’area del Partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile (Obiettivo 17), al punto 17.18 si afferma che entro il 2020 – attenzione alla data diversa rispetto ai precedenti passaggi – si dovrà «rafforzare il sostegno allo sviluppo dei Paesi emergenti, dei Paesi meno avanzati e dei piccoli Stati insulari in Via di Sviluppo. […] Incrementare la disponbilità di dati di alta qualità, immediati e affidabili, andando oltre il profitto, il genere, l’età, la razza, l’etnia, lo stato migratorio, la disabilità, la provenienza geografica e altre caratteristiche rilevanti nel contesto nazionale».

Infine, il punto 74 del documento sottolinea che «i processi di monitoraggio e verifica sono orientati dai seguenti principi che si articolano su tutti i livelli: […] g. Saranno rigorosi e basati su delle prove, aggiornati da valutazioni condotte dai Paesi e da dati di alta qualità, accessibili, tempestivi, attendibili e disaggregati per reddito, genere, età, razza, etnia, stato della migrazione, disabilità, provenienza geografica e altre caratteristiche rilevanti nel contesto nazionale».

La lista di tutte queste indicazioni, pertanto, tocca molti temi che riguardano tradizionali richieste delle Associazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie. Ecco quindi una buona ragione per approfondire questa strategia delle Nazioni Unite e conseguentemente ad essa elaborare proposte di azioni a livello italiano.

Giampiero Griffo,
Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International)

A. Barbero, Il divano di Istanbul

Un passato liberato

di Antonio Stanca

barberoAlessandro Barbero è professore ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Oltre alla storia medievale i suoi studi riguardano pure la storia militare e molti saggi ha pubblicato su questi argomenti. Tra gli altri sono comparsi quelli su Carlo Magno, sulle guerre in Europa, sulla battaglia di Waterloo, sulle invasioni barbariche, sulla battaglia di Lepanto fino al più recente dedicato alla storia dell’Impero ottomano e intitolato Il divano di Istanbul. E’ stato pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Sellerio di Palermo (pp.207, € 13,00).

Barbero collabora con giornali e riviste e partecipa a trasmissioni televisive quali “Superquark”, “a.C. d.C.” e “Il tempo e la storia”. E’ anche autore di romanzi storici e nel 1996 il suo Bella vita e guerre altrui di M.Pyle gentiluomo ha vinto il Premio Strega ed è stato tradotto in sette lingue.

Molti sono gli interessi del Barbero che, nato a Torino nel 1959 e qui laureatosi nel 1981, ha cominciato d’allora con l’attività di ricercatore di storia medievale e in seguito con quella di scrittore di romanzi. Un’attività particolarmente intensa che lo ha fatto diventare un docente universitario e l’autore di molte opere storiche, di molti interventi su giornali, riviste e in televisione e di alcuni romanzi.

Nel 2005 è stato nominato Cavaliere dell’Ordre des Arts et des Lettres.

Nel recente Il divano di Istanbul compie un’operazione molto interessante, percorre la storia dell’Impero ottomano dagli inizi nel XIV secolo alla fine nel XX secolo, dalla sua nascita sulle rovine dell’Impero romano d’Oriente alla sua decadenza, da quando Costantinopoli si chiamava Bisanzio a quando si sarebbe chiamata Istanbul. Era stato un impero fondato da popoli nomadi che, a cavallo e armati di arco e frecce, si spostavano in continuazione con le loro mandrie di buoi e di cavalli. Da quei tempi remoti, da quando nel Trecento la dinastia ottomana aveva cominciato ad espandere i suoi possedimenti verso l’Anatolia, attuale Turchia, e verso i Balcani, il Barbero muove nel suo libro e giunge ai tempi moderni soffermandosi su ogni particolare di un avvenimento così importante, di un fenomeno storico così esteso, sulla varietà di popoli, stati, lingue, religioni, tradizioni, culture che avevano costituito l’Impero ottomano. Era stato un impero multietnico, multireligioso, aveva compreso l’intera aera dell’Asia Minore, si era formato tra Occidente ed Oriente, tra Europa ed Asia, i suoi confini erano andati da Algeri alla Mecca, da Baghdad a Belgrado. La stessa capitale, Costantinopoli, sede del palazzo del sultano, cioè dell’imperatore, delle sue donne, dei suoi domestici e del suo corpo diplomatico, era duplice: a nord il Bosforo conduceva verso il Mar Nero e l’Asia, a sud verso il Mar di Marmara, il Mediterraneo e l’Europa. Anche la posizione della capitale era significativa dei due mondi, delle due civiltà che componevano l’Impero.

