Concorso scuola straordinario, gli argomenti della prova computer based

da La Tecnica della Scuola

E’ in corso il passaggio al senato del decreto scuola, per l’approvazione finale. Occhi puntati, ovviamente, sul concorso straordinario docenti secondaria, che permetterà l’assunzione di 24 mila insegnanti.

Concorso straordinario scuola secondaria, cosa studiare?

Arrivano i redazione diverse domande in merito al concorso docenti straordinario. Fra queste, molti chiedono su quali argomenti verterà la prova scritta prevista per superare il primo step del concorso.
Infatti è prevista una prova computer based che si supererà con il punteggio minimo di 7/10.
Gli argomenti di questa prova sono quelli del concorso docenti del 2016. Nello specifico, stiamo parlando dell’allegato A al decreto ministeriale del concorso a cattedra 2016.

Ecco le avvertenze generali:

1. Sicuro dominio dei contenuti dei campi di esperienza e delle discipline di insegnamento e dei loro fondamenti epistemologici, al fine di realizzare una efficace mediazione metodologico-didattica, impostare e seguire una coerente organizzazione del lavoro, adottare opportuni strumenti di verifica dell’apprendimento e per la valutazione degli alunni nonché di idonee strategie per il miglioramento continuo dei percorsi messi in atto.
2. Conoscenza dei fondamenti della psicologia dello sviluppo, della psicologia dell’apprendimento scolastico e della psicologia dell’educazione.
3. Conoscenze pedagogico-didattiche e competenze sociali finalizzate all’attivazione di una positiva relazione educativa e alla promozione di apprendimenti significativi e in contesti interattivi, in stretto coordinamento con gli altri docenti che operano nella classe, nella sezione, nel plesso scolastico e con l’intera comunità professionale della scuola.
4. Capacità di progettazione curriculare della disciplina.
5. Conoscenza dei modi e degli strumenti idonei all’attuazione di una didattica individualizzata e personalizzata, coerente con i bisogni formativi dei singoli alunni, con particolare attenzione all’obiettivo dell’inclusione degli alunni con disabilità e ai bisogni educativi speciali
6. Conoscenze nel campo dei media per la didattica e degli strumenti interattivi per la gestione della classe.
7. Conoscenza delle problematiche legate alla continuità didattica e all’orientamento.
8. Conoscenza dei principi dell’autovalutazione di istituto, con particolare riguardo all’area del miglioramento del sistema scolastico.
9. Conoscenza approfondita delle Indicazioni nazionali vigenti per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, delle Indicazioni nazionali per i licei e delle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali, anche in relazione al ruolo formativo attribuito ai singoli insegnamenti.
10. Conoscenza della legislazione e della normativa scolastica, con particolare riguardo a:
a. Costituzione italiana;
b. Legge 107/2015;
c. autonomia scolastica e organizzazione del sistema educativo di istruzione e formazione (con riferimento, in particolare, al dPR 275/1999, al d. lgs 15 aprile 2005, n. 76, al d. m. 22 agosto 2007, n. 139);
d. ordinamenti didattici: norme generali comuni e, relativamente alle procedure concorsuali, al relativo grado di istruzione (L. 107/2015, dPR 89/2009, dPR 87/2010, dPR 88/2010 e dPR 89/2010, dPR 122/2009);
e. governance delle istituzioni scolastiche (Testo Unico, Titolo I capo I);
f. stato giuridico del docente, contratto di lavoro, disciplina del periodo di formazione e di prova;
g. compiti e finalità degli organi tecnici di supporto: l’Invalsi e l’Indire;
h. il sistema nazionale di valutazione (dPR 80/2013);
i. normativa specifica per l’inclusione degli alunni disabili, con disturbi specifici di apprendimento e con bisogni educativi speciali;
j. Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR prot. n. 4232 del 19.02.2014);
k. Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (nota MIUR prot. n. 4233 del 19.02.2014);
l. Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati (nota MIUR prot. n. 7443 del 18.12.2014);
m. Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo (nota MIUR prot. n. 2519 del 15.04.2015)
11. Conoscenza dei seguenti documenti europei in materia educativa recepiti dall’ordinamento italiano:
a. Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente e relative definizioni di competenza, capacità e conoscenza (raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio 23 aprile 2008);
b. Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente;
c. Programmi di scambi/mobilità di docenti e studenti: programma Erasmus+.
12. Al fine di verificare la comprensione di una lingua straniera comunitaria (inglese per la scuola primaria), si rinvia all’art.5, comma 3 del Decreto.
13. Competenze digitali inerenti all’uso e le potenzialità delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali più efficaci per potenziare la qualità dell’apprendimento, anche con riferimento al Piano Nazionale Scuola Digitale.

