Ripartizione dei 50 mila posti aggiuntivi. I sindacati chiedono chiarezza sul monitoraggio

da Tuttoscuola

La ripartizione tra le regioni delle risorse per finanziare i 50 mila posti aggiuntivi sono già al centro di dubbi e richieste di chiarimento per conoscere criteri e dati su cui si è basata la distribuzione. In proposito i sindacati scuola hanno chiesto di conoscere in dettaglio il monitoraggio sul fabbisogno di organico aggiuntivo segnalato dalle scuole.

“Con una nota inviata al Capo Dipartimento Istruzione del MI, alla Direzione Generale del Personale e all’Ufficio Relazioni Sindacali CISL Scuola, FLC CGIL, UIL Scuola RUA e SNALS Confsal chiedono di conoscere in dettaglio gli esiti dei monitoraggi avvenuti a livello regionale finalizzati alla richiesta di organico aggiuntivo – fanno sapere i sindacati –. La materia, ricordano nella nota, è infatti oggetto di informazione e confronto ai sensi dell’art. 22 del CCNL”.

I dubbi che hanno motivato la richiesta sono probabilmente riferiti ad una non equa distribuzione dei 25 mila posti (il 50% del totale) in risposta ai bisogni segnalati dalle scuole.

Contrariamente a quanto era logico attendersi, più del 50% di quei posti infatti è andato alle regioni del Mezzogiorno: 10.681 (42,7%) al sud e 2.651 (10,6%) alle Isole.

La notevole differenza dei bisogni di organico aggiuntivo segnalati dai territori legittima il dubbio che non vi sia stata una modalità univoca per determinare la capienza delle aule e, con un fai da te molto soggettivo, si sono create condizioni squilibrate destinate forse a provocare reazioni e proteste, soprattutto se alla fine vi saranno scuole che, pur avendo segnalato fabbisogni, non riceveranno risposte adeguate.

Al di là di questa ripartizione sperequata, sorge legittimo un altro dubbio: il fabbisogno di nuovi posti aggiuntivi sembra essere stato soltanto di 25 mila docenti che, tenuto conto del rapporto docenti/classe, equivalgono a circa 15 mila classi: il 4% delle 370 mila classi esistenti. Possibile?

Un altro criterio lascia a dir poco perplessi. Ci riferiamo all’altro 50% di risorse per finanziare altri 25 mila posti con un criterio di ripartizione che nulla ha a che fare con le capienze delle aule, con gli spazi alternativi e con tutte le criticità strutturali delle scuole.

I 25 mila posti sono stati ripartiti in base alla popolazione scolastica.

Cosicché un territorio molto popoloso che ha la fortuna di disporre di aule e capienze sarà premiato con molti posti, mentre all’opposto un territorio meno popolato ma che ha la sfortuna di disporre di molte aule non adeguate riceverà le briciole.

Se l’intenzione era quella di ridurre le classi pollaio, quel criterio non aiuta. Sarebbe stato ben diverso, ad esempio, prevedere uno sbarramento al numero di alunni per classe.

Dal voto al giudizio nella primaria. Che fine ha fatto l’ordinanza che regola il cambiamento?

da Tuttoscuola

Due mesi fa, il 7 giugno, è entrata in vigore la legge 41 di conversione con modifiche e integrazioni del decreto legge 22/2020 sulla scuola. Tra le diverse modifiche introdotte, il comma 2-bis del primo articolo ha previsto per la scuola primaria l’abbandono del voto in decimi e il ritorno al giudizio per la valutazione degli apprendimenti a cominciare dall’anno scolastico 2020-21.

Leggiamo infatti: «2-bis. In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione».

Il voto in decimi nelle diverse discipline di studio per la scuola primaria era stato introdotto dalla legge 137/2008 e regolamentato dal DPR 122/2009 sulla valutazione e confermato nelle successive norme sulla valutazione, compreso il decreto legislativo 62/2017.

Il superamento del voto e il ritorno al giudizio è stato voluto al Senato da parlamentari del PD che hanno superato i dubbi dei pentastellati e anche la contrarietà del Ministero dell’Istruzione. In merito, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, aveva nascosto la contrarietà dei funzionari del suo dicastero con una specie di “si potrebbe fare, ma non è il momento”, perché quasi tutte le misure del DL riguardavano la conclusione di questo anno scolastico. I proponenti l’hanno presa in parola e hanno proposto la modifica per il 2020-21.

Il testo dell’innovazione parla di “valutazione finale”, ma è evidente che l’intero impianto valutativo che passa dal voto numerico al giudizio ha bisogno di impostare da subito il cambiamento di termini, modalità e mentalità per gli insegnanti e per le famiglie. Il MI però non ha nemmeno avviato e abbozzato la struttura di questa ordinanza che riveste una certa urgenza, in quanto fin dai primi mesi di scuola gli insegnanti dovranno impostare le nuove modalità di valutazione. Fors’anche il POF triennale dovrebbe essere rivisto.

Se l’ordinanza dovesse tardare ancora per orientare circa 200 mila docenti di primaria di scuola statale e circa 10 mila della paritaria, sorgerebbero non poche difficoltà nell’impostazione di lavoro di un anno scolastico che si annuncia carico di problematiche.

Se si tardasse l’emanazione dell’ordinanza di qualche mese, pregiudicando già la valutazione del primo quadrimestre, occorrerebbe intervenire con il decreto mille proroghe di fine anno per farne slittare l’applicazione di un anno.