L’Islam era la religione ufficiale di un Impero dove il sultano era anche il califfo, cioè la massima autorità religiosa, dove i funzionari politici, i magistrati erano anche capi religiosi, dove non si distingueva tra politica e religione e, in mancanza di un clero, gli imam erano le guide spirituali che operavano presso il popolo e guidavano alla preghiera. Non solo quella islamica, però, era la religione praticata ma anche altre come il cristianesimo e l’ebraismo erano diffuse e venivano tollerate diversamente da quanto succedeva nell’Europa Occidentale dove l’Islam era vietato e perseguitato, dove agivano i tribunali dell’Inquisizione. Gli ottomani rispettavano la fede, e non solo, dei popoli sottomessi. A Costantinopoli insieme alle moschee c’erano chiese e sinagoghe e questa è solo una delle tante differenze tra l’Impero e l’Europa, tra l’Oriente e l’Occidente di allora, tra musulmani e cattolici ed ebrei. Altre, molte altre sono state rilevate dal Barbero nel suo libro, che oltre a dire della storia dell’Impero, delle sue origini, della sua formazione, della sua espansione, dei suoi grandi personaggi, dei suoi memorabili eventi, delle sue epiche vicende, delle sue date storiche, dei suoi intrighi, dei suoi segreti, dei suoi eserciti, delle sue flotte, delle sue guerre, delle sue battaglie, delle sue conquiste, degli usi, dei costumi, della vita, della cultura dei suoi popoli, dice pure delle tante differenze che esistevano con l’Occidente europeo. Un confronto continuo compie lo studioso mentre ricostruisce i molti secoli della storia ottomana, un confronto che fa durare per tutti questi secoli durante i quali in Oriente si rimase unici mentre in Occidente si verificarono tanti cambiamenti nella politica, nell’economia, nella cultura. E’ questa una grande differenza tra le due realtà ed un’altra ancora, molto importante, il Barbero indica nella mentalità, nel costume degli orientali. Se rispetto all’Occidente questi rimasero arretrati riguardo alla tecnologia, al sistema finanziario, bancario e ad altri aspetti della vita individuale, sociale, militare, lo superarono nel modo d’intendere, di essere, di fare, di stare. Più aperti, più disposti si mostrarono gli orientali verso l’esterno, verso l’altro, verso quanto di nuovo, di diverso giungeva loro si trattasse di persone o cose, pensieri o azioni. Nell’Impero ottomano gli stranieri trovavano ospitalità, potevano inserirsi senza problemi nei suoi ambienti, tra i suoi abitanti, potevano fare fortuna, carriera, raggiungere alti livelli sociali, diventare comandanti militari, funzionari, ministri dell’imperatore. Più che in Occidente in Oriente contava, veniva apprezzato il merito qualunque fosse la provenienza di chi lo possedeva e questa è una nota molto positiva della civiltà musulmana.

Più civili , più moderni degli europei sono stati gli ottomani dei secoli scorsi se si pensa che ai popoli sottomessi durante le loro conquiste diedero la possibilità di continuare non solo con la loro religione ma anche con tutto ciò che aveva fatto parte della loro vita, se si tiene conto che molti dei notabili operanti a Costantinopoli intorno al palazzo imperiale, molti dei capi militari furono di origine diversa da quella musulmana, furono persone cadute prigioniere o figli di queste, vennero dalle popolazioni conquistate. Molte erano quelle popolazioni e operando in questo modo gli ottomani sono stati capaci di governarle, di far durare per secoli il loro immenso impero. Lo hanno reso unico e multiplo, lo hanno fatto agire da solo e per tutti, lo hanno popolato di gente che solo per metà era musulmana, lo hanno fatto diventare per i poveri d’Europa un punto di riferimento, un posto da raggiungere dove non sarebbero stati trattati come servi ma avrebbero avuto un’alimentazione ed una casa assicurate.