ALLEGATO A 

Quale servizio è valido per il concorso docenti riservato?

Come sappiamo, potranno partecipare al concorso docenti riservato abilitante per la scuola secondaria di primo e secondo grado, i docenti in possesso dei seguenti requisiti:

  • almeno tre anni di servizio nella scuola secondaria statale (anche su sostegno) dal 2008/2009 al 2018/2019. Chi conclude la terza annualità nel 2019/2020 partecipa con riserva
  • uno dei predetti tre anni deve essere specifico, ossia svolto nella classe di concorso per cui si partecipa.
  • Potranno partecipare, anche se solo ai fini dell’abilitazione, i docenti che hanno maturato il servizio di tre anni nella scuola paritaria.

Per i posti di sostegno è necessario avere, oltre ai seguenti requisiti di servizio, la specializzazione sul sostegno.

Concorso scuola straordinario: la procedura

La procedura per l’immissione si baserà su più passaggi:

Prima si svolgerà, come accennato in precedenza, il concorso scuola 2020, che vedrà una prova selettiva computer based che si supera con un punteggio minimo di 7/10; graduatorie di merito redatte sommando i punteggi dei titoli culturali e di servizio posseduti più il punteggio ottenuto nella prova selettiva.

Successivamente si procederà all’assunzione in ruolo secondo la posizione in graduatoria.

I docenti assunti saranno ammessi all’anno di prova e di formazione (180 giorni di servizio e 120 di attività didattica)  durante il quale, se ne sono sprovvisti, dovranno acquisire 24 CFU a carico dello Stato.

Al termine di tale periodo, per ottenere la conferma in ruolo, dovranno essere valutati dal comitato di valutazione della scuola dove prestano servizio, integrato da un componente esterno.

Nel caso in cui non si dovesse superare per due volte (considerato che il periodo di prova è ripetibile) la prova orale prevista al termine del periodo di prova, il contratto di assunzione è risolto.

Le assunzioni dei vincitori potranno continuare anche dopo il suddetto periodo, perché la graduatoria di merito è ad esaurimento.

I posti saranno suddivisi tra posti comuni e posti di sostegno.

Ovviamente, trattandosi di un testo ancora non approvato in via definitiva, non è escluso che possano cambiare alcune condizioni già elencate in questo ed altri articoli sul tema.

Formazione dei docenti: io vorrei… non vorrei… ma se vuoi

Formazione dei docenti: io vorrei… non vorrei… ma se vuoi

di Mario Maviglia

E’ stata firmata il 19 novembre scorso l’ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo riguardante i “Criteri generali di ripartizione delle risorse per la formazione del personale docente, educativo ed ATA per gli anni scolastici 2019/20, 2020/21, 2021/22”. La denominazione di questo atto negoziale non deve trarre in inganno: in realtà non riguarda solo i criteri di ripartizione delle risorse destinate alla formazione, ma rivede la stessa organizzazione e gestione della formazione a livello territoriale. Infatti, a differenza di quanto previsto dal precedente piano triennale di formazione, fortemente centrato sull’azione delle reti di scuole di ambito introdotte dalla L. 107/2015, in questo contratto triennale l’attenzione viene riportata sulle singole istituzioni scolastiche. L’art. 1 del CCNI prevede infatti che “la programmazione e la concreta gestione delle attività di formazione in servizio avvengono a livello di singola istituzione scolastica e di reti di scuole nel rispetto delle prerogative del Collegio dei docenti e del Consiglio di istituto”. Questa centralità della scuola viene ribadita dal successivo art. 2 con la sottolineatura che “Il Piano di formazione d’istituto è realizzato in coerenza con gli obiettivi del PTOF, con le priorità nazionali e con i processi di ricerca didattica, educativa e di sviluppo, considerate anche le esigenze ed opzioni individuali. Esso comprende le attività deliberate dal Collegio dei docenti ai sensi dell’art.66 del C.C.N.L. 2006-2009 e le azioni formative proposte dal Direttore per i Servizi Generali ed Amministrativi per il personale ATA … Queste iniziative sono progettate dalla scuola singolarmente o in reti di scopo, favorendo anche la collaborazione con le Università, gli Istituti di ricerca, e con le Associazioni professionali qualificate e gli Enti accreditati ai sensi della Direttiva n.170/2016.” Il Piano di formazione d’istituto può comprendere anche iniziative di autoformazione, di formazione tra pari, di ricerca ed innovazione didattica, di ricerca-azione, di attività laboratoriali, di gruppi di approfondimento e miglioramento.

Vengono quindi oscurate le reti? Non proprio. Diciamo che non hanno più quella centralità che avevano prima (centralità improvvidamente prevista dalla L. 107), ma si pongono ad un secondo livello di formazione, con l’obiettivo di soddisfare bisogni formativi trasversali o disciplinari non realizzabili a livello di singola istituzione scolastica. L’aver puntato quasi esclusivamente sulle reti nel corso dell’ultimo triennio, oltre che operazione ambiziosa, ha fatto perdere di vista la necessità di innestare le attività formative delle scuole sui dati emergenti dai RAV delle scuole stesse e dai rispettivi Piani di Miglioramento. In quanto imposta dall’alto, la rete rischia di diventare una sorta di sovrastruttura burocratica, lontana dai bisogni formativi dei docenti e non in grado di venire incontro alle esigenze di formazione che trovano espressione all’interno delle singole istituzioni scolastiche. Insomma, l’eccessiva fiducia riposta nelle reti rischiava di relegare ad un ruolo secondario il protagonismo delle singole scuole, coartando il soddisfacimento dei  bisogni formativi più immediati (ma non per questi meno significativi e importanti) espressi dai docenti nelle singole istituzioni scolastiche. Va sottolineato, a questo proposito, che vi è una dimensione formativa che è specifica e peculiare di ogni singola istituzione scolastica e non può essere misconosciuta in quanto è all’interno dell’istituto che si creano dinamiche, procedure, relazioni e strategie didattiche che possono favorire o impedire i processi di apprendimento. In altre parole, è la scuola la cellula vitale dell’erogazione del servizio scolastico, non la rete. La recente ipotesi di CCNI attenua questa stortura ristabilendo la centralità della singola istituzione scolastica nella definizione dei piani di formazione del personale della scuola.

Un aspetto che invece non ha trovato soluzione all’interno del CCNI è la quantificazione del monte ore da dedicare alla formazione diventata “strutturale, obbligatoria e permanente” in seguito all’emanazione della L. 107/2015 (comma 124). Questa è una vecchia querelle che non ha trovato ancora una compiuta soluzione. Di fatto, allo stato attuale, non vi è alcun obbligo di ore di formazione da svolgere se non quelle deliberate dal Collegio dei docenti (e dunque da far rientrare nell’ambito delle ore dedicate alle attività funzionali all’insegnamento). Il CCNL 2016/2018 non ha introdotto alcuna novità in merito. Lo stesso ministero, con espressioni linguistiche alquanto pirandelliane, ha ribadito che “L’obbligatorietà [della formazione] non si traduce automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma nel rispetto del contenuto del piano [di formazione]” (nota MIUR 25134 dell’1/06/2017). 

Eppure, nella letteratura riguardante le varie professioni, ogniqualvolta si parla di “formazione obbligatoria” questa viene automaticamente collegata a un monte ore ben definito. Citiamo alcuni esempi:

  • Medici e odontoiatri, 150 crediti ECM (Educazione Continua in Medicina) ogni triennio 
  • Psicologi, 150 crediti ECM ogni triennio, a decorrere dal 2020 
  • Giornalisti, 60 crediti CFP (Crediti Formativi Professionali) ogni triennio
  • Avvocati, 60 crediti CFP ogni triennio
  • Architetti, 60 crediti CFP ogni triennio
  • Ingegneri, almeno 30 crediti CFP ogni anno.

Certo, si può eccepire che si tratta di figure professionali per le quali è prevista l’iscrizione ad uno specifico albo per l’esercizio della professione, ma quello che qui si vuole rimarcare è che l’attività formativa, se non è perimetrata in senso spazio-temporale, rischia di essere un contenitore vuoto oppure una dimensione professionale troppo legata ai particolari umori dei diversi contesti scolastici (docenti particolarmente sensibili o motivati, dirigenti esigenti ecc.), determinando una grande varietà di comportamenti. Eppure sembrava che la legge 107 fosse sulla strada giusta avendo stabilito il carattere “obbligatorio” della formazione e abbandonando definitivamente le fumisterie della vecchia concezione della formazione come “diritto-dovere” dei lavoratori della scuola senza alcun aggancio con la dimensione temporale. 