E’ un attributo degno di lode quello che l’opera del Barbero procura ai vecchi popoli del Medio Oriente, è una verità che li libera da quanto di negativo, di pauroso si era formato nell’opinione pubblica occidentale riguardo alla loro storia e altro merito dello studioso sta nell’essere riuscito ad ottenere tanto tramite un linguaggio così chiaro, così semplice, così discorsivo da far assumere a luoghi, tempi, personaggi remoti connotati che li animano, li fanno sembrare vicini quasi fossero quelli di un romanzo.

I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

di Maurizio Tiriticco

Il 28 ottobre del 1922 è una data che dovevamo ricordare e festeggiare ai “bei tempi del Duce”: così ancora pensano e dicono molti nostalgici. Ed io quanti 28 ottobre ho dovuto festeggiare? Dalla prima elementare a Torino presso una scuola di monache (1933/34) no! Le monache non fanno politica (o meglio, ne fanno un’altra). Ma poi, dal ’38/39 al ’42/43 sì e con grande entusiasmo: erano anche i miei primi cinque anni del ginnasio! E da Balilla escursionista – in forza della leva fascista, rito che si osservava ogni anno il 21 aprile, ricorrenza della nascita di Roma, caput mundi – ero diventato Balilla moschettiere, la perla del regime, perché erano le giovani generazioni che avrebbero fatto grande l’Italia! Avevamo un moschetto, una giberna e i guanti alla D’Artagnan! Che gioia!!!

Ed io ero così sicuro che avremmo vinto la guerra, perché Noi Italiani e Loro, i Tedeschi eravamo due popoli poveri ma forti, mentre invece tutti gli altri, i francesi, gli inglesi e – non ti dicooo – gli americani, scioperi, gangster, governatori corrotti e quant’altro! Tutti erano destinati al declino. E la certezza era ferreaaa!!! Invece, un bel giorno, anzi una bella sera – era il 25 luglio del 1943 – lo speaker del giornale radio delle 20 annunciò stentoreo: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini e ha nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”. In effetti il Duce non aveva rassegnato proprio niente! Recatosi il 25 luglio a Villa Ada, residenza estiva del Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia – e poi basta!!! – per comunicare che la sera precedente in una riunione infuocata del Gran Consiglio del Fascismo era stato approvato un odg presentato dal gerarca Dino Grandi, favorevole ad un’operazione che ci sganciasse da una guerra che già si considerava perduta, venne impacchettato e spedito non si sa dove! Lo si seppe solo molto tempo dopo!

E noi, poveri Balilla moschettieri, restammo in un solo attimo senza il nostro nume tutelare. Quale tristezza e quanti pianti… Noi che eravamo convinti di vincere – una delle canzoni di guerra diceva così: Vincere vincere vincere e vinceremo in terra in cielo e in mare. E’ la parola d’ordine d’una Suprema Volontà – e che sera dopo sera ascoltavamo la radio con il bollettino della… tanto attesa vittoria! Noi fanatizzati dal Regime fascista! Sui nostri medaglioni, attorno alla testa del Duce, sempre con tanto di elmetto, figuravano queste scritte: “Credere, obbedire, combattere”, oppure “Se avanzo seguitemi. Se indietreggio uccidetemi. Se mi uccidono vendicatemi”. E ricordo benissimo la canzone del balilla che si rivolge al padre in guerra: “Caro papà, ti scrivo e la mia mano quasi mi trema, lo comprendi tu. Son tanti giorni che mi sei lontano e dove vivi non lo dici più. Le lacrime che bagnano il mio viso son lacrime d’orgoglio, credi a me. Ti vedo che dischiudi un bel sorriso mentre mi stringi forte in braccio a te. Anch’io combatto, anch’io fò la mia guerra. Con fede, con onore e disciplina. Desidero che frutti la mia terra. E curo l’orticello ogni mattina, l’orticello di guerra. E prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio”.