Per la verità vi è stato qualche timido tentativo di contornare questo problema attraverso la locuzione di Unità Formativa introdotta dal Piano per la formazione dei docenti 2016-2019: “Al fine di qualificare e riconoscere l’impegno del docente nelle iniziative di formazione, nel prossimo triennio in via sperimentale, le scuole articoleranno le attività proposte in Unità Formative. … L’Unità Formativa viene riconosciuta e acquisita in modo da tenere conto delle diverse attività formative sopra indicate e costruita in modo che si possa riconoscere e documentare il personale percorso formativo del docente, all’interno del più ampio quadro progettuale della scuola e del sistema scolastico. Per la definizione delle Unità Formative, in fase di prima definizione può essere utile fare riferimento a standard esistenti, come il sistema dei CFU universitari e professionali.” E’ noto che nella normativa universitaria un CFU corrisponde convenzionalmente a 25 ore. Il Piano prevede che “nella progettazione dei Piani triennali, andrà posta particolare attenzione, soprattutto in questa prima fase di attuazione, alla necessità di garantire ai docenti almeno una Unità Formativa per ogni anno scolastico, diversamente modulabile nel triennio.”

Anche il Documento di lavoro per lo sviluppo del Piano di formazione docenti 2016-2019. Questioni operative (allegato alla nota MIUR 9684 del 6/03/2017) insiste su questo aspetto: “La descrizione di una Unità Formativa può prendere spunto, da modelli simili elaborati in ambito universitario (il riferimento è al CFU: credito formativo universitario, che individuano un segmento formativo strutturato e ‘auto consistente’ che, secondo le specifiche ANVUR, è pari ad un riconoscimento di un impegno complessivo di 25 ore).” Va però sottolineato che nel documento dell’anno successivo, Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio (nota MIUR del 16/04/2018), si parla più genericamente dell’opportunità di definire “un monte ore strutturato (comprensive di ricerca, studio e pratica in classe) da dedicare alla cura della propria preparazione, con ampi margini di libertà di scelta, ma anche con l’obbligo di partecipare a momenti specifici di formazione all’interno del proprio contesto di lavoro, quando cambiano gli scenari istituzionali e organizzativi, oltre che didattici (D.M. 797/2016).”

Insomma, quando si tratta di definire con chiarezza e senza infingimenti un monte ore (almeno) minimo da dedicare alla formazione in servizio, tanto l’Amministrazione scolastica quanto le OO.SS. preferiscono lasciare tutto nell’indistinto, scaricando sulle singole scuole le scelte in questo campo strategico e periferizzando, di fatto, gli inevitabili conflitti tra dirigente scolastico e Collegio dei docenti. Di fatto non si riesce a comprendere come l’”obbligatorietà” della formazione si possa coniugare con l’aleatorietà della sua durata con il paradosso che sono legittime decisioni molto diverse prese dalle varie scuole (in teoria le istituzioni scolastiche possono approvare Piani di formazione che prevedono 2 oppure n ore). E d’altro canto se la formazione è “obbligatoria” per volere della legge, necessariamente deve svolgersi nell’ambito dell’orario di servizio, ossia nelle indecifrabili 40+40 ore annue. Insomma, a fronte di una produzione normativa altisonante sul valore formativo e professionale della formazione in servizio, le condizioni di esercizio di tale “obbligo” appaiono ancora quanto mai evanescenti, o, se si vuole, inibite, come un’automobile lanciata a 100 km all’ora, ma con il freno a mano tirato.

I numeri dell’iniziativa “Scuole Sicure 2018-2019”

da La Tecnica della Scuola

Il problema dell’uso di sostanze stupefacenti tra i giovani investe sicuramente anche il mondo della scuola proprio per le competenze formative ed educative che esso possiede.

La scuola che rappresenta  una delle agenzie educative più importanti deve essere in grado di giocare un ruolo decisivo, insieme alla famiglia ed alle istituzioni ed amministrazioni, nel fornire opzioni preventive, modelli educativi, informazioni chiare e stili di vita utili a prevenire e contrastare l’uso delle droghe .

In tale contesto il potenziamento dell’attività di vigilanza e controllo, messo in campo nei pressi degli istituti scolastici contro la diffusione delle droghe, ha dato i suoi risultati.

Questi i numeri dell’iniziativa “Scuole Sicure 2018-2019” conclusa il 30 giugno, con la chiusura dell’anno scolastico: Il problema dell’uso di sostanze stupefacenti tra i giovani investe sicuramente anche il mondo della scuola proprio per le competenze formative ed educative che esso possiede.

La scuola che rappresenta  una delle agenzie educative più importanti deve essere in grado di giocare un ruolo decisivo, insieme alla famiglia ed alle istituzioni ed amministrazioni, nel fornire opzioni preventive, modelli educativi, informazioni chiare e stili di vita utili a prevenire e contrastare l’uso delle droghe.

In tale contesto il potenziamento dell’attività di vigilanza e controllo, messo in campo nei pressi degli istituti scolastici contro la diffusione delle droghe, ha dato i suoi risultati. Questi i numeri dell’iniziativa “Scuole Sicure 2018-2019” conclusa il 30 giugno, con la chiusura dell’anno scolastico:

• 14,7 chili di droga sequestrati;

• 31 arresti;

• 45 denunce all’autorità giudiziaria;

• 855 violazioni amministrative e reati accertati.

Il progetto ha interessato 598 gli istituti scolastici sparsi in 11 regioni e 15 capoluoghi di provincia: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Padova, Roma, Torino, Trieste, Venezia e Verona.

Fra Polizia locale e Forze di polizia, ha coinvolto di più di 26 mila unità di personale, con oltre 13 mila servizi effettuati singolarmente o con operazioni congiunte.


Pensioni scuola, ecco come e quando si ottiene la buonuscita

da La Tecnica della Scuola

Oggi sarà il giorno dell’emanazione dell’attesa circolare sulle pensioni scuola. Ci sarà tempo fino al 23 dicembre per presentare le istanze.

Può presentare domanda di pensione il personale con 65 anni e 20 anni di anzianità contributiva in aggiunta al perfezionamento di un diritto a pensione (pensione di vecchiaia)con 42 anni e 10 mesi se uomo e 41 anni e 10 mesi se donna (pensione anticipata); con 38 anni di età e 62 anni di età anagrafica (quota 100), con 35 anni di contributi e 58 anni di età solo per le donne (opzione donna).

Pensioni scuola, ecco come e quando si ottiene la buonuscita

L’indennità di buonuscita ora TFS (trattamento di fine servizio) verrà erogata così come specificato dall’INPS con la circolare n.154 del 17 settembre 2015.

Per inabilità o decesso, la buonuscita arriverà entro 105 giorni. In caso di cessazione volontarie per massima anzianità contributiva: 24 mesi più altri 90 giorni. Per limiti d’età (67 anni) o (65 anni con anzianità contributiva) saranno 12 mesi più altri 90 giorni.

La buonuscita da corrispondere viene rateizzata in base alla somma da percepire: in una sola rata se si tratta di 50mila lorde, in due rate se la somma è eccedente 50mila e fino a 100mila (la seconda rata ad un anno dalla prima). In tre rate con somma eccedente 100mila euro (rate a distanza di un anno tra di loro).

PISA 2018: male l’Italia, svetta la Cina, ma crescono i dubbi sul programma PISA

da Tuttoscuola

Lo scorso 3 dicembre sono stati resi noti i risultati delle prove OCSE-PISA svoltesi nella primavera del 2018 in 79 Paesi: tutti quelli aderenti all’OCSE (36, comprese le new entry Lettonia e Lituania) più altri 43 che hanno chiesto di partecipare all’indagine comparativa.

La novità del programma OCSE-PISA 2018, giunto alla sua settima edizione, è senza dubbio l’irrompere della Cina in testa alle classifiche di tutte e tre le competenze misurate: lettura, matematica e scienze. Il resto del mondo non si è di molto discostato dai risultati ottenuti tre anni fa e, per quanto riguarda la lettura, 10 anni fa, quando la reading literacy fu il principale campo di ricerca, come nel 2018.