Questo era il clima! Queste le nostre credenze e certezze! Allora? Contiamoli i miei festeggiamenti della Marcia su Roma! Sono stati solo 7. E invece avrebbero dovuto essere molti di più! Anche perché avremmo dovuto esportare la nostra civiltà romana, latina e fascista in tutto il mondo. Altro che Impero romano! Il suo momento più alto sotto l’Imperatore Traiano era solo un anticipo! Che avrebbe visto il suo compimento con il nuovo Imperatore di Casa Savoia, Vittorio Emanuele III°, che i malevoli, invece, si ostinavano a chiamare Pippetto… per la sua bassezza! Che tristezza! In poche ore cadde il fascismo e il popolo tutto ne gioì! Ritratti e statue del Duce furono distrutti! Eppure era quello stesso popolo che il 10 giugno del 1940 – tre anni prima!!! – sotto il balcone di Piazza Venezia si spellava le mani per applaudirlo!

E applaudivano scandendo e ritmando Duce Duce Duce, una sorta di divinità che in quel pomeriggio del 10 giugno ’40 – replico -così si esprimeva:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! (Acclamazioni) Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. (Acclamazioni vivissime) L’ora delle decisioni irrevocabili. (Un urlo di acclamazione) La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (Acclamazioni, grida altissime di: «Guerra! Guerra!») agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. (Acclamazioni) Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. (Applausi) Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate. Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Ormai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. È la lotta tra due secoli e due idee”.

E via di seguito!!! Mah! Che dire? E’ l’altra faccia della medaglia o, se si vuole – ricordando le divise dei balilla – del medaglione!!! In effetti, il popolo becero e bolso sempre tale è! Le bandiere si seguono finché garriscono al vento, ma se cadono a terra, vanno calpestate e bruciate. Solo i bambini e gli adolescenti sono quelli che – a mio vedere – pagano di più. Quanti amici dopo l’8 settembre salirono sulla montagna, disposti anche a morire sotto l’ombra di un bel fior. E quanti amici andarono al Nord – la Repubblica di Salò – per arruolarsi con i Battaglioni Emme e con il “nuovo esercito” comandato dal maresciallo Graziani.

28 ottobre 1922! Una data da ricordare! Ma soprattutto avvenimenti da studiare! Se è vero che storia è Magistra vitae! Mah! Mi sembra che oggi, con le TIC che giorno dopo giorno fanno passi da gigante e rendono i nostri rapporti interpersonali sempre più ricchi ed intensi, il rischio è quello di vivere schiacciati sul presente! Il passato non esiste ed il futuro è un minuto dopo l’altro! Eppure un grande nostro poeta molti anni fa ci ha ammonito: “O Italiani, io vi esorto alle storie”.

Un anno di Piano Nazionale Scuola Digitale

un_anno_di_pnsd_600x450Un anno di Piano Nazionale Scuola Digitale 
Avviato oltre il 65% delle azioni previste, 500 i milioni investiti.
Dal 25 al 30 novembre la Settimana del #PNSD

Il Piano Nazionale Scuola Digitale compie un anno. Lanciato il 27 ottobre 2015, il PNSD vede, ad oggi, oltre il 65% delle azioni già avviate e 500 milioni (su 1,1 miliardi di euro stanziati) investiti per lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali, la formazione dei docenti.

“Il Piano Nazionale Scuola Digitale sta facendo della scuola un motore dell’innovazione del Paese. Abbiamo lanciato un anno fa il documento di lavoro e stiamo procedendo velocemente nella sua attuazione per portare il digitale a scuola sotto forma di nuovi spazi educativi, ma anche e soprattutto di nuove competenze e conoscenze e di formazione per i nostri insegnanti”, dichiara il Ministro Stefania Giannini.

In particolare, sono stati stanziati 88,5 milioni di euro per il cablaggio interno di tutte le scuole (6.600 quelle finanziate); 140 milioni per la realizzazione di ambienti digitali per la didattica integrata in oltre 5.500 scuole; 58 milioni per la creazione di laboratori territoriali per l’occupabilità che coniugheranno la didattica laboratoriale con l’innovazione, l’apertura al territorio e al mondo del lavoro; 28 milioni per la realizzazione di 1.800 atelier creativi (per i quali verranno investiti altri 40 milioni nel 2017), ovvero per la creatività digitale, il tinkering, il making e strumenti tecnologici da utilizzare per una didattica più accattivante e innovativa; 7,5 milioni per le biblioteche scolastiche in chiave digitale e aperte al territorio e 5 milioni per la digital social innovation.

È stato inoltre lanciato un bando da 5 milioni per la creazione di 25 curricoli digitali su competenze digitali: la scuola scriverà dal basso percorsi per la didattica innovativa. Infine, è in corso la formazione di oltre 140.000 dipendenti della scuola: 8.300 animatori digitali, 25.000 docenti che costituiranno i “team per l’innovazione” (composti da almeno tre persone per ciascuna scuola a sostegno degli animatori), 7.000 dirigenti scolastici, 18.500 tra Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi, personale amministrativo e tecnico per la scuola primaria e secondaria  e 10 docenti per ciascuna scuola (per un totale di 85.000 insegnanti circa). Altri 150 milioni di euro saranno banditi nelle prossime settimane in preparazione della Settimana del PNSD che si terrà dal 25 al 30 novembre e servirà a coinvolgere le scuole in un percorso condiviso di formazione e di costruzione del prossimo anno di PNSD.

Dal disturbo di linguaggio al disturbo di comunicazione

State of mind del 28-10-2016

Dal disturbo di linguaggio al disturbo di comunicazione – Report dal Congresso Erickson

Il workshop del Congresso Erickson ha presentato anche la diagnosi differenziale tra i disturbi del linguaggio e della comunicazione e i disturbi autistici.

L’osservazione e la valutazione del primo sviluppo comunicativo del bambino permette di costruire interventi diretti e indiretti con lo scopo di garantire un’opportunità di sviluppo. I trattamenti diretti si rivelano più efficaci se sono precoci e integrati nei contesti di vita quotidiana del bambino, gli interventi indiretti riguardano la presa in carico della famiglia del bambino in modo da rendere i genitori parte attiva della terapia.

Workshop di Luigi Girolametto (Department of Speech-Language Pathology, University of Toronto) e Luigi Marotta (Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma).

Nel DSM-5 vengono presentate molte categorie all’interno della più ampia area del disturbo del linguaggio: il disturbo fonetico fonologico, il disturbo della pragmatica della comunicazione, il disturbo della comunicazione non altrimenti specificato.

La domanda che pone Luigi Marotta (Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma) riguarda la difficoltà della diagnosi differenziale con il disturbo dello spettro autistico visto che tra i due disturbi vi è molta comorbidità; quindi dove finisce il disturbo pragmatico della comunicazione e inizia l’autismo? La questione è difficile da disciplinare in quanto esistono pochi test italiani per la valutazione del disturbo pragmatico della comunicazione e le analisi quantitative dei comportamenti disponibili sono dedotte.

Per arrivare ad una diagnosi differenziale, è quindi necessario procedere individuando i criteri di inclusione/esclusione e attuare percorsi di valutazione integrati ma specifici per ogni contesto sociale e familiare. Nella valutazione logopedica per il disturbo dello spettro autistico è necessario prendere in considerazione gli elementi della pragmatica della comunicazione, come le funzioni comunicative (es. fare richieste, rispondere), le abilità socio-conversazionali (es. l’assertività, la responsività), le interazioni con i coetanei, la narrazione, la capacità di adattare il linguaggio a seconda dei differenti contesti e gli elementi per la valutazione del linguaggio (es. grammatica, lessico, vocabolario..).