Quasi tutti i media italiani hanno dato la notizia occupandosi quasi solo delle performance dei nostri studenti, oltre che di quelle eclatanti dei cinesi, con toni preoccupati, in qualche caso anche dolenti se non disperati, quelli che secondo una perversa e radicata consuetudine ‘fanno più notizia’. In realtà la scuola italiana riflette anche in questa classifica il lento declino che ne caratterizza la storia in questo XXI secolo. Il punteggio dell’Italia nella lettura è stato di 476 contro 487 della media Ocse. Un dato peggiore di quello ottenuto nel 2015 (485), che era più vicino alla media OCSE, e inferiore di 11 punti rispetto al 2000 (all’esordio di PISA) e di 10 punti rispetto al 2009; comunque uno dei peggiori tra quelli dei Paesi membri dell’UE. Analogo arretramento in scienze, più contenuto in matematica (487 rispetto alla media Ocse di 489, nel 2015 era stato di 490).

Ma come già detto la vera novità è venuta dalla Cina, che ha però partecipato all’indagine con quattro province economicamente all’avanguardia (Pechino, Shanghai, Jiangsu, Zhejiang), superando Singapore, altra città-Stato ad alto sviluppo e reddito. Ed è nota la correlazione abbastanza stretta tra la curva della ricchezza e quella del rendimento scolastico, anche se Federico Fubini fa giustamente notare sul ‘Corriere della Sera’ di domenica 8 dicembre che di per sé il livello della spesa per l’istruzione non garantisce risultati scolastici migliori: “quasi tutti i Paesi europei che investono meno dell’Italia per ogni studente dai sei ai quindici anni di età hanno anche risultati superiori all’Italia nei test PISA. È il caso (in ordine decrescente di spesa) della Spagna, dell’Estonia, di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Irlanda e Lituania”. E la Svezia ha risultati molto inferiori a quelli che lascerebbe prevedere la sua altissima spesa in istruzione. Questo significa, come commenta Roberto Ricci, responsabile nazionale delle prove Invalsi, che la spesa per l’istruzione in Italia “non è solo bassa, è anche meno efficiente che in altre aree d’Europa”.

La Cina comunque, a differenza dell’Italia e di altri Paesi (probabilmente non tutti), non ha messo in campo un campione rappresentativo di tutte le regioni e di tutti i tipi di scuola. Insomma, è un po’ come se l’Italia avesse schierato le Province di Trento e Bolzano e i licei di Milano e Torino. Ora staremmo celebrando il successo dell’Italia nelle classifiche PISA. Ma altri dubbi sul modello valutativo dell’OCSE sono emersi anche nel dibattito scientifico, come spieghiamo nella notizia successiva.

Che fine hanno fatto i 2mila posti di tempo pieno annunciati un anno fa?

da Tuttoscuola

Che fine hanno fatto i duemila posti a tempo pieno annunciati un anno fa dall’allora vice-prenier Luigi Di Maio in occasione dell’approvazione della legge di bilancio 2019?

Difficile dimenticare la sua dichiarazione, paradigmatica di quella sorta di “marketing politico” in voga in questi anni: «D’ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno!», aveva solennemente assicurato Luigi Di Maio che con un video su Facebook aveva annunciato: «Voglio darvi una buona notizia da condividere il più possibile: grazie ai nostri parlamentari della Commissione Istruzione della Camera (…) è stato approvato un emendamento alla Legge di Bilancio molto importante per la scuola e per i nostri figli» (…): «i bambini potranno stare più tempo a scuola, potranno avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio o la loro figlia starà a scuola con gli insegnanti, avrà un percorso formativo ancora più ricco». Sarà importante anche «per gli insegnanti perché si sbloccano duemila nuovi posti di lavoro nella scuola e di questi circa il trenta per cento sarà in mobilità. Ovvero quella parte di insegnanti che per colpa della Buona Scuola sono stati ‘deportati’ al Nord con un algoritmo che non abbiamo mai capito, e che adesso, per esempio, potranno tornare verso il Sud”.

E aveva concluso «Insomma, un grande successo che non so se ve lo racconteranno, non so se girerà per l’importanza che ha...».

Tuttoscuola invece ne parlò (https://www.tuttoscuola.com/tempo-pieno-di-maio-lo-porteremo-in-tutte-le-scuole-elementari-davvero/ ) e dimostrò che c’era molta velleità e improvvisazione nell’enfasi del vice-premier e impossibilità di realizzare quell’obiettivo in tempi brevi (per generalizzare il tempo pieno occorrerebbero 43 mila nuovi posti, non 2 mila).

Considerato che con mezza unità di personale si trasforma una classe da tempo normale a tempo pieno, quei duemila posti avrebbero determinato quattromila classi a tempo pieno.