L’osservazione e la valutazione del primo sviluppo comunicativo del bambino permette di costruire interventi diretti e indiretti con lo scopo di garantire un’opportunità di sviluppo. I trattamenti diretti si rivelano più efficaci se sono precoci e integrati nei contesti di vita quotidiana del bambino, gli interventi indiretti riguardano la presa in carico della famiglia del bambino in modo da rendere i genitori parte attiva della terapia. Come ci presenta Luigi Girolametto con il Progetto “More than words”, l’intervento di “parent coaching”, basato sul livello e sul tipo di relazione tra genitore e bambino, ha come obiettivo il focus sulle esigenze del genitore e poi la formazione specifica affinché il genitore possa diventare un agente terapeutico.

Si propone infine di utilizzare un intervento di questo tipo anche negli asili e nelle scuole materne formando le insegnanti nell’ottica di garantire un’opportunità di sviluppo ai bambini con disturbo dello spettro autistico sfruttando le risorse del contesto scolastico.

di Ilaria Cosimetti e Cristina Morazzoni

Contrattazione di istituto: tre punti centrali per contrastare la legge 107/15

Contrattazione di istituto: tre punti centrali per contrastare la legge 107/15

Esercitare il diritto alla contrattazione nei posti di lavoro significa predisporre le condizioni per riconquistare il Contratto Collettivo Nazionale, riportando nel giusto contesto tutte le materie che negli anni sono state sottratte per legge. A tal fine sono tre le questioni in campo sulle quali continua la nostra iniziativa:

“Bonus” premiale
Organico dell’autonomia
Piano nazionale di formazione.
Un capitolo a parte approfondisce la complessità del lavoro ATA nella contrattazione di scuola.

L’azione di contrasto alla legge e l’affermazione di una diversa idea di scuola va coniugata con la rivendicazione del rinnovo del contratto nazionale e con adeguate politiche in difesa del lavoro. Su questi temi misureremo gli impegni del governo e la legge di stabilità, nella prospettiva di avere le risposte attese, in assenza delle quali risponderemo con la mobilitazione.

La nuova maturità: due scritti (senza Invalsi) e nessun prof esterno

da Corriere della sera

La nuova maturità: due scritti (senza Invalsi) e nessun prof esterno

In archivio la terza prova. Il test si fa al quarto anno

Due prove scritte nazionali, nessuna tesina, commissari solo interni, e i progetti di scuola lavoro che diventano fondamentali per i crediti. Ecco come cambia l’esame di maturità, già dal prossimo mese di giugno, in base alla legge delega sulla valutazione che il governo ha messo a punto e che sarà varata a breve.

L’obiettivo è quello di snellire l’esame di Stato, rendendo sempre più importante il percorso che i ragazzi svolgono negli ultimi tre anni di scuola superiore, compresi gli stage, piuttosto che la prova in sé. Il tanto temuto Invalsi non entra a far parte dell’esame di maturità, ma concorrerà alla composizione del voto finale: la prova sulle competenze in italiano e matematica si svolgerà durante il quarto anno, per non sovraccaricare gli studenti al quinto anno. E i risultati saranno determinanti per l’ammissione all’esame di Stato.

Cambierà pure la tabella di attribuzione dei cosiddetti crediti che concorrono alla valutazione con cui i maturandi si presentano all’esame: diminuirà l’incidenza del voto scolastico, aumenterà quella dell’alternanza scuola lavoro, che diventa una parte importante anche del colloquio orale di esame. Al posto della tesina, gli studenti dovranno infatti presentare un progetto realizzato durante i tirocini, spiegandone caratteristiche e sviluppi.

Lo presenteranno a una commissione più «amichevole», che sarà composta solo da commissari interni, cioè professori che li conoscono e con i quali hanno studiato negli anni. Solo il presidente di commissione sarà esterno. Anche questa scelta è fatta nell’ottica di valorizzare il percorso ed evitare che siano la maldisposizione di un giorno o la casualità di una traccia a determinare il voto.

Verrà invece archiviata la terza prova scritta, che in passato aveva sollevato non poche polemiche per la variabilità in base all’indirizzo di studi, alla scuola, alla classe: non essendo una prova ministeriale, poteva prevedere domande, materie, discipline e durate molto — troppo, secondo i critici — diverse. Ed è stata anche abbandonata l’idea, presa in considerazione in un primo momento, di far scegliere alle singole scuole la seconda prova. Sempre sulla scia della facilitazione, resteranno due prove scritte uguali sul territorio nazionale: la prima sarà un compito di italiano, la seconda sarà quella caratterizzante (la matematica al liceo scientifico, e il latino al classico).

E con la legge delega cambia pure l’approccio con gli studenti più giovani. Alla primaria e alla secondaria di primo grado ci saranno le lettere invece dei numeri, per attribuire i voti: lettere che descriveranno il raggiungimento delle competenze, i livelli di apprendimento, piuttosto che affidare il giudizio a una mera operazione da calcolatrice. Sarà impossibile bocciare, e anche alle medie si verificherà soltanto in casi eccezionali: perché gli studenti che hanno dei deficit dovranno essere aiutati a recuperare in ogni caso. Ciò che conta è permettere ai ragazzi di raggiungere il risultato: e quindi i professori dovranno studiare dei percorsi ad hoc da effettuare durante il tempo scuola.

Ore aggiuntive, organizzate grazie all’organico di potenziamento, che permettano a tutti di raggiungere lo stesso livello: una sorta di doposcuola obbligatorio che utilizzi «tutti gli spazi di flessibilità organizzativa e didattica». Perché gli studenti arrivino alla fatidica valutazione Ocse (15 anni) finalmente preparati.

Valentina Santarpia

Scuola, il prossimo anno spazio al precariato

da ItaliaOggi

Scuola, il prossimo anno spazio al precariato

Questo è quanto si desume dalla lettura della bozza della legge di bilancio

Alessandra Ricciardi

Ci saranno ancora cattedre fisse date stabilmente a supplenti. Il ricorso strutturale al precariato per coprire posti in organico nella scuola non sarà eliminato del tutto il prossimo anno ma solo ridotto. Questo è quanto si desume dalla lettura della bozza della legge di bilancio. La norma, sull’organico di fatto da trasformare in organico di diritto, l’unico su cui si possano operare assunzioni a tempo indeterminato e trasferimenti di ruolo, è, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, ancora in fase di «contrattazione» tra ministero dell’economia e dell’istruzione. Al momento però, stando a quanto prevede la bozza della Stabilità, pare aver vinto il dicastero guidato da Pier Carlo Padoan: «Per il rafforzamento dell’autonomia scolastica e il conferimento di un maggior grado di certezza nella pianificazione del fabbisogno di personale a tal fine necessario, è iscritto nello stato di previsione del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, un fondo con una dotazione di 140 milioni di euro per l’anno 2017 e 400 milioni a decorrere dall’anno 2018, da destinare all’incremento dell’organico dell’autonomia di cui all’articolo 1, comma 201, della legge 13 luglio 2015, n. 107», recita l’articolo interessato, «l’incremento della dotazione avviene in misura corrispondente a una quota di posti derivanti, in applicazione dei vigenti ordinamenti didattici e quadri orari, dall’accorpamento degli spezzoni di orario aggregabili fino a formare una cattedra o un posto interi, anche costituiti tra più scuole. Detta quota viene sottratta dal contingente previsto in organico di fatto all’articolo 1, comma 69, della medesima legge 13 luglio 2015, n. 107». L’organico di fatto dunque non sarà eliminato ma solo ridotto, ha messo nero su bianco l’Economia. A differenza di quanto richiesto dal ministero guidato da Stefania Giannini, che con le stesse risorse ha stimato la totale stabilizzazione di 25 mila cattedre: tutti i posti creati di fatto dalle scuole per rispondere alle esigenze dell’utenza a cui si aggiungono anche 5 mila cattedre per il sostegno. Una stima che, secondo i tecnici della Ragioneria generale dello stato, non regge.