In pochi avevano fatto notare che per attivare il tempo pieno serviva anche l’intervento dei Comuni per assicurare strutture (spazi laboratoriali) e servizi (mensa) per il tempo pieno.

L’ex-ministro all’istruzione Bussetti, in sede di applicazione della norma aveva precisato che quei posti sarebbero stati assegnati in base alle richieste di iscrizione delle famiglie.

Ma alla fine come è andata a finire? Vediamolo nella notizia successiva.

Lettura: i 15enni meridionali sono in affanno. Qual è la causa?

da Tuttoscuola

Dopo la pubblicazione dei dati OCSE-PISA che hanno confermato una situazione critica di molti quindicenni nelle competenze linguistiche e, in particolare, nella lettura intesa come capacità di capire e decodificare i testi, si è aperto il dibattito per individuarne le cause e proporne i rimedi.

Nel commento dell’Invalsi ai dati si precisa, innanzitutto, cosa ci si aspetta da loro: “A questo livello, gli studenti iniziano a dimostrare la capacità di utilizzare le loro abilità di lettura per acquisire conoscenze e risolvere una vasta gamma di problemi pratici”.

Si tratta, come si può capire, di un prerequisito alla cittadinanza attiva, una condizione che consente alle persone – vale anche per gli adulti – di partecipare alla vita sociale e alla società dell’informazione con autonomia di pensiero critico.

Ma, continua il commento: “Gli studenti che non raggiungono il livello 2 (low performer) spesso hanno difficoltà a confrontarsi con materiale a loro non familiare o di una certa lunghezza e complessità”.

È, dunque, il low performer a registrare la condizione che, considerato l’elevato coinvolgimento di molti nostri ragazzi, ha determinato il loro risultato scarso.

Scarso risultato: chi? Dove?

Rispetto alla media OCSE (487 punti) i nostri 15enni si sono attestati ad un livello inferiore (476), a causa soprattutto delle situazioni di molti ragazzi meridionali. Infatti, commenta l’Invalsi, “a livello italiano si conferma il divario Nord-Sud: gli studenti delle aree del Nord ottengono i risultati migliori (Nord Ovest 498 e Nord Est 501), mentre i loro coetanei delle aree del Sud sono quelli che presentano le maggiori difficoltà (Sud 453 e Sud Isole 439)”.

Sono, dunque, i ragazzi meridionali che abbassano la media dell’Italia. Pertanto è soprattutto nei loro confronti che deve essere ricercata la causa della bassa prestazione.

Clima, il Ministro a COP25

Martedì 10 dicembre 2019, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti, interverrà a COP25, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso a Madrid fino al 13 dicembre prossimo. Il Ministro Fioramonti parteciperà nel corso dell’High-Level Event on Action for Climate Empowerment.

Tra gli speaker anche la Ministra dell’Istruzione e della Formazione Professionale – Spagna, María Isabel Celaá Diéguez; il Ministro degli Affari Economici, dell’Innovazione, della Digitalizzazione e dell’Energia della Renania Settentrionale – Vestfalia – Germania, Andreas Pinkwart; la Ministra dell’Acqua e dell’Ambiente – Uganda, Mary Goretti Kitutu; la Ministra federale per la Sostenibilità e il Turismo – Austria, Maria Patek.

L’evento si terrà dalle 13.00 alle 15.00 presso la Sala Torres del Paine della Fiera di Madrid (Hall 4).

Integrazione e accoglienza: approvazione e pubblicazione graduatorie definitive dei progetti

Fondi Strutturali Europei – Programma Operativo Nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l’apprendimento” 2014-2020. Asse I – Istruzione – Fondo Sociale Europeo (FSE). Obiettivo
Specifico 10.1 e 10.3 – Azioni 10.1.1 e Azioni 10.3.1.

Avviso pubblico per progetti di inclusione sociale e integrazione. Prot. n. AOODGEFID/4294 del 27.04.2017. Approvazione e pubblicazione graduatorie definitive dei progetti.

Prot. 36118 del 10 dicembre 2019

Nota 10 dicembre 2019

Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle Risorse Umane e Finanziarie
Direzione generale per i contratti, gli acquisti e per i sistemi informativi e la statistica Ufficio III

Ai Dirigenti Scolastici e ai Direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado

Oggetto: Avvio del corso di formazione Pago In Rete.